Buch lesen: «Galatea», Seite 14

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–Può immaginarselo, colla paura che aveva.

–Strano!—diss'ella.—Ora mi pare che tremi Lei, signor Morelli.

Capisco; forse è pel ricordo.

–Le pare? A me pare, invece, che Lei voglia ridersi un pochino di me.

Ma basta; seguitiamo.

–Qui, poi, siamo all'argine del bottaccio; riprese la signorina;—al —largo, adunque, e non c'è più bisogno di tenersi per mano.

–Infatti, è vero;—diss'io.—Lei intende le cose, signorina, e le rifà come se fosse stata presente. Ma badi, che l'argine non continua sempre così forte e così largo. C'è ora quest'altro ponticello, che cavalca lo sportello della cateratta. A questo punto fu un altro guaio. La signora non si peritava più di venire avanti da sola; nè si poteva andar tutti e due sulla medesima fronte.

–Allora?

–Allora le fu necessario aggrapparsi alla mia spalla.

–Che sciocca! che sciocca!—gridò Galatea.—Ma a questo modo si vuol egli andare in campagna? Non c'è posto per camminare, in due, qui? Ebbene, si va da soli; e se occorre si passa avanti al compagno; così. senza tante paure.—

E mandava gli atti compagni alle parole. Aveva posata la mano sinistra sulla mia spalla destra, assai leggermele, che appena l'avevo sentita, e di lancio mi era passata di fianco, per correr via davanti a me sul colmo dell'argine, toccando a mala pena il terreno con la punta dei piedi. E volli correre anch'io per raggiungerla; ma proprio in quel punto che alzavo il piede a mia volta, inciampai in qualche cosa che non avevo avvertito, e mi ritrovai di punto in bianco per aria. Ci fossi almeno rimasto; sarebbe stato un miracolo. Ma no; non ci stetti niente più del tempo necessario alla caduta dei gravi, e precipitai nel bottaccio, facendo un tonfo rumoroso nell'acqua, che era alta almeno un uomo e mezzo in quel punto.

Che cos'era? Un'alzata d'ingegno di Buci. Il nostro buon cane era stato modestamente il terzo, finchè Galatea era stata seconda. Ma come ebbe veduto lei farmisi avanti e correr veloce sull'argine, il signor Buci non istette alle mosse, volle esser lui il secondo, e si cacciò avanti senza badare a me, suo legittimo padrone e degno del massimo rispetto, non foss'altro, per le venti lire che avevo buttate via, a riscattarlo dalla schiavitù di Corsenna. Si cacciò avanti, ho detto; il sentiero bastava appena per me, ed egli strisciò contro le gambe mie, proprio al momento che io levavo il passo per correr dietro alla mia fuggitiva. Così avvenne che io perdessi l'equilibrio, e mi ritrovassi in acqua prima di aver visto il pericolo.

Al tonfo che io feci si volse Galatea, e mise un grido di spavento. Ma il grido non poteva far niente al caso mio. Piuttosto poteva giovare il consiglio che ella mi gittò, in mezzo ai latrati di Buci.

–Nuoti verso l'argine; non si lasci trascinare dal filo della corrente.—

Io non sono stato mai un gran nuotatore nel cospetto di Dio. Ma se anche fossi stato meno sbercia di quel che sono, credo che non mi sarei cavato con le mani mie dal pericolo di stamane, perchè non ero più in tempo di seguire il consiglio di Galatea. Nella confusione del momento, e pestando l'acqua alla guisa dei can barboni, mi ero ritrovato per l'appunto nel bel mezzo del bottaccio, non riuscendo a far cammino contro corrente, nè a tirarmi destramente da un lato. Il caso mio poteva dirsi disperato, perchè di laggiù dal mulino nessuno mi poteva sentire, se avessi gridato al soccorso, essendo la gran ruota in movimento, e la cascata facendo un rumore d'inferno.

La signorina Kathleen era corsa indietro a furia, e m'incitava colla voce a piegare quanto potessi verso di lei. Ma ella non istette molto a capire che il filo della corrente era più forte di me, nuotatore mal pratico. E appena ebbe capito, non pose tempo in mezzo; com'era là, vestita di tutto punto, sì buttò in acqua e mi afferrò per una mano, tirandomi forte a sè, fuori della corrente. Descrissi, io credo, un mezzo cerchio nell'acqua, e mi ritrovai vicino allo sportello della cateratta, al cui anello di ferro fui pronto ad aggrapparmi, colla furia disperata del naufrago.

–Sì, bravo, respiri;–mi disse Galatea, ridiventata ninfa marina per me, quantunque in acqua dolce.—E adesso, se può nuotare adagino….

–Nè adagino, nè altrimenti;—risposi.—Ho le mani intormentite da certi colpi dell'altra settimana, e m'è tornato il dolore, acutissimo.

–Anche il duello ci voleva! E facciamo altrimenti. Veda di attaccarsi ad un lembo della mia veste; così, leggero leggero, per non tirarmi sott'acqua, che s'affogherebbe in due. Nuoterò io; ma Lei si tenga quanto più Le vien fatto rasento all'argine, e spinga coi piedi. Non avrà mica intormentite le gambe. Bravo, così va bene; avanti sempre.

–E voi tacete di lassù, perfido cane;—gridai, raffidato da quella buona andatura, e cercando di volgere il nostro caso in burletta;—siete voi che m'avete fatto incespicare, obbligando Galatea, la più candida delle ninfe, a seguirmi nell'acqua.

–Lasci star Galatea!—rispose la mia nuotatrice.—Quella poverina ha rimorso d'essersi messa a correre come una bambina matta.

–Perchè rimorso? Se tutti i miei mali hanno da essere come questo, io ne invocherò uno al giorno dalla misericordia divina.

–Sì, bravo, si preghi anche un reuma;—diss'ella ridendo;—e lo preghi a me pure. Faccia meglio, per ora; si rizzi in piedi, perchè qui si tocca, e via presto presto, verso la stretta del bottaccio. Ma si tenga ancora all'argine, che oramai, come vede, si può afferrarne già l'orlo. Qua, qua, è fuori di pericolo, sia lodato il Signore!—

Siamo usciti di là tutti inzuppati, e battendo un po' i denti. All'aperto non si poteva andare, col rischio di abbatterci in qualcheduno che vedesse il nostro stato compassionevole. Si rideva come due ragazzacci, che venissero via da qualche impresa un po' matta, e si andava frattanto lungo la siepe delle carpinelle, avviati al rivolo dell'Acqua Ascosa; dove per altro, così bagnati fino all'osso, non avremmo potuto rimanere.

–Che peccato!—le dissi.—Si doveva star qui un'ora almeno, a finire la storia incominciata.

–Un'ora!—esclamò.—Doveva durar tanto, quella brutta storia?

–No, quella poteva esser finita in due minuti, tanto era vuota; ma ce ne sarebbero rimasti cinquantotto per ragionar di cose più liete.

–Ah, volevo ben dire! Ma ciò che non mi può raccontare quest'oggi, mi potrà raccontare un altro giorno.

–Domani!

–Anche domani. Veda di rammentarsela bene.

–Oh, non dubiti; l'ho scritta tutta nel mio memoriale, ed Ella potrà confrontare….

–Capisco; Ella ha una gran voglia ch'io legga il suo memoriale.

–Sicuramente; c'è tutta la mia giustificazione.

–E niente la sua glorificazione? Gli autori di memoriali son tutti così.

–Non io, signorina. Vedrà, se si degna di leggerlo, che spesso mi tratto…. secondo i meriti miei.—

Così ragionando, si era giunti a quello che si potrebbe chiamare il Passo della Contessa.

–Di qui, signorina;—diss'io;—bisogna saltare il rivolo, per salire da quell'orto ai casali di Santa Giustina.

–Ho ben capito;—mi rispose Galatea.—Di qui era saltato anche il cane. Buci,—soggiunse ella,—voi conoscete la strada, animo, su.—

Buci saltò l'acqua, ed ella dietro a Buci. Volevo saltare ancor io; ma ella mi trattenne col gesto.

–Alto là!—disse poi.—Vado dalla buona Nunziata a rasciugare i miei abiti. Non potrei mica ritornare in paese così. E lei, signor Morelli, deve fare altrettanto a casa sua, che per andarci non ha da passare per l'abitato. Intanto, con quel bagno che ha preso, si è levato di dosso un certo odore di pelle di Spagna, che non era niente piacevole. E noti che io lo gradivo, in altri tempi; ma da parecchie settimane, non so come, mi era venuto a noia.

–Non sia cattiva, La supplico. Quando avrà letto….

–Sì, sì; ma vada a casa, poverino, che è tutto immollato; vada a casa, e si cambi alla svelta.

–Andrò; ma ad un patto.

–Dei patti a me?

–Sì, a Lei, e favorisca di ripetere le mie parole: Che mi lasci….

–Che La lasci….

–Parlare quest'oggi….

–Parlare quest'oggi….

–A…. nostra madre.—

Galatea rimase un istante perplessa: ma tosto, vedendo il brutto senso che il suo silenzio faceva su di me, gridò intenerita:

–Sì, sì, a nostra madre. Non è dunque più lecito di fare una piccola pausa, per meditare…. per gustare…. un bel modo di direi—

E mi stese la mano, che io afferrai prontamente, e lungamente e divotamente baciai. Oh, sire Iddio, questa è felicità grande e piena, e senza mistura! Buci, gran cane, io vi farò fare certamente un simulacro di bronzo. Corsi a precipizio verso il viale dei pioppi, valicai il fiume di sotto al pancone, e cinque minuti dopo ero al Giardinetto, per mutar abiti. Un'ora prima che Galatea ritornasse a casa sua, c'ero già io, e facevo un breve ma solenne discorso alla signora Wilson, che già abbastanza mi conosceva e mi voleva bene, contro i meriti miei, da non sapermi dire di no, e da non pigliar tempo a rispondermi.

–Come!—esclamò la signorina stupita, vedendomi.—Lei qui?

–Io, per l'appunto;—risposi.—E se non temessi di dispiacerle con la mia tracotanza, Le riferirei quel che ho finito di dire a sua madre. E se non volessi lasciare a sua madre l'incarico di persuaderla, Le soggiungerei che la buona signora per conto suo risponderebbe volentieri di sì ad una mia calda e rispettosa domanda.

–Eh!—mormorò la signora Wilson.—Mi pare che il nostro signor Rinaldo non mi lasci più niente da fare. Che ne pensi tu, Kitty, o piuttosto Kathleen, come bisognerà dire oramai, per far piacere a lui?

–Mamma!—gridò Galatea.

E non potè proferire una parola di più. Ma intanto si gittava nelle braccia della madre, scoccandole sulle guance due baci, che mi parvero fratelli germani di quelli ch'io avevo impresso tre ore prima sulla cara sua mano.

XX
Galathea for ever

21 settembre 18…

Tiriamo le somme. Io ho trentacinque anni, e Galatea ne ha ventuno. Forse sono un po' troppo vecchio per lei. Ma c'è chi sostiene che l'uomo debba avere dieci o dodici anni più della moglie, essendo ragionevole ch'egli abbia giudizio per due. A questo patto, io sono ancora troppo giovane; e mi consolo, pensando che il dente del giudizio non mi è nato ancora. Una pazzia avrò causato di fare, non terminando il mio Don Giovanni. Poco male, del resto; ero appena al settimo canto, e il mio disegno avrebbe portato il poema ai quaranta.

Ha ragione Filippo Ferri. Perchè darsi pensiero della posterità, la quale non si darà pensiero di noi? E farà bene, dal canto suo; noi dal nostro ci leveremo il gusto di mandarle qualche saggio del nostro valore, ma non in carta stampata; in carne ed ossa, piuttosto, in buona salute e di ottimo umore, che sappia ridere di lei, vedendola fare le medesime sciocchezze ond'è rallegrato il secolo nostro, non dissimile in ciò dai passati. Del resto, se il mondo durerà ancora nel secolo ventesimo et ultra, sarà sempre in forza di una buona consuetudine che noi abbiamo ereditata dai nostri maggiori, quella di prender moglie e di far famiglia; buona consuetudine, che io non raccomanderò mai abbastanza ai miei cari ed amati contemporanei.

Galatea leggerà questa sera il mio memoriale. L'ha chiesto, ed io glielo porterò, condotto diligentemente fin qui. Lo giudicherà; e se vorrà condannarlo alle fiamme, non sarò per lagnarmene. Le cose buone e piacevoli che ci son registrate, le ho tutte scolpite nel cuore; non è necessario che rimangano scritte sulla carta. E finalmente, io voglio inaugurare l'altra buona consuetudine di far tutto ciò che a lei piacerà. L'umano consorzio va male, dacchè il codice costringe le mogli ad obbedire ai mariti. Chi sa che non voglia andare un po' meglio, se i mariti prenderanno il verso d'obbedire alle mogli?

22 settembre 18…

"Ho letto, e scrivo io, Galatea. Prima di tutto mi piace il nome, e lo assumo per mio. Direi una bugia, se soggiungessi che mi piace egualmente tutto ciò che è scritto in questo memoriale del signor Rinaldo Morelli. Vedo che la pelle di Spagna è stata lì lì per dare al cervello del mio fidanzato, e non saprei consolarmene, se non rendessi giustizia alla sua sincerità, che sovra ogni altra cosa mi è cara. Fors'anche lo scrittore s'è lasciato un po' vincer la mano dal suo ippogrifo, e l'amor della frase lo ha condotto oltre i termini del vero. Teniamo conto anche di questo, e conchiudiamo col nostro Shakespeare, che all's well that ends well. In casa mia, del resto, non entrerà pelle di Spagna; ne faccio promessa formale. Ma io non sarò prepotente, e qualche freno accetterò ancor io; per esempio, non giuocherò più al lawn-tennis. Che idea, per altro; non amare un giuoco tanto bello! Ma sui gusti non si discute; ciò che non piace a lui, non piacerà a me, di sicuro.

"In un'altra cosa ci troviamo pienamente d'accordo: il simulacro di bronzo a Duci. Buci lo ha meritato. Ha, veramente, corso il rischio di guastar sulla fine quello che aveva cominciato; ma quello che aveva cominciato era buono. Vedi il memoriale di Rinaldo al capitolo quarto. E ne sia lode a Buci, sapientissimo cane, che ride senza far rumore, e pensa ottime cose dei suoi amici, senza tingersi le dita d'inchiostro. Il guaio intanto è accaduto a me. Con che coraggio stenderò io la mano a Rinaldo? specie sapendo per esperienza recente che egli….

"Basta; sarà quel che sarà. Intanto non gli neghiamo il "visto, si approva."

"GALATEA."

Ma che inchiostro! che inchiostro! Paura io, dell'inchiostro!.. Vi siete persuasa ora? È fuggita, si capisce, dopo avermi accoccato quello che lì per lì le è venuto alla mano; un gomitolo di refe. Sempre lei, sempre lei; viva Galatea, Galathea for ever! Ma non senza una giunta, intendiamoci. Galatea Morelli, s'ha a dire. Sarete meno mitologica, mia dolce bambina; ma tanto più vera, e sommamente piacevole a me.

RINALDO.

FINE
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Veröffentlichungsdatum auf Litres:
16 November 2018
Umfang:
230 S. 1 Illustration
Rechteinhaber:
Public Domain
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