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Buch lesen: «Scritti editi e postumi», Seite 13

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IL DÌ DE' MORTI23

– 18…? —

Era il dì dei morti, e i sacerdoti e pochi vecchi piamente pregavano a Dio la pace dei Defunti, – e la brigata delle donzelle e dei garzoni lasciviando si dava alla gioia; ma non era la gioia, – sapea più di baccano, e moveva da crassezza di sentire; ed io maravigliava come le anime nostre fossero sorde alla voce sempre solenne della morte. – Ma di chi suona la solinga preghiera della carità? – Era una giovanetta nel tempo dell'amore, che pregava in disparte, e dalle vereconde sue forme spirava un sorriso di dolore, a quella guisa che si dee sorridere in Paradiso, ed essa guatava sentitamente le fosse dei nostri padri con una mestizia dolce, e sicura, affidata di certo della sua innocenza. Io la fissai, – e il raggio della bellezza e del pudore mi acquetò per un istante la tempesta dell'anima; e pel momento che la vidi spuntò un fiorello tra le spine della mia vita. La bellezza mi parlò al core poeticamente, ed io sentiva in quel punto di esser poeta. Ah sì! la poesia debb'esser la favella dei beati, poichè per parlarla bisogna disciogliersi dal viluppo dell'umanità. – Chi toglie il velo delle lusinghe alla vita scuopre la morte. Ed io rivestii di care lusinghe la vita, e più non vidi la morte.

IN UN ALBUM

– 1839 —

Noi ci siamo veduti una volta sola, o Signora, ma senza occasioni d'intimità, senza poterci conoscere ed intendere a vicenda. Pure voi non mi uscirete più mai dalla mente, perchè il suono della vostra voce sollevò dentro di me un tumulto di memorie potenti. Voi mi riportaste a Genova, dove la Virtù Italiana non è spenta affatto, dove ho vissuto cogli affetti i più begli anni della mia esistenza, dove sono stato fratello d'anima a molti generosi… Io vi ringrazio, o Signora, perchè senza saperlo voi mi avete fatto un gran bene; perchè voi, sottraendomi per un tratto ai dolori abietti del presente, mi avete fatto rivivere nel passato, mi avete rinverdita la speranza, rinvigorita la fede nell'avvenire. Voi m'avete fatto sentire più intenso il desiderio d'un vostro concittadino, del quale ho letto pochi versi in questo Album. Serbate con reverenza quei versi, perchè sono un brano palpitante d'una grand'anima, che il mondo non ha per anche compreso. Teneteli cari come una santa reminiscenza, – o non foss'altro come un'ammenda onorevole alle scortesie, o alle freddure, che altri per avventura abbia potuto scrivere in questo libro. – Accogliete queste mie parole non come un'arida formula di convenienza, ma come un'effusione di vivissima simpatia.

UN SOGNO

– 1839 —

Il 5 Marzo 1830 ad alta notte mi addormentai, e feci questo sogno.

La serva entrò in camera mia, e disse: – signor padrone, sono accecata. Due persone hanno picchiato all'uscio, ed hanno dimandato di Lei; io appena le ho guardate in faccia son diventata subito cieca: – A queste parole feci un atto, ed una esclamazione di maraviglia, e intanto le due persone entrarono. Erano Giovanni P.*** e sua Madre, ambidue morti di fresco. Conservavano la figura e le sembianze naturali, come quando erano vivi, se non che negli occhi e nel sorriso traluceva loro un non so che d'immortale. Al vederli io restai reverente e commosso. Giovanni mi abbracciò e mi baciò; sua Madre mi strinse cordialmente la mano, e disse; – veniamo a ringraziarvi di quello che avete fatto per noi, e specialmente per il mio Giovanni. Partecipate i nostri ringraziamenti anche agli altri vostri amici. – Allora io dissi: – Signora, tra questi miei amici ve ne sono tanti dei poveri; sapreste darmi tre numeri al lotto? – La donna con atto amoroso mi diede un leggiero schiaffo, e disse: – così rispondono gl'immortali a certe dimande. – Io restai un certo tempo umiliato e compunto, e poi ripresi: – vedete, voi siete venuti da me, ma io sono un povero diavolo, ho la stanza vuota e disadorna; non ho tampoco da offrirvi da sedere; e quei due spiriti risposero sorridendo: – noi non siamo mai stanchi. – Non ho neppure, – soggiunsi, – da farvi un poco di rinfresco, – e rimasi come mortificato. Allora Giovanni si levò di seno un vasetto di forma insolita, ma elegantissima, di una materia preziosa, bellissima, che rifletteva tutti i colori dell'iride, e facendomelo odorare esclamò: – senti, questa è l'ambrosia, il nudrimento degl'immortali: – Odorai, e caddi assorto in un'estasi dolcissima, ineffabile, nella quale mi parve di giacere lo spazio almeno di quattro secoli. Alla fine mi riscossi, e rividi quei due, e dissi: – ma io ho dormito almeno 400 anni? – Neppure un minuto secondo, – rispose Giovanni, – questo è un lampo della vita immortale. – Io stetti un poco sopra di me, e poi dissi: – ma dunque, o Giovanni, c'è veramente un altro mondo? – Ed egli rispose: – c'è Dio, e c'è un altro mondo. – Queste parole mi scossero tutto, e mi fecero pensar profondamente per un tratto di tempo; poi dimandai: – e chi ci viene nell'altro mondo? – Ci vengono quelli che soffrono, – mi fu risposto. Io curvai la testa sul petto, come per raccogliere le idee; stetti qualche tempo in quell'atto. A un tratto rialzando la fronte, preso da un impeto subitaneo, interrogai: – ma Elena? – Giovanni allora disse: – Elena è santa fra tutte le Sante, è un inno di fuoco; è la più bella e solenne nota d'amore, che canti dinanzi all'eterno. Ella vede e sente il dolore di sua Madre; e si strugge per lei, e vorrebbe venire da lei; ma quando fa l'atto di partirsi, Dio l'afferra, e se la chiude nel cuore.

Quì Giovanni sì tacque, e sua Madre facendosi più d'appresso mi disse: – andate da quella Madre; ditele che creda, che speri, perchè tutte le Madri pregano per lei. – Quindi ponendomi con garbo affettuoso la mano sul capo soggiunse: – tu hai, figliuolo, dei grandi peccati, ma c'è chi prega per te.

E quì il sogno si sciolse.

LETTERE

Noi vogliamo stampare nella memoria de' nostri giovani concittadini l'immagine d'un'anima, non d'una mente; vogliamo dir loro: «in nome di Dio, non lasciate che anime siffatte periscano senza dar frutto». Abbiamo noi tutti oggimai più bisogno d'uomini, che non di scrittori. Abbiamo bisogno d'imparare a credere, non ad ammirare. Se avremo dato alla gioventù nostra un'anima da venerare ed amare, avremo fatto più assai che non rivelandole dieci scrittori.

M.***

I

Bravo F.***24

················

E sia pur come vuolsi, e lasciamo i nostri nemici a chi se li voglia prendere, e veniamo a noi. Come vivi, F.***? se io faccio la somma, risponderò per te: malamente, fratello, malamente assai. Ed io ti dirò: pazienza, F.***; e tu riprenderai: pazienza pur troppo, perchè la pazienza è l'unica veste, che il padre Adamo lasciasse ai suoi nudi figliuoli; ma però la bevanda è amara, e non ispegne la sete. Ed io ti dimanderò da capo: Come vivi, F.***? ti rode sempre quell'ansia profonda, misteriosa, di cui non seppi, e non osai mai penetrare la causa? e ti cavalca sempre lo spirito un diavolo nero, onde così per tempo s'inaridisce la giovanezza dell'anima tua? O fratel mio F.***! ogni qualvolta io penso alle tue angustie, e alle mie, ed al fatalismo di tante turpitudini umane, in verità mi prende lo sdegno d'essere un uomo vivo, e bestemmio forte, e andrei più oltre se potessi, e se il male fosse tutto in un nodo. Ma il male è veramente una Forza, e il Mondo gli dà gran luogo; – ed io invece son debole, e destinato come tutti gli animali al dolore, e alla pazienza, e vivrò finchè mi riesce, e morirò… e morirò solo solo, nè tu, dolce amico, potrai forse più darmi un bacio nell'agonia come hai già fatto un'altra volta. —

Io ho cuore di forte, o F.***, o credo almeno di averlo; – ma quando per le varie ore del giorno via via mi si fa sentire una mancanza di care abitudini, un desio delle gioie provate esercitando la vita d'una amicizia caldissima, e mi rammento come spesso le tue mille passioni mi ardevano, e come spesso ti compiacevi alle fantasie del tuo povero amico, e come i miei pensieri erano intesi, e trovavano nel tuo animo gentile una risposta, oh! allora io davvero mi piego sotto l'affanno, e il mio spirito si diffonde in mille moti di dolore, e di amore.

E veniamo ad altro. Mi dici, e sento dirmi da tutti, che sei fermo pur sempre nell'idea d'emigrare in Inghilterra. Io non istarò a dirti se tu faccia bene, o male; che ne so io? che ne sai tu? che ne sa tutto il mondo? Per me ho veduto troppo sovente, che le cose buone e cattive sono fatte dal Caso, e l'uomo non si travaglia, che per essere il suo stromento. Io dunque non ti dirò se tu faccia bene, o male; non mica, che se volessi io non potrei schierarti su questa tua andata migliaia di ragioni pro, e contra; oh! pur ch'io volessi, tu mi udresti ragionare a gran distesa, perchè l'uomo in fatto di ciancie può andare avanti e indietro senza spese di viaggio, e farsi padrone del torto, e del diritto; ma l'uomo, che nei casi difficili non sa dare all'amico altro che consigli, meglio è che si taccia. Ti dirò soltanto, che tu faccia a modo tuo, perchè così, anche facendo male, la percossa che viene dalle mani proprie è meno acerba di quella, che viene dalle altrui. E Socrate disse: – Un Genio parla nel petto a voi tutti, o mortali; e chi nacque a correre una corsa che tutti non fanno, perchè, non la sanno fare, non può e non deve ascoltare, che le leggi del suo Genio, altrimenti si rassegni ad essere sopra tutti infelice. – E se il tuo Genio ti comanda l'esilio, giovi l'esilio, e abbandona la patria, e quante cose d'amore ha la patria, e sii felice se puoi, o almeno ti domino le alte sventure, e sempre ti si mantenga amabile l'ambizione della Gloria. Ma quando sarai lontano fra gli stranieri, e non avrai più nulla di tuo, che le passioni, e le memorie di un tempo passato, allora il tuo pensiere sia italianamente generoso, e colla forza della immaginazione scaldati sempre al nostro Sole animatore perenne del Genio, e del valore italico, – e ti risovvenga di una gente dolorosa, d'Italia nostra, di questa cara armonia di tutta la Natura, – e cingi sovente le sue immagini dell'ala dei tuoi affetti, – e considera l'anima tua come sacra a te solo, – … e allora i concetti ti sorgeranno nella mente come le stelle in Cielo, liberi, e splendidi di bellezza divina, e brillanti di eterno movimento. —

F.*** mio! la lettera è lunga, e mi avvedo di avertela scritta in un certo tono, che sa piuttosto di paternale; ma tu conosci l'amico, e ben sai se io m'abbia avuto mai l'orgoglio di far lume a nessuno, io che fermamente credo di non saper nulla, tranne che sono un povero diavolo mandato su questa terra ad occupare un po' di luogo, e null'altro, e tengo aperto sempre l'uscio di casa per vedere se il vento un giorno o l'altro mi ci porti la Verità, o la Ragione, quel segreto in somma, che ci vuole per diventare un gran Maestro, e dire alla gente, fate, o non fate. Ma io voglio finirla, F.*** mio, e ti dirò, che son tutto tuo, di dentro e di fuori; – vero è che costo troppo poco, e un regalo siffatto sarebbe meglio a non farlo, ma ormai la parola è corsa. Ama dunque per sempre il tuo

1.º Agosto 1830.

Carlo.

P. S. Non passa giorno, che io non oda intuonarmi all'orecchie la canzone della prudenza, e son certo più per te, che per me. La prudenza, a dir vero, è un certo Santo cui finora non ho saputo trovare uno sgabello fra le mie religioni. Pure gli uomini gravi mi dicono con aria di compunzione, che ella fa sempre buono, e negli ardui eventi per la salute dell'uomo non vi è bussola altra, che questa. E qui forse diranno bene, e forse no; ma indossare ogni giorno quella livrea, com'essi vorrebbero, parmi appunto come portare sempre l'ombrello anche quando non piove. E tutto questo sia per non detto. —

················

II

Carissimo Padre

La nostra partenza di Livorno fu piuttosto un ratto, che una partenza… Sul principio del viaggio fu calma profonda; – il legno andava piuttosto con remi, che con la vela. Poi, due ore dopo incirca, si levò un vento fresco, forse troppo fresco; – allora piuttosto che andare volavamo. In mezzo a questa furia di vento un uomo ebbe a perire: faceva sue manovre in cima a un albero da poppa, quando l'albero per vecchiaia si troncò nel fondo; e se non era la sua destrezza, l'uomo periva di certo. Nessuna industria umana avrebbe potuto ritirarlo a bordo, tanto quel diavolo di vento ci rapiva via. Ma, come Dio volle, tornò sano e salvo in coverta; avea lo stesso viso di prima, e col solito suono di voce disse rimettendosi a nuove faccende: un altro po' ci perdeva la vita. Queste parole sono semplici, e poche, ma rivelano un cuore sicuro. Io ammirai tacitamente la gagliardia di quell'anima popolana. Dimandai a un tale, che mi stava a lato, come si chiamasse costui. Mi rispose, che si chiamava la Scimmia; e questo nome in merito della sua singolare sveltezza. Seguitammo a correre col vento fresco, nè ci abbattemmo in altri casi; poi quando fummo in vicinanza dell'Isola, il vento rallentò, e rivenne la calma. Allora nuovamente mano ai remi, e così entrammo nel porto, ove un Ministro di Sanità ci ricevè colle solite forme. In somma il viaggio fu compito in poco più di 7 ore. Io non potei goderne, perchè durante il tragitto il mal di mare mi travagliò fieramente. Ponemmo il piede a terra nell'Ufficio di Sanità, dove ci trattenemmo sopra due ore; e in quel frattempo, non sapendo che altro fare, ordinammo un lieve ristoro di cibi, e questo poi, più o meno, era un bisogno comune. Quando fu venuta la notte, movemmo colla nostra scorta per entrare in città. Entrammo, e traversando una piazza, e parecchie strade fatte a scala, giugnemmo al Forte ***.

················

E quì finisce la cronaca del mio viaggio. Ora la vita attiva si è mutata in vita contemplativa; nè io saprei cos'altro raccontarvi, se pur non fosse la storia dei mille grilli, che da mattina a sera mi svolazzano nel cervello. Ma questo nol comporteremmo nè voi, nè io, nè quei signori deputati a leggere tutto ciò che scriviamo. Ora io sono, e non so per quanto, domiciliato alla ***, sano di corpo, di mente sanissimo. Ho una casetta bastantemente capace per una persona. È composta di due stanze nè troppo grandi, nè troppo piccole. Un letto, una panca, una tavola, sono gli arredi. L'uscio si chiude per di fuori, e le finestre sono come le vostre, se non che hanno di più l'inferriata. La casa è situata a mezzogiorno, e da una parte confina in un angolo angusto, che i Francesi chiamerebbero cul de sac. Dall'altra parte la casa è contigua a una caserma, e a prima giunta la vista s'incontra in una pila, in una cisterna, e in una campana, che non suona mai. Ma sospingendo l'occhio un poco avanti la scena si tramuta maravigliosamente, e dalla umiltà prosaica salisce alla sfera poetica. Un clima dolce, armonioso, un cielo purissimo, una parte pittoresca di golfo, una catena di monti bruni bruni, contrastanti vivacemente coll'azzurro del cielo, e col verde limpido del mare; tutta una Natura magnifica, una creazione bella di bellezza veramente italiana. Ma per chi guarda dalle sbarre d'una prigione, il cielo è mesto, e la Natura è malinconica.

Del resto, come vi ho già detto, la vita, che io meno, non ha bisogno di troppi colori a dipingersi. La notte dormo quando posso; e quando no, veglio fantasticando. Il giorno mi levo; passeggio un poco sopra uno spazio di 12 passi; poi leggo; poi di nuovo passeggio; alle 2 un Trattore ci manda il desinare a modo suo; il dopo pranzo la medesima canzone, finchè non torni l'ora di rimettersi a letto. Come vedete, è una nota unica sopra una corda unica. Per un'ora del giorno uno dopo l'altro siamo condotti a respirare all'aperto; l'aria in questi luoghi è balsamica, e fa buono al sangue. Di quando in quando viene a visitarci il Comandante della Piazza, una gentil persona, di cui non conosco per anche il nome, e ci tratta paternamente. Talvolta mi affaccio ad osservare i soldati occupati nell'opere loro: in due o tre giorni ho compreso tutti i misteri della vita militare; – è una vita, che non eccita tentazioni. In somma, a dirvela schietta, io mi annoio piuttosto che no, e l'Ozio, che una volta io vagheggiava come cosa morbida e cara, oggi è mio nemico giurato, e mi sta indosso come un cilizio, ed io concorro coi Padri della Chiesa a dichiararlo peccato mortale. In somma questa monotonia è tale, che a lungo andare può convertire l'anima umana in un orologio a polvere.

E se voi, e altri, voleste sapere la ragione intima del bizzarro avvenimento, che mi ha percosso, io vi so dire, che è tal problema da sgomentare tutte le Geometrie di questo mondo. Voi conoscete meglio di me i miei umori, e la mia condotta, perchè vi sono vissuto accanto finora. Commerciante di professione; chiuso di pensieri per indole, e per sistema, e però taciturno quasi sempre; senza nome, senza influenza, senza ambizione; partigiano della quiete, anzi dell'inerzia, – non avrei fatto un passo più lungo del solito per iscansare una fossa; – di spirito scettico, – talchè spesso io mi trovava a contrasto colla corrente, e non me ne importava; – la storia della mia vita era la storia della pianta, che vegeta, e nulla più. Avvertito, che i tempi correvano difficili, rinnegai per tempo l'esercizio di quelle poche facoltà d'ingegno, che la Natura, non so se madre, o madrigna, volle assegnarmi in dote. Così fatto com'era, avrei giurato, che la mia esistenza quasi sotterranea sarebbe trascorsa nel silenzio senza dar ombra a nessuno, senza destare nè odio, nè amore; avrei giurato, che il dì dei miei funerali, pochi, ma pochi, avrebbero detto: è morto un morto. Ma che per questo? I concetti del mortale son tele di ragno, – un nulla le rompe. La prudenza può talvolta menare dove mena l'imprudenza; il non far nulla talvolta equivale al far qualche cosa; questo è un conto, che in aritmetica non torna, ma che pure entra nella serie degli umani accidenti. L'uomo spesso non dipende da sè stesso; la Fortuna agita i dadi della sua vita, e la Fortuna è femmina, e di più non ha occhi.

Non ostante da tutto questo non dovete indurne argomento di disperare. Io credo fermamente, che l'Innocenza non sia un giuoco di parole; io credo, che la Giustizia non siasi rimasta fra le divinità della Favola. Il tempo schiarirà tutto; almeno così diceva a Livorno il Medico N., disputando sulla malattia di un tale già sepolto da una settimana. Datevi coraggio proporzionato agli eventi; coraggio per resistere a queste prove troppo dure per le viscere di un padre. Consolate mia Madre. Povere madri! pur troppo negli annali del tempo la Fatalità produce epoche in cui le madri hanno a tremare di essere state feconde! Io però son tranquillo. Il caso mi ha temperato un'anima vigorosa a sopportare pacatamente il bene ed il male. Se io fossi solo nel mondo, credete pure che sorriderei dall'alto in giù a queste piccole traversie; ma chi nasce di donna non è mai solo nel mondo; e gli affetti di sangue, d'amicizia, d'interesse, sono tanti, e così complicati, e così inerenti al cuore dell'uomo, che il cuore è costretto a gemere profondamente, quando la forza delle cose lo recide da vincoli tanto vitali. Pure, ve lo ripeto, fate animo; e confido, che non avrete mai a piangere per cagion mia; ma se ancora un giorno doveste piangere, le vostre non saranno lacrime di vergogna. Io oso dirlo senza superbia, e i miei nemici non oserebbero negarlo: ho percorso 27 anni di età, ma tutti quegli anni dal primo fino all'ultimo hanno segnato una linea retta nella via dell'onore.

Addio.

Dalla ***, 17 Settembre 1833.

Il vostro Carlo.

III

Carissimo Padre

Ieri mi fu consegnato il baule che mi spediste, e tornano a dovere tutti gli oggetti contenuti nel medesimo.

Ho sentito dolorosamente la grave malattia, che ha dovuto subire la mia povera Madre in séguito della mia deportazione; ma poi mi sono riconfortato alle nuove del suo miglioramento, e spero fermamente, che al giunger di questa mia sarà ristabilita nella sua primitiva salute.

In quanto a voi, vi esorto a sopportare virilmente il dolore della mia lontananza; è vostro dovere, – non avete me solo di figli.

Io ho piena fiducia, che la mia detenzione non andrà in lungo; e se a quest'ora mi avessero interrogato, credo che tutto sarebbe finito per il meglio.

Non vi date pensiero di me; non ho bisogno di esser consigliato alla rassegnazione. Per questo sono abbastanza ragionevole; e poi io son forte di animo, e forte della mia coscienza. Se non fosse il dispiacere di non trovarmi fra i miei parenti, la prigione sarebbe per me una privazione poco significante. Oltre di ciò non dovete far dei romanzi colla vostra immaginazione; non dovete figurarvi uno stato orribile. Noi siamo in una custodia militare, e sapete che i soldati sottosopra son gente di cuore, e non sono avvezzi a mettere in uso tutta quella teologia di rigori inutili, come farebbe un soprastante delle carceri civili. Noi siamo trattati con tutto il riguardo; possiamo leggere, – possiamo scrivere; e relativamente ai comodi della vita, ogni cosa che dimandiamo ci viene accordata nell'istante. Quello solamente che ci affligge è che non possiamo vivere insieme; ma in questo le Autorità locali non possono nulla, poichè dipendono in tutto e per tutto dagli ordini superiori.

Del resto, io godo perfetta salute, e perfetta calma di spirito. Non ho mai mancato di niente, mediante la cordiale assistenza di tutta la famiglia M.***, e se voi le scrivete, ringraziatela anche voi di tante prove di verace amicizia, che mi hanno dimostrato nelle circostanze attuali.

Io aveva fatto venir del danaro per passarlo al G.*** secondo il d'accordo, ma contemporaneamente gli furono pagate non so da chi Lire 200, e per questa volta non ne ha avuto bisogno. In séguito io non mancherò di fornirgli il necessario ad ogni sua richiesta, dandovene avviso per vostra regola.

Io non ho debiti, perchè non era mio sistema di farne, e più ancora perchè non ne aveva motivi. Soltanto presi certa roba per vestirmi da estate da G.***, che avrei già pagata senza il caso del mio arresto. Se volete pagarla voi, sarà lo stesso.

Quello di cui poi mi raccomando caldamente, è che consoliate la mia povera Madre. Voi sapete, che le donne son cose deboli per natura, molto più poi se aggiungete in loro il sentimento dell'amore materno. Di tutto si allarmano, ingigantiscono tutto, d'un atomo ne fanno una montagna. Ci vuole un'arte squisitissima per maneggiare il cuore di enti così delicati. Ditele, che io sto bene, – che son trattato bene, – che ogni giorno mi menano un'ora al passeggio per il Forte, – che le Domeniche ci conducono alla Messa in città, – che non tema di nulla, – che viviamo sotto un Governo moderato; – che appena il Governo si sarà sincerato de' suoi dubbi, tutto sarà finito; – che non siamo briganti, ma buona e pacifica gente; – che la prigione non prova nulla, perchè in prigione ci può andare anche un Santo; – che non sono molti anni ci stette anche un Papa. – In somma a voi tocca il dirle tutte le cose opportune per ridonare la tranquillità al suo spirito.

Date un bacio per me all'Enrichetta, e credetemi

Dalla ***, 3 Ottobre 1833.

Il vostro Carlo.
23.Ignoriamo se questo poetico componimento sia originale o tradotto.
24.L'epigrafe che precede queste Lettere spiega l'intendimento nostro nel pubblicarle: se non ci proponemmo principalmente di offrirle come dimostrazione d'ingegno, molto meno abbiamo mirato a metterle in luce come documenti, che per avventura potessero riuscire o lusinghieri o spiacevoli altrui. Quindi abbiam lasciato solo la iniziale dei nomi, e sostituito talvolta alla vera la generica N, od un X. Ogni discreta e gentil persona non vorrà, lo crediamo, disapprovare tale ommissione.