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Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!

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Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!
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I

Io mi ricordo, Giacometta, quando vivevi nella tua casa bianca, dai grandi cristalli; sul lembo di un giardino. Allora avevi sedici anni ed eri la sola Giacometta di tutta la città.

Conducevi la vita delle persone per bene: uscivi poco, forse la domenica per andare alla messa con la veste più nuova; e, qualche rara volta, quando era proprio bel tempo, uscivi per far la tua passeggiata.

E la gente della tua città ti guardava perchè eri bella. I giovani si fermavano ad ammirarti.

– Quella è Giacometta!

– Che bella bambina!

E non c'era, dinanzi a Dio, nessun'altra Giacometta all'infuori di te.

Così tocca alle vergini, qualche volta, quando escono dal convento, per ritirarsi in una città di provincia che è un convento un poco diverso.

Ma tu avevi una casa bianca, tutta grandi finestre e cristalli che si accendevano, nelle albe e nei tramonti, dei fermi bagliori del cielo; avevi una casa come un faro, sul lembo di un antico giardino ed ivi regnavi, sola donna e madonna, fra due zii antichi e ricchissimi, per i quali eri, con tutta la tua giovinezza, un paradiso.

Sì, Giacometta, tu eri il paradiso anche per me che non ero tuo zio e avevo forse dieci soldi ogni domenica per allietare la mia sontuosa giovinezza.

Avrei io potuto pensare a te, logicamente, con dieci soldi per settimana?.. Io, figlio della scarna probità in camicia e dedito agli economici legumi?

Ma avevo diciannove anni solamente (ora ne ho forse qualcuno di più, e non importa) e la mia semplicità e un cuore spendaccione; avevo anche un amore sconfinato per le nuvole, per i sogni, per le apparenze, per le notti stellate, per il tempo di primavera e per il mistero de' tuoi grandi occhi celesti, Giacometta dalla veste blu.

Perchè avevi allora una veste blu ed io ti vedevo nel giardino; io solo che ero un imperatore nella mia soffitta la quale era buia, sudicia e fredda ma guardava sul tuo giardino.

E il mio cuore stava sempre alla finestra.

Tu lo vedesti un giorno, questo mio cuore un poco scemo, come un geranio rosso nel quadratuccio buio della mia soffitta ed io sentii un'ebetudine fonda paralizzarmi e una beatitudine infinita irradiare il mio corpo mortale, figlio della probità e degli economici legumi.

Allora il mio nome scomparve fra le cose luminose di questa terra ed io non fui più niente, non fui più che un sospiro e un ardore nella tua scia, giovinetta dai grandi occhi celesti che ridevi come un'allodola canta quando si ruba l'anima dei poeti e delle nuvole.

E la città dai tre campanili non parlava allora che di te, sempre di te, Giacometta Maldi, orfana, ereditiera, bella e misteriosa. Chi ti avrebbe dato marito? Quale befana impennacchiata sarebbe giunta fino al tuo cuore col suo pargolo vezzoso, appena slattato, ma sicuro già di impalmarti per le giuste nozze? Quale margherita familiare avrebbe potuto trarti alla sua casa con tutti i tuoi poderi, per mezzo di un onesto figlio di famiglia tutto amorose virtù?

Chi sposerà Giacometta Maldi?..

Ecco il bando per la città grugnita, dai tre campanili; e tutti gli uomini e gli omuncoli dai quindici ai trent'anni, si misero a far la Maratona sotto le tue finestre; e tu non uscivi che non ne avesti quindici o venti, sparsi lungh'esso la strada, in tutte le positure, con tutti i sospiri, coi più ardenti e allumacati occhi, tutti fluente giulebbe per te, per te angelo dalle belle ali, e ben piumate.

Ahi Giacometta, Giacometta!

E si mosse la signora Carolina e la signora Geltrude e la contessa Buttasenno e la marchesa Palmividi e la principessa Assaiassai! Tutte si mossero le squinternate signore, per Giacometta che aveva gli occhi celesti; e vestiron di gala e tentaron gli ispidi zii i quali rispondevano sempre con lo stesso muso e nello stesso tono:

– Lo racconta a noi? E che ci entriamo noi?.. Ne parli a Giacometta. E' lei che deve sposare.

Ma Giacometta, fin dalle prime parole, rideva.

E la città dai tre campanili si accigliò, fece il viso dell'arme.

– Ah, quella Giacometta, che testa romantica!.. Che brutta educazione!.. Ma che vuole? Ma che cosa aspetta? Il principe delle Asturie? Già, infelice l'uomo che la prenderà in moglie, con quel temperamento!.. È una cavallina da brutte sorprese!.. O certo che il marito, le corna le avrà dopo un mese, a farla lunga!..

E fosti diffamata per la bocca stessa di quelle befane che volevano impalmarti coi loro mocciosi.

Ma tu rimanesti la bella dal giardino incantato nel quale i tuoi ispidi zii solevano tendere il roccolo per uccellare nel grande silenzio; e, appunto per virtù del roccolo, ti destavi al «Francesco mio» dei fringuelli, e accendevi il lume con l'ultimo canto dei malinconici pettirossi i quali escono dalle siepi sulle rame più in cima, a cantare alla luce che muore.

E il sole era sempre con te.

II

Guardati dai salti improvvisi, anche se dovesse chiamarti Elena argiva.


Giusto in quel tempo passasti dai sedici ai diciassett'anni e raccogliesti i tuoi cappelli biondi in una nuova acconciatura.

Chi ti insegnava ad essere tanto mai bella, Giacometta, ahi, Giacometta?..

E il mio cuore, povero e inutile vagabondo, stava sempre alla finestra. E tu alzavi gli occhi celesti per vedere la mia ammirazione che si pietrificava nello spasimo. Io stavo diventando un oggetto scemo sul davanzale di una finestra.

A volte ti udivo ridere di lontano; a volte giungevi di gran corsa tutta affannata e rossa; a volte parlavi con qualcuno… con chi?.. con qualcuno al di là del vasto giardino, per il mondo. Parlavi ma non percepivo le parole; udivo bensì la tua giovine calda voce.

Poi ti si disse, e non so perchè, ch'io avevo licenziato qualche parola rimata per le stampe e ti venne in mente ch'io fossi un poeta, io, nutrito di onesti legumi e coi miei poveri dieci soldi per settimana! I poeti portano le corone di alloro ed io avevo un cappelluccio verdino e tutto spellato come una vecchia gatta e avevo altresì una miseriola di vestito che quasi quasi non mi copriva niente.

Così le scarpe piangevano dai loro tiranti e la cravattina si faceva sempre più striminzita e lisa e senza natural colore.

Potevo essere degnamente poeta con simili masserizie? Io ero appena un povero oggetto scemo sul davanzale di una finestra e avevo le scarpe solate di bucce di cocomero.

Ma tu mi vedevi e bastava questo perchè il mio affanno crescesse a dismisura. Poi siccome le alterazioni dello spirito si ripercuotono nella nostra viva materia, io venivo perdendo l'appetito di giorno in giorno mirabilmente, il che, per le domestiche economie, non era trascurabile.

La mia formidabile zia, quando eravamo a tavola, io e lei e Salsiccia, il gatto rosso, vedendo il mio piatto vuoto, mi chiedeva stridendo:

– Perchè non mangi?

– Non ho fame.

– Bravo! Chi non mangia ha mangiato.

E ciò bastava allo spirito di lei che era altruista, mentre io ero un languido giovane che dimagriva dietro le meraviglie del giardino di Giacometta.

E un altro giorno mia zia, la signora Adalgisa, mi disse:

– Tu mi sembri Salsiccia nel mese di gennaio, quando si innamora!

Bisogna sapere che Salsiccia, nel mese di gennaio, diventava il più brutto e magro ed ispido gatto dei dintorni, forse perchè era troppo sensibile e si ostinava a voler darsi appassionatamente a chi non voleva saperne di lui. Ritornava altresì questo gatto, dopo lunghe misteriose assenze, pieno di guidaleschi e mezzo divorato dai rivali suoi soffianti.

Il paragone turbò la mia bianca estasi e mi destò nei precordi un senso di ribellione; ma tacqui perchè la signora Adalgisa non ammetteva le si potesse dar torto.

Poi, una volta accadde questo. Ero al mio davanzale, quand'ecco venir di corsa Giacometta.

Il sole faceva della bianca casa di lei, in fondo al giardino, come una cosa viva. Fiorivan tre mimose lungo il viale dal quale arrivava la mia creatura, fra il cantare e lo zirlare di tutti i richiami del roccolo.

Quel giorno Giacometta si era vestita come il fiore del lino e aveva negli occhi celesti l'intiera luce di un mare. La sua biondezza passava fra sole e ombra sempre illuminata. Io sentivo tutto il mondo vivere e trasfigurarsi in quella leggera grazia e me ne stavo col più immobile e pallido volto che abbia avuto mai un povero innamorato giovinetto. Ad un tratto si fermò proprio sotto la mia finestra che non era alta più di cinque metri da terra e guardò in su, e sorrise. Io sbiancai ed impietrii come se fosse per toccarmi l'avventura più terribile della mia vita.

E Giacometta mi parlò.

– Buongiorno signor… buongiorno signor Coso!..

La guardai come l'ebete guarda la luna e le risposi un buongiorno in fa minore con una vera voce da lucertola.

Ella sorrideva ancora.

– Perchè non discende in giardino?

Ma poteva darsi tanto?..

Risposi con la stessa accorata malinconia, puntandomi un dito sul petto:

– Io?..

– Sì… lei!..

O cuore della rondine nel cielo!

– Ma… signorina Giacometta… io non conosco nessuno!..

– E che importa?

– E da dove dovrei passare?

– Scenda di lì!..

Misurai la distanza.

– Ha forse paura?..

Mi sentii d'improvviso il cuore di Salsiccia; presi lo slancio e caddi con discreta leggerezza, dentro un rosaio.

Uscii come un povero Cristo, tutto sgraffiato nelle mani e nella faccia: Giacometta si affrettò a chiedermi:

– Si è fatto male?.. Venga qua, che le tolga le spine.

Le porsi le mani, e, sulla cima di ogni dito, c'era il mio rosso cuore che ballava la furlana. Mi sentivo arder la faccia ch'era color della brage.

 

– Dio… quante ce ne sono!.. – disse lei. Ed io dissi:

– Infatti sono molte…

– Le faccio male?

– Non mi pare!

– Povero signor Coso!

Perchè poi, Coso, se mi chiamavo Francesco?

Sentivo le sue mani tepide, fini, delicate sfiorare le mie; vedevo il suo viso di mandorla, la sua testa bionda china sulle mie mani e abbrividivo come una minugia.

Ad un tratto mi prese una vampata al capo che mi fece veder tutto rosso e mi fece dire senza che neppure me ne accorgessi:

– Signorina Giacometta… io l'amo!..

Ella mi guardò dal sotto in su, sorridendo e rispose calma calma:

– E non sa dirmelo un pochino meglio?..

Riprese, dopo un silenzio:

– Tanto l'avevo capito. Lasci stare. Da quando ha preso il suo domicilio sul davanzale della finestra mi sono accorta ch'ella non stava là per studiare botanica…

Poi abbandonò le mie mani, rialzò il capo, scosse i capelli dalla fronte e disse:

– Ecco fatto. Ora sta meglio. Avevo un po' di rimorso per averle fatto fare quel salto; ma gli uomini mi piacciono alla prova. S'ella avesse preferito entrar dalla porta di strada come tutti i mamalucchi che vengono a domandar la mia mano, le avrei riso sul muso. Così la cosa è diversa. Venga venga; ora le mostrerò ciò che amo.

E mi trascinò via di gran corsa, per i viali del suo giardino incantato.

In tal modo, nonostante la mia timidezza, entrai di un salto nella vita di Giacometta.

III

– Perchè facesti tu questo?.. – Oh, per la primavera lo feci, cuor mio!..


Io avevo fatto il salto ch'eran forse le cinque di un pomeriggio di marzo; ora ci accorgevamo che il sole era già dietro ai colli.

– Giacometta, dove sono i vostri zii?

– Forse riporranno i richiami nella capanna del roccolo; ma perchè vi interessa?

– Se li incontreremo che cosa direte?

– Già! È meglio farlo subito. Venite con me, Franzi.

Fino a quel punto erano accadute molte cose inattese per me e raggianti, che mi avevano di un subito dischiusa l'ignota lontananza nella quale mi sperdevo per amore e malinconia, di sera in sera. E se pure non decadeva la delicata soavità della quale il mio sogno aveva rivestito Giacometta, tutta la tristezza di cui io, povero giovane, mi pascevo come de' miei legumi, era trascorsa di fronte a un gesto di lei, a una sua sola parola. Senonchè un'Iside più o meno velata è in ogni cuore di donna e le moderne fanciulle sono quasi sempre simili alle scatole a sorpresa.

Giacometta non era giunta tuttavia a conoscere e a far uso della cocaina, ma aveva avuto un passato singolare. Era in punto, in fatto di sottile sapere; ed io mi trovavo, di fronte a lei, fuori di strada. È ben vero che avvertii fino dai primi istanti tale contrasto, ma mi piacque. Io, ribelle ad ogni secolare e irragionevole costrizione; dispregiatore dei dogmi intessuti ad uso della media imbecillità riposante, giudicavo gli atteggiamenti di Giacometta come un portato della sua chiaroveggenza, una dimostrazione del suo senso di libertà, e di compiutezza. Nè pareva a me che dal segno raggiunto così, di scatto, senza intermedie stazioni, ella potesse tramutare, a me, giovane di semplice candore e schiettezza. Ma Giacometta, benchè piovuta nella grugnita città dai tre campanili, e, in apparenza, limpida come i suoi grandi occhi celesti, aveva un orizzonte che sconfinava ben oltre i tre famosi campanili e la mentalità dei medesimi. Questo dovevo io vedere, sopportare e sperimentare.

Quel giorno, pertanto, ella fu di una divina mobilità sì da lasciarmi talvolta disorientato e sbalordito. Debbo dichiarare che non la capivo sempre. Non è facile capire una vorticosa giovinetta che ride e si acciglia, vi ama e vitupera nel termine di pochi secondi. Giacometta era tutta a congegni elettrici, sempre però nella grazia della sua squisita femminilità.

Cominciò con l'interessarsi alla mia vita e rise della mia furibonda zia; poi mi domandò se conoscevo le Villes d'eaux e se ero stato a Biarritz. Oh, coerenza! Le confessai che ero stato una sola volta a Rimini e in bicicletta.

La cosa non la turbò. Volle sapere poi se giuocavo al tennis, se sapevo condurre un'automobile, se ballavo bene, se pattinavo, se amavo gli sports invernali, se giuocavo al poker tanto che, sfinito ed umiliato per dover dire sempre no, finii per rispondere sempre sì con imperturbata serenità.

Ahi, Giacometta, e non vedevi tu il mio vestituccio e la cravattina d'incerto colore? E non ricordavi da quale superbo balcone avevo fatto il magico salto?

Finì per domandarmi se conoscevo l'Africa centrale, alla quale domanda risposi affermativamente.

– E dove siete stato?

– All'Uganda.

– Ma quando?

– È un pezzo… un diciott'anni fa!..

Ella tacque. Mi accorsi troppo tardi del grosso sproposito. Fatto il calcolo dell'età mia, si avvide che dovevo essere partito verso gli undici mesi per il centro dell'Africa misteriosa. Soggiunse con garbo:

– Franzi, voi dovete dire qualche bugia.

Risposi:

– No, Giacometta! Cerco di abbellire la mia povera e nuda vita.

Rise. Poi mi si strinse al braccio dicendo:

– Sapete, Franzi, che mi garbate!

Volevo risponderle: – Tu sapessi poi, quanto garbi a me!.. – Ma mi trattenni. Certo si è che, in quel momento, avrei potuto toccare il cielo col simbolico dito.

Così girando di viale in viale, sostando di ombra in ombra non ci accorgevamo che il giorno se ne andava e stava sopravvenendo l'aer bruno. Ma c'era ancora una discreta e diffusa luce quando arrivammo ai piedi di un altissimo muro tutto coperto da una pianta di gelsomino. E forse perchè il muro era orientato a mezzogiorno, tanto da godersi tutto quanto il sole, certo si era che una precoce fioritura lo constellava di un mite candore. Giacometta mi mostrò un sedile. Disse:

– Sediamo qui, Franzi.

Io sentivo che la mia timidezza andava dileguando e lasciava posto ad alcunchè che non le assomigliava troppo. Ma il tuo tepore, il tuo profumo, tutta quanta la tua bellezza, Giacometta mia, erano cose troppo assassine, ed anche un buon giovane morigerato, come io mi ero, ha le sue improvvise prodigalità.

Ella mi sedeva accosto accosto perchè la panchina non era fatta che per una persona e mezzo; tanto accosto mi sedeva, da potersi dire ch'io la sentivo aderire a me, dalle spalle alle ginocchia; e certe aderenze non lasciano il tempo che trovano. Però forte era la mia costumatezza ed io cercavo, con disinvoltura, di allungare un poco la giacchettina striminzita che pareva volesse partire verso il torace per una gita di piacere.

– State attento, Franzi. Ora vedrete che cosa accadrà.

Io lo sentivo già che cosa stava accadendo e mi turbavo ed avevo la faccia accesa come certi tramonti violentissimi in cui ti domandi se il sole non si sia per caso svenato.

Ma alzai gli occhi e vidi due gatti l'uno di fronte all'altro, proprio sullo scrimolo del muro. Uno era rosso di pelo e riconobbi Salsiccia.

– Sta a vedere – pensai – che Salsiccia mi combina uno scandalo sotto agli occhi di Giacometta!

E Salsiccia mi combinò uno scandalo.

Ma mentre io cercavo di portar gli occhi altrove, Giacometta mostrava il maggiore interesse per la scena fisiologica che continua dal giorno in cui Iddio disse: Sia fatta la luce!

Poi Giacometta parlò:

– Io, un giorno, qui, in circostanze che forse vi racconterò, vorrò tessere una ghirlandella di quei gelsomini! Può darsi che la cosa vi interessi.

Le risposi:

– Giacometta, non vorrei passasse il tempo della fioritura. Questi gelsomini fan tanto presto a sfiorire!..

Sorrise e mi parve si turbasse; ed anche mi parve aderisse un poco più a me. E mi dicevo: – Baciala!.. – ma avevo il mio malnato dèmone che mi teneva inchiodato al mio posto, irrigidito, al mio posto come il più funebre palo che sia mai stato in una funebre terra.

Ella ad un tratto scattò in piedi rabbuiata e disse: – Andiamo via!.. – con lo stesso tono che avrebbe usato per dire: – Imbecille!.. – E andammo via. Ella un passo avanti, io un passo indietro, finchè non tramutò d'improvviso e non scoppiò in una grande risata:

– Ah, Franzi… Franzi… Franzi!..

– Perchè ridete?

– Di niente. Mi è passata per il capo un'idea bizzarra.

– Si può sapere?

– No. Non ne vale la pena.

Poi mi prese sotto braccio e mi chiese un libro da leggere.

– Portatemi un vostro libro.

– Io non ho pubblicato che un opuscolo: I veli de la notte.

– E che cosa sono questi veli?

Trovai una facondia improvvisa che mi parve la travolgesse. Però quando più ero infervorato e credevo tenerla nel magico dominio del mio sogno, mi interruppe per chiedermi una sigaretta che naturalmente non avevo. E disse poi:

– Ma Franzi, voi siete disperatamente infelice!

Non mi rimase che risponderle:

– Avete ragione!

Ciò la riconciliò. Poco dopo eravamo alla presenza dei due vecchi zii.

IV

Meglio è credere a un onesto merlo anzichè a una leggiadra fanciulla.


Il signor Tomaso e il signor Antonio mi squadrarono dall'alto al basso e mi chiesero:

– Chi siete voi?

Io guardavo pietosamente Giacometta che si divertiva un mondo al mio imbarazzo e non mi decidevo ad aprir bocca per non saper che dire.

Il signor Tomaso era un uomo alto più di due metri e aveva il naso pieno di bitorzoli. Il signor Antonio, all'opposto, era piuttosto piccolo e calvo e grassotto. Entrambi portavano gli occhiali a stanghetta e vestivano una vasta cacciatora di fustagno.

E ricordo che il signor Tomaso teneva, sospeso al dito anulare della mano destra, una gabbia con un uccello che mi parve o un merlo o un tordo; ma non ebbi tempo di occuparmi del particolare.

Questi due zii erano molto antichi ed entrambi scapoli.

Continuando adunque il mio penoso silenzio, il signor Tomaso, lo zio Pertica, si fece innanzi e muovendo la gran bocca nera, fra rari ed ispidi peli bianchi, mi domandò:

– Ehi, giovanotto, non sapete dire dunque per quale ragione vi trovate qui?

Io vedevo Giacometta che si mordeva le labbra per non scoppiare a ridere e credo di esser stato in quel punto, sì per la mia naturale timidezza, come per la orripilante sorpresa, di esser stato più bianco della panna.

Continuando il mio silenzio, il signor Antonio si rivolse a Giacometta e le chiese:

– Ma dove hai trovato questo signore?

– L'ho trovato in giardino – rispose Giacometta.

– E da qual parte è passato se Girolamo non ci ha annunciato neppure una visita?

La giovinetta fece una smorfia e rispose con palese indifferenza e tranquillità:

– Credo sia passato da una finestra.

– Da una finestra?.. – domandarono i due zii ad una voce e tanto l'uno quanto l'altro mi spalancarono addosso due smisurati occhi.

– Volete spiegarci questo enigma? – domandò il signor Antonio.

– Su, Franzi, parlate – fece Giacometta con adorabile semplicità.

Ma io non trovavo modo di spiccicar parola; tormentato fra mille dubbi; preso da un inverosimile timore ero nell'assoluta impossibilità di formulare alcunchè di concreto. E mi sosteneva inoltre l'ultima disperata speranza che Giacometta intervenisse.

Allora il signor Tomaso, continuando il silenzio, divenne aggressivo.

– Spero non ci vorrete far perdere maggior tempo – disse. – Su, che diavolo facevate con Giacometta?

– Che diavolo facevate? – soggiunse il signor Antonio.

– Ma, Franzi, siete davvero tanto timido?.. Quando io sono contenta potete parlare liberamente. Gli zii sono buoni e fanno quello che desidero!

Allora impallidii certamente anche nelle mie parti più celate. Di fronte a quale enigma mi poneva la mia sfinge improvvisa?

Dopo le parole di Giacometta i due anziani si guardaron negli occhi, poi lo zio Pertica domandò alla nipote:

– Dunque tu conosci questo signore?

– Eh, se lo conosco!

– E perchè non dircelo prima? – fece lo zio Antonio.

– Perchè è per lo meno strano che io debba parlare prima di lui.

– Ma allora, se lo conosci, saprai anche perchè è venuto – riprese lo zio Pertica.

– Certo che lo so! Anzi lo so benissimo! E parlerò. Siete contento Franzi?

Le avrei gettato le braccia al collo.

– Sì, Giacometta, ve ne prego!.. Parlate… Parlate subito!..

Che cosa avrebbe detto?.. Che cosa avrebbe detto mai?..

– Ebbene… il signor Franzi è venuto a chiedere la mia mano!..

Il primo impulso, il più forte, fu quello di gridare ai vecchi musi:

 

– No, non è vero!.. Non è vero!..

Ma tacqui, allibito, aspettando che l'inevitabile burrasca mi investisse.

Invece seguì un silenzio in cui i due cacciatori mi osservarono ancora; poi lo zio Pertica chiese tranquillamente a Giacometta:

– E tu che ne pensi?

– Io sono contenta!

– Ma sai chi è questo signore?

– È un giovine povero; ma è un grande poeta! – rispose imperturbata la mia Sibilla.

Allora i due anziani si guardarono nel fondo degli occhi e l'uno fece all'altro, ad un dipresso, il ragionamento che segue:

– Già!.. Che ne pensate, Antonio?.. Dopo tutto noi non ci entriamo e non dobbiamo entrarci. Ma, – dice – il mondo non fa così… È vero, è vero, è vero!.. Lo sappiamo… lo sappiamo!.. Ma noi facciamo così, noi Tomaso Maldi e Antonio Maldi!.. Dice: – Un poeta!.. A chi la danno quella povera figliuola, a chi la danno!.. – Adagio, rispondiamo noi. In primo luogo noi non diamo Giacometta a nessuno, non vi pare, Antonio?.. È lei che si dà! Poi un poeta è un uomo rispettabile come un altro. Che ne pensate, Antonio?.. Siamo stati poeti anche noi, ai nostri bei tempi! Se Giacometta ama questo signore e se questo signore ama Giacometta, la nostra coscienza è tranquilla. Noi non dobbiamo guardare un millimetro più in là. Noi non dobbiamo investirci della parte di una giovinetta. Così quando Giacometta ci presenta il suo uomo, a noi non resta che mettere la firma sotto la sua decisione. Che ne dite, Antonio?.. E noi mettiamo la firma!

– Sicuro!.. E noi mettiamo la firma – soggiunse il piccolo zio. – Dopo tutto si tratta di logica.

– È quello che ho sempre detto io – fece lo zio Pertica. Poi, senza più occuparsi di noi, alzò fino agli occhi la gabbia che teneva sospesa al dito anulare della mano destra, guardò amorosamente il suo merlo o tordo che fosse, e disse al fratello:

– Antonio, questo sarà un richiamo monumentale. Ha la voce di Caruso.

E si avviarono, rifacendo il verso agli uccelli, verso le ombre e le tese insidie del loro uccellatoio.