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Il piccolo santo: Dramma in cinque atti

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Il piccolo santo: Dramma in cinque atti
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NOTA

Con questo dramma, io tento – ancora – un'arte che sembra troppo vaga a chi non ha voglia di concedermi una percezione acutamente alacre e a chi, pur essendo disposto a concedermela, non ha la facoltà di acuire il suo pensiero nell'esercizio della trasmigrazione verso il pensiero altrui. Gli elementi essenziali, che compongono, in quadri brevi, la mia nuova opera scenica, non hanno quasi mai una diretta e consona espressione, perchè risiedono nel fondo della esistenza di creature le cui parole e i cui atti non corrispondono alla loro psiche se non molto oscuramente e ambiguamente o addirittura ne divergono come i rami dal fusto. Il dissidio continuo, che si determina, or più or meno profondo, or più or meno inconsciamente, fra la psiche delle creature da me immaginate e le loro manifestazioni, costituisce l'invisibile filo conduttore dello sviluppo drammatico ed implica l'impossibilità assoluta di esporre il doloroso contenuto del dramma nella esteriorità dell'azione. E appunto questa impossibilità, che sùbito mi si parò innanzi quando la novella visione cominciava a sorgere, mi ha attratto cimentandomi e mi ha indotto a non destinare l'abbozzo della mia fantasia al limbo delle opere che pensai e cautamente non scrissi. Ahimè!.. Il mio povero Piccolo Santo non poteva aspirare a un simile destino…

Però che gente di molto valore

Conobbi che in quel Limbo eran sospesi.

Io ho, dunque, celato in parte l'anima di alcuni personaggi ed ho quasi tutta celata quella del protagonista (ugualmente si celerebbero esse nella vita reale) sperando di lasciarle indovinare a traverso parole e atti che ne tramutano le essenze psicologiche come la luce tramuta certe combinazioni chimiche preparatesi nel buio.

Mi è stato detto e ridetto che il teatro non consente il proposito di far comprendere ciò che non sia espresso dalle parole e dagli atti dei personaggi. Questo proposito – mi hanno ripetuto con assiduità parecchi dei miei autorevoli giudici, che hanno voluto avere la cortesia di essere anche i miei… insegnanti – non è presumibile che nel novellatore e nel romanziere. Costoro, difatti, con opportuna sagacia, intervengono fra personaggi e lettori spiegando e commentando, ovvero coloriscono, ricalcano, analizzano. Il commediografo, invece, dispone di mezzi molto limitati. Se i suoi personaggi non spiegano essi medesimi ciò che pensano, ciò che sentono, ciò che vogliono, ciò che li agita, non c'è modo di conoscerli, nè d'intendere che cosa fanno. Questo è, in sostanza, il monito dei miei cortesi insegnanti e io non saprei negarne la prudente saggezza. Tuttavia, mi ostino a credere – imprudentemente – che un complesso sintetico di segni significativi possa bene conferire alla scena la trasparenza necessaria a rendere comprensibile anche quello che non è veramente espresso.

Non di rado sento definire artificio la raffigurazione artistica che io chiamo complesso sintetico di segni significativi. Nulla è più comodo di questa spiccia definizione che dispensa da troppo sottili discernimenti i cervelli un po' pigri o un po' frettolosi. Ma, intanto, un tale «artificio» è il riscontro, perfettamente analogico, della sintesi d'impressioni che s'incide nell'intelletto di un ipersensibile osservatore di fatti umani. Come i raggi solari si riflettono e si riuniscono nel fuoco di uno specchio concavo, le linee apparenti del vero si riassumono nel centro cerebrale di questo osservatore commosso con quel tanto di più che la sua intensa sensibilità scorge oltre la parvenza delle cose, delle persone, degli ambienti. E tutto quanto la sua sensibilità produce, riproducendo, per così dire, sè stessa, è precisamente… un complesso sintetico di segni significativi che racchiude la realtà sostanziale nascosta dietro la realtà della superficie.

Ecco quel che vorrebb'essere l'arte che – talvolta – io tento.

Roberto Bracco.

ATTO PRIMO

Una stanzetta tutta bianca. Nessuna tappezzeria. La mobilia è semplice, quasi rozza, ma pulita. Un tavolino e una poltrona verso il lato destro. Qua e là, delle sedie impagliate. Uno stipetto basso su cui sono piccoli oggetti d'uso. Nella parete destra, è il vano d'un balcone, dal quale, a traverso le invetriate, sorridono, vivacemente, alcune piante di garofani rossi. Alla parete opposta, una porta. Nel centro della parete in fondo, la porta comune: più ampia, a doppio battente. Il pianerottolo, da cui si accede, ha a sinistra l'uscio di un'altra casa, di fronte una scalinata ascendente, a destra una scalinata discendente. Poco distante dalla porta comune, a sinistra sopra una mensola, che è come un alto sgabellone coperto fino al suolo da una stoffa fiorata, si erge, addossato alla parete, un grosso scarabattolo, nel quale è un grande Crocifisso di legno scolpito con l'Addolorata ginocchioni e piangente. Innanzi allo scarabattolo, una lampada di metallo bianco, accesa. Dall'altro lato della porta comune, un attaccapanni, da cui pende un mantello da prete che s'allunga e spicca sul bianco del muro.

SCENA I

(Nella stanzetta silenziosa, non c'è che Barbarello, il quale, disteso a terra proprio davanti alla porta comune – che è chiusa – , puntellandosi il cranio con un braccio, dormicchia. – Qualche rumore lo scuote. Egli si leva. Mette l'orecchio all'uscio, e, alzando le spalle, se ne allontana. – Giunge fino al tavolino, le mani allacciate a tergo e la testa bassa stupidamente dondolantesi sul collo un po' torto. – Poi, si aggira per la stanza sempre con le mani unite a tergo e con lo stesso dondolìo del capo.)

(In quell'atteggiamento appaiono, visibilissimi, i caratteri della deficienza cerebrale, che sono in compassionevole dissonanza coi suoi precipui connotati fisici. Il suo sembiante di adolescente, benchè sparuto cachettico e pronto alla deformazione della smorfia, serba, tuttora, i segni di una originaria schietta bellezza maschile. Egli ha le labbra fortemente accentuate, i denti massicci e bianchi, gli occhi grandi a mandorla, il naso aquilino, i capelli bruni folti e crespi formanti come un breve berretto sul capo di regolari proporzioni. Anche il suo corpo, se l'andatura incerta e melensa e le frequenti contorsioni nervose non lo deturpassero, parrebbe di un giovinetto normale, abbastanza agile e robusto, in quei panni che appunto ricordano un poco la robustezza e l'agilità del montanaro. Egli porta i calzoni stretti intorno alle caviglie e ficcati nei gambali delle grosse scarpe unte di sego, una camicia che gli si apre alla gola fin quasi allo sterno e una giacchetta succinta che gli sfugge di su i lombi e lascia scoperta, sul ventre, la cintola di vecchio cuoio. – Il suo aspetto, in complesso, è un misto di malinconico, di grottesco e di vagamente pauroso.)

(Si picchia alla porta.)
Barbarello

(finge di non udire.)

(Si picchia più forte.)

(Si sentono, quindi, di fuori, le voci del Dottor Finizio e di Sebastiano.)

Il Dottor Finizio

Don Fiorenzo!.. Don Fiorenzo!..

Barbarello

(si ferma, ascolta, sorride mostrando di divertirsi, e non si muove.)

Il Dottor Finizio

Don Fiorenzo!.. Vi prego!.. Sono io, il dottore!..

(Si picchia di nuovo.)
Barbarello

(sorride ancora.)

Il Dottor Finizio

Signor Sebastiano!.. Don Fiorenzo non apre e non risponde!.. Che non sia in casa?..

Sebastiano

Ci dev'essere, ci dev'essere. A quest'ora c'è sempre. E se per caso si fosse dovuto assentare, mi avrebbe avvertito. (Si ode la sua voce più presso.) Sbrìgati ad aprire, Fiorenzo! Che stai ponzando? Io e il dottor Finizio abbiamo bisogno di parlarti. E c'è molt'altra gente ad aspettare. Sbrìgati! (Pausa) Ma questo è strano, perdiancine!

Il Dottor Finizio

Perchè strano? Sarà uscito senza avvertirvi.

Sebastiano

(irritandosi) No, no e no! Questo non è mai accaduto! Ed è anche strano che non si veda nemmeno quel bestione di Barbarello.

Barbarello

(ascolta impassibile.)

Sebastiano

(risoluto) Sapete che voglio fare, io? Io voglio forzare la porta. Qui la cosa non è liscia. Un martello! Un martello!

Il Dottor Finizio

Ma no! Lasciate stare, Sebastiano!

Sebastiano

Lascio stare un corno!

Barbarello

(diventando serio, tende le orecchie e aggrotta le sopracciglia.)

(Dopo un istante, si sente un primo colpo sulla serratura.)

Barbarello

(a guisa di un cane ringhioso che non possa abbaiare, si getta a piè della porta e mugola sordamente.)

Il Dottor Finizio

Ma questo è il mugolìo di Barbarello!..

Sebastiano

Perdiancine! E com'è che non apre lui?!..

(Giunge un bisbiglio d'allarme contenuto.)
(Altri colpi alla serratura.)
Barbarello

(eccitato, si contorce e mugola più rabbiosamente.)

(La porta cede.)
Barbarello

(si drizza e stringe i pugni, opponendosi alla invasione.)

Sebastiano
(entra, respingendolo vigorosamente.)

(È seguíto dal Dottor Finizio e da una piccola folla di contadini poveri, uomini e donne. Sono quasi tutti attempati. Il più vecchio è Remigio, che cammina appoggiandosi a un lungo ramo d'albero sfrondato. Egli porta gli scarsi capelli un po' a zazzera e una barbetta floscia che gli si allunga sulla gola breve. Qualcuno è più evidentemente cencioso. Qualcun altro ha il volto più evidentemente malaticcio. C'è tra essi un cieco che va a tentoni, munito di un bastoncello. Una donna piuttosto giovane reca sulle braccia un bambino.)

 

(Entra anche Annita, che tra la piccola folla si distingue per i suoi abiti e per il suo portamento signorili.)

Sebastiano

(a Barbarello, che non cessa di mugolare e di stringere minacciosamente i pugni) Hai sentito tutto il putiferio che abbiamo fatto e non hai voluto aprire?!.. Dov'è il reverendo? Dov'è? (Infila la porta a sinistra, chiamando:) Fiorenzo!.. Fiorenzo!.. Fiorenzo!..

Il Cieco

(avanzandosi, urta col bastone nelle gambe di Remigio.)

Remigio

Queste sono gambe mie, santa Lucia benedetta!

Il Cieco

Eh, caro amico, se io avessi riavuti i miei occhi come tu hai riavute le tue gambe!..

Sebastiano

(ritornando più allarmato) C'è da perdere la testa! Quando mai è in giro a quest'ora?!.. E poi, senza avvertirmi? È inverosimile! È inverosimile! (A Barbarello:) Insomma, che è accaduto? È uscito? È crepato? Si è squagliato? Si è volatilizzato?

Barbarello

(resta nel suo atteggiamento ostile, ma con l'aria di non occuparsi più di quel che accade.)

Sebastiano

Rispondi, perdiancine!

Il Dottor Finizio

In fede mia, siete più scemo voi che lui! Pretendete che egli vi risponda, come se non sapeste che solamente Don Fiorenzo riesce a fargli pronunziare qualche parola.

Sebastiano

(abbassando la voce) Per me, ho sempre sospettato che, se volesse, potrebbe parlare benissimo anche senza il miracolo del santo. La dà a bere allo stesso Fiorenzo per campargli addosso e scansare il lavoro.

Il Dottor Finizio

Ecco una corbelleria!

Sebastiano

Ho bell'e capito! Da un certo tempo in qua avete cominciato a crederci anche voi ai miracoli del nostro amico!

Il Dottor Finizio

Ma che miracoli e miracoli! Si tratta di un semplice fenomeno che non ha nulla di comune col soprannaturale e che, oramai, entra perfettamente nell'orbita della scienza.

Sebastiano

Sia quello che sia, io, oggi, provvisoriamente, (levando un po' il martello) gli romperei il muso a questo ragazzaccio. Il suo mutismo non mi ha mai irritato come oggi. (Rivolgendosi ai poverelli) Da stamane, nessuno di voi lo ha visto, il reverendo? Nessuno di voi lo ha incontrato per il villaggio?

Il Cieco

Io non l'ho visto affatto.

Sebastiano

E volevi vederlo proprio tu che sei orbo?! Che imbecille!

La donna col bimbo

Nemmeno io l'ho visto.

Remigio

Nemmeno io.

Annita

… Io non lo conosco il reverendo; ma, verso le nove, da lontano, ho scorto un prete sulla strada maestra… Non so poi se…

Sebastiano

Com'era? Grasso? Magro? Lungo? Corto?

Annita

Era un prete piuttosto grasso…

Sebastiano

(brusco) E allora la ringrazio tanto! Quello era Don Candido, il parroco. – Don Fiorenzo è magro come un'acciuga. (Rivolgendosi al Dottore) Io vi confesso che sono preoccupatissimo! Vi confesso che sono sui carboni ardenti!

Il Dottor Finizio

Ma sul serio?!.. Decisamente, la malattia di vostra moglie vi ha scombinate le cellule cerebrali. Ho paura che, tra breve, dovrò curare più voi che lei. Vedete una tragedia in ogni nonnulla, mio caro!

Sebastiano

In ogni nonnulla?! Lo chiamate un nonnulla, voi?! Don Fiorenzo, all'improvviso, mi scomparisce, e io dovrei infischiarmene? È sempre così buono con me quel tanghero di prete che io gli ho perdonato perfino di essere prete.

Il Dottor Finizio

(canzonandolo un po') Avete fatto bene. L'indulgenza non è mai troppa!

Sebastiano

E se lo perdo, me lo impastate voi un altro come lui?

Il Dottor Finizio

Adesso poco ci manca che non lo piangiate addirittura per morto!

Sebastiano

Le disgrazie ci sono per tutti.

Il Dottor Finizio

Ma, santodio, su questa montagnella Don Fiorenzo è adorato come un nume: vi pare che, se davvero qualche disgrazia gli fosse incolta, il villaggio non sarebbe già sottosopra? E poi, non vi rassicura il contegno del ragazzo? Egli è ancora un po' scosso per la violenza che avete fatta forzando l'uscio, ma si capisce che, in fondo, è tranquillo. Miracoli mai; ma che questo poveretto sia una specie di barometro o una specie di apparecchio sismico di maravigliosa sensibilità in rapporto a tutto ciò che riguarda la persona del suo benefattore, è certissimo. Gli basterebbe che Don Fiorenzo corresse un pericolo per convellersi e guaire come un cagnotto ferito.

Sebastiano

«Miracoli mai»; ma, intanto, voi non fate che costatare miracoli!

Il Dottor Finizio

E voi non fate che dire corbellerie! Io non costato miracoli: io cerco e costato le ragioni scientifiche – suggestione, telepatia e via discorrendo – di alcuni fatti non comuni che possono passare per miracoli agli occhi di questi ignoranti.

Remigio

Posso dire una parola io?

Il Dottor Finizio

Parla, parla, papà Remigio. Tu vuoi parlare in difesa degl'ignoranti e ne hai il diritto, perchè sei fedelmente ignorante da ben settant'anni, se non erro.

Remigio

E in questi settant'anni, per campicchiare, ho praticato una dozzina di mestieri…

Il Dottor Finizio

Io ne pratico uno solo, e in ciò riconosco, senza discussione, la mia inferiorità.

Remigio

Dunque, ignorante sì, grullo no.

Il Dottor Finizio

Lo so che sei un furbacchione. Concludi.

Remigio

Vi servo súbito. Io ho due gambe che da quando Dio volle se n'erano scordate di camminare. Non un passo, anche a darci sopra con l'accetta. E non le faceste camminare nemmeno voi che ci passaste il telegrafo per dentro…

Il Dottor Finizio

(con serietà comica) La corrente elettrica ci passai, non il telegrafo.

Remigio

Come va che Don Fiorenzo le ha fatte camminare? Egli mi comanda di venire da lui una volta la settimana e le gambe camminano. Il miracolo c'è o non c'è?

Il Dottor Finizio

Dimmi un po': tu perchè ci vieni, qui, una volta la settimana?

Remigio

Perchè ci vengo?! Io sono il primo pezzente del paese. Ogni settimana Don Fiorenzo mi dà tre lire.

Il Dottor Finizio

E allora, senti: il miracolo c'è; ma credo che senza quelle tre lirette la settimana, Don Fiorenzo avrebbe fatto fiasco come me.

Sebastiano

(che si è avvicinato al balcone per guardare a traverso i vetri, scatta all'improvviso:) Dottore! Venite un momento qua!

Il Dottor Finizio

Perchè?

Sebastiano

(arrabattandosi per aprire in fretta il balcone, la cui serratura arrugginita non cede all'urgenza) M'è parso di vedere giacente, in un solco del burrone, una piccola massa nerastra e bislunga!.. Accidenti anche alle serrature!..

Il Dottor Finizio

Una piccola massa nerastra e bislunga?!

Sebastiano

(riuscendo ad aprire con una forte strappata) Eccola lì: è come il corpo di un morto tutto vestito nero!

Il Dottor Finizio

(accorrendo) Ma che diavolo dite?!

(Tutti si agitano con sul volto un'espressione di vivissimo orgasmo.)

Sebastiano

(animandosi di terrore e affacciandosi, sbraita:) Non c'è dubbio! Quello è il corpo di Fiorenzo!

Barbarello

(si serba impassibile.)

(Ma gli altri, unendo le lor voci in un grido solo, simultaneamente, come trasportati da un'onda, si gettano alle spalle di Sebastiano e del Dottore.)

SCENA II

Don Fiorenzo

(all'istante, comparisce e si arresta sulla soglia con gioiosa meraviglia.) Cos'è quest'assembramento in casa mia?!

(Tutti si voltano con un moto di straordinaria sorpresa. – I poverelli restano a bocca aperta. – Il Dottor Finizio, guardando Sebastiano, che è lì intontito e irritato, piega le braccia e tentenna il capo. – Annita, discretamente, si ritrae, quasi nascondendosi. – Barbarello ride come uno di quei fantocci meccanici a cui il ventriloquo presta i suoi rumori fonici.)

Don Fiorenzo

Ebbene?

Sebastiano

Che il diavolo ti porti! Mi hai fatto avere una paura…!

Il Dottor Finizio

Il signor Sebastiano aveva scorto in un solco del burrone nientemeno che il vostro cadavere.

Don Fiorenzo

(scoppiando in una risata) Ah, ah, ah! Questa è graziosa davvero! (A Sebastiano) Come ti è venuta un'idea così balzana?

Il Dottor Finizio

(in tono declamatorio e buffonesco) Due maggio, millenovecento e otto, morte e resurrezione di San Fiorenzo Barsi da Napoli!

Sebastiano

Ma, perdiancine!, dove ti eri cacciato?.. Da che abiti accanto a me, è la prima volta che ti sei permesso di uscire senza avvertirmi.

Don Fiorenzo

Perchè è la prima volta che ero aspettato da una persona che mi è più cara di te.

Sebastiano

Cioè? Cioè?

Don Fiorenzo

(tornando sulla soglia e parlando verso le scale) Qui, qui, al primo piano! Perchè non sali?

Giulio

(di giù) Eh! Giungo adesso. Ti vado correndo dietro, ma tu galoppi come un capriolo per queste balze!

Don Fiorenzo

Lascia lì le valige. Provvederemo poi.

Sebastiano

(raccapezzandosi) Che sia tuo fratello?!

(Si scorge Giulio sul pianerottolo.)
Don Fiorenzo

(presentandolo con commossa festosità) Proprio lui, venuto fresco fresco da Buenos-Aires! Non lo vedevo dalla bellezza di ventiquattro anni, perchè, ohè!, non meno di tanti ne son passati da che la buon'anima di zio Raffaele se lo portò laggiù per allevarselo nella bambagia. Converrai che non c'è troppo da meravigliarsi se ti ho trascurato. Iersera, quando ti eri già rinchiuso in casa, mi giunse un espresso con cui questo galantuomo, ex abrupto mi annunziava da Napoli la sua visita e mi indicava per stamane l'ora del suo arrivo a Castellammare. Fu tale la sorpresa e fu tale la gioia che io credetti di ammattire. Farneticavo come un ubbriaco di champagne, e per la baldoria che faceva il mio cervello… dimenticai perfino le orazioni della sera! Stanotte, poi, naturalmente, ho dormito con un occhio solo. Mi sono levato prima dell'alba, ho chiamato Barbarello per affidargli la pulizia della casa, e via, a rompicollo, per la strada di Pimonte.

Sebastiano

A piedi sei sceso?!

Don Fiorenzo

A piedi, s'intende. Se no, come avrei possedute le cinque lirette per tornare in carrozza col fratello americano? Per lo più, quando ho cinque lire in saccoccia, non ne ho mica dieci. Io non sono un grasso borghese come te! – Mio caro Giulio, ti presento nel signor Sebastiano Minucci il mio padrone di casa e anche un formidabile mio avversario, perchè egli è di professione ateo.

Sebastiano

(burbero) E me ne vanto! Non sono merlo, io, per certe panie!

Giulio

Stringiamoci la mano, signor Minucci. Noi c'intenderemo perfettamente.

Don Fiorenzo

E un altro mio avversario te lo presento nel nostro giovane e benemerito Dottor Finizio, scienziato all'ultima moda.

 
Giulio

Sono lieto, Dottore… (Stringe la mano anche a lui.)

Don Fiorenzo

(continuando) Ma, in fondo, è un avversario più accomodante, più remissivo… La scienza è un fanciullo terribile, che poi, quando si trova all'oscuro, si mette a piangere e chiede aiuto.

Il Dottor Finizio

A chi?

Don Fiorenzo

(con scherzosa modestia) Io non lo so.

Il Dottor Finizio

Sì sì: illudetevi, voi!

Don Fiorenzo

(indicando la piccola folla) E costoro, fratello mio, sono i miei creditori… i miei poverelli del sabato… (Scorgendo Annita, s'interrompe)… No… Veramente, non tutti. Quella signorina lì non è certo una poverella… E la vedo per la prima volta…

Annita

(timidissima) Son giunta appena ieri, quassù… Ci son venuta… perchè i medici mi hanno consigliata quest'aria…

Don Fiorenzo

(guardandola, ne è stranamente colpito, ma dissimula.) Ed io in che posso servirla, signorina?

Annita

(confondendosi) Desideravo… di conoscerla… e anche desideravo di parlarle. Ma forse ora…

Don Fiorenzo

Sì… difatti… L'arrivo di mio fratello…

Annita

Mi permetterà, spero, di ritornare…

Don Fiorenzo

La mia porta è sempre aperta.

Sebastiano

Eccetto quando si ha da forzarla a colpi di martello, come ho dovuto fare io pocanzi.

Don Fiorenzo

Hai dovuto forzarla a colpi di martello?! E non c'era il giovanotto per aprire?!

Sebastiano

Ma che! Si è atteggiato a cane guardiano, e, vedendoci entrare suo malgrado, voleva saltarci addosso. E come stringeva i pugni, lui! Come digrignava i denti!

Don Fiorenzo

(con l'austerità con cui si sgrida un bimbo per impressionarlo) Barbarello!.. Si fa questo?! Di': si fa questo?!

Barbarello

(è in fondo, col capo appoggiato al muro, imbambolato, quasi estraneo e indifferente, come se stesse solo. Ma, al rimprovero di Don Fiorenzo, si smuove súbito e fa un intimo sforzo per parlare:)… Tu!.. Tu!..

Don Fiorenzo

Che c'entro, io? Vuoi gettare la colpa sulle mie spalle?

Barbarello

… Tu hai detto…

Don Fiorenzo

Io t'ho detto di tener chiusa la porta. Questo è vero. Ma il signor Sebastiano è il mio migliore amico. Sta in casa mia come in casa sua. Non lo sai, forse? Non lo sai?

Barbarello

(ha un piccolo scoppio di pianto bambinesco con una smorfia di mascherone e poche lagrime.)

Don Fiorenzo

(affettuoso) Be', è niente, è niente. Non sciupare lagrime per questa bazzecola. Il signor Sebastiano ti assolve, e ti assolvo anch'io.

Barbarello

(desiste immediatamente dal piangere.)

Don Fiorenzo

(a Sebastiano) Cosa vuoi!.. Lui è più realista del re. Per eccesso di devozione, esagera bizzarramente ogni mio pensiero. (Tornando ad Annita con molta gentilezza e quasi congedandola) Dunque, signorina, io sono dispiacentissimo, ma…

Annita

Non si dia pena. Ritornerò un altro giorno…

Don Fiorenzo

Ecco.

Annita

(un po' incerta, imbarazzandosi) I miei rispetti, reverendo…

Don Fiorenzo

I miei rispetti, signorina.

Annita

(molto emozionata, accenna un inchino. Esce.)

Giulio

(la segue con uno sguardo di curiosità e d'ammirazione.)

Sebastiano

(badandole poco, accende un sigaro.)

Barbarello

(sguiscia sul pianerottolo, e via.)

Don Fiorenzo

(a Sebastiano, a Giulio, al Dottore, con ostentata disinvoltura, nascondendo una non lieve preoccupazione) Eh!.. Capirete… Aveva scelto male il momento, la signorina. (Poi, rivolgendosi alla piccola folla, gaiamente) E anche voialtri… che pretendete, oggi? Che aspettate da me? Oggi non pago! Non pago! Chiudo gli sportelli e me ne impipo. Non do consigli e non faccio carità. Prima caritas, e poi caritatis. Questo è un sabato in cui non ho nè tempo nè quattrini per voi! (Li scaccia seguendoli sino oltre l'uscio e agitando le braccia a guisa di due ventaglioni come si fa per avviare verso il pollaio le galline sparpagliate) Sciò!.. Sciò!… Fuori tutti!.. Fuori tutti!..

(I pezzenti, imbronciati ma rassegnati, si lasciano scacciare, uscendo insieme.)

Remigio

(arrancando in coda e fingendosi per la occasione più cionco che non sia) Ahi, le gambe!

Don Fiorenzo

Non ci badare alle gambe, papà Remigio! Un giorno o l'altro, le gambe saranno arnesi inutili. Non ti è stato detto che oramai gli uomini imparano a volare come gli uccelli?.. Sciò… Sciò… Sciò… Sciò…

(Adesso, tutti sono usciti.)