(a voce alta per farsi sentire nell'officina) Che cosa fa il Moro con quella carta in mano? (Sorpreso) Ora l'ha gettata a terra! scriveva, o disegnava. (Energicamente) Papà Michele, prendi quella carta, prendi quella carta. Egli scappa… Afferralo! (Gridando più forte:) Qui, babbo, qui. E che nessun altro venga quassù! (Rientra nella stanza.)
(Il rumore delle macchine cessa come per una sospensione di attesa.)
Chi è il Moro?
È un giovanotto imberbe che noi chiamiamo così per la faccia bruna che ha. M'è sempre parso un bravo ragazzo.
E che faceva?
Lo sapremo.
(tenendo per un braccio il Moro, viene dal fondo) Ecco.
Lasciatemi, ora.
(a Michele:) Lascialo.
(vedendo Maddalena) Oh, signorina Maddalena!
(stringendogli la mano) Sono qui.
(al Moro:) Perchè volevi fuggire?
Non so… Ho avuto paura.
Di che?
Non so…
E che è quella carta?
(gliela dà.)
(guardandola) Questo è il rendiconto preciso della prova di stamane! (al Moro:) Hai notato i più minuti particolari.
Sono degli appunti… Mi piace d'imparare.
E ne hai anche degli altri?..
No.
Ma i tuoi occhi, che non sanno guardarmi, dicono di sì.
No.
Però, questi appunti si riferiscono a disegni già fatti. Il disegno della nuova macchina è indicato con le lettere M N. Fammi vedere i disegni.
(tremando) Non li ho.
Li hai conservati a casa tua.
No.
E a chi li hai dati?
(chiaroveggente, penetrante, terribile, accostandosi a lui, parlandogli quasi all'orecchio:) A chi li hai venduti? – Non rispondi? – Non neghi di averli venduti?!
Erano poche linee sbagliate… Non se ne poteva avere un'idea chiara.
Ma… avevi promesso il resto… Avevi promesso le rettifiche. Avevi promesso tutto?
Forse non avrei avuto il coraggio di…
Con chi hai contrattata la vendita infame? (Pausa.) (Con forza) Non tacere adesso, perchè questo lo voglio sapere!
(sempre più tremante e abbassando gli occhi) Col figlio del signor Salviati.
Ah! (Gli si avventa addosso.)
Antonio!
(liberandolo e retrocedendo) No, non l'uccido. Non devo ucciderlo. (Al Moro:) E non ti denunzio neppure. Tanto, i giudici non capirebbero il valore di ciò che mi rubavi.
(umiliandosi) Lo dirò io stesso. Mi farò condannare… Io sono un ingrato, un miserabile! Oramai, per me, meglio finirla in carcere! (Piange.)
(Si avvicina ad Antonio in atto d'intercessione.)
(un po' pensoso e pietoso) No, in carcere non si finisce: si ricomincia. (Al Moro:) Ne usciresti esasperato… peggiorato. E se anche ciò non fosse, non troveresti più indulgenza. Saresti irremissibilmente perduto. Perfino i ladri come te, purchè avessero avuto la prudenza di commettere soltanto i furti consentiti dal mondo civile, ti disprezzerebbero. (Pausa.) Avevi già avuto il denaro?
Sì.
Vuoi restituirlo?
Sì.
Dammelo. Lo manderò io al signor Salviati.
(mette fuori del danaro e lo pone sulla scrivania.)
Sta bene. Ritorna al tuo lavoro.
(a Maddalena, – commosso.) È un angelo!
Oh!.. (Piangendo di gratitudine, prende le mani di Antonio per baciargliele.)
(ritirandole) No. Questo no. (Con un gesto severo, ma non crudele, gli impone di uscire indicandogli l'officina.)
(esce.)
(a Michele:) Accompagnalo tu, babbo. La tua presenza basterà a rassicurare i compagni.
(lo bacia in fronte, e via.)
(paurosamente) Oh, Antonio!..
Cos'hai, piccola mia?
Io temo, io temo tanto!
Perchè?
Quel signor Salviati… è il tuo nemico?
È il mio nemico.
Può farti molto male?
E non ti sembra che mi guidi e mi sorregga un diritto più forte di ogni male, più grande d'ogni bene?!
(con fede e commozione) Sì.
E va, va, va a prendere nostro figlio… Questa è la casa tua! È la sua casa! Va, corri, piccola mia, corri, corri… Io vi aspetto.
(gli si abbandona gettandogli le braccia al collo come una bimba, con gli occhi gonfi di lagrime di gioia.)
(la tiene e la bacia in un misto di esultanza e di intima dolcezza.) (Un silenzio.) Va…
(Si allontana, – esce.)
Una camera squallida. – Un tavolino. Poche seggiole vecchie. Un divano sdrucito. In un angolo, un baule. Niente altro. – Una porta in fondo. Un'altra alla parete destra. – È sera. Sul tavolino è acceso un lume a olio.
Aspetta. (Si alza; va a prendere della carta che è sul baule; torna a sedere, e con un pezzo di quella carta costruisce una piccola barca.) Guarda com'è bellina, questa!
Una barca?
Già, una barca.
Un'altra più grande, adesso.
Un'altra più grande. (Comincia a costruirla, piegando la carta.)
Un bastimento col vapore.
Eh, col vapore, non si può fare di carta.
Quello quando venimmo per mare, ti ricordi?..
Si, mi ricordo: quando venimmo da Napoli a Genova…
… era col vapore.
Sì, quello lì era col vapore.
Perchè?
Perchè doveva camminare in fretta.
Come sulla ferrovia?
La ferrovia, tu non l'hai vista mai.
Ma la so, chè me l'ha detta il nonno quando papà è partito.
E dov'è andato, papà, dov'è andato?
A Napoli è andato, chè a Napoli c'è la sua officina.
(carezzandolo) No, angelo caro, l'officina non c'è più.
Perchè non c'è più?
(tristemente) Eh! Perchè così è! Vedi che bastimento! C'è anche il fumaiolo. (Glielo mostra.)
Allora, lo hai saputo fare col vapore.
E no. Ci vorrebbero le macchine.
Papà le sa fare.
Lui, sì.
E perchè non è tornato, oggi?
Forse tornerà stasera. Anzi… (per chetarlo) certamente tornerà.
E porterà anche il pranzo?
S'intende. (Scrolla il capo. Indi, poggiando i gomiti sulla tavola, stringe la fronte fra le mani, presa dallo sconforto e dalla pena che le desta il suo bimbo.)
Sei malata?
(scotendosi e dissimulando) No, no, non temere, mamma tua sta benissimo.
Hai fame tu pure?
Nemmeno.
Vogliamo stare un poco vicini vicini? Vicini vicini sul divano, come piace a te?
Sì, amore mio. (Lo abbraccia e lo bacia.)
(la tira per la veste sino al divano. Ella vi si rincantuccia. Egli le si mette sulle ginocchia, le si aggrappa al collo, premendole il ventre e il petto, piegando la testa sulla spalla di lei, e sospira.)
Angelo caro, mamma tua soffre un tantino così. Senti. Sai come devi fare? Stendi le gambine sul divano e poggia la testa sulle ginocchia di mamma tua. Anche così staremo vicini.
(mettendosi come ha detto lei) E noi, quando andiamo un'altra volta a Napoli, insieme col babbo?
A Napoli, no, non dobbiamo più andarci. Abbiamo avuto dei dispiaceri, laggiù.
E papà perchè ci è andato?
Ci è andato per fare del bene a Petruccio, per fare del bene a mamma tua…
(interrompendola) Te l'ha scritto?
Sicuro che me l'ha scritto.
Voglio sentire come t'ha scritto.
Sì, sì, ora ti faccio sentire. (Cava dal petto una lettera e, senza guardarla, finge di leggere, improvvisandone il contenuto.) (Petruccio, coricato com'è, non la vede.) «Cara Maddalena, tu e Petruccio dovete avere un poco di pazienza e dovete pensare che io sto qui per il vostro bene. Ti prego di dire a Petruccio che quando verrò a Genova faremo tante tante cose belle, e lui sarà contento di andare alla scuola e d'imparare come fanno tutti i ragazzi buoni come lui che tengono compagnia alla mamma e che ne sono la consolazione.» (Ha qualche lagrima negli occhi) «Ti prego di dirgli pure che quando giungerò io, a te e a lui non mancherà più nulla, e cesseranno tutte le pene, e la sera Petruccio andrà a letto tranquillo tranquillo, e poi farà dei bei sogni, proprio come se fosse un ometto grande, e il giorno dopo racconterà alla mamma tutto quello che ha sognato.» Hai sentito?
(Petruccio si è addormentato di un sonno di languore.)
(fra sè:) Dorme. (Gli solleva il capo, glie lo adagia su un cuscino del divano. Si toglie lo scialle e ne copre il bambino.)
(di dentro) Maddalena!
Oh!
Apri, Maddalena, sono io.
(va all'uscio di scala, tira il lucchetto, ed apre.)
(entrando ansioso) È arrivato Antonio?
No. (Lo guarda entrare, interrogandolo con gli occhi.)
(si avanza affranto, silenzioso, e siede. – Pausa.)
La lettera che ricevemmo ieri, del resto, non precisava nè l'ora nè il giorno.
Nelle sue parole a me parve di capire che stesse per tornare. E poi ribatteva sul chiodo della urgente partenza per l'America.
E diceva giusto.
Diceva giusto, ma partire senza un poco di danaro sarebbe un'imprudenza grossa, specialmente per noi che non siamo gente fortunata. Questa è anche la sua idea. E, dunque, se parlava proprio di partenza, significa che sapeva di poter venire a una buona conclusione da un momento all'altro. Non ho voluto fartene accorgere, ma io come io lo aspettavo fin da stamane. Ci contavo, ecco. Mi sono sbagliato, e, maledetto il diavolo!, ho lasciato passare le ore senza provvedere a niente.
Tanto, che c'era da fare?
Avrei potuto portare qualche altra cosa all'Agenzia.
Ci è appena per dormire, papà Michele.
No. Ci è anche un po' di biancheria e un soprabito, che egli appunto mi consegnò affinchè, all'occorrenza, se ne cavasse qualche soldo. Ma era roba sua, intendi? M'è mancato il coraggio… E l'ho tenuto da parte con la speranza di metterla in salvo.
Però, quando siete uscito, che già calava il sole, vi ho visto più nero del solito. Non ci credevate più che egli arriverebbe in giornata?
Ci credevo e non ci credevo. Mi ricordavo che nella penultima lettera mi raccomandò di non stare a guardare l'orario della ferrovia, perchè – diceva lui – «è molto probabile che se vengo col danaro in tasca dovrò immediatamente recarmi in varii posti e non mi sarà possibile di correre difilato a casa.» E io non ho guardato l'orario, e a una cert'ora mi son detto: se non giunge, come si fa? (Pausa.) Eravamo digiuni da circa quarantotto ore, e mi rodevo dentro, non per me che sono carne dura, ma per quello lì… (indicando Petruccio), per quella povera anima innocente, e per te, per te, che sei anche incinta… Mi sono aggirato per le strade piene di folla, facendomi condurre dalle gambe, andando su e giù a caso, come un cane senza padrone. Come si fa? – ripetevo fra me: – Come si fa? Era tardi. Era notte. Le agenzie stavano chiuse. Bussare alla porta delle persone di cui eravamo già debitori non potevo. E allora… Oh!.. (Si covre il viso con la mano.)
Papà Michele, voi soffrite!
Avrei voluto che questa mano fosse andata in frantumi, come quella che non ho più, tra le ruote di una macchina, piuttosto che stenderla per chiedere l'elemosina; eppure… alla cantonata di un vicoletto oscuro, nascondendomi come un ladro, (animandosi nel martirio del ricordo) vergognosamente l'ho stesa!
(per fargli abbassare la voce) Sst!, che Petruccio non senta!
(sommessamente) E coloro che mi passavano davanti, mi prendevano per un impostore, e, guardandomi di sbieco, quasi impauriti affrettavano il passo… si allontanavano… sparivano. (Pausa.) Ho tentato non so quante volte. Sempre inutilmente. Poi, a un tratto, non ho più potuto… E ho preso la via di casa… Il sangue mi affluiva alla faccia. Arrossivo. Mi pareva d'aver commessa l'azione più vile che l'uomo possa commettere. E il peggio era che, dopo d'averla commessa, venivo qui senza portarvi neanche un pezzo di pane. Che sofferenze! E che avvilimento!
(annichilita, piegando la fronte, siede.) E tutto questo, papà Michele, per causa mia.
Ma che!
Se il giorno in cui andai a rifugiarmi nella casa e nel cuore di Antonio, avessi invece saputo morire insieme con mio figlio o accondiscendere a un qualunque basso mercato, quanto meno vi peserebbe, ora, la vostra miseria e come sarebbero più lievi i tormenti vostri e di quel disgraziato!
Non pensare a queste cose, Maddalena. Se egli te le leggesse negli occhi, ne impazzirebbe.
(quasi in dormiveglia) È venuto papà?
No, non ancora, Petruccio; ma il nonno dice che verrà tra breve.
Dov'è il nonno?
Sono qua.
E tu che mi hai portato?
(andandogli dappresso) Che poteva portarti il povero nonno? È andato a spasso che era già sera. Le botteghe non sono aperte che di giorno. Vuoi che mamma tua ti metta a letto?
(tuttora disteso e assonnato) E tu sarai sempre vicino a me?
Sempre vicino a te la mamma tua, si capisce!
E mi terrai le mani strette strette?
Sì, amore mio.
(supplichevole) No… restiamo qua. È meglio.
A dormire così, Petruccio, ti fa male… Andiamo, amore mio.
No… no… (Richiude gli occhi.)
Perchè non vuole?
Non è che non voglia; ma è debolino. Appena svegliato, si riaddormenta. Ecco, dorme un'altra volta.
Mettilo a letto piano piano.
Questo voglio fare. (Con mano lieve, gli sbottona un po' gli abiti, gli toglie le scarpette.)
Anch'io ho bisogno di stendermi. Sono tanto stanco! Ho addosso un sonno di piombo. (Sgranchisce il braccio, sbadigliando.)
Un po' di riposo vi farà bene.
E tu?
Per me, sarà difficile. Avessi almeno la risorsa della stanchezza! Tenterò. (Delicatamente, prende in braccio il bambino.)
(si stende sul divano.)
(quasi dormendo, sentendosi portar via) No… no…
È mamma tua, è mamma tua… (Smorza il lume, e, con il bambino attaccato al collo, cautamente si avvia a sinistra.)
No… no…
È mamma tua, amore mio, è mamma tua… (Esce.)