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Buch lesen: «Decameron», Seite 48

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NOVELLA SETTIMA

Talano d’Imole sogna che un lupo squarcia tutta la gola e ’l viso alla moglie; dicele che se ne guardi; ella nol fa, e avvienle.

Essendo la novella di Panfilo finita e l’avvedimento della donna commendato da tutti, la reina a Pampinea disse che dicesse la sua; la quale allora cominciò.

Altra volta, piacevoli donne, delle verità dimostrate da’ sogni, le quali molte scherniscono, s’è fra noi ragionato; e però, come che detto ne sia, non lascerò io che con una novelletta assai brieve io non vi narri quello che a una mia vicina, non è ancora guari, addivenne, per non crederne uno di lei dal marito veduto.

Io non so se voi vi conosceste Talano d’Imolese, uomo assai onorevole. Costui, avendo una giovane, chiamata Margherita, bella tra tutte l’altre per moglie presa, ma sopra ogni altra bizzarra, spiacevole e ritrosa, in tanto che a senno di niuna persona voleva fare alcuna cosa, né altri far la poteva a suo. Il che quantunque gravissimo fosse a comportare a Talano, non potendo altro fare, sel sofferiva.

Ora avvenne una notte, essendo Talano con questa sua Margherita in contado a una lor possessione, dormendo egli, gli parve in sogno vedere la donna sua andar per un bosco assai bello, il quale essi non guari lontano alla lor casa avevano; e mentre così andar la vedeva, gli parve che d’una parte del bosco uscisse un grande e fiero lupo, il quale prestamente s’avventava alla gola di costei e tiravala in terra e lei gridante aiuto si sforzava di tirar via; e poi di bocca uscitagli, tutta la gola e ’l viso pareva l’avesse guasto.

Il quale, la mattina appresso levatosi, disse alla moglie: «Donna, ancora che la tua ritrosia non abbia mai sofferto che io abbia potuto avere un buon dì con teco, pur sare’ io dolente quando mal t’avenisse; e per ciò, se tu crederai al mio consiglio, tu non uscirai oggi di casa»; e domandato da lei del perché, ordinatamente le contò il sogno suo.

La donna crollando il capo disse: «Chi mal ti vuol, mal ti sogna: tu ti fai molto di me pietoso ma tu sogni di me quello che tu vorresti vedere; e per certo io me ne guarderò, e oggi e sempre, di non farti né di questo né d’altro mio male mai allegro.»

Disse allora Talano: «Io sapeva bene che tu dovevi dir così, per ciò cotal grado ha chi tigna pettina; ma credi che ti piace: io per me il dico per bene, e ancora da capo te ne consiglio che tu oggi ti stea in casa o almeno ti guardi d’andare nel nostro bosco.»

La donna disse: «Bene, io il farò», e poi seco stessa cominciò a dire: «Hai veduto come costui maliziosamente si crede avermi messa paura d’andare oggi al bosco nostro? là dove egli per certo dee aver data posta a qualche cattiva, e non vuole che io il vi truovi. Oh! egli avrebbe buon manicar co’ ciechi, e io sarei bene sciocca se io nol conoscessi e se io il credessi! Ma per certo e’ non gli verrà fatto: e’ convien pur che io vegga, se io vi dovessi star tutto dì, che mercatantia debba esser questa che egli oggi far vuole.»

E come questo ebbe detto, uscito il marito d’una parte della casa, e ella uscì dall’altra; e come più nascosamente poté, senza alcun indugio se n’andò nel bosco e in quello, nella più folta parte che v’era, si nascose, stando attenta e guardando or qua or là se alcuna persona venir vedesse. E mentre in questa guisa stava senza alcun sospetto di lupo, e ecco vicino a lei uscir d’una macchia folta un lupo grande e terribile: né poté ella, poi che veduto l’ebbe, appena dire: «Domine, aiutami!» che il lupo le si fu avventato alla gola, e presala forte la cominciò a portar via come se stata fosse un piccolo agnelletto. Essa non poteva gridare, sì aveva la gola stretta, né in altra maniera aiutarsi; per che, portandosenela il lupo, senza fallo strangolata l’avrebbe, se in certi pastori non si fosse scontrato, li quali sgridandolo a lasciarla il costrinsero; e essa misera e cattiva, da’ pastori riconosciuta e a casa portatane, dopo lungo studio da’ medici fu guarita, ma non sì che tutta la gola e una parte del viso non avesse per sì fatta maniera guasta, che, dove prima era bella, non paresse poi sempre sozzissima e contrafatta. Laonde ella, vergognandosi d’apparire dove veduta fosse, assai volte miseramente pianse la sua ritrosia e il non avere, in quello che niente le costava, al vero sogno del marito voluta dar fede.

NOVELLA OTTAVA

Biondello fa una beffa a Ciacco d’un desinare, della quale Ciacco cautamente si vendica faccendo lui sconciamente battere.

Universalmente ciascuno della lieta compagnia disse quel che Talano veduto aveva dormendo non essere stato sogno ma visione, sì a punto, senza alcuna cosa mancarne, era avvenuto. Ma tacendo ciascuno, impose la reina alla Lauretta che seguitasse; la qual disse.

Come costoro, savissime donne, che oggi davanti da me hanno parlato, quasi tutti da alcuna cosa già detta mossi sono stati a ragionare, così me muove la rigida vendetta, ieri raccontata da Pampinea, che fé lo scolare, a dover dire d’una assai grave a colui che la sostenne, quantunque non fosse per ciò tanto fiera.

E per ciò dico che essendo in Firenze uno da tutti chiamato Ciacco, uomo ghiottissimo quanto alcuno altro fosse giammai, e non potendo la sua possibilità sostener le spese che la sua ghiottornia richiedea, essendo per altro assai costumato e tutto pieno di belli e di piacevoli motti, si diede a essere non del tutto uom di corte ma morditore e a usare con coloro che ricchi erano e di mangiar delle buone cose si dilettavano; e con questi a desinare e a cena, ancor che chiamato non fosse ogni volta, andava assai sovente. Era similmente in quei tempi in Firenze uno il quale era chiamato Biondello, piccoletto della persona, leggiadro molto e più pulito che una mosca, con sua cuffia in capo, con una zazzerina bionda e per punto senza un capel torto avervi, il quale quello medesimo mestiere usava che Ciacco.

Il quale essendo una mattina di quaresima andato là dove il pesce si vende e comperando due grossissime lamprede per messer Vieri de’ Cerchi, fu veduto da Ciacco; il quale avvicinatosi a Biondello disse: «Che vuol dir questo?»

A cui Biondel rispose: «Iersera ne furon mandate tre altre troppo più belle che queste non sono e uno storione a messer Corso Donati, le quali non bastandogli per voler dar mangiare a certi gentili uomini, m’ha fatte comperare quest’altre due: non vi verrai tu?»

Rispose Ciacco: «Ben sai che io vi verrò.»

E quando tempo gli parve, a casa messer Corso se ne andò e trovollo con alcuni suoi vicini che ancora non era andato a desinare; al quale egli, essendo da lui domandato che andasse faccendo, rispose: «Messere, io vengo a desinar con voi e con la vostra brigata.»

A cui messer Corso disse: «Tu sie ’l ben venuto: e per ciò che egli è tempo, andianne.»

Postisi adunque a tavola, primieramente ebbero del cece e della sorra, e appresso del pesce d’Arno fritto, senza più. Ciacco, accortosi dello ’nganno di Biondello e in sé non poco turbatosene, propose di dovernel pagare; né passar molti dì che egli in lui si scontrò, il qual già molti aveva fatti rider di questa beffa. Biondello, vedutolo, il salutò e ridendo il domandò chenti fossero state le lamprede di messer Corso; a cui Ciacco rispondendo disse: «Avanti che otto giorni passino tu il saprai molto meglio dir di me.»

E senza mettere indugio al fatto, partitosi da Biondello, con un saccente barattier si convenne del prezzo; e datogli un bottaccio di vetro il menò vicino della loggia de’ Cavicciuli e mostrogli in quella un cavaliere chiamato messer Filippo Argenti, uom grande e nerboruto e forte, sdegnoso, iracundo e bizzarro più che altro, e dissegli: «Tu te n’andrai a lui con questo fiasco in mano e dira’gli così: «Messere, a voi mi manda Biondello, e mandavi pregando che vi piaccia d’arubinargli questo fiasco del vostro buon vin vermiglio, ch’e’ si vuole alquanto sollazzar con suoi zanzeri»; e sta bene accorto che egli non ti ponesse le mani addosso, per ciò che egli ti darebbe il mal dì, e avresti guasti i fatti miei.»

Disse il barattiere: «Ho io a dire altro?»

Disse Ciacco: «No, va’ pure; e come tu hai questo detto, torna qui a me col fiasco, e io ti pagherò.»

Mossosi adunque il barattiere fece a messer Filippo l’ambasciata. Messer Filippo, udito costui, come colui che piccola levatura avea, avvisando che Biondello, il quale egli conosceva, si facesse beffe di lui, tutto tinto nel viso dicendo: «Che “arrubinatemi” e che «zanzeri’ son questi? che nel malanno metta Idio te e lui!» si levò in piè e distese il braccio per pigliar con la mano il barattiere; ma il barattiere, come colui che attento stava, fu presto e fuggì via e per altra parte ritornò a Ciacco, il quale ogni cosa veduta avea, e dissegli ciò che messer Filippo aveva detto.

Ciacco contento pagò il barattiere, e non riposò mai che egli ebbe ritrovato Biondello, al quale egli disse: «Fostù a questa pezza dalla loggia de’ Cavicciuli?»

Rispose Biondello: «Mai no; perché me ne domandi tu?»

Disse Ciacco: «Per ciò che io ti so dire che messer Filippo ti fa cercare, non so quel ch’è’ si vuole.»

Disse allora Biondello: «Bene, io vo verso là, io gli farò motto.»

Partitosi Biondello, Ciacco gli andò appresso per vedere come il fatto andasse. Messer Filippo, non avendo potuto giugnere il barattiere, era rimaso fieramente turbato e tutto in se medesimo si rodea, non potendo dalle parole dette dal barattiere cosa del mondo trarre altro, se non che Biondello, a instanzia di cui che sia, si facesse beffe di lui; e in questo che egli così si rodeva, e Biondel venne. Il quale come egli vide, fattoglisi incontro, gli diè nel viso un gran punzone.

«Oimè! messer,» disse Biondel «che è questo?»

Messer Filippo, presolo per li capelli e stracciatagli la cuffia in capo e gittato il cappuccio per terra e dandogli tuttavia forte, diceva: «Traditore, tu il vedrai bene ciò che questo è: che «arrubinatemi» e che «zanzari» mi mandi tu dicendo a me? paioti io fanciullo da dovere essere uccellato?»

E così dicendo con le pugna, le quali aveva che parevan di ferro, tutto il viso gli ruppe né gli lasciò in capo capello che ben gli volesse; e, convoltolo per lo fango, tutti i panni indosso gli stracciò; e sì a questo fatto si studiava, che pure una volta dalla prima innanzi non gli poté Biondello dire una parola né domandare perché questo gli facesse. Aveva egli bene inteso dello «arrubinatemi» e de’ «zanzeri», ma non sapeva che ciò si volesse dire. Alla fine, avendol messer Filippo ben battuto e essendogli molti dintorno, alla maggior fatica del mondo gliele trasser di mano così rabbuffato e malconcio com’era; e dissergli perché messer Filippo questo avea fatto, riprendendolo di ciò che mandato gli aveva dicendo, e dicendogli che egli doveva bene oggimai cognoscere messer Filippo e che egli non era uomo da motteggiar con lui. Biondello piagnendo si scusava e diceva che mai a messer Filippo non aveva mandato per vino; ma poi che un poco si fu rimesso in assetto, tristo e dolente se ne tornò a casa, avvisando questa essere stata opera di Ciacco.

E poi che dopo molti dì, partiti i lividori del viso, cominciò di casa a uscire, avvenne che Ciacco il trovò e ridendo il domandò: «Biondello, chente ti parve il vino di messer Filippo?»

Rispose Biondello: «Tali fosser parute a te le lamprede di messer Corso!»

Allora disse Ciacco: «A te sta oramai: qualora tu mi vuogli così ben dare da mangiare come facesti, io darò a te così ben da ber come avesti.»

Biondello, che conosceva che contro a Ciacco egli poteva più aver mala voglia che opera, pregò Idio della pace sua e da indi innanzi si guardò di mai più beffarlo.

NOVELLA NONA

Due giovani domandan consiglio a Salamone, l’uno come possa essere amato, l’altro come gastigare debba la moglie ritrosa: all’un risponde che ami e all’altro che vada al Ponte all’Oca.

Niuno altro che la reina, volendo il privilegio servare a Dioneo, restava a dover novellare; la qual, poi che le donne ebbero assai riso dello sventurato Biondello, lieta cominciò così a parlare.

Amabili donne, se con sana mente sarà riguardato l’ordine delle cose, assai leggermente si conoscerà tutta la universal moltitudine delle femine dalla natura e da’ costumi e dalle leggi essere agli uomini sottomessa e secondo la discrezione di quegli convenirsi reggere e governare, e però, a ciascuna che quiete, consolazione e riposo vuole con quegli uomini avere a’ quali s’appartiene, dee essere umile, paziente e ubidente oltre all’essere onesta, il che è sommo e spezial tesoro di ciascuna savia. E quando a questo le leggi, le quali il ben comune riguardano in tutte le cose, non ci ammaestrassono, e l’usanza, o costume che vogliamo dire, le cui forze son grandissime e reverende, la natura assai apertamente cel mostra, la quale ci ha fatte ne’ corpi dilicate e morbide, negli animi timide e paurose, nelle menti benigne e pietose, e hacci date le corporali forze leggieri, le voci piacevoli e i movimenti de’ membri soavi: cose tutte testificanti noi avere dell’altrui governo bisogno. E chi ha bisogno d’essere aiutato e governato, ogni ragion vuol lui dovere essere obediente e subgetto e reverente al governator suo: e cui abbiam noi governatori e aiutatori se non gli uomini? Dunque agli uomini dobbiamo, sommamente onorandogli, soggiacere; e qual da questo si parte, estimo che degnissima sia non solamente di riprension grave ma d’aspro gastigamento. E a così fatta considerazione, come che altra volta avuta l’abbia, pur poco fa mi ricondusse ciò che Pampinea della ritrosa moglie di Talano raccontò, alla quale Idio quello gastigamento mandò che il marito dare non aveva saputo; e per ciò nel mio giudicio cape tutte quelle esser degne, come già dissi, di rigido e aspro gastigamento che dall’esser piacevoli, benivole e pieghevoli, come la natura, l’usanza e le leggi voglion, si partono. Per che m’agrada di raccontarvi un consiglio renduto da Salomone, sì come utile medicina a guerire quelle che così son fatte da cotal male; il quale niuna che di tal medicina degna non sia reputi ciò esser detto per lei, come che gli uomini un cotal proverbio usino: «Buon cavallo e mal cavallo vuole sprone, e buona femina e mala femina vuol bastone». Le quali parole chi volesse sollazzevolemente interpretare, di leggier si concederebbe da tutte così esser vero; ma pur vogliendole moralmente intendere, dico che è da concedere. Son naturalmente le femine tutte labili e inchinevoli, e per ciò a correggere la iniquità di quelle che troppo fuori de’ termini posti loro si lasciano andare si conviene il baston che le punisca; e a sostentar la vertù dell’altre, ché trascorrer non si lascino, si conviene il bastone che le sostenga e che le spaventi. Ma lasciando ora stare il predicare, a quel venendo che di dire ho nell’animo, dico che essendo già quasi per tutto il mondo l’altissima fama del miracoloso senno di Salamone discorsa per l’universo e il suo esser di quello liberalissimo mostratore a chiunque per esperienza ne voleva certezza, molti di diverse parti del mondo a lui per loro strettissimi e ardui bisogni concorrevano per consiglio; e tra gli altri che a ciò andavano, si partì un giovane, il cui nome fu Melisso, nobile e ricco molto, della città di Laiazzo, là onde egli era e dove egli abitava. E verso Jerusalem cavalcando, avvenne che uscendo d’Antiocia con un altro giovane chiamato Giosefo, il qual quel medesimo cammin teneva che faceva esso, cavalcò per alquanto spazio; e, come costume è de’ camminanti, con lui cominciò a entrare in ragionamenti. Avendo Melisso già da Giosefo di sua condizione e donde fosse saputo, dove egli andasse e perché il domandò; al quale Giosefo disse che a Salamone andava per aver consiglio da lui che via tener dovesse con una sua moglie più che altra femina ritrosa e perversa, la quale egli né con prieghi né con lusinghe né in alcuna altra guisa dalle sue ritrosie ritrar poteva; e appresso lui similmente donde fosse e dove andasse e perché domandò.

Al quale Melisso rispose: «Io son di Laiazzo, e sì come tu hai una disgrazia, così n’ho io un’altra; io son ricco giovane e spendo il mio in metter tavola e onorare i miei cittadini, e è nuova e strana cosa a pensare che per tutto questo io non posso trovare uomo che ben mi voglia; e per ciò io vado dove tu vai, per aver consiglio come addivenir possa che io amato sia.»

Camminarono adunque i due compagni insieme, e in Jerusalem pervenuti, per introdotto d’un de’ baroni di Salomone, davanti da lui furon messi; al quale brievemente Melisso disse la sua bisogna; a cui Salamone rispose: «Ama.»

E detto questo, prestamente Melisso fu messo fuori, e Giosefo disse quello per che v’era; al quale Salamone nulla altro rispose se non: «Va al Ponte all’Oca»; il che detto, similmente Giosefo fu senza indugio dalla presenza del re levato, e ritrovò Melisso il quale l’aspettava e dissegli ciò che per risposta aveva avuto.

Li quali, a queste parole pensando e non potendo d’esse comprendere né intendimento né frutto alcuno per la loro bisogna, quasi scornati a ritornarsi indietro entrarono in cammino. E poi che alquante giornate camminati furono, pervennero a un fiume sopra il quale era un bel ponte; e per ciò che una gran carovana di some sopra muli e sopra cavalli passavano, gli convenne sofferir di passar tanto che quelle passate fossero. E essendo già quasi che tutte passate, per ventura v’ebbe un mulo il quale adombrò, sì come sovente gli veggiam fare, né volea per alcuna maniera avanti passare: per la qual cosa un mulattiere, presa una stecca, prima assai temperatamente lo ’ncominciò a battere perché ’l passasse. Ma il mulo, ora da questa parte della via e ora da quella attraversandosi e talvolta indietro tornando, per niun partito passar volea: per la qual cosa il mulattiere oltre modo adirato gl’incominciò con la stecca a dare i maggior colpi del mondo, ora nella testa e ora ne’ fianchi e ora sopra la groppa; ma tutto era nulla.

Per che Melisso e Giosefo, li quali questa cosa stavano a vedere, sovente dicevano al mulattiere: «Deh, cattivo, che farai? vuoil tu uccidere? perché non t’ingegni tu di menarlo bene e pianamente? Egli verrà più tosto che a bastonarlo come tu fai.»

A’ quali il mulattier rispose: «Voi conoscete i vostri cavalli, e io conosco il mio mulo: lasciate far me con lui»; e questo detto rincominciò a bastonarlo, e tante d’una parte e d’altra ne gli diè, che il mulo passò avanti, sì che il mulattiere vinse la pruova.

Essendo adunque i due giovani per partirsi, domandò Giosefo un buono uomo, il quale a capo del ponte sedeva, come quivi si chiamasse; al quale il buono uomo rispose: «Messer, qui si chiama il Ponte all’Oca.»

Il che come Giosefo ebbe udito, così si ricordò delle parole di Salamone e disse verso Melisso: «Or ti dico io, compagno, che il consiglio datomi da Salamone potrebbe esser buono e vero, per ciò che assai manifestamente conosco che io non sapeva battere la donna mia: ma questo mulattiere m’ha mostrato quello che io abbia a fare.»

Quindi, dopo alquanti dì divenuti a Antiocia, ritenne Giosefo Melisso seco a riposarsi alcun dì; e essendo assai ferialmente dalla donna ricevuto, le disse che così facesse far da cena come Melisso divisasse; il quale, poi vide che a Giosefo piaceva, in poche parole se ne dilivrò. La donna, sì come per lo passato era usata, non come Melisso divisato avea, ma quasi tutto il contrario fece.

Il che Giosefo vedendo, turbato disse: «Non ti fu egli detto in che maniera tu facessi questa cena fare?»

La donna, rivoltasi con orgoglio, disse: «Ora che vuol dir questo? deh! ché non ceni, se tu vuoi cenare? Se mi fu detto altramenti, a me parve da far così; se ti piace, sì ti piaccia; se non, sì te ne sta.»

Maravigliossi Melisso della risposta della donna e biasimolla assai: Giosefo, udendo questo, disse: «Donna, ancor se’ tu quel che tu suogli, ma credimi che io ti farò mutar modo»; e a Melisso rivolto disse: «Amico, tosto vedremo chente sia stato il consiglio di Salamone; ma io ti priego non ti sia grave lo stare a vedere e di reputare per un giuco quello che io farò. E acciò che tu non m’impedischi, ricorditi della risposta che ci fece il mulattiere quando del suo mulo c’increbbe.»

Al quale Melisso disse: «Io sono in casa tua, dove dal tuo piacere io non intendo di mutarmi.»

Giosefo, trovato un baston tondo d’un querciuolo giovane, se n’andò in camera, dove la donna, per istizza da tavola levatasi, brontolando se n’era andata; e presala per le trecce, la si gittò a’ piedi e cominciolla fieramente a battere con questo bastone. La donna cominciò prima a gridare e poi a minacciare; ma veggendo che per tutto ciò Giosefo non ristava, già tutta rotta cominciò a chieder mercé per Dio che egli non l’uccidesse, dicendo oltre a ciò di mai dal suo piacer non partirsi. Giosefo per tutto questo non rifinava, anzi con più furia l’una volta che l’altra, or per lo costato, ora per l’anche e ora su per le spalle battendola forte, l’andava le costure ritrovando, né prima ristette che egli fu stanco: e in brieve niuno osso né alcuna parte rimase nel dosso della buona donna, che macerata non fosse. E questo fatto, ne venne a Melisso e dissegli: «Doman vedrem che pruova avrà fatto il consiglio del «Va al Ponte all’Oca»; e riposatosi alquanto e poi lavatesi le mani, con Melisso cenò, e quando fu tempo s’andarono a diposare.

La donna cattivella a gran fatica si levò di terra e in su il letto si gittò, dove, come poté il meglio, riposatasi, la mattina vegnente per tempissimo levatasi fé domandar Giosefo quello che voleva si facesse da desinare. Egli, di ciò insieme ridendosi con Melisso, il divisò; e poi, quando fu ora, tornati, ottimamente ogni cosa e secondo l’ordine dato trovaron fatta: per la qual cosa il consiglio prima da lor male inteso sommamente lodarono.

E dopo alquanti dì partitosi Melisso da Giosefo e tornato a casa sua, a alcun, che savio uomo era, disse ciò che da Salamone avuto avea; il quale gli disse: «Niuno più vero consiglio né migliore ti potea dare. Tu sai che tu non ami persona, e gli onori e’ servigi li quali tu fai, gli fai non per amore che tu a alcun porti ma per pompa. Ama adunque, come Salamon ti disse, e sarai amato.»

Così adunque fu gastigata la ritrosa, e il giovane amando fu amato.

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12+
Veröffentlichungsdatum auf Litres:
30 August 2016
Umfang:
950 S. 1 Illustration
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