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Buch lesen: «Naja tripudians», Seite 6

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XXII

Il treno rallentava per entrare nella stazione di Liverpool-Street e le due fanciulle si sporsero dal finestrino.

– Ecco lo chauffeur! – esclamò Leslie.

– Dove? dove?

– Là, accanto a quella signora.... quella coi capelli grigi.... vestita di nero.

– Si, sì, – disse Myosotis un po' nervosa. – Chi sarà quella signora?

– Ha l'aria molto aristocratica, – disse Leslie; – che sia la dama d'onore....

– Può darsi, – disse Myosotis. Indi soggiunse: – Ma non credo che quella verrebbe alla stazione.

Il treno si fermò; le fanciulle presero le loro valigie e scesero.

Lo chauffeur si avvicinò, salutò, e risalì in treno per prendere la cappelliera.

– Sono sole? – chiese poi, guardandosi in giro.

– Si, sì; sole, – disse Myosotis.

– Ah, – fece l'uomo, – credevo che forse le accompagnava il signor padre....

S'avviò rapido, portando valigie e cappelliera, verso la signora dai capelli grigi che s'era fermata in fondo alla piattaforma.

Myosotis e Leslie lo seguirono, correndo un poco.

Giunte presso alla sconosciuta le due fanciulle la guardarono con timido sorriso, in attesa del suo saluto.

Ma lo chauffeur le parlava.

– Sono sole, – disse.

– Ah! sono sole? – La signora sfiorò le sorelle collo sguardo. – Allora io me ne posso andare.

– Si, sì, – disse lo chauffeur, avviandosi verso l'uscita.

Anche la signora si mosse, camminando accanto a lui. Si volse un istante e di nuovo sfiorò collo sguardo le due ragazze senza far atto di salutarle. Poi, rivolta allo chauffeur, disse:

– Che Gaby non si metta nei pasticci!…

Lo chauffeur si strinse nelle spalle.

– Mah! Peggio per lei, – osservò.

E piantando in asso l'aristocratica signora dai capelli grigi, si avviò in fretta verso la grande automobile verde che, guardata da un commissionario, stazionava all'uscita sotto la tettoia.

Trotterellando dietro a lui le fanciulle non parlavano più. Myosotis si domandava perchè mai quella signora quando aveva saputo ch'erano sole, se ne era andata. Le pareva una ragione di più perch'ella restasse con loro e le accompagnasse. Vagamente si domandò anche chi poteva essere «Gaby», e in che sorta di pasticci stava per mettersi....

Ma lo chauffeur aveva caricato valigie e cappelliera sulla Rolls-Royce, ed ora teneva aperta la portiera perchè le due giovinette salissero. Entrarono nella sontuosa vettura e sedettero, sprofondando nei morbidi cuscini.

Lo chauffeur chiuse Io sportello, salì al suo posto, e via!…

.... Via, verso il turbinante cuore di Londra traverso le strade nere e affollate della City; via, lungo i neri meandri del Tamigi, e su pel sordido Cheapside e il formicolante Fleet Street e il brulicante Strand; via, oltre la grandiosa Trafalgar Square, e giù per l'interminabile Oxford Street e su per Regent Street e Langham Place… e fuori, verso i quartieri più aperti e lussuosi del West End. Via, costeggiando un parco immenso, e poi di nuovo il fiume, e poi un altro parco, via!…

Rombando e strombazzando, tossendo e abbaiando, l'automobile verde correva rapidissima, lasciandosi dietro una strada dopo l'altra, una piazza dopo l'altra.

Ora si susseguivano interminabili, uno identico all'altro, dei piazzali quadrati, ognuno con un giardino nel centro, e intorno le facciate delle case alte e solenni. Nel crepuscolo invernale – fosco e fuligginoso crepuscolo londinese – tutto si confondeva, grigio su grigio, ombra su ombra; le case, le strade, il cielo.... Tutto era plumbeo e livido. Pareva di correre senza posa e senza meta entro un mostruoso cinereo labirinto.

Le fanciulle dapprima si erano scambiate qualche parola, commentando la velocità della corsa, la folla di gente affaccendata, l'altezza dei grandi ponti lanciati sopra le nere acque del Tamigi.... e poi le innumerevoli e interminabili strade e piazze che tutte si assomigliavano e si confondevano, livide sotto la livida cappa del cielo; tutte identiche l'una all'altra, a tal punto che si aveva l'impressione di ritrovarsi continuamente là dove si era già stati....

Ma ora tacevano, guardando fuori, sbalordite, senza pensiero. Non si preoccupavano più nè dell'arrivo, nè dell'accoglienza che farebbe loro Lady Randolph. Non si preoccupavano più di nulla, non pensavano più a nulla, cullate e intontite dal celere movimento dell'automobile che le trasportava, atomi inerti in questa immensa metropoli, verso la meta sconosciuta.

Finalmente – e ormai tutt'intorno a loro si era chiusa, come una muraglia torbida, l'oscurità – l'automobile si fermò.

Myosotis, che aveva chiuso gli occhi, si drizzò di soprassalto.

– Ci siamo!

– Che gioia! – esclamò Leslie, ravviandosi i capelli.

XXIII

Entrarono, un po' stanche, un po' pallide, un po' freddolose, in una immensa e sontuosa anticamera decorata di arazzi e tappeti orientali; in un antico gigantesco caminetto ardeva il fuoco; e in un angolo una grande pendola antica ritmava lento e forte il passare del tempo. Le due fanciulle si strinsero un po' più vicine l'una all'altra, sentendosi piccole e sperdute.

Il servitore che aveva aperto la porta prese i bagagli dallo chauffeur, richiuse a chiave e chiavistello la porta, indi sparì colle valigie entro un vasto e lungo corridoio.

Sullo scalone apparve una cameriera in veste nera e cuffia bianca. Le ragazze furono contente di vedere ch'era vecchia e aveva l'aria mite.

– Se le signorine vogliono salire prima di entrare al salone…? – disse con voce piana; e le attese, ferma sull'ultimo gradino del sontuoso scalone, tra due putti di marmo che reggevano dei maestosi candelabri accesi. Le fanciulle traversarono timide la vasta stanza e salirono dietro la cameriera; i loro passi affondavano senza rumore nel folto tappeto rosso.

Giunte al primo piano udirono dietro una grande porta socchiusa il suono di parecchie voci; erano voci gravi, mascoline.... Ma già la cameriera le precedeva verso il secondo piano, ed esse la seguirono silenziose.

– Ecco la sua stanza, – diss'ella a Myosotis, aprendo una porta e scostando, per lasciar entrare le fanciulle, una pesante portiera di velluto cremisi.

Le giovinette si guardarono intorno stupefatte nella luminosa camera rossa; sul tappeto vermiglio erano gettate delle grandi pelli d'orso; nel caminetto un gran fuoco illuminava vividamente la tappezzeria color rubino, l'immenso letto a baldacchino e le larghe e profonde poltrone e gli enormi cuscini di raso scarlatto buttati per terra davanti al focolare.

– Ma è una reggia! – mormorò Myosotis, meravigliata e intimidita.

La cameriera aveva traversato la camera, ed ora, facendo scorrere sugli anelli un'altra pesante portiera rossa, aprì una porta che comunicava colla camera vicina.

– E questa è la stanza della ragazzina, – disse, guardando Leslie.

Leslie, sorridendo a quell'appellativo, seguì la donna verso la camera attigua, ma giunta sul limitare si arrestò con un'esclamazione di meraviglia.

– Myosotis! guarda!

Allora anche Myosotis si affacciò alla soglia e si fermò stupita.

– Mio Dio! – disse Leslie inoltrandosi con passo trepido, – pare di entrare nel cuore di una rosa!

Difatti la camera era tutta a tinte digradanti dal rosa pallidissimo al rosa profondo. Dalla tappezzeria carnicina, quasi bianca, i mobili di broccato e il morbido tappeto andavano via via facendosi di tinta più vivida e incarnatina, fino al centro della stanza dove troneggiava regale il letto colle seriche coltri di un rosa vividissimo. Era la stanza di una principessa. Intorno, dei larghi specchi ne riflettevano e moltiplicavano all'infinito il rosato splendore. L'aria era tiepida e profumata di white-rose.

Le due sorelle non trovarono parole; e come la cameriera si era allontanata un momento – la udivano nella sala da bagno accanto, che faceva correre l'acqua – si abbracciarono in un trasporto di gioia e di commozione.

Ma già la donna tornava, e Myosotis, esitante, la interpellò.

– Non dovremmo subito andare a salutare Lady Randolph?

– No, – rispose la cameriera, – Milady ha detto che è meglio, poichè ci sono visite a pranzo, che loro si vestano prima di scendere.

Myosotis si turbò un poco. – Molte visite? – chiese timorosa.

– Cinque, – rispose laconica la donna, andando verso un grande armadio a specchio.

Myosotis e Leslie si guardarono. Che effetto farebbero in questo ambiente i loro vestitini di mussola rigata fatti da Miss Knox?

– E le nostre valigie?… – chiese Myosotis guardandosi intorno.

– Non occorreranno, – rispose la donna.

Aveva aperto un armadio ed ora ne toglieva – oh meraviglia! – due vesti, una veste di velo celeste per Myosotis, una veste di mussolina bianca per Leslie; e nel fondo dell'armadio si scorgevano allineate molte scarpette di raso di tutti i colori, e su uno scaffale nell'armadio vi erano ammonticchiate delle calze di seta variopinta, e su un altro scaffale della biancheria iridescente e diafana come se fosse fatta di nuvole e di schiuma.

– Ma come?… Ma per noi! – esclamò Myosotis, stupefatta.

– Sì, sì; per loro, – disse la vecchia.

Leslie, quasi incredula davanti a tante meraviglie, congiunse le mani in un piccolo singulto di gioia.

– Oh! se papà potesse vederci, come sarebbe felice!

E di nuovo abbracciò la sorella; e avrebbe abbracciato anche la cameriera se avesse osato.

Questa, all'ingenuo grido della fanciulla, si era voltata improvvisamente a guardarla; ed ora i suoi occhi piccoli e vividi – occhi timidi come quelli d'un cane e furbi come quelli di una volpe – andavano dall'una all'altra delle due figurette ridenti, che fino a quel momento non aveva degnato d'uno sguardo.

Myosotis notò quell'occhiata e, interpretandola a suo modo, arrossì e volle scusarsi.

– Noi viviamo in campagna, – disse; – la mia sorellina non ha mai visto tante belle cose. Veramente, – soggiunse, spinta dalla sincerità, – non ne ho mai viste neanch'io.

– Ah? – fece la donna; e la nota secca e sprezzante che prima aveva intimidito le fanciulle, non era più nella sua voce. – Vengono dalla campagna, loro? Credevo che vivessero qui in Londra.

– Mai più! – disse Myosotis ridendo, tuttavia un poco lusingata da quella supposizione. – Non ci siamo mai vedute fino ad oggi. È la prima volta che lasciamo casa nostra, – soggiunse. – Allora capirà.... tutte queste belle cose ci fanno quasi paura!

La vecchia non rispose. Crollò le spalle e si volse per uscire. Myosotis si meravigliò un poco di quell'atto; ma già, tutto qui era inaspettato e strano.

Sulla soglia la donna si fermò.

– Se hanno bisogno di qualche cosa, suonino. – Poi, ricordandosi di un'ordine ricevuto, soggiunse (e di nuovo la sua voce parve alle fanciulle aspra e ostile):

– Ha detto la signora che lei, signorina, si pettini come al solito; e che la piccola qui, lasci i capelli sciolti.

E uscì.

Le due sorelle si guardarono sbigottite; poi risero, a lungo e allegramente.

– Ci si prescrive la pettinatura! – disse Leslie; – par d'essere in collegio.

– Par d'essere in un sogno, – disse Myosotis. Indi rapidamente si svestirono.

Andarono nella sala da bagno e videro la vasca già piena d'acqua, tiepida, opalina e profumata. Una dopo l'altra vi tuffarono i loro giovani corpi dalle membra sottili, ridendo e chiacchierando.

– Se Miss Jones ci vedesse!… Se la buona Jessie vedesse questa stanza!… E papà!… Come sarebbe contento che ci trattano così, come delle principesse reali!

La parola «principessa» le fece pensare alla dama d'onore, e questo temperò alquanto la loro allegrezza.

Misero delle calze di seta bianca che parevano ragnatele, della biancheria così fine che pareva di non averne; poi si pettinarono secondo gli ordini ricevuti. E finalmente fu il momento squisito di indossare quelle vesti fantastiche, meravigliose.

Leslie ebbe presto fatto d'infilare la sua vesticciuola di mussola bianca, vaporosa, cortissima, con una cintura di raso bianco à la Russe, a metà della gonna.

– Mio Dio, – esclamò ella specchiandosi, – sembro una bambina!

– Già! – disse Myosotis, contemplando perplessa la figuretta deliziosamente infantile che le si parava dinanzi: – Devono averti creduta più giovane di quello che sei. – E soggiunse: – Sembri vestita per la prima comunione.

– Ma guarda! m'arriva appena ai ginocchi, – disse Leslie inarcando le bionde sopracciglia. – Per fortuna le calze e le scarpe sono perfette!

E fece un piccolo passo di danza, per gaiezza di cuore.

– Meno male che ha le maniche lunghe, – osservò Myosotis, – e quel collettino di pizzo. Insomma ti sta divinamente! – E abbracciò la sorellina. – Sai che così, tutta bianca, con quei capelli sciolti.... sembri «Fiorin di Neve» dei racconti delle fate!

Allora Leslie, confortata, rise e si rallegrò.

Ma quando si trattò di vestire Myosotis la cosa si fece più grave. La veste di velo celeste era così stranamente fatta, che non teneva che su una spalla; al posto della manica sinistra non vi era che una spallina di nastro affrancata con un mazzetto di rose. L'altro lato della veste scendeva, senza manica, lasciando scoperto il collo e l'omero e parte del petto. Poi mancava la sottana. Almeno così parve alle fanciulle; il drappeggio era così trasparente, che certo ci doveva essere anche una sottoveste....

La cercarono nell'armadio. Non c'era.

Allora si decisero a suonare il campanello.

Per un po' nessuno venne. Risuonarono. Allora sulla soglia apparve Lady Randolph Grey.

Era vestita di un abito verde smeraldo tutto coperto di pagliette d'argento, stretto come una guaina.

– Bene arrivate, bene arrivate, – disse sorridendo e squadrandole con occhi di falco. – Deliziose, deliziose!… – esclamò. Indi traendo a sè l'arrossente Leslie; – Questa pare uscita da un educandato di suore; da un asilo infantile! – E la baciò e le carezzò colla bianchissima mano i lunghi capelli dorati.

– Mi sembra.... temo.... di sembrare proprio una bambina, – disse Leslie un pò turbata.

– Difatti, difatti! – rise la bella dama. – E bada, se chiedono la tua età dirai che hai dodici anni.

Leslie sgranò gli occhi e si volse sbigottita a interrogare collo sguardo Myosotis.

– La ringraziamo tanto per queste bellissime vesti, – cominciò quella. – Ma potrebbe.... – soggiunse timidamente, – farmi portare la sottoveste e le maniche?

– Che maniche? Che sottoveste? – chiese Milady.

– Ma per quest'abito.... – spiegò Myosotis, ritta davanti alla sua ospite e stendendo le braccia esili e ignude; i ceruli drappeggiamenti velavano appena l'ingenuo corpo giovanile.

– La manica? La sottoveste? per questa toilette di Doucet? – Milady scoppiò in una risata. – E perchè non l'impermeabile e le soprascarpe? Ma, mia cara, siete divina così! Vedrete che cosa ne diranno i miei invitati.

– La dama d'onore della regina d'Olanda? – chiese trepida Myosotis.

Lady Randolph dette in un'altra risatina perlata. – Ma che! Quella era una storiella a tutto benefizio di vostro padre!

– Come! – esclamò Myosotis, smarrita, – Non è venuta quella signora?… E le sue due figlie?…

– Niente signora, niente figlie! – disse Milady, sempre ridendo colla testa all'indietro; e il collo ignudo le si gonfiava morbido e bianco come quello d'una colomba.

Myosotis si sentì mancare un poco il respiro.

– Del resto, troverete delle conoscenze – continuò Lady Randolph. – C'è Gerardo Neversol. C'è Totò.... ve lo ricordate Totò?… Si rallegrano tanto di vedervi. E poi, – soggiunse traendo a sè Leslie, – c'è un vecchio diplomatico che ama molto le buone e belle bambine come te; e c'è un americano, un pò sordo, ma milionario.... Insomma, un pranzo di gala. Andiamo, andiamo, fate presto!

Myosotis e Leslie si guardarono ancora, smarrite e trasognate. La voce di Milady si fece un pò più aspra.

– Fra dieci minuti suonerà il gong per il pranzo. – Prese per mano Leslie. – Tu, piccola, vieni con me. – E la trasse seco, esitante e ritrosa. Indi rivolta a Myosotis: – Vi aspettiamo nel salone al primo piano, – disse.

– Vieni, vieni presto! Non lasciarmi sola, – sussurrò Leslie, separandosi a malincuore dalla sorella.

– Andiamo, – ripetè Milady, con una nota metallica nella voce.

E Leslie la seguì.

XXIV

Rimasta sola Myosotis si guardò intorno smarrita. Che cosa fare? Era impossibile, impossibile scendere così. Per quanto ne dicesse Lady Randolph, era impossibile! Se avesse avuto uno scialletto, una sciarpa.... avrebbe potuto coprire quella spalla nuda, il petto, il collo. Forse la cameriera gliene avrebbe portata una?… Ma restava ancora la gonna, la terribile gonna, diafana, trasparente che lasciava travedere ogni linea, ogni curva.... Impossibile! impossibile!

Myosotis si sentì alternatamente avvampare e gelare al pensiero di scendere in quella guisa; suonò il campanello per chiedere che le portassero le sue valigie.

Nessuno rispose. Nessuno venne.

E i minuti passavano; tra poco suonerebbe il gong.

Seguendo un impulso fanciullesco, un'abitudine presa fin da bambina nei momenti d'incertezza o d'ansia, Myosotis cadde a ginocchi. Nella sua impudica veste di tulle cerula, s'inginocchiò accanto al letto e chinò il viso tra le mani. Iddio l'avrebbe aiutata, Iddio l'avrebbe consigliata.

E pregò. Pregò: – Buon Dio, aiutatemi!… Ditemi voi come devo vestirmi per scendere in quel salone. Aiutatemi buon Dio!… Consigliatemi. Ispiratemi!

Rimase immobile, aspettando il consiglio, l'ispirazione.

Non venne.

Una porta da basso si aprì e si richiuse, lasciando sfuggire il rumore di voci e di risate maschili.

Lenta, triste, Myosotis si alzò d'in ginocchio, lo sguardo turbato fisso davanti a sè.

Ed eccolo il consiglio! Ecco l'aiuto, ecco l'ispirazione! Là, davanti a lei, sul letto, come l'aveva gettato spogliandosi, stava il suo abito da viaggio, il disprezzato abito bleu-marin, un pò polveroso, un pò usato, un pò logoro; ma chiuso e intero e opaco e decente.

In un attimo Myosotis era sgusciata dai veli ceruli, s'era tolta le calze e le scarpette bianche, aveva rimesso le sue calze di filo nero, le sue scarpe da passeggio raccomodate. E il gong non aveva ancora suonato, ch'ella era già vestita e pronta a scendere.

Tuttavia, esitava sul limitare; ondate alterne di caldo e di freddo la facevano sudare e tremare.... Certo era doloroso presentarsi in quella guisa al pranzo di gala di Lady Randolph; certo sarebbe penoso aprire la porta di quel salone e rivelarsi così mal vestita agli occhi sdegnati di Lady Randolph, allo sguardo stupito dei suoi invitati. Ma mille volte peggio sarebbe stato scendere in quei ceruli veli trasparenti, presentarsi seminuda al cospetto di quegli uomini....

E Myosotis con un piccolo singhiozzo, girò la maniglia e scese.

XXV

Gli occhi che si volsero a lei parvero, certo, stupefatti; e in quelli di Lady Randolph brillò non solo la sorpresa ma la più schietta disapprovazione.

Senonchè Myosotis scordò quasi subito sè stessa e l'impressione che poteva fare ai convitati di Lady Randolph, quando il suo sguardo attonito cadde su Leslie.

La bimba – invero ella pareva appena sulla soglia dell'adolescenza – sedeva in un grande scanno, rosea e ridente, con un calice pieno di un liquore dorato nella piccola mano. Intorno a lei, seduti o appoggiati all'alto schienale della sua sedia, stavano quattro o cinque uomini; uno, alla sua destra, Myosotis lo riconobbe subito: era il «Principe di Galles» – era Totò.

Teneva anche lui un calice nella mano, e si chinava ridendo verso la fanciulletta, narrandole qualche cosa.

Quando entrò Myosotis vi fu un attimo di silenzio; poi tutti i presenti ripresero a conversare, e nell'angolo intorno a Leslie ricominciarono i frizzi e le risate.

Non vi fu presentazione di sorta. Myosotis rimase, un pò impacciata, accanto alla porta finchè Leslie la chiamò.

– Vieni qui, vieni qui, Mymì!

Così la chiamavano talvolta a casa, e Myosotis nuovamente si stupì della disinvoltura della sorellina fra tanta gente sconosciuta. Traversando la sala per andare accanto a lei, passò davanti a Lady Randolph, semisdraiata su un divano d'angolo, e la guardò, trepida, quasi implorandone il perdono.

Ma Milady non fece atto di vederla. Parlava con un uomo bruno e grasso; parlavano francese, e Myosotis, pur indovinando che si trattava di lei, non comprese ciò che dicevano.

– Assaggia, Myosotis, questa bevanda americana. Si chiama «Manhattan cocktail,» ed è un filtro che fa vedere il mondo tutto color di rosa con un occhio, e tutto color di cielo coll'altro!… Difatti, – e Leslie chiuse con aria birichina un occhio, fissando coll'altro l'abito bleu scuro e il volto rannuvolato della sorella, – guardandoti così.... io ti vedo tutta color del cielo.... quando vuol far temporale!

Tutti risero, come se Leslie avesse detto qualche cosa di assai spiritoso, ma Myosotis non riuscì neppure a sorridere. Si sentiva la gola arida, le labbra secche; si diceva che a questi estranei, avvezzi alle donne brillanti della migliore società, Leslie doveva parere una bambina stolta e sfrontata, e lei stessa, nel suo brutto abito da viaggio, una «zucca villereccia,» goffa e intontita. Il suo pensiero corse alle raccomandazioni di Miss Jones.... a casa sua.... al babbo, solitario davanti al fuoco nella grande stanza vuota.... alla vecchia Jessie che diceva le sue preghiere ad alta voce in cucina.... E a tali ricordi le salirono cocenti le lagrime agli occhi.

Dal fondo della sala le mosse incontro Lord Gerard Neversol, ed ella provò un senso di sollievo vedendo quel viso conosciuto. Non che egli le fosse soverchiamente simpatico; tutt'altro; ma almeno non era nè un perfetto estraneo come gli altri, nè odioso come Totò, nè ostile come ormai sentiva essere Lady Randolph.

Neversol le disse qualche frase insignificante ch'ella quasi non udì ma che le diede il tempo di calmarsi, e subito risuonò l'appello insistente e sonoro del gong. Allora tutti si alzarono e discesero alla sala da pranzo.

Era una vasta sala severa e sontuosa. La tavola scintillava di cristalli e di vasellame dorato. Nel centro un ammasso di gardenie diffondeva nella stanza un profumo che stordiva.

Anche a tavola Myosotis si trovò accanto a Neversol; all'altro suo lato sedette l'uomo bruno e grasso che aveva parlato francese con Lady Randolph. Egli, appoggiato indietro nella sua seggiola, la guardò molto fissamente e a lungo. Ella rispose timida allo sguardo di lui, aspettando che le rivolgesse la parola; ma quegli, dopo qualche istante, volse via il capo e si dedicò risolutamente al suo pranzo. Nè durante tutto il pasto le parlò.

Leslie era in fondo alla tavola fra Totò e il «diplomatico» – un personaggio magro, sulla cinquantina, tutto grigio: i baffi grigi, gli occhi grigi, la pelle grigia; pareva impastato di cenere e d'acqua sporca. – La piccola ciarlava e rideva colla massima disinvoltura. Beveva anche, a piccoli sorsi, con delle smorfiette puerili e graziose, dello champagne, insistendo però che Totò vi mescesse molt'acqua.

Il quinto convitato, un uomo dai capelli rossi di una bruttezza ripugnante, parlava con Lady Randolph, bella e arridente a capo tavola. Talvolta dicevano delle cose che certamente dovevano essere molto spiritose, perchè tutti davano in grandi risate; ma a Myosotis sfuggiva il senso dello scherzo.

– Stasera verrà Dafne Howard, – disse Milady sorseggiando una miscela di gin e curaçao, poichè lo champagne non le piaceva.

– Dafne Howard! – esclamò l'uomo rosso. – E dove l'avete pescato?

– All'Alhambra, – disse Milady. – Totò ed io siamo andati a vedere «Messalinette» e l'abbiamo riconosciuto subito. Vero, Totò?

Totò non rispose.

– Che parte faceva? – chiese Neversol.

– Ma è questo il bello, – rise Milady – che, appunto, Messalinette era lui!… Figuratevi che sul programma si fa chiamare «Mademoiselle Lisa Douceur!»

Gli uomini risero.

– Bel tipo, Dafne Howard! – disse il diplomatico. – Ha poi lasciato la sua ballerina russa?

Totò alzò il capo.

– Da un pezzo, – disse, secco secco.

– Stasera, ad ogni modo, viene qui col colonello Weisz, – osservò Lady Randolph, sogguardando con un sorriso Totò.

Questi si strinse nelle spalle.

– Se credete che me ne importi!… Mi usciva da tutti i pori, quel mostro, – disse.

Nel silenzio che seguì si udì la soave vocina di Leslie.

– Verrà qui un mostro stasera? – chiese essa con curiosità al suo grigio e macilento vicino.

Quello rise. – Ma no, anzi; è una persona assai decorativa, Dafne.

– Dafne?… – disse la fanciulla; – è un signore o una signora?

– È un lusus naturae, – esclamò l'uomo dai capelli rossi, sporgendosi avanti a guardare Leslie, – prezioso per chi ama le anormalità.

Di nuovo tutti risero. Ma Leslie e Myosotis si scambiarono un'occhiata perplessa. Evidentemente Miss Jones non aveva insegnato loro tutto ciò che era utile sapere in società.

– N'appuyons pas, – intervenne Lady Randolph, crollando le belle spalle nude. – Tanto, qui non abbiamo che dei piccoli volatili del Campidoglio.... o di Strasburgo, che sia.

– Io adoro il pâté de foie-gras; – disse Neversol; e di nuovo tutti risero.

E siccome la guardavano, rise anche Myosotis per darsi un contegno. Tuttavia le parve che la conversazione fosse assai incoerente.

Il pranzo si protrasse a lungo.

Leslie, colle guancie accese, rideva sempre di più a tutto ciò che le raccontavano Totò e il diplomatico; aveva un'aria strana, esaltata.... Myosotis la guardava attonita, e non badava nè a Neversol che le diceva molte cose incomprensibili, nè all'uomo grasso che le stava dall'altro lato.

Questi nè parlava nè la guardava, e Myosotis si disse che certo doveva trovarla noiosa e antipatica; e se ne rammaricava, perchè trovava ch'egli aveva una buona faccia di papà indulgente.

Strano a dirsi, per errore, egli continuava a mettere il suo piede su quello di lei.

Ella, confusa, temendo di offenderlo, diceva: «pardon!» e ritirava con cura il piede da sotto al suo.

Quando questo accadde per la quarta volta, egli si volse e la tornò a fissare come l'aveva fissata al principio del pranzo. Myosotis si sentì diventar molto rossa sotto quello sguardo – già, l'aveva sempre avuto quel vizio di arrossire per nulla! – e come lui continuava a guardarla, ella continuò ad arrossire finchè ebbe gli occhi soffusi di lagrime.

In quel punto tutti gli altri discutevano forte coll'uomo rosso e nessuno badava a ciò che l'uomo grasso poteva trovare da dire a quella ragazza noiosa e mal vestita. Egli si appoggiò indietro nella sua sedia, mise le mani in tasca e disse:

– Si può sapere perchè siete qui?

Myosotis, alzando a lui il dolce sguardo azzurrino, rispose:

– Lady Randolph ha avuto la bontà di invitarci....

Egli aggrottò le ciglia. – E voi, perchè avete accettato l'invito?

Myosotis sorpresa da quella domanda non seppe che cosa rispondere.

– Si può sapere, – riprese lui, e la sua voce era rude e severa, – perchè avete portato qui quella bambina?

Myosotis lo guardò sempre più stupita.

– Ma.... non so.... – balbettò confusa. Le pareva che quell'uomo grasso, dall'aria buona e paterna, avesse assunto d'un tratto l'atteggiamento di un inquisitore; sotto le ciglia aggrottate egli la saettava con sguardo sdegnato. E siccome sembrava aspettare ch'ella parlasse ancora, la fanciulla soggiunse: – Siamo venute qui per fare delle conoscenze.... per incontrare....

– Per incontrare chi? – La voce era così aspra, l'espressione del viso così feroce, che Myosotis tremò.

– Per incontrare.... la dama d'onore della regina d'Olanda, – disse quasi senza voce la fanciulla.

– Cosa?… Cosa?… La dama d'onore.... cosa? – Il volto dell'uomo grasso si era fatto paonazzo.

– Della regina d'Olanda – ripetè Myosotis, – e le sue figlie. Dovevamo incontrarle qui. Perciò papà ci ha lasciate venire.

D'improvviso l'uomo grasso scoppiò in una immensa risata, una risata così potente che faceva sobbalzare tutta la sua grossa persona, e diede col pugno un colpo sulla tavola che scosse tutti i piatti e fece tinnire le posate d'oro.

– Che cosa c'è.... Cosa c'è di così buffo? – chiesero gli altri.

Lady Randolph Grey si volse con un sorriso di compiacimento.

– Eccellenza, avete dunque fatto conoscenza colla vostra piccola vicina? E la trovate divertente?

L'Eccellenza non rispose; continuava a ridere, colla grossa bocca aperta e il grosso corpo scosso dall'ilarità: ma strano a dirsi quel riso a Myosotis non pareva allegro; pareva terribile, pareva furente, pareva minaccioso....

La conversazione riprese, e l'uomo grasso non parlò più a Myosotis. Accese un sigaro e fumò in silenzio, guardando la tovaglia, come soprapensiero. E ogni tanto Myosotis lo vedeva lanciare verso Lady Randolph uno sguardo strano, fosco, quasi vendicativo. Quando furono portati il caffè e i liquori, egli si alzò e andò nella sala vicina – di cui il servitore aveva aperto i battenti – e Lady Randolph lo seguì quasi subito, lasciando intatta sulla tavola la sua tazza di caffè.

Dopo alcuni momenti ella ritornò, sola; era pallida, colle labbra molto rosse come se le avesse morse a sangue.

– E Sua Eccellenza? – chiese Totò.

– Se n'è andato, – disse Lady Randolph, riprendendo il suo posto.

– Che gioia! – esclamò Neversol. E gli altri risero.

Lady Randolph non volse mai lo sguardo verso Myosotis, e questa ebbe l'impressione – certamente assurda – di essere odiata da quella donna.

La conversazione per un poco languì, ma dopo qualche tempo Lady Randolph parve tornata di buon umore.

Dietro un suo cenno tutti si alzarono e andarono nella sala vicina. Era una grande sala rettangolare, di cui le quattro pareti erano circondate da divani profondi e morbidi su cui si ammontichiavano dei grossi cuscini di raso multicolore. Nei caminetti alle due estremità della sala ardevano due fuochi immensi che illuminavano di baleni irrequieti e improvvisi la stanza. I lumi erano bassi e velati, taluni di viola, taluni di una tinta glauco-azzurra, ciò che, unito ai bagliori oscillanti delle fiamme, dava una stranissima colorazione, ora perlacea, ora cadaverica, ai volti.

Myosotis potè finalmente riavvicinarsi a Leslie, e cingendole col braccio l'esile vita, sedette accanto a lei sul profondo e morbido divano.

Totò si era messo al pianoforte e mollemente, con maestria trascurata, suonava delle danze sincopate, conturbevoli e suggestive. Gli altri uomini erano intorno a Lady Randolph e le parlavano a bassa voce.

E Myosotis reclinata sui cuscini accanto a Leslie, sentendone così da vicino il calmo e dolce respiro, e sulla sua mano, come un morbido manto, i lunghi capelli sciolti di lei, si disse che era lieta d'essere venuta. Pensò che il lusso era piacevole, che la musica di Totò era dolce a udirsi, e che la vita era buona a vivere....