Buch lesen: «Un Compito Di Valore »
un compito di valore
(libro #6 in l’anello dello stregone)
Morgan Rice
EDIZIONE ITALIANA
A CURA DI
ANNALISA LOVAT
Chi è Morgan Rice
Morgan Rice è l’autrice campione d’incassi di APPUNTI DI UN VAMPIRO, una serie per ragazzi che comprende al momento undici libri; autrice campione d’incassi di THE SURVIVAL TRILOGY, un thriller post-apocalittico che comprende al momento due libri; e autrice campione d’incassi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende al momento tredici libri.
I libri di Morgan sono disponibili in edizione stampata e in formato audio e sono stati tradotti in tedesco, francese, italiano, spagnolo, portoghese, giapponese, cinese, svedese, olandese, turco, ungherese, ceco e slovacco (prossimamente ulteriori lingue).
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Cosa dicono di Morgan Rice
“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”
–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos
“Rice fa un bel lavoro nel trascinarvi nella storia fin dall’inizio, utilizzando una grande qualità descrittiva che trascende la mera colorazione d’ambiente… Ben scritto ed estremamente veloce da leggere…”
--Black Lagoon Reviews (parlando di Tramutata)
“Una storia perfetta per giovani lettori. Morgan Rice ha fatto un lavoro eccellente creando un intreccio interessante …Rinvigorente e unico. La serie si concentra su una ragazza… una ragazza straordinaria!… Di facile lettura, ma estremamente veloce e incalzante… Classificato PG.”
–-The Romance Reviews (parlando di Tramutata)
“Mi ha preso fin dall’inizio e non ho più potuto smettere…. Questa storia è un’avventura sorprendente, incalzante e piena d’azione fin dalle prime pagine. Non esistono momenti morti.”
–-Paranormal Romance Guild {parlando di Tramutata }
“Pieno zeppo di azione, intreccio, avventura e suspense. Mettete le vostre mani su questo libro e preparatevi a continuare a innamorarvi”
–-vampirebooksite.com (parlando di Tramutata)
“Un grande intreccio: questo è proprio il genere di libro che farete fatica a mettere giù la sera. Il finale lascia con il fiato sospeso ed è così spettacolare che vorrete immediatamente acquistare il prossimo libro, almeno per sapere cosa succede in seguito.”
–-The Dallas Examiner {parlando di Amata}
“È un libro che può competere con TWILIGHT e DIARI DI UN VAMPIRO, uno di quelli che vi vedrà desiderosi di continuare a leggere fino all’ultima pagina! Se siete tipi da avventura, amore e vampiri, questo è il libro che fa per voi!”
–-Vampirebooksite.com {parlando di Tramutata}
“Morgan Rice dà nuovamente prova di essere una narratrice di talento… Questo libro affascinerà una vasta gamma di lettori, compresi i più giovani fan del genere vampiresco/fantasy. Il finale mozzafiato vi lascerà a bocca aperta.”
–-The Romance Reviews {parlando di Amata}
Libri di Morgan Rice
L’ANELLO DELLO STREGONE
UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)
LA MARCIA DEI RE (Libro #2)
DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)
GRIDO D’ONORE (Libro #4)
VOTO DI GLORIA (Libro #5)
UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)
RITO DI SPADE (Libro #7)
CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)
UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)
UN MARE DI SCUDI (Libro #10)
UN REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)
LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)
LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)
GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)
THE SURVIVAL TRILOGY
ARENA ONE: SLAVERSUNNERS (Libro #1)
ARENA TWO (Libro #2)
APPUNTI DI UN VAMPIRO
TRAMUTATA (Libro #1)
AMATA (Libro #2)
TRADITA (Libro #3)
DESTINATA (Libro #4)
DESIDERATA (Libro #5)
BETROTHED (Libro #6)
VOWED (Libro #7)
FOUND (Libro #8)
RESURRECTED (Libro #9)
CRAVED (Libro #10)
FATED (Libro #11)
Ascoltate la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in formato audio-libro!
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Copyright © 2013 by Morgan Rice
All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.
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This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.
Jacket image Copyright Sergii Votit, used under license from Shutterstock.com.
“Soltanto i vili muoion molte volte prima della lor morte; il valoroso solo una volta assapora la morte.”
--William ShakespeareGiulio Cesare
CAPITOLO UNO
Gwendolyn giaceva a faccia in giù nell’erba e sentiva la fredda brezza invernale che le pungeva la pelle nuda. Quando aprì gli occhi, lentamente e vagamente il mondo tornò a ridipingersi davanti a lei. Era stata in qualche luogo lontano, in un prato illuminato dal sole, pieno di fiori, con Thor e suo padre accanto a lei, e tutti avevano riso felici.
Ma ora, mentre apriva a fatica gli occhi, il mondo che le si presentò davanti non avrebbe potuto essere più diverso. Il terreno era duro, freddo, e accanto a lei, a rimettersi lentamente in piedi, non c’era suo padre e nemmeno Thor, ma un mostro: McCloud. Una volta che ebbe finito con lei si alzò lentamente, si allacciò i pantaloni e la guardò con sguardo soddisfatto.
Di colpo le tornò tutto alla mente. La sua resa ad Andronico. Il tradimento di lui. L’aggressione da parte di McCloud. Le guance le avvamparono arrossendo quando si rese conto di quanto ingenua era stata.
Ora era stesa lì, tutto il corpo dolorante, il cuore spezzato e il desiderio, più intenso che mai, di morire.
Gwendolyn aprì di più gli occhi e vide l’esercito di Andronico, gruppi di soldati, tutti intenti a guardare la scena, e la sua vergogna crebbe. Non avrebbe mai dovuto arrendersi a una tale creatura: avrebbe voluto, invece, aver continuato a combattere. Avrebbe dovuto ascoltare Kendrick e gli altri. Andronico aveva giocato con il suo istinto di sacrificio e lei ci era cascata. Avrebbe voluto essersi scontrata con lui in battaglia: anche se fosse morta, almeno sarebbe caduta con dignità e onore ancora intatti.
Gwen sapeva con certezza, per la prima volta nella sua vita, che stava per morire. Ma in qualche modo non era quello che le importava. Non le importava più di morire, le interessava morire a modo suo, e certo non era pronta per farlo ora.
Mentre giaceva lì, a faccia in giù, afferrò furtivamente un pugno di terra con una mano.
“Ora puoi alzarti, donna,” le ordinò in modo burbero McCloud. “Ho finito con te. Ora tocca agli altri.”
Gwen strinse la terra con tale forza che le nocche le divennero bianche e pregò che il suo piano funzionasse.
Con un gesto fulmineo si voltò e lanciò la terra negli occhi di McCloud.
Lui non se l’era aspettato, quindi inciampò indietro gridando, sollevando le mani per strofinarsi gli occhi e liberarli dalla terra.
Gwen prese vantaggio dal momento. Essendo cresciuta al castello del re, era stata allenata dai guerrieri di corte che le avevano sempre insegnato di attaccare una seconda volta, prima che il nemico avesse il tempo di riprendersi. Le avevano anche insegnato una lezione che non si era mai dimenticata: che avesse un’arma o meno, era sempre armata. Poteva sempre usare l’arma del nemico.
Gwen allungò una mano, afferrò il pugnale dalla cintura di McCloud, lo sollevò in aria e glielo conficcò tra le gambe.
McCloud gridò ancora più forte, togliendosi le mani dagli occhi e afferrandosi l’inguine. Il sangue gli scorreva lungo le gambe, mentre lui, ansimando, estraeva il pugnale.
Era elettrizzata per aver mandato a segno il colpo e per essersi presa almeno quella piccola vendetta. Ma con sua sorpresa la ferita, che avrebbe atterrato chiunque, non lo rallentò. Quel mostro era inarrestabile. Lo aveva ferito gravemente, proprio dove si meritava, ma non lo aveva ucciso. Non lo aveva neanche fatto inginocchiare.
McCloud invece estrasse il pugnale, gocciolante di sangue, e le rivolse uno sguardo colmo di morte. Iniziò a portarsi verso di lei, stringendo il pugnale con mani tremanti, e Gwen capì che era giunta la sua ora. Almeno sarebbe morta con una piccola soddisfazione.
“Ora ti strappo il cuore e te lo faccio mangiare,” le disse. “Preparati a imparare cosa significhi il vero dolore.”
Gwendolyn si preparò a sentire il pugnale affondare, portandola a una morte dolorosa.
Si udì risuonare un urlo e, dopo un momento di shock, Gwendolyn constatò con sorpresa che non era stata lei a gridare, ma McCloud: stava strillando di agonia.
Gwen abbassò le mani a guardò confusa. McCloud aveva lasciato cadere il pugnale. Strizzò gli occhi diverse volte cercando di capire ciò che aveva davanti.
Da un occhio di McCloud spuntava una freccia e lui gridava portando le mani alla freccia per strapparla, mentre il sangue colava dall’orbita. Gwen non riusciva a capire. Era stato colpito. Ma come? E da chi?
Si voltò verso la direzione dalla quale la freccia era provenuta e con sollievo vide Steffen, lì con l’arco in mano, nascosto tra un gruppo di soldati. Prima che chiunque altro potesse capire cosa stava accadendo, Steffen scoccò altre sei frecce e uno alla volta i sei soldati che stavano accanto a McCloud caddero, colpiti alla gola.
Steffen si preparò a lanciarne di più, ma alla fine fu notato e un consistente gruppo di soldati gli balzò addosso, fermandolo e puntellandolo al suolo.
McCloud, sempre gridando, si voltò e corse tra la folla. Incredibilmente non era ancora morto. Gwen sperava che morisse dissanguato.
Il suo cuore era colmo di gratitudine per Steffen. Sapeva che sarebbe morta per mano di qualcun altro quel giorno, ma almeno non sarebbe stato McCloud a ucciderla.
I soldati fecero silenzio mentre Andronico si alzava e si avvicinava lentamente a Gwendolyn. Lei rimase a terra guardandolo: era incredibilmente alto, una specie di montagna che si muoveva verso di lei. I soldati si inchinavano al suo passaggio, il campo di battaglia in totale silenzio. L’unico rumore era quello del vento.
Andronico si fermò a qualche passo da lei e la guardò senza alcuna espressione in volto. Si portò una mano al collo e toccò le teste mozzate appese alla sua collana e uno strano suono si levò dal suo petto e dalla gola, come le fusa di un felino. Sembrava essere allo stesso tempo arrabbiato e compiaciuto.
“Hai sfidato il grande Andronico,” le disse lentamente, mentre tutti ascoltavano con estrema attenzione ogni singola parola, quella voce antica e profonda che risuonò con autorità e riecheggiò in tutta la campagna. “Sarebbe stato più facile se ti fossi sottomessa alla tua punizione. Ora dovrai imparare cosa significa il vero dolore.”
Andronico sguainò la spada più lunga che Gwen avesse mai visto. Doveva essere lunga più di due metri e il suo tintinnio riverberò nel campo di battaglia. Lui la tenne in alto, ruotandola nella luce, e il riflesso era talmente intenso da accecarla. La esaminò rigirandosela tra le mani, come se la vedesse per la prima volta.
“Sei una donna di nobili natali,” le disse. “È cosa appropriata che tu muoia per mezzo di una nobile spada.”
Andronico fece due passi in avanti, strinse l’elsa con entrambe le mani e sollevò la spada ancora più in alto.
Gwendolyn chiuse gli occhi. Udì il fischio del vento, il movimento di ogni filo d’erba e nella mente le lampeggiarono immagini fugaci e disordinate della sua vita. Percepì la completezza della sua vita, ogni cosa fatta, ogni cosa amata. Nei suoi ultimi pensieri pensò a Thor. Si portò le mani al collo e afferrò l’amuleto che le aveva regalato e lo tenne stretto in pugno. Sentiva il caldo potere che emanava: questo amuleto può salvarti la vita. Una volta.
Tenne la pietra più stretta, tanto che le si conficcò nel palmo, e pregò Dio con tutta se stessa.
Ti prego, Dio, fa’ che questo amuleto funzioni. Per favore, salvami, solo questa volta. Lasciami vedere Thor un’altra volta.
Gwendolyn riaprì gli occhi, aspettandosi di vedere la spada di Andronico scendere su di lei, invece ciò che vide la lasciò di stucco. Andronico era lì in piedi, immobile, e guardava oltre le sue spalle come se vedesse qualcuno che si stava avvicinando. Sembrava sbalordito, quasi confuso, e non era un’espressione che si sarebbe mai aspettata di vedergli stampata in volto.
“Ora abbassa la tua arma,” tuonò una voce alle spalle di Gwendolyn.
Gwen gioì al suono di quella voce. Era una voce che conosceva. Si voltò e fu scioccata di vedere una persona che conosceva tanto bene quanto suo padre.
Argon.
Era lì, con la sua veste bianca con il cappuccio, gli occhi scintillanti e intensi più che mai fissi su Andronico. Lei e Steffen giacevano a terra tra i due titani. Erano due creature dalla forza incredibile, una oscura e l’altra di luce, e ora erano uno di fronte all’altro. Poteva addirittura percepire la lotta spirituale che stava infuriando sopra la sua testa.
“Dovrei davvero?” lo derise Andronico, sorridendo.
Ma nel suo sorriso Gwen scorse le labbra che tremavano e poté vedere, per la prima volta, un barlume di paura nei suoi occhi. Non avrebbe mai pensato di poterla scorgere. Andronico doveva conoscere Argon. E qualsiasi cosa sapesse, era sufficiente per fare paura all’uomo più potente del mondo.
“Non farai altro male alla ragazza,” disse con calma Argon. “Accetterai la sua resa,” disse, facendo un passo in avanti, gli occhi brillanti e ipnotici. “Le permetterai di ritirarsi tra la sua gente. E permetterai al suo popolo di arrendersi, se lo sceglieranno. Ho intenzione di dirtelo una sola volta. Saresti saggio ad accettare.”
Andronico fissò Argon e sbatté le palpebre diverse volte, come se fosse indeciso.
Poi gettò la testa indietro e rise di gusto. Era la risata più sonora e tetra che Gwen avesse mai sentito. Il suono riempì il campo e sembrò raggiungere il cielo.
“I tuoi trucchetti da stregone non funzionano su di me, vecchio,” disse Andronico. “So del grande Argon. C’è stato un tempo in cui sei stato potente. Più potente di uomini, draghi, del cielo stesso, o così almeno si dice. Ma il tuo tempo è passato. Ora è un’era nuova. Ora è il tempo del grande Andronico. Ora non sei che un relitto, il rimasuglio di qualche altra era, di quando i MacGil governavano, di quando la magia era forte. Di quando l’Anello era imbattibile. Ma il tuo fato è legato all’Anello. E ora l’Anello è debole. Come te.
“Sei un pazzo ad affrontarmi, vecchio. Ora soffrirai. Ora imparerai la forza del grande Andronico.”
Andronico fece una smorfia e sollevò di nuovo la spada sopra Gwendolyn, questa volta con gli occhi fissi su Argon.
“Ucciderò questa ragazza lentamente, davanti ai tuoi occhi,” disse. “Poi ucciderò il gobbo. Poi ho intenzione di menomare te, ma lasciarti vivere come simbolo del mio potere e della mia grandezza.”
Gwendolyn si tenne stretta e tremò mentre Andronico calava la spada verso la sua testa.
Improvvisamente accadde qualcosa. Udì un suono fendere l’aria, come di migliaia di fuochi, e poi il grido di Andronico.
Aprì gli occhi incredula nel vedere il volto di Andronico contorto nel dolore. Lasciò cadere la spada e si inginocchiò a terra. Poi vide Argon che faceva un passo avanti, poi un altro, tenendo sollevata una sola mano dalla quale irradiava una palla viola chiaro. La palla divenne sempre più grande e avvolse Andronico mentre Argon continuava a camminare in avanti, imperturbato, avvicinandosi sempre di più.
Andronico si rannicchiò a terra, completamente avvolto dalla luce.
Dai suoi uomini si levò un sussulto, ma nessuno osò avvicinarsi. O erano spaventati, o Argon aveva scagliato su di loro una qualche sorta di incantesimo per renderli impotenti.
“FALLO SMETTERE!” gridò Andronico portandosi le mani alle orecchie. “TI PREGO!”
“Non farai altro male alla ragazza,” disse Argon lentamente.
“Non farò altro male alla ragazza!” ripeté Andronico, come in trance.
“La libererai ora e le permetterai di tornare dalla sua gente.”
“La libererò ora e le permetterò di tornare dalla sua gente!”
“Concederai al suo popolo la possibilità di arrendersi.”
“Concederò al suo popolo la possibilità di arrendersi!” gridò Andronico. “Per favore! Farò qualsiasi cosa!”
Argon fece un respiro profondo, poi si fermò. La luce scomparve dalla sua mano e lui abbassò lentamente il braccio.
Gwen lo guardò scioccata: non lo aveva mai visto in azione e faceva fatica a capire l’entità del suo potere. Era come vedere i cieli che si aprivano.
“Se dovremo incontrarci ancora, grande Andronico,” disse Argon lentamente, guardandolo a terra tremante, “sarà lungo il tuo tragitto verso gli oscuri regni della morte.”
CAPITOLO DUE
Thor lottava con tutte le sue forze, trattenuto saldamente dai soldati dell’Impero, e guardava impotente mentre Durs, un uomo che una volta aveva creduto essere suo fratello, levava la spada per ucciderlo.
Serrò gli occhi e si preparò, sapendo che era giunta la sua ora. Se la prese con se stesso per essere stato così stupido, per essersi fidato a tal punto. Lo avevano ingannato fin dall’inizio, un agnello condotto verso il macello. Ancora peggio: in quanto capo della spedizione, gli altri avevano guardato a lui come a una guida. Non aveva portato alla morte solo se stesso, ma anche tutti gli altri. La sua ingenuità, la sua natura fiduciosa, li aveva messi tutti in pericolo.
Mentre si dimenava cercava con tutto se stesso di raccogliere i propri poteri, di richiamarli da qualche parte dentro di sé; giusto un briciolo di energia per potersi liberare e reagire.
Eppure, per quanto provasse, non accadeva nulla. La sua forza personale da sola non era sufficiente per liberarsi da tutti i soldati che lo tenevano stretto.
Thor sentiva il vento carezzargli la faccia mentre Durs abbassava la spada e si preparò per l’imminente impatto con la lama d’acciaio. Non era pronto a morire. Nella sua mente vide Gwendolyn, nell’Anello, che lo aspettava. Sentiva di aver fatto del male anche a lei.
Improvvisamente udì un rumore di carne che sbatteva contro altra carne, e quando aprì gli occhi con sua grande sorpresa vide che era ancora vivo. Il braccio di Durs era fermo in aria, il polso bloccato dall’enorme mano di un soldato dell’Impero, ben più alto di lui (cosa non così comune, data la stazza di Durs). Il soldato aveva afferrato il braccio di Durs appena a pochi centimetri dall’andare a segno.
Durs si voltò verso l’uomo, sorpreso.
“Il nostro capo non li vuole morti,” mormorò il soldato con voce greve. “Li vuole vivi. Come prigionieri.”
“Nessuno ce l’ha detto,” protestò Durs.
“Il patto era che li avremmo uccisi!” aggiunse Dross.
“I termini del patto sono cambiati,” rispose il soldato.
“Non potete farlo!” gridò Drake.
“Davvero?” gli rispose con tono severo, voltandosi verso di lui. “Possiamo fare tutto quello che vogliamo. In effetti, ora anche voi siete nostri prigionieri.” Il soldato sorrise. “Più membri della Legione abbiamo per il riscatto, meglio è.”
Durs guardò il soldato e il volto gli si adombrò per l’indignazione. Un attimo dopo scoppiò il caos e i tre fratelli vennero aggrediti da decine di soldati dell’Impero che li bloccarono a terra e legarono loro i polsi.
Thor prese vantaggio dalla baraonda e si voltò alla ricerca di Krohn, che scorse a pochi passi da loro, in agguato nell’ombra, lealmente sempre al suo fianco.
“Krohn, aiutami!” gridò Thor. “ORA!”
Krohn balzò in azione con un ruggito, volando in aria e affondando le zanne nella gola di un soldato dell’Impero che teneva un polso di Thor. Thor riuscì a divincolarsi e Krohn saltò da un soldato all’altro, mordendoli e graffiandoli fino a che Thor fu in grado di liberarsi del tutto e afferrare la sua spada. Thor poi ruotò su se stesso e con un solo colpo tagliò tre teste.
Poi corse da Reece, il più vicino, e pugnalò al cuore l’uomo che lo teneva, liberando l’amico e permettendogli di sguainare la sua spada e unirsi al combattimento. I due si allargarono a ventaglio e corsero verso gli altri compagni della Legione, attaccando i soldati e liberando quindi Elden, O’Connor, Conval e Conven.
Gli altri soldati erano occupati nel tener fermi Drake, Durs e Dross e quando si voltarono e si resero conto di cosa stava accadendo era ormai troppo tardi. Thor, Reece, O’Connor, Elden e i gemelli erano liberi, tutti con le loro armi alla mano. Erano ancora in netta inferiorità numerica e Thor sapeva che la lotta non sarebbe stata facile. Ma almeno ora avevano la possibilità di combattere. Imperterriti, si lanciarono con convinzione contro il nemico.
I circa cento soldati dell’Impero attaccarono e Thor udì uno stridio provenire da sopra la sua testa: sollevando lo sguardo vide Estofele. Il falco scese in picchiata e artigliò gli occhi del soldato principale dell’Impero, che cadde al suolo dimenandosi. Estofele poi colpì diversi altri soldati, atterrandoli uno alla volta.
Mentre attaccavano, Thor mise un sasso nella sua fionda e tirò, colpendo un soldato alla tempia e mandandolo a terra prima che potesse raggiungerli. O’Connor riuscì a tirare due frecce, che andarono a segno con precisione letale. Elden scagliò una lancia, trafiggendo due soldati che caddero ai loro piedi. Era un buon inizio, ma rimanevano sempre un centinaio di soldati da uccidere.
Si scontrarono al centro con un forte grido di guerra. Come gli era stato insegnato, Thor si concentrò su un soldato in particolare, scegliendo quello più grosso e malvagio che potesse trovare, sollevando in aria la propria spada. Si levò un forte clangore metallico. La spada di Thor fu bloccata dallo scudo dell’uomo, che subito gli calò un martello contro la testa.
Thor si fece da parte e il martello andò a conficcarsi nel terreno. Thor prese poi il pugnale che aveva alla cintura e pugnalò l’avversario, che collassò a terra morto.
Thor sollevò lo scudo giusto in tempo per fermare i colpi di spada di altri due aggressori, poi tirò con la sua uccidendone uno. Stava per far roteare la spada contro l’altro quando vide con la coda dell’occhio che una spada stava calando verso di lui alle sue spalle: dovette ruotare su se stesso e bloccarla con il suo scudo.
Ora lo stavano attaccando da tutti i lati, era in netto svantaggio e tutto quello che riusciva a fare era evitare che i colpi gli piovessero addosso. Non aveva né tempo né energia per contrattaccare, ma solo per difendersi. E intanto arrivavano sempre più soldati.
Thor guardò oltre e vide i suoi fratelli della Legione nella stessa difficile situazione: ciascuno di loro era riuscito a uccidere uno o due soldati, ma pagavano il prezzo di essere in minoranza venendo attaccati e superficialmente feriti da ogni parte. Si poteva dire che stavano perdendo terreno, anche se Krohn continuava a saltare e attaccare, e addirittura con Indra che aiutava raccogliendo rocce e scagliandole contro il gruppo di soldati. Sarebbe stata solo una questione di tempo perché venissero circondati e finiti.
“Liberateci!” giunse una voce.
Thor si voltò e vide Drake, legato da funi insieme ai suoi fratelli, a pochi passi da loro.
“Liberateci!” ripeté Drake, “e vi aiuteremo a sconfiggerli! Combattiamo per la stessa causa!”
Alzando lo scudo per bloccare l’ennesimo colpo, questa volta da un’ascia da guerra, Thor si rese conto che altre tre coppie di mani sarebbero state di grande aiuto. Senza di loro non avevano chiaramente alcuna possibilità di sconfiggere tutti quei soldati. Thor non sentiva di potersi più fidare dei tre fratelli, ma giunto a quel punto, pensava anche che non ci sarebbe stato nulla da perdere nel tentare. Dopotutto anche loro tre erano motivati a combattere.
Thor bloccò un altro colpo di spade, poi cadde in ginocchio e rotolò a terra, tra la folla, per diversi metri, fino a raggiungere i tre fratelli. Balzò in piedi e tagliò le funi una alla volta, proteggendoli dai colpi mentre ciascuno di loro sguainava la propria spada e si lanciava nella mischia.
Drake, Dross e Durs si buttarono nel fitto gruppo di soldati dell’Impero e attaccarono, fendendo, spingendo, colpendo. Erano tutti robusti e abili e colsero i soldati dell’Impero alla sprovvista, uccidendone subito diversi e ribaltando le sorti dello scontro. Thor provava sentimenti contrastanti riguardo all’averli liberati, soprattutto dopo quello che avevano fatto, ma date le circostanze, sembrò essere la scelta più saggia. Meglio questo piuttosto che morire.
Ora erano in nove contro la restante ottantina di soldati. Le probabilità erano ancora terribilmente scarse per loro, ma sempre meglio di prima.
I ragazzi della Legione fecero affidamento sulle loro esercitazioni, sull’addestramento ricevuto durante il Cento, le innumerevoli volte che erano stati allenati a combattere circondati e in minoranza. Fecero come Kolk e Brom avevano insegnato loro: ripiegarono e formarono un cerchio serrato, schiena contro schiena, affrontando il violento Impero come un tutt’uno. Si sentivano incoraggiati dall’arrivo dei tre guerrieri in più, e tutti ebbero un secondo slancio, combattendo con maggior vigore di prima.
Conval prese il suo mazzafrusto e lo fece roteare, colpendo ripetutamente il nemico e riuscendo ad annientare tre soldati dell’Impero prima che la catena gli venisse strappata di mano. Suo fratello Conven usò una normale mazza, mirando basso e colpendo le gambe dei soldati con la palla di ferro chiodata. O’Connor non poteva usare il suo arco a così breve distanza, ma riuscì a prendere due pugnali da lancio dalla cintura e a tirarli nel gruppo, uccidendo altrettanti soldati. Elden fece roteare con ferocia il suo martello da guerra, scagliando colpi tutt’attorno a sé. E Thor e Reece pararono e colpirono espertamente con le loro spade. Per un momento Thor si sentì ottimista.
Poi, con la coda dell’occhio, scorse qualcosa che lo disturbò. Scorse uno dei tre fratelli che si girava e si metteva a correre attraverso il cerchio della Legione: era Durs. Si stava per avventare non contro un soldato dell’Impero, ma contro di lui. Contro Thor. Mirando proprio alla sua schiena.
Accadde molto velocemente e Thor, impegnato contro i due soldati dell’Impero che aveva davanti, non poté voltarsi in tempo.
Sapeva che stava per morire, pugnalato alla schiena da un ragazzo che una volta aveva pensato fosse suo fratello, da un ragazzo di cui si era fidato, ingenuamente, ben due volte.
Improvvisamente Conval apparve di fronte a Thor per proteggerlo.
E quando Durs abbassò la spada contro al schiena di Thor, andò a colpire invece il petto di Conval.
Thor si girò e gridò: “CONVAL!”
Conval rimase lì, immobile, gli occhi aperti in uno sguardo di morte, guardando la spada che si era conficcata nel suo cuore e il sangue che gli colava lungo il corpo.
Durs rimase lì a guardare con uguale sorpresa.
Conval cadde sulle ginocchia, mentre il sangue sgorgava copioso dal suo petto. Thor guardava, come se tutto accadesse al rallentatore, mentre Conval, un caro compagno della Legione, un ragazzo che aveva amato come un vero fratello, cadeva a faccia in giù nella terra, morto. E tutto per salvargli la vita.
Durs stava sopra di lui e lo fissava, apparentemente scioccato per ciò che aveva appena fatto.
Thor si lanciò in avanti per uccidere Durs, ma Conven lo batté sul tempo. Il gemello di Conval corse in avanti e fece roteare la spada decapitando Durs, il cui corpo floscio cadde molle a terra.
Thor si sentiva svuotato, distrutto dal senso di colpa. Aveva fatto un altro errore di giudizio. Se non avesse liberato Durs, probabilmente Conval sarebbe stato vivo.
Con le schiene esposte all’Impero, i soldati nemici ebbero un’opportunità. Balzarono tutti nel cerchio aperto e Thor si sentì colpire una scapola da un martello da guerra e la forza del colpo lo mandò a terra.
Prima che riuscisse a rialzarsi, diversi soldati gli balzarono addosso: sentì i loro piedi sulla schiena e sentì un soldato che lo afferrava per i capelli e si chinava su di lui con un pugnale.
“Puoi dire addio, giovanotto,” disse il soldato.
Thor chiuse gli occhi e, appena lo fece, si sentì trasportato in un altro mondo.
Ti prego Dio, disse parlando tra sé e sé. Permettimi di sopravvivere oggi. Dammi solo la forza di uccidere questi soldati. Di morire un altro giorno, in qualche altro posto, con onore. Di vivere abbastanza da vendicare queste morti. Di vedere Gwendolyn un’ultima volta.
Mentre giaceva lì e guardava il pugnale che scendeva verso di lui, sentì che il tempo rallentava fino quasi a fermarsi. Sentì un’improvvisa ondata di calore risalirgli lungo le gambe, il busto e le braccia, fino alle mani, alle punte delle dita: un formicolio così intenso da non poter neanche chiudere le mani. Quell’incredibile ondata di calore ed energia era pronta ad esplodere attraverso lui.
Thor ruotò, sentendosi carico di una nuova forza, e diresse la mano contro il suo aggressore. Una sfera bianca scaturì dal suo palmo e lanciò il soldato in aria, attraverso il campo di battaglia, mandandolo a sbattere contro diversi altri soldati, atterrandoli.
Thor si alzò, straripante di energia, e diresse le mani verso il campo di battaglia. Le sfere bianche di luce vennero scagliate ovunque, creando onde di distruzione, così rapide e intense che nel giro di pochi minuti tutti i soldati dell’Impero si ammassarono in un grande cumulo di corpi, morti.
Quando l’istantaneo calore si fu calmato, Thor fece il punto della situazione. Lui, Reece, Elden e Conven erano vivi. Vicini a loro c’erano anche Krohn e Indra, il leopardo con il fiatone. Tutti i soldati dell’Impero erano morti. E ai loro piedi giaceva Conval, morto anche lui.