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Buch lesen: «La plebe, parte I», Seite 25

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Ma la spina era penetrata nel cuore di Candida, e l'arte del seduttore non l'aveva potuta estrarnela affatto, sibbene glie l'aveva infranta nella ferita e lasciatavi la punta, seme perenne di sospetti e di diffidenze, che avrebbe germinato.

Colla cameriera la contessa non disse nulla; e fuori di un maggiore riserbo e di una più esigente severità verso la fante, nessun cambiamento avvenne nella condotta della padrona. Fra i due amanti neppure non fu più mai parola di ciò, nè Luigi prestò più mai pretesto a somiglianti sospetti.

Ma un mese circa dopo questo avvenimento, per parte dell'amante accadde ciò che ancora mai non era accaduto; cioè ch'egli mancasse al convegno.

Fu una notte crudele per la contessa. Sino quasi all'alba stette essa al verone, inquieta, palpitante, ad aguzzar lo sguardo nella tenebra inutilmente. Come suole, mille paure, mille sospetti, mille crucciosi fantasimi l'assalsero. Che cosa poteva averlo trattenuto? Una disgrazia od un tradimento: l'uno e l'altra orribili al suo cuore di donna innamorata. In certi momenti faceva a calmare lo spasimo della sua anima, la febbre della diffidenza che la occupava. Esponeva la fronte alla brezza della notte per farsene rinfrescare il sangue; si sforzava a sorridere come per compassione della sua follia, cui chiamava il senno a vincere e domare. Voleva pensare che alcuna bisogna lo aveva trattenuto; ma qual bisogna mai, mentr'egli le aveva più volte dichiarato che l'unica sua occupazione era un tempo il darsi spasso ed ora s'era fatto l'amore per lei? Che non avesse ricevuto l'invito di venire? Impossibile! Il mezzo ond'ella si serviva per farglielo pervenire era sicurissimo. Che cosa adunque poteva averlo impedito, se non qualche ragione fatale per essa?

Era la logica istintiva ed assurda dell'amore, la quale raramente sbaglia.

Quando già spuntava l'aurora all'orizzonte, Candida si ritrasse dal verone affranta come dopo una notte di febbre, confusa la testa, pieno di amarezza il cuore. Si gettò sul suo letto, il seno gonfio di pianto, senza pur avere lo sfogo delle lagrime; il corpo stanco chiedeva il riposo del sonno, ma un mulinìo turbinoso d'idee, d'immagini, di propositi nella testa, non la lasciava dormire. Si assopì pur finalmente in un sonno leggero, affannato dai più tristi e maledetti sogni. Sorse tardi, colle traccie in volto che parevano d'un sopportato malore.

Nel pomeriggio, sentendosi bisogno di prender aria fece attaccare i cavalli, e corse, come soleva un tempo, in una passeggiata senza meta. L'azzardo, la sua maligna stella la condusse in luogo dove la carrozza in cui essa s'abbandonava ai suoi turbativi pensieri, incontrò un'altra carrozza occupata da un'altra donna, la cui figura, l'abbigliamento e il contegno erano tali affatto da chiamare l'attenzione di chicchessia.

Qual istinto segreto è quello che alberga nell'essere sensitivo della donna e lo avvisa dei pericoli che lo minacciano per quanto coperti essi sieno, dei nemici nascosti che gli si presentano nel cammino? Candida, all'aspetto di quella donna sentì una scossa interiore, come un urto nell'anima. Si tirò su della persona e incrociò lo sguardo con quello della sconosciuta, la quale a sua volta lasciò lo sguaiato abbandono in cui stava sdraiata per esaminare con attenzione quasi insolente la contessa che passava. Fu un ratto istante, poco più d'un baleno in cui le due carrozze si passarono a fianco, al trotto serrato dei cavalli; ma in quel fugace momento le due donne ebbero campo pur tuttavia, con quel meraviglioso loro sguardo complessivo, di vedersi in una a vicenda le sembianze, i modi, le vesti, i difetti della bellezza e del gusto. Candida dovette giudicare senz'altro che quella giovane – poichè la era giovane – non apparteneva nè alla sua classe nè ad alcun'altra di donne oneste. Era sfarzosamente vestita di stoffe abbaglianti, ma come tale che più si compiace di attrarre addosso a sè l'occhio dei riguardanti che non di contentarlo con acconcia armonia di colori ed avvenenza di complesso. Sulla faccia non brutta, ma più provocante che bella, eravi troppo belletto, troppa sensualità e troppa impudenza. Il più strano di quel volto erano certi occhi verdi del color del mare, acuti, ora freddi come una lama d'acciaio, ora ardenti come la voluttà, ora feroci come quelli d'una tigre. Piantandosi in faccia a qualcheduno parevano dilatarsi e sprizzar fuori un fascio di raggi acuminati, per così dire, che vi stillavano nel sangue a seconda o il gelo del sospetto, d'una soggezione indefinita, quasi d'una paura, oppure nell'uomo il fuoco dei desiderii sensuali. C'era in quello sguardo alcun che dell'animale selvatico non affatto addomesticato, in cui la prisca selvaggia natura ricomparisce a tratti sotto la spalmata vernice della coltura.

Quella donna sentì forse ancor essa che nella vita di Candida doveva intrecciarsi la sua e l'una sull'altra esercitare un fatale influsso a vicenda, funesto troppo per la nobil dama? Il vero è ch'ella saettò sulla contessa uno di quei suoi sguardi felini di cui Candida non potè sostenere l'incontro, ne fu tutta conturbata in quell'atto, e dopo appena oltrepassata la carrozza ne provò lo sdegno maggiore come di ricevuto oltraggio.

Si piegò ella verso il cocchiere e gli domandò con indifferenza non affatto sincera:

– Conoscete voi chi sia quella donna?

Il cocchiere fece un certo atto colle spalle e sorrise in certo modo che dicevano di molto.

– Peuh! Diss'egli. La signora contessa ne avrà udito a parlare. È quella tale che fin dalla primavera ha preso in affitto la Villa-lunga, a poche miglia qui distante.

– Ah! Fece la contessa che in vero aveva sentito alcuna cosa di quell'avventuriera. È una ballerina, credo…

– Mah! Se ne dicono tante sul suo conto! Il più certo pare che fosse una di quelle che saltano sui cavalli. La chiamano ancora La Leggera. Dicono che qualche considerevole personaggio l'ha tolta dal dorso dei cavalli per metterla in un elegante appartamento con mobili, servitù, carrozza all'avvenante. Anzi si bisbiglia che i protettori sieno più d'uno. Quel che è certo, si è che nella Villa-lunga c'è baldoria tutti i giorni: conviti, festini, balli, giuoco tutta la notte… e peggio, che non si finisce mai; e vi accorre gran gente d'ogni fatta; e si spendono allegramente dei gran denari.

Candida – e non sapeva il perchè – ascoltava con molto interesse le parole del suo cocchiere. Ad un punto s'accorse di questo suo eccesso di curiosità non troppo degna, e vergognatasene, arrossì leggermente.

– Non vi ho domandato la storia di madamigella Leggera: diss'ella con accento più severo di quello che il bisogno non fosse, e si ricacciò in fondo la carrozza, tornando a darsi in preda ai suoi confusi e disordinati pensieri.

Chi le avesse detto che quelle volte in cui Luigi era stato veduto in quei dintorni, prima ancora che essa lo conoscesse, egli o veniva dalla Villa-lunga o vi si recava a passar la notte in quelle baldorie della Leggiera! Chi le avesse detto che quel giorno stesso in cui il temporale lo fece riparare al castello di lei, Luigi era diretto a quella volta!

Due giorni dopo quell'incontro, la cameriera, fosse per interesse che sentisse verso la padrona, fosse per malignità femminile, trovò modo di far capire alla contessa che Luigi la sera innanzi era stato visto in que' luoghi e la mattina medesima era stato incontrato sulla strada per a Torino. Ora al castello egli non s'era lasciato vedere. Candida sentì quella certa spina infitta nel cuore dar sangue dolorosamente.

E perchè il suo pensiero corse allora a quella donna che aveva incontrata per via?

Il conte era allora al castello; Candida non poteva chiamare Luigi a sè perchè venisse a scolparsi; gli scrisse quattro pagine di rimbrotti e di accuse, invitandolo a difendersi per lettera ancor egli. Luigi rispose laconicamente affettuoso. Essa aveva fatto riguardo alla mancanza di quella notte mille supposizioni ed accolto mille sospetti; ma, diceva egli, aveva dimenticato la cosa la più semplice ad immaginarsi, che era la vera: esser egli, cioè, quel giorno stato preso da un malore che non gli aveva concesso la gita. Esser vero, soggiungeva, che una notte aveva egli passato nei dintorni del castello, ma ciò aver egli fatto per conseguir modo di poter meglio accostarsi a lei, di fare che più liberi e più frequenti potessero essere in avvenire i loro convegni. Le avrebbe spiegato a voce il mistero.

Difatti pochi giorni di poi questa spiegazione avvenne. Il conte si allontanava di quando in quando, ma non facendone prima avvertito nessuno, Candida non poteva mandare il solito invito a Luigi. Era avvenuto così che il marito passasse eziandio la notte fuor del castello, senza che la moglie pur lo sapesse, credendo ch'egli tornasse ad ora tarda e, secondo l'usato, senza prendersi la briga d'andarla a disturbare per darle un saluto, rientrasse chetamente nel suo quartiere.

Dove si recasse il conte in quelle gite, Candida non si curava per nulla saperlo; ma pure, da alcune vaghe parole udite dai servi, aveva finito per indovinare che egli era alla Villa-lunga, dove il vecchio libertino passava le molte ore di sua assenza. Cotesta scoperta aveva fatto nell'animo della contessa una strana sensazione ch'ella medesima non sapeva spiegare. Da una parte le pareva questa come una nuova scusa al suo fallire alla fede coniugale, e insieme una nuova ragione di maggior libertà per essa, dall'altra sentiva una specie di ripugnanza e di sgomento al sapere che quella donna, di cui essa in quel solo vederla di sfuggita aveva portato sì avverso giudizio; che quella donna, dico, avesse attinenza con due uomini che maggiormente le appartenevano, il marito e l'amante; poichè Candida non dubitava punto che anche Luigi fosse stato là quella notte.

Una sera adunque che il conte, allontanatosi dal castello, mancava da più ore, Luigi comparve inaspettato agli occhi di Candida, la quale sola nella sua camera ruminando i suoi tristi pensieri, sentiva sotto l'influsso dei sospetti cambiarsi in profonda amarezza le primitive dolcezze dell'amor suo.

Al vedersi innanzi improvviso l'amante, essa gettò un grido di sorpresa e sorse come spaventata.

– Non ti sgomentare: disse col suo sorriso più amoroso Luigi; sono io… Io che anelavo al momento di venire a dissipare tutto quell'ammasso di brutti ed ingiusti pensieri che la tua lettera mi ha rivelato aver tu rammontato nella tua testolina riguardo a me.

La contessa guardò intorno con aria ancora smarrita.

– Mio marito è al castello; disse sommessamente. Potrebbe averti visto a venire, potrebbe vederti partendo. E' non entra mai di solito nel mio appartamento, ma pure…

– Rassicurati: rispose Luigi, prendendole una mano. Egli è là donde io vengo; l'ho lasciato a mezzo d'una partita di giuoco troppo interessante perchè egli l'abbandoni di tutta la notte. Mi sono affrettato a perdere tutto il denaro che avevo presso di me; poscia ho finto ritirarmi imbronciato colla fortuna ed irmene a fare svanire il cattiv'umore all'aria aperta. Avevo già ordinato mi si tenesse insellato il mio cavallo. In un salto ci fui sopra, e in un tempo di galoppo eccomi qua. Un'ora d'amore con te, anima mia, e poi ritorno colà che niuno avrà potuto pur notare la mia assenza.

Volle abbracciarla, ma essa freddamente si fece in là ed anzi levò da quella di lui, la mano che egli le aveva presa.

– Colà? Diss'ella con ironia sotto cui c'era sdegno e dolore. Dov'è egli questo colà?

Luigi accennò a rispondere, ma Candida non glie ne lasciò, prorompendo con impeto:

– Tacete! Non voglio nemmanco udirlo dalla vostra bocca. So tutto. Voi pure v'imbrancate all'impuro corteo di quella donna.

Queste parole furono pronunziate con tanto disprezzo che il rossore ne salì alla faccia di Luigi. I suoi occhi s'infiammarono un istante tremendamente, e sulla fronte si disegnò quella certa ruga che i lettori già conoscono, ma fu un baleno, e cambiata rapidamente quell'espressione collerica, quasi feroce, in un sorriso, egli disse con accento pacato ed amorevole:

– Via, via, non esageriamo, Candida mia. Ecchè? Potresti tu avere il torto di credermi capace di fallire a ciò che debbo a te ed a me stesso? Non conservare quell'aria sdegnosa, mio dolce amore; non mirarmi oltre con quell'occhio irritato in cui mi è sì dolce, invece, veder la fiamma della passione. Guarda che con una sola parola io posso abbattere tutti i tuoi sospetti, e tu ti pentirai d'averli avuti… Ebbene sì, senza imbrancarmi a quell'impuro corteo, come tu dici, io mi sono recato alcune volte alla Villa-lunga. Ma sai tu perchè?.. La vera e la sola cagione ne sei tu.

– Io? Esclamò la contessa stupita.

– Tu stessa; ripigliò Luigi ancora più amoroso nel suo accento e nel suo sorriso. T'ho scritto che ciò avevo fatto per potermi avvicinare di più a te. Perchè non mi hai creduto?

– Ma come?

– Sapevo che colà avrei trovato il conte; volevo che fra lui e me si stringesse tale attinenza che mi schiudesse liberamente la porta di casa tua. Ho io avuto torto? Impiegai tutta l'arte di cui sono capace affine di entrare nelle grazie di tuo marito. Egli mi ha già offerto di presentarmi a te ed invitato al suo castello. Ho accettato senza mostrare troppa premura per allontanare sempre meglio ogni sospetto. Un giorno o l'altro egli mi guiderà per mano a te dinanzi.

Candida rimaneva perplessa e non rispondeva. In codesto sentiva essa alcun che ond'era urtata la delicatezza della sua anima. Avrebbe preferito che il marito e l'amante mai non si fossero trovati a fronte nel suo salotto, che quest'ultimo mai non avesse dovuto lusingare con compiacenti parole il primo, e stringergli la mano come amico. Le pareva che ne sarebbe stato abbassato il loro amore. Vedersi soltanto nel mistero – che niuno della società cui essa apparteneva, lo sapesse – le pareva preferibile, più dignitoso, più confacente al suo sentire.

Luigi s'accorse di codeste impressioni che le sue parole facevano nell'animo di lei, e quindi si affrettò a soggiungere:

– Pensa che se ciò non avvenisse quando tu sii ritornata in città le occasioni di vederci sarebbero troppo rade e troppo pericolose per la tua pace e pel tuo buon nome.

La contessa crollò leggermente le spalle, come per significare che appetto all'amore ella considerava come cosa da poco tutto il resto del mondo.

– Ed a questo; continuò con più calore Luigi; io debbo tenerci più ancora che non tu stessa, e ci tengo.

Chi non sa com'è l'animo di donna innamorata? Quelle cose che a lei meno paiono acconcie diventano tali per essa, appena l'eloquente parola dell'amante ne la voglia persuadere. Con quanta facilità s'accolgono nel cuore di lei i sospetti, con altrettanta si dileguano alle proteste dell'uomo amato. Poco ci volle che Candida restò persuasa come d'ogni fallo era innocente Luigi e com'egli s'era adoperato pel meglio di tuttedue.

Diffatti qualche giorno dopo la contessa ebbe un rimescolo in tutto il sangue nell'udire sulle labbra del marito il nome del dottor Quercia.

Si era di tardo autunno ormai, e il conte soleva invitare alcuni conoscenti a partite di caccia nelle sue tenute. La vigilia di una di siffatte partite, il conte disse alla moglie in fin di tavola, dopo pranzo, come cosa di poco rilievo che allora soltanto gli fosse venuta alla mente:

– Ah! Domani mi prenderò la libertà di presentarti un nuovo ospite. Un giovanotto che ha abbastanza buone maniere per far dimenticare che non ha titoli; un certo dottor Quercia, medico senza clienti, e credo senza medicina.

Candida si volse dall'altra parte con un pretesto qualunque per nascondere il suo subito turbamento. Il conte non aggiunse altro: nè dove lo avesse conosciuto, nè come; la contessa non domandò nulla, e non se ne parlò più.

Luigi aveva saputo realmente andare ai versi del vecchio conte, e ricevuto il primo invito, seppe far di guisa da diventare in breve famigliarissimo di casa.

Tornati a Torino il conte e la contessa, questa domestichezza non solo si continuò ma si accrebbe.

Il mondo susurrò, poi parlò senza ritegno, prima indovinò, poi seppe. Le migliori amiche della contessa compassionarono perfidamente la povera donna che si perdeva in una tresca indegna con un uomo che non si sapeva chi fosse.

Gli ultimi a sapere queste cose sono sempre i mariti: ma il conte di Staffarda non era uomo da non vedere e da non capire. Cominciò per non dar più la mano a Luigi quando lo incontrava in qualche luogo o quando entrava nel suo salotto; si diede ad accoglierlo con un altezzoso sussiego che era quasi un'insolenza. Luigi usava tutti i mezzi che può un uomo di spirito per mostrare che non faceva attenzione a questo contegno del conte ma frattanto aspettava un'occasione affine di provocare una spiegazione che volgesse secondo quello ch'egli desiderava ed aveva in previsione immaginato. Il conte eziandio da parte sua cercava un'occasione per dire alla moglie il fatto suo, senza scene, senza scandali, con tutta la forbitezza e la disdegnosa indifferenza d'un vecchio libertino di marito allevato nelle tradizioni dell'elegante corruttela del secolo scorso.

Queste occasioni aspettate vennero per ambidue, e prima pel conte.

CAPITOLO XXIV

Già s'era fatto tardi. Luigi erasi indugiato più forse che non solesse nel riposto stanzino della contessa. Nell'alto silenzio della notte, i sontuosi arazzi del gabinetto di Candida entro il superbo palazzo dei conti di Staffarda avevano udito suonare voci di rampogna e di sdegno (imperocchè l'amore fra quei due già ne fosse venuto allo stadio dei rimbrotti, delle accuse da parte di lei, delle impazienze e peggio da quella di lui; e vi narrerò di poi le fasi di questo periodo ed i torti e le colpe e – dirò fin d'ora la parola – l'infamia dell'indegno amatore), poscia voci più miti di perdono e di supplicazione sulle labbra della misera donna e per ultimo di tenerezza e di passione più concitata quanto più era stata lungamente repressa da altri sentimenti.

Ad un tratto si grattò alla porta. I due amanti sussultarono. Era cosa tanto nuova che in quei loro colloqui venissero disturbati! Tacquero un momento stando in sospeso ad ascoltare se il segno si ripetesse. In quella udirono l'orologio del campanile vicino suonar lentamente la mezzanotte. L'ultimo tocco aveva appena finito di battere che all'uscio fu dato un picchio abbastanza vibrato. Candida sorse di slancio, si racconciò in fretta i panni un po' disordinati, ed invece di domandare chi fosse si precipitò verso la porta e l'aprì con mano che tremava un pochino.

Sì trovò in faccia la cameriera:

– Che cosa c'è? Domandò la contessa con qualche corruccio.

E la fante sollecita:

– Il signor conte fa domandare alla contessa se vuole riceverlo.

Candida si volse pallida ed agitata verso il suo amante.

– Mio marito! Diss'ella frettolosamente. Egli non viene mai qui a quest'ora… Parti!

Gli occhi di Gian-Luigi balenarono cupamente e nella fronte si incavò quella sua ruga caratteristica.

– Ah! il conte: diss'egli incrociando le braccia al petto; ben venga il signor conte. Vorrebbe egli per azzardo far da marito di tragedia?

Candida gli fu accosto in un baleno e con atto pieno d'avvenenza e d'amorevolezza gli gettò le braccia al collo.

– Parti, te ne prego: diss'ella.

La cameriera s'inoltrò d'un passo nel gabinetto, ed abbassando la voce, soggiunse:

– Il signor conte è qui nell'altra stanza, e il signor dottore non può a meno d'incontrarlo.

La contessa impallidì vieppiù.

– Va nella mia camera: diss'ella affrettatamente a Luigi. Il conte non avrà gran cosa da dirmi e saprò sbarazzarmene tosto.

Gian-Luigi fece un sogghigno pieno di superbia e d'ironia.

– Fuggire! Diss'egli. Nascondermi! Nè l'un nè l'altro. Venga avanti il signor conte, e se ha cose da dire a Lei che io non possa ascoltare, allora mi ritirerò tranquillamente per la uscita comune.

– È mezzanotte: disse timidamente la contessa.

– Gli è che abbiamo saputo trovar abbastanza soggetti interessanti di conversazione da far passare il tempo senza badarci. Questo fa onore al nostro spirito, contessa.

Candida esitò un momentino, parve voler ancora dire alcuna cosa; ma ad un tratto prese la sua decisione, e voltasi alla cameriera le disse con accento affatto sicuro e tranquillo:

– Introducete il conte.

Poi si gettò a sedere abbandonatamente sulla sua poltroncina vicino al fuoco, al quale volgendo le spalle stava dritto Luigi colla più agiata disinvoltura di questo mondo.

Io non vi dirò che il cuore di Candida non battesse un po' più concitato nell'udire sul pavimento dell'altra stanza il passo del conte che si avvicinava; ma il suo aspetto era tranquillo, e quando l'uscio si aprì, ella volse verso chi entrava un viso forse un po' pallido, ma per l'affatto sicuro nella sua indifferenza.

Il conte s'inoltrò con un sorriso poco naturale, ma garbatissimo, sulle sue labbra tirate. La sua fronte calva pareva più gialliccia dell'ordinario riflettendo la luce delle due lampade che ardevano sul camino. Nell'occhio grifagno c'era molto più del solito di quell'ironia scettica e maligna che formava la base del suo carattere. Gli sguardi del conte e di Gian-Luigi s'incrociarono; erano gli sguardi di due uomini che non hanno timore. Stettero un attimo così fissi l'un nell'altro, come due lame in un assalto prima che uno dei duellanti si decida a trarre una botta. Prolungato per un minuto quello sguardo si faceva una sfida, una minaccia, un insulto: era uno di quelli sguardi, dopo i quali bastano poche parole per condurre due uomini sul terreno a cimentare in un duello la vita.

Gian-Luigi, a niun patto, avrebbe voluto esser egli il primo a chinare gli occhi. Sentiva entro il petto un orgoglio immenso dare rincalzo al suo coraggio per non cedere neppure un minuzzolo alla superba guardatura del conte. Il cranio pelato di quell'uomo che tutti conoscevano abilissimo nell'arte di uccidere il suo simile ed il cachinno insolente ed altezzoso di quella mordace ironia, solevano imporne a tutta la gente; il trovatello Gian-Luigi, il figliuolo di nessuno, il compagno d'infanzia di Maurilio, allevato nella più umile e nella più misera delle condizioni, non ne provò la menoma soggezione. Amedeo Filiberto di Staffarda che per lungo uso di mondo e trattare d'uomini, s'intendeva a giudicare, dalla fisionomia e dal contegno di qualcheduno, della fermezza e del valore del suo animo; il conte conchiuse fra sè che quel giovane non era tale da poter essere nè dominato, nè soverchiato.

In questo modo passarono due minuti secondi di grave silenzio, lunghissimi per la contessa, la quale con ansia stava mirando a sua volta quella tacita lotta di sguardi di quei due uomini innanzi a lei.

Fu il conte che primo sviò gli occhi da quelli dell'avversario e ruppe il silenzio.

– Ah! gli è Lei, dottore: diss'egli colla sua gentilezza aristocratica, in cui nella compiuta forbitezza appariva pur sempre una tinta di superiorità. Perdoni a' miei occhi miopi, se non l'ho tosto riconosciuto.

Gian-Luigi fece un lieve inchino senza rispondere.

Candida tirò più libero il fiato. Le parole del conte ed il modo con cui le aveva dette non erano già d'un uomo che si acconci a cedere per paura, ma di tale che crede miglior convenienza lo evitare uno scandalo.

– Come mai, conte, a quest'ora? Domandò la donna con un'apparenza scherzosa, in cui pure si sarebbe potuto sentir tuttavia la traccia delle sue inquietudini.

– Che? Rispose il conte. È egli per ventura così tardi?

Guardò l'orologio che faceva muovere il suo pendolo sulla mensola del camino, e per vederci l'ora avanzò la testa fin da essere presso presso a quella di Gian-Luigi, il quale non si mosse, come se i suoi piedi avessero piantate le radici sulla lastra di piombo che innanzi al focolare difendeva il tappeto del pavimento dalle faville che potessero mandare gli scoppi della legna.

– To'… È passata mezzanotte: soggiunse il conte. Credevo fosse di meno. Vuol dire che il tempo mi è volato via rapidamente questa sera, come fors'anco per voi, contessa.

Candida arrossì un pochino.

– Sì davvero: diss'ella pigliando un parafuoco per ripararsi la faccia, più che dal calore dei tizzi che ardevano nel focolare, dalla luce delle lampade che pioveva dallo sporto del camino. Il dottor Quercia ha avuto la bontà di sacrificarmi la sera per tenermi compagnia.

Il conte si volse di nuovo verso Gian-Luigi e gli fece un saluto del capo che pareva quasi un ringraziamento, ed in cui l'ironia era di guisa dissimulata e così fine che un uomo accorto non poteva a meno di sentirla, ma uno mediocremente educato non avrebbe potuto in nessun modo rilevarla.

Gian-Luigi corrispose con un altro saluto uguale; ma entro sè rodevasi maladettamente di quella situazione in cui si trovava, che sentiva ridicola e la più impacciosa che mai. Avrebbe dato non so che perchè la maliziosa gentilezza del conte si voltasse in un buono scoppio di collera.

Amedeo Filiberto disse allora alla moglie, con quel suo satirico sorriso:

– È un sacrifizio che la galanteria del signor dottore avrà trovato leggiero.

Prese la mano di Candida e gliela baciò mentre essa lo guardava tutto stupita.

– È un sacrifizio: soggiuns'egli, col tono d'un Don Giovanni dei tempi di Luigi XV di Francia: che sarei disposto a fare ancor io molto volentieri, se pensassi che potesse tornarvi ugualmente gradito.

Candida levò dalla mano del marito la sua che egli teneva ancora, si tirò indietro colla poltrona, come per allontanarsi, e non rispose.

– Duolmi se io sono venuto disturbatore del vostro colloquio: riprese il conte colla medesima bonarietà maliziosa: ma che volete, contessa cara? Ho gran desiderio, e dirò anzi gran bisogno di aver con voi uno di quei confidenti ed affettuosi colloquii che sono una delle maggiori gioie del matrimonio, e – ma foi! – non ho voluto ritardarmi questo regalo, perchè se sono del parere di quell'antico non so chi, il quale soleva rimandare gli affari al giorno di poi, credo invece che le dolci soddisfazioni conviene procurarsele tosto, senza ritardo, appena si può.

Ciò detto, diresse il suo sguardo grifagno su Gian-Luigi, che stava sempre al medesimo posto. Quello sguardo diceva apertamente:

– Conviene che mi cediate il luogo. È questo, se non altro, il mio diritto di marito, e intendo di valermene.

Gian-Luigi comprese. Ben sapeva che gli toccava ritirarsi, e fin dal primo momento che il conte era entrato, egli andava pensando come far ciò senza mostra alcuna di debolezza. Ora esitò tuttavia un momentino. Gli passò per la mente di rispondere un'impertinenza che obbligasse il conte ad uscire da quel garbo artifizioso che gli faceva, per così dire, una corazza adamantina; oppure di fare il sordo affine di spingere il marito di Candida a più aperto parlare che desse a lui pretesto di venirne a lotta dichiarata. Capì che avrebbe avuto assai torto sì a far questo che a far quello. Inoltre la irritata suscettività del suo amor proprio non fu tanto cieca da non lasciargli ricordare che il suo interesse gli sconsigliava fortemente una palese e scandalosa rottura col conte. Si staccò egli dal camino e andò lentamente a prendere il suo cappello, che aveva deposto sopra un guéridon.

Il conte si pose tosto a quel medesimo luogo che il giovane aveva abbandonato, come se anco materialmente volesse significare ch'egli intendeva rivendicato il suo posto di marito sulle invasioni dell'amante.

Gian-Luigi venne colla stessa andatura lenta fin presso alla signora, e tendendole una mano con famigliarità da amico, le disse:

– Buona notte, signora contessa.

– Buona notte: s'affrettò a rispondere Candida, stringendo forte la mano di lui, come per segreta intelligenza, come per ringraziarlo di cedere a quel modo, timorosa ch'ella era stata alquanto non volesse il giovane ribellarsi al pulito congedo intimatogli dal conte. Quando ci rivedremo? Domani è mia sera di palchetto al Regio; spero che non la mancherà di venirmi a far visita.

– Me ne farò un dovere: rispose Gian-Luigi. S'inchinò poscia leggermente verso il conte, il quale abbassò il capo con mossa molto superba. Il giovane uscì meno contento di sè di quanto avrebbe voluto, sentendo che in quello scontro ad armi cortesi egli aveva avuto il dissotto, e mulinando come avrebbe potuto conseguire una rivincita quale convenisse non solo all'amor proprio, ma al suo interesse ed ai suoi disegni.

Il conte e la contessa rimasero soli; ella sempre seduta giuocherellando col parafuoco di cui servivasi a riparare il suo volto dagli sguardi del marito, egli dritto dinanzi al camino, dove poco anzi stava l'amante.

Per un poco non parlarono nè l'uno nè l'altra.

– Charmant garçon quel dottorino: disse poi il marito mettendo le mani dietro le reni come per riscaldarsele alla vampa.

Candida non rispose.

– A proposito! Di che cosa è egli dottore? Di leggi, no. Di medicina o di chirurgia, o di tuttedue?

Aspettò un momento la risposta della moglie, che non venne.

– Voi non sapreste dirmelo, contessa? Soggiunse egli facendo piombare il suo sguardo addosso alla donna che pareva assorta nella contemplazione delle figure chinesi trapunte sulla seta del parafuoco.

Candida crollò le spalle.

– Non andate già sognando, io spero, che discorriamo di medicina e di chirurgia. Che cosa volete dunque ch'io sappia? So che gli è un giovane molto a garbo… e mi basta.

Alla contessa era venuto di botto tutto il suo coraggio. Fino a che i due uomini erano stati a fronte, ella aveva dovuto fare uno sforzo per vincere la inquietudine che la occupava; ora ch'ella sola trovavasi in faccia a quel marito, di cui nulla avea potuto in essa ispirare nè rispetto nè simpatia, nè alcun sentimento di affezione o di gratitudine, ora la si sentiva forte e di subito s'era trovata pronta ad accettare la lotta su qualunque terreno la volesse il conte impegnare.

Questi riprese con accento più ironico che mai.

– Sicuro! Molto a garbo! È quel che dicevo io: charmant garçon. Sa trattare quasi come s'ei fosse qualcheduno, e parlandogli uno può anche obliare che non si sa chi sia.

Candida arrossì fino alla radice de' capelli.

– Vi sono dei nobili, diss'ella con accento irritato, i quali hanno i più numerosi quarti scritti nelle pergamene, e non sanno la creanza, e non hanno lo spirito di questo giovane che, come voi dite, nessuno sa chi sia.