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Buch lesen: «La montanara», Seite 15

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Passarono i quattro giorni che Pellegrino doveva star lontano dalle Vaie, tra andata e ritorno. Ma il messaggero non comparve. Ne passò un altro, che fu il quinto, e i signori Guerri, non vedendo comparir Pellegrino, incominciarono a stare in pena, temendo che gli fosse accaduto qualche guaio. I timori si tramutavano quasi in certezza verso la fine del sesto giorno, quando il signor Aminta, che era andato in traccia del suo famiglio di là da Fiumalbo, riconobbe da lunge il carro vuoto che ritornava, e Pellegrino che gli veniva a passo lento daccosto.

– Ebbene? – gli domandò, muovendogli incontro.

– Eccomi qua, signor Aminta.

– Con due giorni di ritardo!

– Per forza! – rispose Pellegrino. – E col dispiacere di aver fatto un viaggio inutile.

– Come? Non hai veduto il signor Gino.

– Non l'ho veduto.

– Ed eri andato a bella posta!

– Che vuole? – ripigliò Pellegrino. – Appena giunto, e scaricato il legname, sono andato a cercare il palazzo Malatesti. Ho chiesto del signor conte Gino, e il portiere mi ha risposto brevemente: non c'è. – Mi rincresce, perchè dovevo consegnargli un involto. – Datelo a me, gli sarà ricapitato. – Non potevo ricusare, e cavai l'involto di tasca. – C'è un libro e una lettera; – dissi allora, consegnando l'involto a quell'uomo; – avvertite anche il signor conte che se ha comandi da darmi per i miei padroni, io sono per tutto questo giorno alla Rosa, fuori porta di San Francesco. —

– Bravissimo! – disse Aminta. – E allora come va che non hai veduto il conte?

– Ecco qua. Avevo appena finito, che il portiere mi rispose: – Sarà impossibile che vi mandi a dire qualche cosa, perchè non è in città. – Diamine! – esclamai. – Dov'è andato? – A Bologna, e non ritornerà che domani a sera, o doman l'altro. – Ringraziai, allora, e me ne tornai alla locanda, pensando che cosa avrei dovuto fare. Se ritorno alle Vaie, dissi fra me, il signor Aminta mi sgriderà, e giustamente, poichè m'aveva mandato perchè vedessi il signor conte. Così aspettai un altro giorno, sempre fermo alla locanda. Il giorno seguente non osai muovermi neanche; soltanto verso sera m'incamminai verso il palazzo Malatesti e giunto là mi presentai nuovamente al portiere. – Non ho potuto partire, in questi due giorni, – gli dissi, – e son venuto ancora a vedere se il signor conte Gino ha comandi da darmi. – Il conte Gino non è ancora ritornato. – C'è speranza che ritorni domattina? – Nè domattina, nè per parecchi giorni ancora; ha scritto che le sue faccende lo tratterranno dell'altro, forse una settimana, a Bologna. —

– Che faccende! – esclamò il signor Aminta.

– Non me ne ha detto nulla; – rispose Pellegrino, che aveva presa l'esclamazione per una domanda. – Ella capirà, signor Aminta, che io non me la sentivo di restare una settimana a Modena, lasciando Lei e il signor Francesco nell'incertezza. Perciò mi son risoluto di ritornare. Ma se vuole che io rifaccia la strada…

– No, non occorre, per ora. Al poi, penseremo più tardi. —

Quella sera in casa Guerri si seppe che il viaggio di Pellegrino era stato inutile, come l'espediente del libro e della lettera ond'era accompagnato. La cosa dispiacque molto anche a Don Pietro, che aveva avuta l'idea di quel viaggio. Non si parlò di briscola chiacchierina, ve lo assicuro; da parecchie sere non si pensava più a quei piccoli svaghi.

Capitolo XIII.
Il segreto di Pellegrino

La mattina seguente, non senza meraviglia sua, Don Pietro si vide capitare in chiesa il famiglio dei Guerri.

– Che c'è? – gli domandò. – Vuoi confessarti?

– Eh, quasi! – rispose Pellegrino. – Son venuto a cercarla in chiesa, appunto per averne l'aria.

– Sentiamo dunque, – disse Don Pietro, tirando il giovanotto in uno stanzino accanto alla sagrestia, dov'era infatti un inginocchiatoio, con un seggiolone daccanto. – Se è una mezza confessione, qui nessuno ti ha da vedere, e puoi parlare liberamente, figliuol mio.

– Incomincio subito, – disse Pellegrino. – Ella saprà, almeno avrà potuto indovinare, che il signor conte Gino vedeva molto di buon occhio la mia padroncina.

– Non so, e non ho indovinato nulla; – rispose Don Pietro. – È questo che avevi da dirmi?

– Scusi, era necessario, per cominciare. A me era parso che fosse così. Ma se non c'era nulla tra loro due, tanto meglio.

– E perchè?

– Perchè, vede, ho avuto certe notizie, laggiù… certe notizie che m'avevano già guastato il sangue. Ma se Lei mi assicura che non c'era niente fra il signor conte e la padroncina, io dormo tranquillo, e il signor conte può sposar chi gli pare.

– Che storia è questa? – gridò il prete, turbandosi. – Tu mi dirai ogni cosa. Come sai che il conte Malatesti si sposa?

– Eh, come lo sanno tanti altri, che lo hanno sentito laggiù, nella locanda della Rosa. Lei, deve sapere, Don Pietro, che io, aspettando un'occasione di vedere il conte Gino, avevo detto al suo portiere: rimarrò tutto questo giorno a Modena, e sono alloggiato alla Rosa, fuori porta San Francesco. Dunque, eccomi alla Rosa, non sapendo che fare. Lei indovina già quel che ho fatto: mi son seduto sopra una panca, e ho bevuto un bicchier di trebbiano. C'era della gente che mi ha offerto di giuocare una partita ai tressetti, ed ho fatto volentieri il quarto ai tressetti. Così mi è accaduto di far conoscenze e di barattar quattro ciarle coi miei compagni, gente di servizio come me. Uno di essi era nientemeno che sottocuoco in una casa di nobiloni. – «Ciriaco, – gli hanno detto ad un certo punto, – è dunque vero che la marchesina si marita?» – «E che cosa volete che facesse? – ha risposto lui. – Il suo giorno è venuto.» – E lì, di chiacchiera in chiacchiera, son venuto a sapere che lo sposo era il conte Malatesti. Non ho potuto trattenere la lingua, e ho domandato se si trattava proprio del conte Gino. Allora hanno domandato a me come lo conoscevo, ed io, facendo l'ignorante, ho risposto, che lo avevo incontrato una volta a Pievepelago. – «Ah, sicuro! – mi dissero. – Lo avrete veduto quando lo avevano mandato lassù in esilio. Ora gli hanno perdonato, e il signor conte, forse per mostrare che fa giudizio, si è risoluto di prender moglie.» – «E si farebbe giudizio tutti, a quelle condizioni! – soggiunse un altro. – Sposa la più bella ragazza di Modena.» – «Ah, sì? Ci ho gusto, – risposi, – perchè mi è parso un signore molto grazioso. E chi è la sposa, se è lecito?» – «La padroncina di Ciriaco, la marchesina Baldovini» – Eccole, Don Pietro, quello che seppi il primo giorno, mentre aspettavo che il conte Gino capitasse alla locanda, o mi mandasse a chiamare. Non vedendolo, e sperando che ritornasse da Bologna, dove mi dicevano che fosse andato, aspettai ancora due giorni; e questi li occupai, facendo amicizia con Ciriaco, passeggiando e trincando con lui. Mi ha confermato tutto, e mi ha detto anche tante altre cose, di questo matrimonio, delle relazioni che c'erano già tra il signor Gino e casa Baldovini, che ora si andrebbe troppo in lungo a volerle riferire. Signor prevosto, – conchiuse filosoficamente Pellegrino, – il conte Malatesti non si lasciò vedere; era sempre a Bologna, come mi disse la seconda volta il portiere, e in un modo da lasciarmi capire che potevo risparmiare la fatica di andarci una terza. Ma se anche fosse ritornato a Modena, mi par di capire che aveva ragioni tanto forti da non iscomodarsi con una gita alla locanda della Rosa.

– Questo è un giudizio temerario, – disse Don Pietro. – Non va bene dubitare così degli amici. Se era a Bologna!..

– Il primo giorno, sì, e infatti il portiere mi aveva detto graziosamente: – ritornerà stassera o domani. – Ma due giorni dopo, era un'altr'aria. Di sicuro aveva ricevuto l'imbeccata.

– Non dal conte Gino, allora.

– O da chi poteva averla ricevuta?

– Dalla famiglia, per esempio. Tutto ciò che mi hai raccontato non mi persuade ancora. Per credere che il conte Gino Malatesti si sia dimenticato affatto di noi, bisognerà che me lo confermino con giuramento almeno tre testimoni.

– Uno più dell'uso! – esclamò Pellegrino. – Ma si è egli degnato, appena giunto a casa, di scrivere due righe ai padroni? Conosco il suo carattere, per essere stato tre mesi con lui e aver portato i suoi biglietti ad Aminta, quando non si trattava d'altra distanza che quella da Querciola alle Vaie. Son io che vado a Fiumalbo per le lettere, e di suo non ho visto tanto così!

– È vero; – confessò malinconicamente Don Pietro. – Ma chi sa che cosa gli è accaduto, a quel povero ragazzo?

– Oh, non si è mica rotto il braccio destro, – ribattè Pellegrino. – Può viaggiare; potrà anche scrivere. Io, del resto, non c'entro.

– E dimmi, – riprese Don Pietro, – hai parlato di queste cose con nessuno?

– No, neanche col signor Aminta. Mi è sembrato di capire che avrebbero fatto dispiacere. Sa! per quel tal sospetto che avevo e che le ho detto in principio. Ma ora che so…

– Ora che sai, – interruppe Don Pietro, – devi tacere per tutto il resto che non sai. Tu hai fatto bene, tenendo subito le tue notizie per te; hai fatto bene, – soggiunse sospirando, come un uomo che non è ben persuaso di quel che dice, – hai fatto bene a confidarle a me, prima di farne uso con altri; puoi accettare il mio consiglio, che è quello d'aspettare un altro poco.

– Anche un mese, anche un anno; – disse Pellegrino. – Ella può viver tranquillo, che io non fiato. Son venuto da lei come da un confessore.

– Ma intendiamoci, veh! – rispose Don Pietro. – Non mi hai dette queste cose in confessione, e al bisogno potrò servirmi delle tue notizie.

– Lei è un uomo prudente; faccia come Le pare.

– Grazie, figliuol mio! Vattene ora alle tue faccende; io ritorno a casa per dir le mie ore. —

Ahimè, povero Don Pietro! Per quella mattina non lesse altrimenti il breviario, tanto era rimasto male, udendo tutte quelle novità dolorose.

Da principio, per dire il vero, non ci capiva nulla di nulla. Un colpo inatteso, una mazzata sulla testa, ha piuttosto per suo effetto di stordirvi il cervello, che non di muoverlo a cercare donde sia venuta la botta e perchè mai ve l'abbiano appioppata. Poi l'uomo percosso via via si ripiglia e pensa. Don Pietro adunque pensò; pensò prima di tutto a quel giovanotto, che si era come confessato a lui, accennandogli i suoi sospetti intorno alla visita del cugino Ruggero, e mise le notizie recate da Pellegrino a riscontro con quella faccia così aperta, con quel tratto così nobile, in cui egli aveva amato di riconoscere la congenita lealtà della stirpe. Siamo tutti così, pur troppo, ancora e sempre imbevuti d'antico, e facili a vedere nel sangue quella nobiltà che solamente dovrebbe esser frutto della educazione morale. I dotti parlano oggi più che mai di eredità; il popolo vi dice ancora che un tale non dirazza da' suoi vecchi, come se la razza ci avesse tutte le virtù teologali e cardinali, insieme con tutti i doni del Paracleto. E quando un gran signore vien meno a certe norme di gentilezza o di onestà, che credevamo intimamente collegate al suo nome, ci sfugge sempre l'esclamazione: – ed era nobile, costui!

Vera o falsa che fosse l'opinione delle genti, Don Pietro Toschi non aveva conosciuto di nobili che il conte Gino Malatesti, e da lui argomentava volentieri che fossero tutti fior di cavalieri, non senza ammettere, per omaggio naturalissimo all'esemplare, che il conte Gino fosse il più cavaliere di tutti. Inoltre, il vecchio prete conosceva Gino per un ardente innamorato, e non senza ragione così innamorato, non senza ragione così ardente. Fiordispina Guerri era bella, virtuosa, colta e gentile tanto, che non si sarebbe potuto desiderare di più. Avrebbe potuto diventar principessa o regina, senza che la cosa dovesse recar maraviglia a nessuno. Era anche ricca, forse più ricca che non fossero i Malatesti, e ciò poteva ricordarsi utilmente, in materia di nozze e di un consenso del padre di Gino. Finalmente, il giovanotto aveva pianto a calde lagrime, partendo dal luogo di pena; aveva abbracciato questo e quello, promesso, giurato… E tutto ciò doveva finire con le notizie recate da Pellegrino? Era dunque vero, ciò che dice il proverbio: lontan dagli occhi lontano dal cuore? Già il signor conte aveva incominciato male, non scrivendo subito una lettera ai Guerri, appena giunto a Modena. Ma questa, sul principio, era parsa a Don Pietro la promessa di una bella novità. – Egli tace (pensava), ma poi ci capita alle Vaie con una domanda formale. – Questo pensiero, ahimè! era stato sopraffatto da un altro; le voci corse in paese di una inchiesta dei due ufficiali del governo ducale, la conferma di quelle voci per i discorsi del Tamaroni, le parole agrodolci del signor commissario, tutto concorreva a far dimenticare per un tratto le cagioni, buone o cattive che fossero, del silenzio di Gino Malatesti. Il vecchio prete ci pensava allora, dopo le riflessioni di Pellegrino, e a quelle riflessioni ne aggiungeva altre di sue, poichè in tutto quel tempo che Pellegrino era stato a Modena o in viaggio, il conte Gino aveva continuato a non dar segno di vita. Le prime notizie che si avevano di lui, era bisognato andarle a raccattare in città, fra le chiacchiere di alcuni servitori, in una volgare osteria di fuori porta. Ed erano belle notizie davvero! Il conte Gino era a Bologna… alla vigilia di sposare una marchesina Baldovini, celebrata come la più bella ragazza di Modena.

Immaginate con che animo andasse quella sera il vecchio prete alla conversazione dei Guerri; come soffrisse, vedendo quella fanciulla calma e pensosa, che non levava quasi mai la faccia dal suo ricamo; come gli dolesse di dover custodire il segreto, davanti alla gravità malinconica del signor Francesco, che di tanto in tanto rivolgeva occhiate amorose ma tristi a sua figlia. Ah, davvero, quel maledetto segreto pesava sulla coscienza a lui, candido e schietto alpigiano, che non aveva dovuto portar mai altro fardello morale, fuor quello, reso oramai leggiero dalla consuetudine, dei peccati della parrocchia.

Due giorni dopo, il povero Don Pietro non ne poteva già più. A farlo apposta, gli capitò Pellegrino tra' piedi.

– Ebbene, reverendo, – gli aveva detto il famiglio, – non è ancora venuto niente?

– Niente, e tu lo sai meglio di me; – rispondeva Don Pietro. – Non sei tu che vai per le lettere a Fiumalbo?

– Eh, dicevo bene per questo! – esclamò Pellegrino.

– Niente, nientissimo! È un trattare, scusi il termine, da veri birbanti. E con quella faccia, che pareva l'angelo Gabriele!

– Senti, – disse Don Pietro, rabbruscandosi, – non mescolar gli angeli col fango della terra!

– Oh, scusi, sa! Dicevo così per dire.

– E dicevi male. Hai piuttosto ragione quando dubiti. Io, per tua norma, non reggo più a mantenere il segreto, e se credi, ne avverto il signor Francesco.

– Gliel'ho già detto, faccia Lei; – rispose Pellegrino. – Anche a me dispiace che i padroni vivano ingannati, credendo quel signorino uno stinco di santo.

– Pellegrino!

– Ah, scusi ancora, reverendo! Sempre così per dire, e quando si ha il vizio… —

Don Pietro non istette a sentirne altro, e tirò via, col suo breviario fra le dita, per il sentiero della montagna. A quell'ora il signor Francesco Guerri doveva essere alla serra, e il vecchio prevosto deliberò di fare una passeggiata alla serra.

– Che buon vento? – gli disse il signor Francesco, andandogli incontro, appena lo vide comparire alla svolta del sentiero.

– Vento di tramontana; – rispose Don Pietro, – E dura da due giorni, e non mi lascia aver pace.

– Siete più tenero di me! – disse il signor Francesco, tentennando la testa. – Io non ho pace da un pezzo, eppure sto zitto.

– Ma non sapete tutto quel che so io, e che in questi due giorni mi ha già dato noia per cento; – replicò Don Pietro. – Venite qua, signor Francesco, facciamo due passi e vi dirò tutto. Mi parrà minor peso, e lo porteremo in due. —

Qui il vecchio prevosto riferì all'amico Guerri tutto ciò che aveva saputo da Pellegrino.

– Il vostro famiglio, – soggiunse poi, – venne da ragazzo prudente a confidarsi con me. Non lo sgridate, se ha taciuto con altri, poichè io medesimo glielo avevo ordinato. Del resto, pensate che tutte queste cose le avrebbe dette al vostro Aminta, e che Aminta, giovane com'è, anche un pochino impetuoso, non si sarebbe facilmente contenuto.

– Sì, ha fatto bene a tacere; – rispose il signor Francesco. – Del resto, io ho altro per il capo, che di sgridare Pellegrino. Penso sempre a quella relazione, io! Quanto al signor contino, c'era da immaginarselo, che le sue smanie dovessero finire così. Mio caro signor prevosto, se io dovessi dirvi ciò che credo di queste alleanze, ce n'avrei per tutta la giornata. A non guardare che la cosa in sè stessa, ci sarebbe da esser contenti di questo matrimonio che si prepara laggiù. Imparentarmi con nobili, non è mai stato di genio mio, e vi assicuro che non lo avrei fatto di buona voglia. Ma non vorrei ora che quel signorino di Parigi mi avesse stregata la mia figliuola!

– Oh, per questo, poi, non c'è da temere! – disse Don Pietro. – Fiordispina è una savia ragazza. Può darsi che lo vedesse di buon occhio, ma penserà anche lei al vecchio proverbio: chi non ci vuole non ci merita.

– Volesse il cielo che ragionasse così! – replicò il vecchio Guerri. – Voi siete il suo confessore, Don Pietro; esplorate il suo animo, consigliatela voi.

– Non credo che sia opportuno di farlo per ora.

– E perchè? Meglio oggi che domani.

– Sì, capisco, e meglio domani che doman l'altro. Ma sarà poi tutto vero, quello che hanno raccontato a Pellegrino? Non ci sarà ancora tempo e modo di disfare ciò che si è incominciato? Mi sembra ancora così strano che il conte Gino abbia cambiato opinione, e peggio ancora sentimenti ed affetti, nello spazio di una settimana!

– Dite pure che vi manca l'animo; – osservò il vecchio Guerri.

– E sia; mi manca l'animo; – rispose Don Pietro. – Amo meglio confessarlo schietto, che girare intorno alle difficoltà, col pretesto di studiarle meglio. Povera fanciulla! Credo davvero che avesse posto il suo cuore in quel giovanotto. Ma chi non gli avrebbe creduto, al conte Malatesti? Io non avrei dubitato di confidargli ogni cosa più cara, ogni segreto più geloso.

– Incominciando dalle vostre opinioni politiche! – notò ancora il signor Francesco. – E infatti, con le vostre benedizioni, vedete dove si è giunti? Ad una inchiesta, che ci condurrà ad un processo.

– Oh, questo m'importa assai meno di tutto l'altro; – rispose il vecchio prete. – Andrei volentieri, per sei mesi in prigione, e magari per un anno, pur di sapere che il conte Gino ritorna alle Vaie, per fare la sua brava domanda. Del resto, amico mio, non credo più tanto al processo, nè ad altre noie consimili. I giorni passano, e niente si vede apparire. In fondo, io penso che abbiano cercato troppo, e che il poco che hanno trovato sembri loro più facilmente quello che è: voglio dire un bel nulla.

– Meglio così! – disse il Guerri. – Noi ci saremmo compromessi per un ragazzaccio, e la cosa non sarebbe stata da gente seria come noi. A me, veramente, ne importava tanto come a voi. Ma i miei figliuoli!.. Vedete? Io non vorrei che Aminta avesse da dimostrare il suo amore per la patria andando a marcire in prigione. Quando verrà l'occasione di romperla, come dicevamo nel Quarantotto, vada di là dal Po, prenda un fucile e rischi la sua vita come un altro. Ma in fortezza, e sotto il duca di Modena, no. Queste son belve, non uomini, e mandano volentieri per il boia. Se avessero la forza, farebbero essi da carnefice! —

Don Pietro non ardì risponder nulla a quel padre, che era crudelmente ferito in due affetti ad un tempo. Anch'egli, il buon prevosto delle Vaie, temeva assai più che non lasciasse vedere al suo vecchio amico; anch'egli incominciava a capire che con ragazzi non c'è da fidarsi. Un po' tardi, in verità; ma fino al dì della morte, c'è sempre tempo da imparare qualche cosa. Ora, egli aveva imparato questo: che gli uomini non si giudicano a prima vista, e guai a chi mette il suo cuore e la sua testa a repentaglio per loro, senza averli pesati, considerati per tutti i versi, e veduti anche alla prova.

Così passarono i giorni e le settimane. Di processi, di persecuzioni politiche, non si ebbe più nuova; e questo era bene. Ma per contro non si sapeva più nulla del conte Gino Malatesti. Di lui tutti tacevano, alle Vaie; e tutti guardavano Fiordispina. La fanciulla, che era sempre stata d'indole grave oltre l'età, non pareva punto mutata da quella di prima. Parlava poco, e solamente per rispondere alle domande altrui; leggeva alle sue ore, lavorava di cucito, di ricamo, secondo l'uso; suonava pochissimo, ma senza farsi pregare, quando suo padre le domandava di farlo. Attendeva con la solita cura alle faccende domestiche; più volentieri a queste, che ad ogni altra occupazione. Il lavoro materiale, si sa, è un grande conforto alle pene dello spirito, poichè spesso impedisce di pensare, ed è il pensiero quello che uccide. Ma che pensava, la fanciulla dei Guerri, quando pur le accadeva di pensare? Non era dato d'intenderlo, senza interrogarla. E poichè nessuno la interrogava, il cuore di Fiordispina custodiva il segreto delle sue afflizioni.

Così passarono le settimane, e passarono i mesi. Aspettava ella? Aspettava ancora qualcheduno? Certo, una promessa solenne le era stata fatta, e chi stima ha fede, e chi ha fede aspetta. Ma venne il giorno 4 di ottobre, onomastico del signor Francesco Guerri, e l'aspettato non venne. Quel dì, Fiordispina fu più triste del solito; ma quel dì, per la prima volta, si sforzò di sorridere a suo padre, i cui occhi la interrogavano, non osando interrogarla le labbra.

– Figlia mia! figlia mia! – mormorò il signor Francesco, stringendosela al seno.

– Ebbene, babbo, ebbene? – diss'ella, reprimendo un singhiozzo. – Questo giorno, che è sempre stato così lieto per tutti noi, ti commuove tanto? Ne vogliamo vedere con egual gioia altri cento.

– Saranno troppi, – rispose il vecchio Guerri, accettando volentieri la via di salvezza che Fiordispina gli offriva. – Me ne basterebbero venti. Ma capisco che per l'affetto de' miei figliuoli sarebbero pochi. Diciamo dunque cento, ed anche centomila.

– Siano tutti quelli che Dio vorrà; – soggiunse Don Pietro, associandosi volentieri a quelle chiacchiere vane, che dissimulavano tanto dolore. – Sempre uniti, nella calma dolcezza della vita di famiglia, che cosa si potrebbe desiderare di meglio? —

Il giorno onomastico del signor Francesco fu festeggiato senza l'ospite che tutti dovevano aspettare, poichè egli aveva giurato di non voler mancare, a cui tutti pensarono e che nessuno ardì nominare. Ma un altro ospite era venuto, e portava i saluti e gli augurii di un altro ramo della buona schiatta dei Guerri. Avrete già capito che quell'ospite era il cugino Ruggero.

«Sarebbe stato il mio vivo desiderio (diceva il padre di lui, nella lettera che gli aveva consegnato per il suo parente delle Vaie) che i nostri vincoli si restringessero maggiormente. Il mio Ruggero è giunto a quell'età in cui bisogna pensare ad accasarsi. Per dirvela in confidenza, abbiamo proposte vantaggiose per ogni rispetto, da Reggio e da Modena; ma, prima di risolvere qualche cosa, lasciatemi tentare un'ultima prova con voi.»

E seguitava su questo tono, nel modo e con gl'intenti che il lettore discreto immaginerà facilmente. Don Pietro avrebbe potuto dire che quella volta il Guerri del Reggiano veniva a mezza spada col Guerri del Modenese. Al signor Francesco parve una buona occasione per rompere il silenzio in cui si erano chiusi tutti da due mesi. E tratta a sè la figliuola, le parlò risoluto in questa forma:

– Vedi, Fiordispina? È tempo di pensare al futuro, di assicurare la tua sorte, di maritarti, insomma. L'ho detta, finalmente! Che io ti ami, lo sai; ma l'amore dei vecchi non deve essere egoistico, e questo debbo provartelo io.

– Padre mio! – esclamò la fanciulla.

– Sì, capisco; – riprese il vecchio Guerri; – la solita storia. Sto tanto bene così! Non mi mariterò mai!

– No, padre; – rispose Fiordispina. – Non voglio dir questo. Nella casa dove son nata non ho avuto che esempi di sincerità, e non sarò io che darò il primo esempio d'ipocrisia. Ti dirò invece schiettamente: sono una fidanzata che aspetta. —

Il signor Francesco fu colpito da quelle semplici e risolute parole.

– Fidanzata! – diss'egli. – Senza di me?

– Oh, non senza di te; – replicò la fanciulla. – Sii buono, babbo, come sei sempre stato con tua figlia. Non hai tu approvata la mia scelta? Se io non ti avessi letto nell'anima, avrei io osato di prendere questo impegno… con me stessa? —

Il vecchio stette un poco sopra di sè, non potendo negare, e non sapendo che rispondere. In verità, non gli restava da far altro che pigliarsela con se medesimo.

– Ah, sciocco, tre volte sciocco! – gridò. – E sono stato io che ho approvato! Ben mi sta, quello che è poi avvenuto. Lo vedi che fa il tuo fidanzato? Aveva premesso di ritornare, per questo gran giorno, alle Vaie. Ma noi lo abbiamo aspettato invano, se pure è da credere che lo abbiamo aspettato.

– Io l'ho aspettato; – rispose Fiordispina.

– Ebbene?.. non è venuto. E che pensi di lui!

– Che non avrà potuto.

– Ma almeno poteva farsi vivo con una lettera. Ha egli mai scritto, dal giorno che è partito da noi?

– Avrà scritto; replicò Fiordispina; – e più d'una volta avrà scritto.

– E allora?

– Allora, padre mio, le lettere si saranno smarrite per via.

– Tutte?

– Tutte, sicuramente: la seconda nello stesso modo e per le stesse ragioni della prima; la terza come la seconda, e così via. Io ho sognato, padre mio, che le lettere del conte Gino, erano state intercettate all'ufficio postale di Modena. Ho sognato ancora che egli, non vedendo risposta alla prima nè alla seconda sua lettera, sospettò di una sottrazione, e provò a mandar le sue lettere per altra via; ma si fidò di un servo, e quel servo lo tradiva.

– Una gran fede… nei sogni! – esclamò il vecchio Guerri.

– E nella voce del mio cuore, – ribattè la fanciulla. – Abbiamo stimato il conte Gino Malatesti, te ne rammenti? Lo abbiamo stimato come un perfetto cavaliere. Perchè lo giudicheremmo diverso, senza aver prove de' suoi torti? Perchè lo disprezzeremmo su mere apparenze? —

Il signor Francesco ammirò la costanza della sua figliuola, ma vide in pari tempo la necessità di scuoterla, di distruggere quella fede. Infine, un giorno o l'altro doveva saperla anche lei, la dolorosa verità. Non era meglio che la sapesse da lui, e subito, poichè l'occasione era venuta?

– Senti: – incominciò egli allora; – se io ti dicessi che il conte Gino ci ha dimenticati, e che…

– E che? Non ti fermare, padre mio! – gridò Fiordispina. – Continua!

– E che doveva anzi sposare un'altra donna? – ripigliò il vecchio Guerri. – Che a quest'ora l'avrà sposata, e che può essere già andato a fare il suo viaggio di nozze?.. —

Fiordispina impallidì e vacillò. Quel povero padre, intimorito, si cacciò avanti per sostenerla. Ma era stato un turbamento momentaneo, e la fanciulla già riprendeva padronanza di sè.

– No, non temere, – diss'ella, vedendo l'atto di suo padre. – Son forte, vedi, e posso ascoltare ogni più triste nuova. Come hai tu avuto questa? Da chi? —

Il signor Francesco narrò allora tutto ciò che aveva riferito Pellegrino, ritornando da Modena. Erano vecchie notizie, oramai; nè altro aveva egli cercato di sapere.

– Mi permetti di non credere? – disse Fiordispina. – Oh, perdonami, babbo! Non a te, sai? non a te, ma alle ciarle volgari che Pellegrino ha raccattate per via. Quanta gente onesta non è stata mal giudicata, ed anche condannata, per le ciarle del volgo? Non credo a queste; non credo; – ripetè la fanciulla; – non voglio credere. Sarebbe una cosa infame! Il conte Gino Malatesti non è capace di una slealtà come questa.

– Avremo nuovi ragguagli, e ti persuaderanno; – rispose il vecchio.

– No, padre, no, non cercar nulla. Aspettiamo. Io aspetto; – disse la fanciulla, con calma risolutezza di accento. – Ti dispiace tanto che la tua figliuola invecchi nella casa dove è nata? La casa non fa paura a me; mal per male, è questo il minore, ed avrà le sue consolazioni nell'amore di tutti voi. Dicono che le vecchie zitelle son cattive e noiose. Anche questa è una delle menzogne che tanti ripetono, pensando di essere molto arguti, e che tutti gli altri credono, per risparmiare la noia di osservare essi medesimi la verità delle cose. In che la mia buona zia Angelica, rimasta a governare la casa, è meno graziosa meno amorevole di un'altra donna? della zia Olimpia, per esempio? Ed anche la zia Angelica, la mia seconda madre, avrà bisogno di chi l'aiuti un giorno e la liberi da una parte di cure. Poi, senti, babbo; mi viene in mente che noi non somigliamo a tanti altri, e questo pensiero, in un giorno di afflizione, ha pure la sua importanza e la sua gloria. Iddio ci ha fatti sani e forti, perchè potessimo anche soffrire più nobilmente degli altri. Quante volte non l'ho io udito da te? I Guerri sono come il vecchio Cimone, alle cui falde han messo radice. I venti e le nevi lo flagellano, le pioggie e i soli alterni fanno prova di sgretolarlo, i fulmini lo segnano dei loro solchi profondi, ed egli è sempre là, da migliaia d'anni, immutato e immutabile. —

Il vecchio Guerri asciugò una lagrima, e strinse al seno la sua forte figliuola.

– Che dirò io a tuo cugino? – chiese egli poscia. – Una bugia pietosa?

– No, padre, la verità; – rispose Fiordispina. – La verità, quando si può dirla, ha un accento che persuade, e piace per la sua semplicità anche quando non ci è grato di udirla. Infine, essa non offende nessuno, e il nostro cugino Ruggero non potrà ritenersi offeso da noi, quando tu gli avrai detto sinceramente che io ero… che sono ancora fidanzata ad un altro. Se il conte Gino Malatesti ha da ritornare, la mia fede è impegnata con lui. Se non ritornerà… – conchiuse la fanciulla, vincendo a fatica la sua commozione, – Ruggero Guerri, nostro parente, non deve accettar egli i rifiuti di nessuno.

– È la tua ultima parola?

– Sì, padre mio, l'ultima.

– Mi farai morir di crepacuore, o di rabbia; – brontolò il vecchio Guerri.

– No, padre, non mi dir questo! Sarei capace di andarti dinanzi, sai? Mi ucciderebbe lo spavento. Promettimi di esser calmo e di vivere per i tuoi figli, che t'amano tanto! Son forte io, donna, e non lo sarai tu, uomo, provato a tutti gli affanni della vita? Non voglio che si pianga per me, in questa casa. Infine, tu lo vedi, non piango io.

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12+
Veröffentlichungsdatum auf Litres:
25 Juni 2017
Umfang:
440 S. 1 Illustration
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