Buch lesen: «Le Cacciatrici Di Mostri», Seite 2

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Avevo estratto la mia arma mentre indietreggiavo, poi avevo fatto fuoco, ma ero riuscita soltanto a sparare tre colpi prima che lui fosse su di me e mi strappasse via l’arma, allontanandola.

Tre colpi non letali. Avevo bisogno di un’arma da fuoco fottutamente più grossa.

Avevo intrappolato vicino al suo corpo la mano con il coltello, ma potevo soltanto evitare per un po’ l’altra mano con l’artiglio e le zanne. Aveva un vantaggio su di me, di stazza e di forza.

Stavamo facendo una danza, lui usando i denti, gli artigli e il coltello, mentre io evitavo tutti e tre e puntavo alle sue ferite, quando avevo sentito la voce di Barrett che aveva gridato, “Mark!”

Con la bestia distratta per una frazione di secondo, ero riuscita a dargli un robusto colpo su una ferita gocciolante sul torso.

Poi se n’era andato.

Più interessato a fare a pezzi l’uomo che aveva cercato di aiutarlo che preoccupato di una come me.

Con un occhio al confronto in corso soltanto a pochi metri da me, ero scattata verso l’auto per prendere l’arma di riserva.

Ero riuscita a malapena a sbloccare la portiera quando lo avevo sentito. Il caratteristico suono scricchiolante di un collo spezzato.

La vista e l’udito non erano d’accordo. Le prove fornite dai miei occhi e dalle mie orecchie erano in diretto conflitto l’una con l’altra.

I miei occhi avevano visto il corpo umano intero di Barrett ancora in piedi. I suoi vestiti erano ancora intatti, e lui non sembrava ferito.

E i miei occhi avevano visto il corpo floscio di Jared cadere a terra. Poiché era ritornato in forma umana, sapevo che era morto.

Ma le mie orecchie avevano sentito il caratteristico suono scricchiolante di un osso che si spezzava. Un collo che si spezzava. Nient’altro avrebbe spiegato sia il suono sia il risultato finale della morte di Mark Jared.

Ma quei pezzi di prova non si incastravano tra loro. Un maschio umano non poteva spezzare il collo pesantemente muscoloso di un licantropo in forma bestiale.

La logica diceva che non era possibile.

A meno che… Barrett non fosse umano.

Sembrava umano, perché non aveva mai cambiato forma.

La sua bestia restava nella gabbia.

Lui era in piedi davanti a me – letteralmente, proprio di fronte a me – come un uomo. La sua fottuta camicia non era nemmeno sgualcita.

Porca merda. Avevo appena visto un licantropo imbrigliare la forza della bestia sotto forma di uomo.

Figlio di puttana. Quello era eccitante.

Maledizione. Non potevo essere attratta da un mostro.

Dopo un rapido controllo del mio corpo – capezzoli turgidi, battito accelerato, mutandine bagnate – sì, ero decisamente attratta… il che significava che quest’uomo non era un mostro.

“Stai bene?” aveva domandato Barrett. I suoi occhi nocciola scaldavano.

Avevo annuito.

“Eccellente. Devo occuparmi di un corpo morto. Dammi un secondo.”

Certo, che sarà mai? Capita che ci siano corpi morti. Fa parte del lavoro di un cacciatore di mostri.

E proprio in quel momento mi ero sentita un po’ strana. Probabilmente a causa del mio sangue che scorreva verso sud.

“Garage,” avevo detto alla sua schiena che si allontanava.

Anche con un afflusso limitato di sangue al cervello, sapevo cosa fare con i corpi.

Avevo mandato un messaggio a Eric con una richiesta di pulizia. Avevo incluso il luogo in cui si trovava il corpo e anche le circostanze, cosicché lui potesse far sì che la squadra di pulizia si assicurasse che non ci fossero testimoni che ci avessero visti lottare sul prato – e uccidere un tizio.

Oppure, come la storia sarebbe girata, provare una scena di un film horror. Era quasi scioccante sapere a cosa poteva credere la gente applicando un po’ di magica persuasione.

Portato a termine quel compito, avevo marciato fino alla porta e mi ero auto-invitata ad entrare.

C’era un’altra cosa che dovevo fare prima di potermene andare.

Meno di un minuto dopo, era entrato Barrett.

Sesso con Barrett Miller. Quella era la cosa che dovevo fare.

Rapido, sporco e fottutamente subito.

“Allora, hai intenzione di scoparmi o cosa?” Perché ero più che pronta. Vederlo restare freddo sotto pressione? Così fottutamente eccitante. Vederlo controllare la bestia? Ancora più eccitante.

Mi aveva lanciato un’occhiataccia, il petto gli si sollevava.

Uh-huh, e tutta quella calma che aveva prima? Andata.

Quest’uomo. Così. Fottutamente. Eccitante.

Gli avevo rivolto la schiena e messo le mani sulla porta. Avevo girato la testa per accertarmi che avesse capito, poi avevo inarcato la schiena.

Il suo sguardo era scivolato sul mio culo, poi lui si era messo dietro di me. Mi aveva sbottonato i pantaloni, li aveva tirati giù, mi aveva spinto le gambe allargandole di più e mi aveva tirato indietro i fianchi.

Il fruscio di un preservativo, poi il distinto suono di una cerniera ed eccolo lì. Grosso e duro, che premeva alla mia entrata.

Il rombo della sua voce era partito dal petto e aveva viaggiato con il solletico del suo respiro contro il mio orecchio. “Lo vuoi?”

Lo scorrere dell’adrenalina per via del combattimento, guardarlo prendere il controllo, guardarlo gestire quel coglione bestiale che aveva cercato di farmi il culo, mi aveva resa così pronta, così bagnata.

La mia passera si era contratta per il bisogno dolorante. “Cazzo, sì.”

Con un ringhio, aveva infilato il suo uccello dentro di me.

Avevo deglutito l’urlo che mi saliva alle labbra e avevo spinto all’indietro i fianchi. Lo volevo. Volevo tutto di lui. Proprio. Fottutamente. Adesso.

Infilato dentro di me, si era fermato. Non perché fosse paziente. Sapevo che non stava aspettando che mi adattassi al suo grosso cazzo. No, mi stava stuzzicando, tormentando. Negandomi la scopata selvaggia di cui avevo così disperatamente bisogno.

Avevo contratto i miei muscoli interni e lo avevo spremuto. Cazzo, stavo quasi per venire anch’io.

Mi aveva mordicchiato un lobo dell’orecchio, un mite rimprovero e un promemoria per dirmi che aveva lui il controllo – o così pensava – e poi mi aveva stretto ancora più forte i fianchi. Io avevo ansimato per l’anticipazione, il mio cuore si era messo a battere più in fretta e mi ero tenuta stretta al muro. “Ti prego,” avevo sussurrato.

In quel momento lui aveva cominciato a muoversi.

Mi lavorava dapprima con spinte profonde, uniformi, mentre io urlavo con desiderio e rabbia frustrati.

Farmi implorare? Cazzo, sì, ero arrabbiata.

Ma non potevo impedire a me stessa di implorarlo per averne ancora.

E mentre il secondo “ti prego” mi veniva strappato dalle labbra, lui finalmente si era lasciato andare.

Mi sbatteva la passera. Nel miglior. Modo. Possibile.

Quand’ero venuta, ero un miagolante disastro incoerente. Volevo ucciderlo per avermi fatto sentire così.

Ma poi il suo uccello era diventato impossibilmente più duro dentro di me, e lui grugniva con soddisfazione mentre pompava una, due, tre volte – e io decidevo che avrei potuto perdonarlo.

Si era scoperto che Barrett scopava per lo più come un umano, ma con appena un tocco – il più piccolo, il più sexy, tocco – di selvaggio.

Mentre appoggiavo gli avambracci contro il muro, ansimando per lo sforzo, piena dell’uccello di un mostro che non era affatto un mostro – non più di me, comunque – avevo deciso che avrei potuto essere aperta ad altro di questo.

Altro di lui nella mia vita.

Altro di noi che combattevamo insieme.

Sicuramente altro di noi che scopavamo.

Semplicemente… altro.

Avrei potuto innamorarmi di questo tizio con il suo grosso cazzo, del suo complesso da buon samaritano e delle sue più che abili capacità di combattimento.

Già, avrei davvero potuto.


Grazie per avere letto “Un Tocco di Selvaggio”! Mariah Van Helsing compare anche in “Dare the Devilish Vampire”, la storia di Maddie Van Helsing.

Girate pagina per leggere la storia di Mia Van Helsing…

Un Tocco di Follia

Introduzione a Un Tocco di Follia

Una piccante avventura delle sorelle Van Helsing, con protagonista Mariah Van Helsing.

Non sono pazza; sono le mie sorelle che mi definiscono così.

Mi piace molto uccidere i mostri.

A tutte le sorelle Van Helsing piace.

Ho un talento per seguire le tracce delle creature che danno la caccia agli umani.

È la vocazione della mia famiglia.

Quindi, una sera ho seguito le tracce di un umano sexy.

Già… quello non è previsto che lo facciamo.

Ma è una cosa maledettamente buona che ho fatto, perché non ero l’unica che seguiva quell’appetitosa delizia che era Dylan Danes.

Avvertimento dell’autrice: questo libro contiene bravate osé e sexy, abbastanza parolacce da far arrossire qualcuno (non me), una cacciatrice di mostri che ha una lieve cotta per un tizio… o forse una tiepida, ma assolutamente non da stalker, ossessione, e un uomo sexy con chiappe d’acciaio e un adorabile complesso da cavaliere bianco.

Un Tocco di Follia

Avevo una cotta per un tizio.

Anche se, si può parlare di cotta a più di venticinque anni?

D’accordo, più di trenta.

Quello-che-cazzo-è. L’età è soltanto un numero, giusto?

In mia difesa, potrei sicuramente passare per una ventiquattrenne. Forse le ventenni hanno le cotte.

La domanda rimane: i sentimenti di una donna adulta possono ancora essere considerati come una cotta?

Quello che stavo sperimentando era più una forte simpatia con un pizzico di “cazzo, sì, sei eccitante, mi ti farei.”

Quindi… pensieri lussuriosi?

Nella mia testa suonava meglio di “cotta”.

C’era anche la questione della mia occupazione. Io davo la caccia e uccidevo mostri per guadagnarmi da vivere. Assassina di creature diaboliche, ecco chi ero. Se si fosse saputo che avevo una “cotta” per un “ragazzo”, nessun mostro mi avrebbe rispettata.

Quello avrebbe reso il mio lavoro da tre a sette volte più difficile, a seconda del mostro.

Quindi, niente cotte. Avevo una reputazione da mantenere.

Il mio attuale attacco di simpatia lussuriosa aveva portato a una decisione istintiva che entro breve avrei potuto rimpiangere. Poiché davo la caccia alle creature per guadagnarmi da vivere, seguire le persone sembrava una cosa normale da fare.

Molto normale.

Comunque. Che fosse normale oppure no, probabilmente una sera avrei seguito la mia bomba sexy fino a casa.

Però non probabilmente, sicuramente.

E non una sera, questa sera.

No, non lo stavo “stalkerando”. Ero preoccupata per la sua sicurezza.

Quello non aveva niente a che vedere con la bionda zoccola pettoruta che lui aveva adocchiato prima, in palestra.

Quello era stato un interessante triangolo di attrazione. Io avevo adocchiato lui, lui aveva adocchiato lei e se non mi ero sbagliata, era possibile che lei avesse adocchiato tutti e due.

A ciascuno il suo, purché il suo non fosse Dylan, perché Dylan era completamente mio, e io non condividevo.

Ma sembrava che la bionda pettoruta avesse in programma altre attività per la serata, perché eravamo rimasti solo io e Dylan.

Certo, Dylan e io avevamo avuto soltanto brevi interazioni nel corso delle ultime cinque o sei settimane, consistenti principalmente in saluti, commenti sul tempo e una conversazione superficiale sull’hockey a Austin. Non aveva importanza. Lui era ancora mio.

Così, quando lei era uscita dalla palestra quella sera, e lui se n’era andato subito dopo, mi ero assunta la responsabilità della sicurezza di Dylan mentre lui si dirigeva alla sua auto.

La fioca luce di dicembre stava svanendo in fretta, e c’erano dei mostri che vagavano per le strade buie di Austin, Texas.

Quando mi ero resa conto che lui non stava seguendo la bionda – non che pensassi che lo stesse facendo – mi ero diretta alla mia auto.

Ma poi Dylan si era messo una giacca leggera, coprendo quelle sue stupende tette (quelle che sembravano accarezzargli i bicipiti gonfi). Si era preso un momento per togliersi uno dei suoi Airpod e lo aveva messo nella tasca della giacca, poi aveva iniziato a correre.

Sembrava che avesse intenzione di tornare a casa facendo jogging, la qual cosa suggeriva alcuni pensieri.

Primo, gnam, quell’uomo era in forma. Si era appena allenato per quarantacinque minuti e quello dopo i quindici minuti della corsetta di riscaldamento. La nostra palestra si trovava lontano, su South Congress, e casa sua distava almeno otto chilometri.

Non che conoscessi l’indirizzo esatto di Dylan… soltanto il quartiere in cui abitava. Il che non era affatto strano. Sono sicura che, alla fine, sarebbe venuto fuori chiacchierando.

Secondo, l’oscurità stava calando rapidamente, e i mostri amavano il buio. Era semplicemente buon senso e amore generico per il mio prossimo che mi aveva spinto a seguirlo. Diversamente, come avrei potuto verificare che non fosse pedinato da una creatura efferata… o dalla tettona bionda alta 1,75 o altro?

E un po’ di jogging mi sarebbe servito. Come Dylan, ero in forma. Raramente contavo soltanto sul vantaggio genetico del mio lignaggio non-proprio-umano.

Le Van Helsing avevano qualcosina di extra nel loro sangue. Qualcosa che ci dava maggiore velocità, forza ed energia, oltre a un’acuta vista notturna e ad alcuni altri utili vantaggi, però dovevamo anche allenarci e restare in forma. Eravamo principalmente umane.

E quale che fosse il nostro corredo genetico, di sicuro non eravamo mostri. I mostri davano la caccia alle persone, e il clan Van Helsing difendeva l’umanità. Sostanzialmente.

Cazzo, quell’uomo aveva un bel culo. Lo avevo visto fare abbastanza piegamenti e balzi da farmi piangere di desiderio, ma guardare quelle chiappe tonde in movimento mentre Dylan correva giù per la strada… Gnam.

Mi sarei goduta la scena in questa gita nella periferia di South Austin.

Poiché il sole se n’era andato da tempo, la mia vista si era regolata per adattarsi all’oscurità calante. Un effetto collaterale di quella particolare anomalia genetica era un’ipersensibilità alle tracce di certe creature mostruose, e – piccolo problema – avevo appena individuato un luccichio familiare tra le ombre.

Dylan era pedinato.

Non dalla bionda. Quella zoccola era umana.

No, il pedinatore di Dylan era un fottutamente vero, come è vero Dio, mostro.

Nulla di troppo cattivo. Classe C, un essere strisciante nell’ombra. Non certo la creatura più spaventosa che andasse in giro di notte cercando prede tra gli umani, ma niente che un tizio disarmato che faceva jogging dalla palestra a casa non potesse affrontare.

Un tizio disarmato che faceva jogging dalla palestra a casa, completamente ignaro dell’esistenza dei mostri.

Sarebbe stato divertente.

Sul serio. Era così che mi divertivo. Mi piaceva un bel confronto con una creatura malevola. Avere un’arma non sarebbe stata una brutta idea in quest’occasione, specialmente qualcosa con una lama affilata oppure, meglio ancora, qualcosa che lanciasse fiamme. Gli striscianti non potevano tollerare il fuoco.

Ma la mia attrezzatura era in auto, che era parcheggiata davanti alla palestra. Qualcuno stava pensando con le sue parti femminili.

Per me era un po’ un cambiamento.

In realtà, non riuscivo a ricordare l’ultima volta che ero stata colta alla sprovvista, men che meno come risultato di una certa preoccupazione per un attraente pezzo d’uomo.

C’est la vie.

Dare la caccia ai cattivi era un lavoro che durava ventiquattr’ore, sette giorni su sette, e se non fossi stata in grado di gestire una bestiola senza preparazione e l’attrezzatura adeguata, mi sarei ritirata molto tempo fa. A dire il vero, sarei morta molto tempo fa.

Avevo accelerato un po’ il passo e avevo chiamato, “Dylan.”

Lui aveva rallentato la corsa facendola diventare una camminata e poi si era fermato, guardandosi alle spalle. “Mia? Sei tu?”

Aw, Dylan ricordava il mio nome. Era ora di scarabocchiare cuori e aspettarsi fiori.

Beh, non proprio.

Avevamo parlato quattro volte, di più se contavo un cenno della testa come saluto, ed ero eccitata. Cazzo se era meglio che ricordasse il mio nome.

Avevo lanciato un’occhiata malevola all’essere strisciante accucciato nell’ombra mentre lo superavo. Un duro sguardo fisso e una bella, lunga occhiata a chi avrebbe affrontato avrebbero dovuto spaventare la cosa fino a farla tornare in qualsiasi buco dal quale fosse uscita.

Se conosceva la mia reputazione.

Se mi aveva riconosciuta.

Era un po’ difficile non riconoscere la Van Helsing con i caratteristici capelli viola e gli occhi da killer pazza. Quella degli occhi era una citazione. Mia sorella Mariah aveva detto che avevo gli occhi da pazza, e mia sorella Tilly aveva detto che avevo gli occhi da killer, come il resto delle sorelle Van Helsing.

Avevo ascoltato per sentire il suono della creatura che si allontanava strisciando, ma lui restava testardamente presente.

Non doveva avere familiarità con la mia reputazione.

Strano. Io curavo la mia reputazione con le storie più sanguinose e le immagini più raccapriccianti. Non mi piaceva la tortura, ma le immagini cruente tornavano utili, per cui non disdegnavo allestire una scena per avere il massimo effetto. Quella merda girava sul dark web più dark che ci fosse, dove le creature si nascondevano e facevano le loro ricerche.

Poiché lo strisciante nell’ombra aveva un desiderio di morte, sembrava che dovessi combattere per il mio uomo.

Quando avevo raggiunto Dylan, avevo agganciato il mio braccio al suo. Considerati reclamato, Dylan Danes.

Avevo girato entrambi, in modo da tenere d’occhio lo strisciante nell’ombra dietro di noi, poi mi ero allontanata in modo da avere le mani libere. “Così, fai jogging fino a casa, eh?”

“Già. Solo una volta a settimana. È la mia lunga corsa. Circa undici chilometri.” Il suo sguardo era tiepidamente divertito quando aveva aggiunto, “E tu? Che ci fai da queste parti?”

Beccata. Ma d’altronde, non ero stata esattamente discreta nelle ultime settimane quando lo sbirciavo.

Poiché ero il genere di donna da zero stronzate, avevo detto, “Ti stavo seguendo. Ero preoccupata quando ti ho visto andare via a piedi.”

Aveva inarcato le sopracciglia. “Ah, sì, corro su questo percorso ogni settimana da circa cinque settimane, ormai. Nessun problema. Questa parte di South Austin non è esattamente ad alto tasso di crimini.”

Come se lui sapesse che era così. La violenza delle creature non rientrava nelle statistiche del crimine a Austin, perché “i mostri non erano reali”.

Se Dylan faceva quella strada da cinque settimane, quello era un periodo di tempo abbondante, sufficientemente lungo da avere permesso allo strisciante di imparare lo schema.

Dire che Dylan Danes era un bocconcino prelibato – e non solo per una cacciatrice di mostri arrapata come me, ma anche per i mostri – era una minimizzazione. Di sicuro, valeva cinque settimane di pedinamento per trovare il momento opportuno per fare il balzo.

Dylan era indubbiamente alto 1,95, aveva le spalle di un nuotatore, le gambe di un podista e la definizione muscolare di un uomo che aveva regolari abitudini ginniche.

E quelli erano soltanto gli attributi fisici. L’uomo trasudava vitalità. Gli striscianti nell’ombra di Classe C si cibavano di quella roba. Letteralmente. In realtà, vivevano della vitalità rubata a uomini come Dylan.

Era buio, ed eravamo in una tranquilla via laterale. Guardandomi intorno, avevo trovato zero testimoni di qualunque possibile crimine stesse per essere commesso.

E per quanto uno strisciante fosse paziente, sicuramente avrebbe dovuto trovare il coraggio, ora, per commettere un crimine in qualsiasi momento.

“Stesso giorno della settimana ogni volta?” avevo domandato mentre scrutavo nell’ombra alla ricerca del luccichio rivelatore degli occhi della creatura.

“Sì. È l’unica sera della settimana che non faccio volontariato al banco alimentare o alleno la squadra di calcio di mio nipote.” Aveva seguito il mio sguardo, e avevo visto il momento in cui aveva registrato una traccia di qualcos’altro nell’oscurità.

Gli umani, a livello subconscio, riconoscevano i mostri come un terrore senza nome che stava in agguato nella notte.

Molti non avevano la più pallida idea di cosa si nascondesse tra le ombre.

Cominciava come una sensazione generica di disagio, poi per molti cresceva in un’inspiegabile sensazione di essere voracemente osservati, e per Dylan non era diverso.

Avevo fatto un passo in avanti e leggermente di fronte a Dylan, il buon samaritano, il quale a sua volta si era spostato per riposizionarsi tra me e, beh, lui non sapeva cosa.

Ma io sapevo esattamente cosa c’era nell’ombra, e lui non era semplicemente adorabile pensando di riuscire a proteggermi?

Io ero alta 1,58 se mentivo e aggiungevo un paio di centimetri, e quello faceva sì che le persone (gli uomini) mi sottovalutassero.

Non le creature. Loro non mi sottovalutavano.

Molti mostri riconoscevano un predatore quando ne vedevano uno, anche se in realtà non riconoscevano me.

Ecco spiegato perché era problematico che questa creatura, nello specifico, non avesse fatto marcia indietro quando avevo stabilito il contatto visivo. Sebbene Dylan avesse potuto provare una generica sensazione che là fuori ci fosse qualcosa, ero io quella che aveva individuato e incrociato gli occhi con la cosa.

Un po’ di contesto. Io non uccidevo tutti i mostri. Ce n’erano troppi, e chi aveva il tempo? E poi, alcuni erano innocui. Non benevoli, ma non cercavano di succhiarti il sangue, il grasso, l’anima o l’energia sessuale. Non ce n’erano tanti della presunta varietà inoffensiva, perché, cazzo, i mostri erano mostri per una ragione. Davano la caccia alle persone.

Ma ripeto, non potevo ucciderli tutti – troppi mostri, troppo poco tempo – per cui avevo delle regole.

Uccidevo quelli per cui ero pagata per ucciderli.

Uccidevo quelli che mi facevano incazzare.

E uccidevo i coglioni che mi mancavano di rispetto.

Questo pezzo di merda che stava nell’ombra aveva appena messo la crocetta sull’ultima casella, perché avevamo stabilito il contatto visivo e lui non si allontanava.

“Mio,” aveva detto la creatura.

Sul serio?

“Uh, no.” Pure pronto a morire, coglione.

“Che diavolo era, quello?” aveva domandato Dylan, cercando di nuovo di mettersi davanti a me.

Troppo adorabilmente carino, con tutta quella sua idiozia da cavaliere bianco ed eroismo da dilettante. L’avrei quasi scopato seduta stante.

Peccato che fossi impegnata.

“Uno strisciante nell’ombra di Classe C, sicuramente in giro per succhiarti tutti i tuoi fluidi sessuali, stasera,” avevo detto mentre lo spingevo di lato.

Hmm. Mi era uscito in maniera leggermente diversa da come intendevo.

E da quando gli striscianti nell’ombra cominciano annunciando la loro presenza alle loro vittime?

Era abbastanza strano al punto che avevo sentito il bisogno di chiedergli: “Ma che cazzo, amico? Desideri morire?”

Quella cosa era realmente stupida, perché aveva detto, di nuovo, con la sua voce roca e profonda, “Mio.”

Avevo allungato un braccio dietro di me, avevo messo una mano sul petto di Dylan e gli avevo dato qualche pacca. “Starai bene.”

“Hai intenzione di proteggermi?” aveva domandato. Quasi sicuramente c’era una traccia di umorismo nella sua voce.

“Cazzo, sì, ho intenzione. Uccido queste cose per divertirmi in un noioso mercoledì sera.”

In quel momento si era messo a ridere.

Non rideva di me, ma per l’idea di affrontare il terrore che si nascondeva negli angoli bui della notte il mercoledì.

Aveva riso, e io avevo provato un altro po’ di simpatia lussuriosa per lui.

Un uomo che non aveva idea che i mostri esistessero, e che tuttavia rideva durante l’aggressione da parte di uno strisciante di Classe C? Cazzo, sì. Quello era il mio tipo d’uomo. Anche il banco alimentare e quella cosa del calcio non erano orribili.

“Seriamente lo affronti a mani nude?” aveva domandato.

Senza togliere gli occhi di dosso allo strisciante, avevo risposto, “Beh, non mi dispiacerebbe se una spada o una fiamma ossidrica apparisse spontaneamente, ma sì, lo affronto a mani nude.”

“Questo può aiutare?” Poi, quest’uomo assolutamente perfetto, fatto per me fino all’arma nascosta che portava, mi aveva porto un coltello a serramanico.

Ed era fatta.

Mi sentivo così dura per non avere capito in alcun modo di avere un appoggio.

Ero ben oltre la simpatia lussuriosa e mi ero addentrata nel territorio del quasi-amore totale ed eccitato.

Un tizio che porta un coltello quando fa jogging e – calmati, cuore – lo porge a un metro e niente di donna che afferma di poter fare il culo a un mostro? Quello era un uomo che il mio cuore da assassina avrebbe potuto imparare ad amare con il massimo trasporto.

Avevo sospirato, l’organo interessato batteva leggermente più in fretta nel mio petto.

Ma basta con cuori, fiori e coltelli in regalo. Ci sarebbe stato tempo per il romanticismo dopo che avessi fatto a pezzi quell’imbecille creatura di fronte a me. Avevo fatto un passo in avanti verso lo strisciante.

E ci eravamo capiti così alla perfezione che avevo detto, “Tu sei mio, patetico figlio di puttana. Mio.”

Ciononostante, la creatura non aveva battuto in ritirata. Aveva evidentemente battuto la sua testa calva quand’era un piccolo strisciante.

Dylan era un premio succulento, ma io ero una Van Helsing. La sorella pazza Van Helsing.

Suppongo che fosse anche possibile che quello strisciante provenisse da qualche remoto angolo ombroso dove non avevano sentito parlare di Mia Van Helsing.

Nah. Restavo sulla teoria del danno al cervello.

Avevo ripreso a stringere il coltello mentre mi avvicinavo. Trasmetteva una bella sensazione. Rassicurante, familiare.

Mi allenavo molto. Con armi, senza. A casa, in palestra, per le strade. Ma avevo anche quel pratico vantaggio genetico. Ero più veloce e più forte di molti umani, ma cosa più importante, potevo leggere le creature.

E a giudicare dalla tensione che aleggiava nell’aria, questa creatura stava per provare a darmi un morso.

Sembrava che anche i miei fluidi vitali fossero stramaledettamente sexy. Così sexy che la fame dello strisciante era più forte di qualsiasi buon senso una volta esso avesse avuto.

Avevo lasciato che corresse verso di me.

Perché no? In quel modo sarebbe stato più facile sventrarlo.

Peccato che…

Oops. Mi ero sbagliata. Non era un rammollito strisciante di Classe C.

Avevo cambiato l’attacco per pugnalarlo alla coscia, evitando il torso ben protetto che avrei scelto come bersaglio se fosse stato l’assai più vulnerabile strisciante.

In mia difesa, somigliava un sacco a uno strisciante nell’ombra. Aveva gli stessi occhi argentei incassati in una faccia così scura al punto che la notte sembrava inghiottirla.

Aveva lo stesso cattivo gusto nel vestire. Perché i mostri dell’oscurità erano fissati con economici mantelli neri con cappuccio da aspirante Tristo Mietitore? Probabilmente, almeno in parte, per coprire le loro brutte teste calve, ma un cappellino da baseball sarebbe servito ugualmente allo scopo.

Avevo girato il coltello nella carne nodosa della sua magra coscia, poi avevo tirato via con uno strappo la lama prima che quella cosa affondasse gli artigli dentro di me.

Già, gli striscianti di Classe C non avevano artigli.

I demoni di Classe B sì. Essi erano più cattivi, più astuti e più testardi degli striscianti. E dimentichiamoci del fuoco. Questi qua morivano soltanto se decapitati. Una vera disdetta, giacché avevo lasciato Sheila, la mia spada preferita, nel bagagliaio della mia auto.

Quello era ciò che succedeva quando i miei ormoni andavano fuori controllo.

Immagini del culo muscoloso di Dylan che faceva jogging davanti a me, che si accovacciava in palestra, e che in generale era bello da vedere nei pantaloncini da allenamento, mi galleggiavano nella testa.

Stavo godendomi quella vista mentale quando quel miserabile e fottuto figlio di puttana mi aveva graffiato il braccio con un colpo mancato alla giugulare.

Sembrava che il mio scansa-e-zigzaga fosse un po’ più lento quando avevo il sesso in mente.

“Stai bene?” aveva gridato Dylan, col tono più preoccupato di quanto avrebbe dovuto. “Stai, ah, un po’ sanguinando.”

Avevo la cosa completamente sotto controllo.

E lo avevo detto a Dylan, subito dopo aver squarciato la nuca del demone.

“È disgustoso, amico,” mi ero lamentata prima di ripulire il sangue nero dal coltello di Dylan sul mantello di quel non-mietitore. Aspirante fricchettone.

E giusto per far incazzare quella cosa, perché, cazzo, mi aveva fatta sanguinare, gli avevo strappato via il mantello.

Hmm.

Forse un altro oops, perché esso urlava come una ragazza di un’associazione studentesca femminile torturata in un film horror e correva verso di me con vigore folle.

O forse ero io ad essere sottilmente brillante.

Quella corsa alimentata dalla rabbia, strategicamente deficitaria, combinata con un colpo ben piazzato – quello che lui non aveva potuto schivare perché aveva perduto qualsiasi pretesa di agilità quando gli avevo infilato la lama nella coscia – mi aveva permesso di fargli un taglio a metà del collo.

Con un unico movimento di taglio, avevo usato a mio vantaggio la forza del suo attacco contro di lui.

Da quel punto di vista, era tutto finito.

Voglio dire, certo, avevo dovuto segare ciò che restava del tendine e dell’osso con un piccolo coltello a serramanico, ma a parte quello era tutto finito.

Avevo detto a Dylan che probabilmente avrebbe voluto saltare questa parte, e lui – bravo ragazzo – aveva girato lo sguardo mentre io mi occupavo della faccenda. Avevo gettato un osso alle sue inclinazioni da cavaliere bianco e avevo detto che avrebbe dovuto “continuare a guardare” per vedere se qualcuno si fosse diretto da questa parte.

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