Salvato Da Una Ninfa Marina

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Salvato Da Una Ninfa Marina
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Salvato da una ninfa marina

––––––––

Rebekah Lewis

Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, occupazioni, luoghi, eventi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio. Ogni somiglianza con persone reali, vive o morte, o con eventi reali, è una pura coincidenza.

Editing di Sandra Sookoo

Cover Art di Victoria Miller

Tradotto da Valentina Giglio

Copyright © 2018 by Rebekah Lewis

Tutti i diritti riservati.

Questo libro o qualsiasi sua parte non possono essere riprodotti o usati in qualsiasi modo senza il permesso scritto ed espresso dell’autore, eccetto nel caso di brevi citazioni nelle recensioni del libro.

Stampato negli USA

www.Rebekah-Lewis.com

Sommario

Titolo Pagina

Copyright Pagina

Dedica

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Epilogo

Libri di Rebekah Lewis

Sull’Autrice




Dedica


Alle mie sorelle, Tiffany e Carrie Ann.

Abbiamo passato ore infinite a guardare e leggere insieme le fiabe.

Non lo avrei fatto in nessun altro modo

“I sogni si realizzano, se solo lo desideriamo abbastanza.

Puoi avere tutto dalla vita se sacrifichi qualsiasi altra cosa per questo”

–J.M. Barrie, Peter Pan




Capitolo 1


Summerfield, 1817

Un urlo soffocato svegliò di soprassalto il capitano James Harlow. Mentre scattava in piedi, cadde dalla sedia. Imprecò quando la sua testa toccò il legno solido e il dolore si trasmise lungo la sua colonna vertebrale. Si era addormentato alla scrivania nel suo studio e ora la mappa che aveva aperto davanti a sé pendeva in modo precario da un lato. La sua lanterna preferita, che aveva preso dalla sua nave, mandava delle ombre che correvano in ogni direzione mentre la fiammella tremolava e danzava come un folletto intrappolato dietro un vetro. Aveva sentito un grido o lo aveva solo sognato?

Mentre si alzava in piedi, restò in ascolto, ma sentì solo il vento che sferzava tra gli alberi. Sentiva dolore in tutto il corpo, ma non sarebbe stato tranquillo fino a quando non avesse controllato la situazione della tenuta di suo padre. Forse un servitore non riusciva a dormire ed aveva fatto cadere un vassoio o aveva visto un topo. Non che ciò accadesse di frequente. Aveva i nervi tesi, e non perché si fosse svegliato in quel modo. C’era qualcosa che non andava, ma non riusciva a capire cosa. Aveva sviluppato una specie di sesto senso per il pericolo imminente durante le sue spedizioni per mare e c’era qualcosa in agguato in quel luogo che costituiva una minaccia.

Un asse di un pavimento scricchiolò lì vicino. Fissò la porta, aspettandosi che Rollins, il suo valletto, entrasse, nonostante quello fosse uno strano orario per andare in giro. La normalità avrebbe alleviato la sua tensione. Eppure nessuno bussò o entrò. Con un profondo respiro, James tornò alla scrivania e cercò sotto questa, dove teneva nascosta una pistola in una cavità segreta, poi, con l’arma in mano, si avvicinò alla porta per controllare. Mentre la apriva lentamente e faceva un passo nel corridoio, la sua camicia bianca larga e sbottonata si gonfiò per una corrente d’aria. Una porta o una finestra dovevano essere state lasciate aperte- o forzate.

Se solo avesse visto l’ombra così vicina alla sua, prima che un altro asse cigolante rivelasse la posizione dell’intruso. Invece, le notò entrambe nello stesso momento. James si girò, puntando l’arma, ma era troppo tardi. Forse avrebbe potuto evitare il colpo alla tempia del calcio della pistola dell’intruso, o forse no. Il suo ultimo pensiero prima di perdere i sensi, fu quello di desiderare di avere fatto qualcosa di più nella vita. Di essere stato un uomo migliore. Non avrebbe lasciato niente dietro di sé come eredità.

***


L’ACQUA GELIDA LO COLPÌ sul viso un po’ più tardi e lui annaspò, inghiottendo il liquido e sentendosi soffocare, cercò di muovere le braccia per nuotare, ma era bloccato e legato a...un albero? James sputò, tossì, sbatté gli occhi e cercò di riacquistare la consapevolezza dei luoghi intorno a lui. Non stava affondando nel mare, ma nei boschi, probabilmente quelli della sua proprietà, e stava riprendendo coscienza davanti al suo assalitore che era- un ragazzo. Beh, non proprio un ragazzo, ma sicuramente al limite della giovinezza. Non più grande di diciassette anni, al massimo.

“Chi diavolo sei?” Con lo svanire dello stupore, l’irritazione riempì rapidamente il vuoto. James guardò il ragazzo con cipiglio, con la strana sensazione di averlo già visto da qualche parte. Poteva giurarlo sulla propria vita, non si ricordava dove.

Il diavoletto, che indossava dei vestiti scuri e sciatti, incrociò le braccia e fece un sorrisetto compiaciuto. Alla luce della luna, i suoi capelli color sabbia erano una massa di onde scomposte, lunghe fino alle spalle. Un monello di strada, forse, ma senza dubbio un loro capo. Dietro di lui c’era una dozzina di uomini, tutti ugualmente giovani e scarmigliati. Quello al comando aveva in mano un secchio vuoto, il che aveva senso visto che l’acqua che aveva contenuto precedentemente inzuppava James fino alle ossa.

“I tuoi domestici sono legati e imbavagliati nelle loro camere” disse il monello, gettando via il secchio. “Pensavo che un pirata come te avrebbe preso più precauzioni nella propria casa, vecchio.”

Vecchio? Vecchio? Aveva solo trent’anni. Nel fiore degli anni! “Ti chiedo scusa, ragazzo,” riuscì solo a grugnire in risposta. Lottava con le catene che lo trattenevano, ma non c’era verso di liberarsene. “Perché una banda di mocciosi entra nelle case illegalmente nel mezzo della notte, spaventando la sfortunata servitù? Non dovreste già essere a letto?”

Il suo assalitore rise. “Ho diciassette anni”, disse, confermando le supposizioni di James. “Non sono affatto un moccioso. Veramente non mi riconosci?”. Si avvicinò e scrutò James. Stringendosi nelle spalle, iniziò a camminare davanti a lui come avrebbe fatto un animale arrabbiato. “Io ho riconosciuto te. Dopo averti messo k.o., certamente, così sei andato giù come un viscido merluzzo. Immagina il mio shock visto che un membro rispettabile dell’aristocrazia è coinvolto nel contrabbando di brandy dal Continente.”

James sospirò. Aveva finito di ballare. Adesso sarebbe stato ricattato o arrestato. Il suo equipaggio non si dedicava alla vera pirateria, ma il contrabbando era ancora illegale ed avrebbe sicuramente provocato uno scandalo che la sua famiglia non avrebbe potuto evitare. Come terzo figlio del Visconte Summerfield, forse non aveva un proprio titolo, ma ciò non lo rendeva meno parte dell’aristocrazia, fortunatamente. Ci sarebbero stati dei pettegolezzi se fosse stato arrestato- e soprattutto grazie a un ragazzo grossolano.

 

Ma come aveva fatto a scoprirlo? Se il monello aveva progettato di entrare in casa sua, non si era reso conto di chi ci abitasse? Qualcosa non quadrava. Tutto ciò che James poteva fare, era negare di essere coinvolto in quelle attività e sperare in bene.

“Non indovini?”

“Indovinare cosa, esattamente?” disse James a denti stretti, perplesso. Era come se il ragazzo vivesse in un proprio mondo fantastico e si aspettasse che tutti lo seguissero. Oh, giusto. Era offeso perché James non sapeva chi fosse. “Il tuo nome? Non mi interessa.”

Il ragazzo estrasse un pugnale lungo ed appuntito dalla cintura e lo rivolse contro di lui. James non si lasciò impressionare, anche quando il ragazzo disse, “Mostrami un po’ più di rispetto e forse vivrai.”

Questo...bambino...aveva l’intenzione di ucciderlo veramente adesso? James si era sempre considerato un tipo paziente. Se la rabbia infiammata che stava sostituendo il freddo dei vestiti bagnati avesse avvolto il suo corpo, quella pazienza si sarebbe rapidamente trasformata in rabbia. Rinunciò a fingere di ignorare il proprio ruolo nel contrabbando. Dopo aver guardato storto gli altri ragazzi, che non facevano altro che agitarsi e sfuggire al suo sguardo, tornò a concentrarsi sul suo principale aggressore. “Che cosa vuoi, ragazzo? Ricchezze? Una percentuale sul commercio del brandy?”

Il ragazzo fece una smorfia, come un gatto che avesse appena messo all’angolo un topo grassottello. “Questo è un ammutinamento. Adesso la tua fortuna è nostra. Sono il tuo padrone.”

James alzò gli occhi al cielo. Non può dire sul serio. “Un ammutinamento è quando l’equipaggio si ribella sulla propria nave per destituire il capitano. Voi non siete il mio equipaggio e non siamo nemmeno su una maledetta nave.”

“Questione di semantica”. Il ragazzo si diede dei colpetti sulla pelle morbida da neonato con la punta della lama. “Permetti che mi presenti visto che sei lento di comprendonio. Peter Paxton, conte di Underwood. Dovresti veramente fare più attenzione in Società, ma capisco che sia difficile quando sei un criminale fatto e finito, che si nasconde in campagna nella proprietà paterna quando hai acquisito con mezzi criminali abbastanza per vivere per conto tuo.”

Quel ragazzo aveva la capacità di dargli sui nervi. Aspetta un attimo...

Paxton...Underwood...Suo padre era il marchese di Huntington. James ricordava vagamente l’uomo e doveva avere incontrato Paxton quando era molto più piccolo, per questo sembrava familiare. Tuttavia ciò non spiegava perché avrebbe dovuto ricordarsi di lui. Non ce n’era ragione.

“Abbiamo deciso, io e i miei ragazzi,” disse mentre faceva dei gesti con il pugnale, “che vogliamo portarti via tutto. Abbiamo trovato delle informazioni sulla posizione di un contrabbandiere e ciò ci ha condotto a te. Ora, puoi firmare i documenti per la nave così libereremo i tuoi domestici e diremo loro come possono trovarti, oppure posso ucciderti e prendermela lo stesso”.

Un muscolo tremolò sotto l’occhio destro di James. Qualcuno lo aveva venduto, ma avrebbe affrontato ciò più tardi. Le corde erano legate in modo troppo esperto per i suoi gusti ed aveva bisogno di liberarsi. Non voleva necessariamente colpire un ragazzino, ma se lui avesse continuato a sventolare la lama nella sua direzione, lo avrebbe fatto- se avesse potuto usare le mani o le gambe. Non era schizzinoso. “Sei pronto ad uccidere per una nave che avresti potuto semplicemente rubare, piuttosto che venire fino a Summerfield per dare un grande spettacolo a vantaggio della legge...prima di tornare a Londra e prenderla comunque?” Appoggiò la testa indietro contro l’albero e scoppiò a ridere. “Non posso firmare niente finché sono legato. Se mi liberi, ti renderò dieci volte il benvenuto che ho ricevuto.” Incontrò lo sguardo di Underwood. “E’ una promessa.”

Underwood si strinse nelle spalle.

Tuttavia qualcosa lo assillava. “Non sapevi veramente nella casa di chi stavi facendo irruzione, ma sei riuscito a trovare il posto facilmente, senza cercare altre informazioni?”

L’altro alzò le spalle. “In quel momento mi sembrava una buona idea.”

James fece un rumore disgustato in fondo alla gola. Questi bambini stavano facendo un gioco che lui non capiva completamente, o che non gli interessava. “Vuoi veramente macchiare la tua anima con il male...per una nave e per l’idea che il contrabbando sia una cosa nella quale valga la pena passare la vita?”

“Va bene per te.”

James aprì la bocca per discutere ulteriormente, ma la chiuse all’improvviso. Lui era il terzo nella discendenza per un titolo che aveva poco valore ed era stufo degli uomini della sua famiglia, come quelle donne che indossavano i gioielli dismessi delle loro madri. Aveva acquistato una posizione nella Marina, l’unica volta in cui aveva usato il nome e la fortuna della sua famiglia per fare qualcosa senza essersela guadagnata. Comunque, le guerre stavano diminuendo e lui non era mai stato mandato a compiere il proprio dovere, con suo grande disappunto. Voleva essere importante, ma la Marina Reale non aveva più bisogno di lui di quanto ne avesse suo padre quando era stato generato come ruota di scorta. Non aveva nient’altro con cui passare il tempo e per questo aveva finito per dilettarsi di contrabbando e costruirsi la propria fortuna. Per niente entusiasta della vita, aveva voluto un po’ di avventura e di pericolo, ma anche quello stava perdendo il suo fascino.

“Niente da dire”, Underwood strascicò le parole. “Certamente, dovresti essere libero. Te lo devo. Ora che ho scoperto la tua identità e che avrò la tua nave, potrei metterci una pietra sopra se tu convincessi tuo padre a considerarmi il miglior pretendente per tua sorella.”

Finalmente, la vera ragione di tutta questa sciarada era venuta alla luce. James scoppiò in una risata ed Underwood lo guardò con cipiglio. “Non sapevi nemmeno quale uomo avresti infastidito stasera, e adesso pensi che io potrei accoppiare la mia unica sorella con un bambino che vuole rubarmi la nave e ricattarmi? Sei veramente un illuso.” Quei maledetti nodi nelle corde rifiutavano di sciogliersi. Aveva ormai la pelle screpolata. Se non fosse riuscito a convincere il ragazzo a lasciarlo libero, sarebbe stato finito.

Il monello si sporse in avanti, guardandolo male. Punse James leggermente nel petto con la punta della lama. “Avrò Wendelin in moglie, non farti illusioni. E’ stata una felice coincidenza che stasera il mio bersaglio fossi tu.”

“Dovrai passare sul mio cadavere.”

Il sorriso sul volto del ragazzo diventò più sinistro. “Con piacere.”

Underwood fece un cenno ai suoi ragazzi, che circondarono James, e ciascuno gli diede un gancio in faccia o un pugno in pancia, fino a quando non rimase senza fiato e con spasmi ovunque. Quando finalmente lo slegarono, vacillò, respirando con difficoltà. Non era così che doveva andare la mia fuga. A un certo punto perse di nuovo i sensi, probabilmente a causa del fatto che la ferita originale alla testa era stata colpita ripetutamente quando era caduto a terra.

***


RITORNÒ IN SÉ SU UNA barca con Underwood e due dei suoi monelli. La costa al limitare della tenuta di Summerfield era a malapena visibile. Mio Dio, avevano intenzione di buttarlo in mare e lasciarlo annegare? Lottava per restare vigile. Aveva di nuovo le mani legate. Maledette corde!

Underwood usò il pugnale per tagliare i legacci di James. La lama era affilata e non avrebbe avuto difficoltà a tagliare la corda spessa con un solo rapido gesto. Prima che James potesse reagire, i monelli lo afferrarono per le braccia e lo tennero stretto. Lui trasalì, forse si era rotto una costola o due. Lottava per respirare in questa nuova posizione.

“Porgetemi la sua mano sinistra.”

Poi, Underwood si inginocchiò davanti a lui ed alzò il pugnale con entrambe le mani in alto sopra la testa, mentre la manica di James veniva tirata indietro per rivelare la sua carne e la sua mano veniva tenuta saldamente oltre il bordo della barca.

Improvvisamente si rese conto di cosa stava succedendo e spalancò gli occhi. Cercò di liberarsi dai ragazzi, ma le costole urlavano dal dolore e lui era debole per essere stato atterrato due volte in così poco tempo. Probabilmente aveva una commozione cerebrale.

Non lo avrebbe fatto veramente, no? Underwood era poco più di un bambino. Un membro viziato dell’aristocrazia. Perché avrebbe dovuto...

La lama spezzò di netto l’osso, con un unico colpo pesante. Il dolore non colpì James finché non si rese conto di cosa stava succedendo davanti ai suoi occhi. Mentre il sangue iniziava a sgorgare e la sua mano cadeva lontana dal suo polso, nel Mare del Nord, galleggiando per un momento prima di scomparire tra le onde, si morse le labbra per trattenere un grido, per non dare a nessuno quella soddisfazione.

Ma Underwood non aveva finito.

“Chiamiamolo una questione di fortuna, capitano Harlow. Se riesci a tornare a riva e sopravvivi, farai in modo che tua sorella mi accetti. Se non ce la fai, beh, sarai morto e troveremo comunque i documenti di cui abbiamo bisogno per la nave nel tuo studio, e io sarò lì a consolare la povera Wendelin al tuo funerale.” Si girò verso un ragazzo alto alla sua destra, che teneva la testa verso il basso e rifiutava di guardare James direttamente. “Cauterizzalo. Non sarà affatto un gioco, se sanguina nel momento in cui colpisce l’acqua.”

Il dolore e la confusione lo resero insensibile ai movimenti dei ragazzi, mentre scaldavano una spada con una candela nella cabina della barca, per cauterizzare la sua ferita. Cosa aveva fatto di tanto terribile nella sua vita, da meritare che finisse in quel modo? Il contrabbando era illegale, ma nessuno era mai stato ferito sotto il suo comando. Avevano un cannone sulla nave, ma non avevano mai avuto una ragione per usarlo. Inoltre, Wendolin aveva la minima idea che questo pazzo conte aveva posato gli occhi su di lei? Dio mio, che orrori avrebbe fatto passare Underwood a sua sorella se fosse riuscito nei suoi intenti? Il calore intenso del metallo che bruciava contro la carne e i tendini lo risvegliò dalle sue preoccupazioni.

Doveva combattere. Doveva sopravvivere. Per il bene di sua sorella. James sarebbe andato avanti ed avrebbe visto Underwood morto prima che sua sorella potesse anche solo restare sola con lui.

Gli uomini lo gettarono fuoribordo. Nel momento in cui l’acqua salata penetrò nelle sue ferite, si permise finalmente di urlare, ma il suono andò perso nelle profondità marine.

Combatti. Nuota!

La sua camicia si gonfiò intorno a lui, un pallido sudario, mentre sprofondava nell’abisso accogliente.




Capitolo 2


C’erano giorni in cui vivere sotto le onde era meraviglioso ed eccitante. Oggi non era uno di quelli, perché Ione se ne era andata di casa. Veramente. Beh, era libera di andarsene se lo desiderava, ma non aveva intenzione di tornare nel Mare Egeo. Come molte delle sue quarantanove sorelle prima di lei, Ione alla fine ne aveva avuto abbastanza e aveva bisogno di spazio. La conseguenza di quel concetto era che l’oceano forniva un sacco di spazio.

 

A volte fin troppo.

In effetti, non sapeva proprio per certo in quale oceano o mare fosse finita, a furia di nuotare senza una meta, senza prestare attenzione ai dintorni, persa nei propri pensieri su cosa avrebbe fatto in seguito. L’acqua era molto più fredda che a casa, quindi era andata sicuramente a nord. O a nordovest. Avrebbe dovuto fare più attenzione...

Mordendosi le labbra e guardandosi intorno, fece oscillare la coda dietro di sé fino a mettersi in verticale, poi guardò in su. Una piccola barca galleggiava sulla superficie. Gli umani erano fortunati ad avere così tanta libertà sulla terraferma. I pericoli per i mortali erano in agguato da ogni parte nell’acqua. Sulla terra, erano minori. Almeno lo pensava. Ione non si era mai avventurata oltre la linea costiera. Non si era mai sentita al sicuro sulla terraferma prima. A causa della sua natura. Per quello che avrebbe dovuto fare per proteggersi se fosse rimasta troppo a lungo...

Forse sarebbe dovuta andare alla ricerca dell’Isola Evanescente che alcune delle sue sorelle avevano cercato per anni precedentemente. Non rimaneva mai nello stesso posto per due volte ed avrebbe offerto più sicurezza se avesse provato il desiderio di accoppiarsi. Forse non avrebbe dovuto annegare l’uomo che avrebbe usato per generare le proprie figlie, se si fosse trovata in qualche posto al sicuro. In qualche posto che non spingesse gli umani a cacciare i suoi simili per paura o curiosità. Era ormai pronta ad accoppiarsi con un uomo, ma non riusciva a convincersi di ciò. Inoltre, non voleva uccidere qualcuno dopo un atto del genere. Sembrava...sbagliato. Cosa sarebbe successo se le fosse piaciuto e avesse voluto farlo di nuovo con lui?

Ione scosse la testa, scuotendosi via i capelli dal viso nel farlo. Non apparteneva al mondo degli umani, ma la prospettiva di annegare dei mortali aveva contribuito a tenerla lontana. Non aveva una natura violenta e quasi tutte le ninfe marine erano femmine, mentre solo una parte di loro aveva le pinne come lei. Suo cugino Tritone- figlio di Poseidone e suo messaggero, come lo era Hermes per Zeus al di sopra delle onde- aveva una coda come la sua, così come i suoi figli, sia maschi che femmine. Poteva accoppiarsi con uno dei tritoni maschi se lo desiderava, ma i suoi cugini non facevano niente di romantico per lei. Certamente erano dei maschi decenti, ma lei voleva qualcosa di... diverso. Se si fosse mai accoppiata, voleva qualcuno di nuovo ed eccitante. Qualcuno che non le ricordasse di come era cresciuta. Che non appartenesse alla famiglia. Qualcuno tutto suo. Forse un umano.

La sua famiglia sarebbe inorridita se lei ne avesse lasciato vivere uno per il proprio piacere? Il desiderio la pervase mentre ci pensava. Le ninfe avevano bisogno di due cose nella vita: l’elemento dal quale traevano la propria forza e il sesso. Erano secoli che stava nel mare, ma il sesso...si occupava di se stessa quando nasceva il desiderio, ma aveva bisogno di stroncare quella parte di sé. Più la negava, più diventava triste. Per questa ragione non sopportava più di stare a casa. Ed era dovuta partire. Aveva bisogno di molto di più di quello che avrebbe dovuto desiderare.

Il rumore di un tuffo le fece alzare lo sguardo di nuovo. Uno degli umani era saltato nell’acqua. Che strano. Il bel mezzo della notte non era proprio il momento ideale per farsi una nuotata, se non si avevano le pinne. Gli umani non avevano la vista acuita come lei...né le branchie. Quindi perché stava facendo così?

Il mortale, un maschio, continuava ad affondare, muovendo appena un braccio o una gamba, scalciando per tornare verso la superficie o la barca, che stava andando via come se loro non avessero notato affatto che si era allontanato. Lei rimase a bocca aperta. Per gli Dei, stava affogando! I suoi compagni lo avevano lasciato a morire di proposito? Perché lo avrebbero fatto?

Prima di avere preso qualsiasi decisione, mosse la coda ad un’andatura veloce, scivolando verso l’alto fino a quando non afferrò l’uomo sotto le braccia. Era divisa tra l’istinto di proteggere l’umano ed quello di proteggere il segreto della sua gente da quelli come lui, quindi Ione si affrettò ad allontanarsi con lui nella direzione opposta rispetto alla barca. Il fatto che il cielo notturno nascondesse tanto quanto il chiaro di luna svelasse, era d’aiuto. Era sempre stata affascinata dal bagliore della luce della luna- ma ora non era il momento di stupirsi per quelle cose.

Quando portò la testa dell’uomo fuori dalle onde, lui non respirava. Temendo di averlo tenuto sotto troppo a lungo, lo circondò con un braccio e gli posò la mano sul petto, sopra il cuore, poi fece scivolare il palmo sotto la stoffa ampia dei suoi vestiti. La carne era fredda al tocco, forse a causa della temperatura dell’acqua e non perché fosse troppo tardi. Incanalando tutta l’energia nella mano, avvicinò le labbra alle sue, chiedendo all’acqua che lui aveva inalato di tornare a lei. Di uscire dal suo corpo. Quando l’acqua salata raggiunse le sue labbra, si tirò indietro, mentre lui tossiva e sputava l’acqua fuori dal corpo.

Quindi Ione lo guardò ed ammirò la sua bellezza maschile. I capelli scuri si erano liberati dal laccio che ne teneva ancora una parte legata dietro la nuca. Aveva gli occhi blu- un blu notevole per i suoi sensi resi più acuti dalle necessità della vita sott’acqua. Aveva la mascella squadrata e un struttura del viso piacevole. Mentre la guardava, sbatté gli occhi, come se non riuscisse a crederci. Poi trasalì.

“Devo dire”, disse a denti stretti con un tono che le provocò i brividi. “Pensavo che il paradiso fosse un posto meno...bagnato”. Quindi girò gli occhi e perse i sensi.

Gli umani erano talmente fragili.

Con un sospiro, lo tenne stretto e nuotò verso la riva. Poteva distinguere a malapena una spiaggia in lontananza e sperava che la notte avrebbe offerto loro abbastanza privacy, in modo che il suo emergere in superficie non mettesse in pericolo lei o la sua gente. In ogni caso, sentiva il brivido dell’avventura. Ed il desiderio di accoppiarsi tambureggiava nelle sue vene.

***


AVEVA MALE DAPPERTUTTO. Se era morto, James non avrebbe dovuto sentirsi più leggero? A meno che non fosse finito all’inferno, il che non aveva senso, visto che era sicuro di avere visto un angelo prima di perdere di nuovo i sensi. Un bell’angelo dai capelli dorati che aveva recuperato la sua anima direttamente dall’oceano. Era completamente inzuppata, come si sentiva lui ora.

Quando un’onda lo colpì direttamente dietro la nuca, il suo corpo fu spinto in avanti e l’acqua salata gli entrò in gola, facendogli bruciare gli occhi e le narici.

“Le mie scuse”. La voce era melodiosa e dolce, e lui si lamentò, quando si rese conto che la donna era rimasta con lui. Lo teneva tra le braccia e la sua pelle morbida e liscia strusciava contro di lui mentre lo portava a riva a nuoto. Il suo angelo. James si girò per guardarla. I capelli dorati e la pelle perfetta, senza alcun difetto, che ricordava. Mio Dio, era...

Colpì la sabbia con le ginocchia e ricevette un’altra ondata in faccia. Erano approdati sulla spiaggia e lei lo stava trascinando lontano dalle onde...con una notevole difficoltà. Avrebbe dovuto aiutarla, ma metà del suo corpo era insensibile e l’altra metà avrebbe voluto esserlo.

Allungò le mani per appoggiarsi alla spiaggia e tirarsi su, ma il suo moncherino ancora aperto e bruciato toccò la sabbia. Trattenne il respiro e si lasciò cadere, anche se erano immersi nell’acqua fino al ginocchio. Aveva perso la mano. In qualche modo aveva dimenticato quel dettaglio altrimenti indimenticabile, distratto com’era dal bel viso dietro di lui e dal fatto che aveva male dappertutto.

“Sei ferito!”, esclamò la donna con la sua voce melodiosa. Era una persona terribile, visto che sentiva sollievo perché lei si strusciava contro di lui?

“Solo un graffio, in realtà”. Perché voleva impressionarla? Era chiaro che fosse mezzo morto. Perché cercava di proteggere il proprio orgoglio? Lei lo aveva tirato fuori dall’acqua ed avevano nuotato fino a riva.

Strabuzzò gli occhi quando scoprì che la sua ipotesi, prima di avere il viso pieno di sabbia, era corretta. Lei non indossava niente.

James si lasciò cadere sulla schiena, deciso a dare un bello sguardo alla sua salvatrice senza appoggiarsi al braccio sinistro. Capì immediatamente di essere stato vittima di un’illusione febbrile, perché aveva compreso che la donna non era affatto un angelo- sentiva troppo dolore per essere in Paradiso- ed era sicuramente nuda, ma non poteva essere umana. Era troppo perfetta, troppo bella, e si sentiva troppo a suo agio nell’acqua. Quando abbassò lo sguardo, e si maledisse perché gli mancava l’autocontrollo di un gentiluomo- trattenne il respiro. Era impossibile. Lei non poteva esistere, a meno che lui non stesse impazzendo. “Sei una...”

Lei si guardò. La maggior parte della metà inferiore del suo corpo restava nascosta nell’acqua poco profonda, ma le scaglie dorate della coda da pesce arrivavano fino al suo addome, per fermarsi al di sopra dell’ombelico, e risalivano un po’ più in alto sui lati fino a coprirle i fianchi. I suoi capezzoli nudi erano dello stesso colore delle sue scaglie e dei suoi capelli. Anche se c’era poca luce, i suoi occhi sembravano della stessa sfumatura. Con la sua pelle morbida ed abbronzata, anche al chiaro di luna sembrava fatta d’oro. Lui desiderava toccarla, ma strinse le dita della mano che gli restava per reprimere quel bisogno. Le storie di sirene che aveva sentito durante i suoi giorni in mare le descrivevano come perverse cacciatrici con un bel viso, ma con motivazioni sanguinarie. Avrebbe perso l’altra mano se avesse osato?

La sirena distolse lo sguardo da lui e guardò l’acqua. “Sono deludente ai tuoi occhi come lo sono agli occhi della mia gente?”

Cosa? Come poteva una donna così bella credere di essere deludente? “Non capisco”. La sua affermazione era vera sotto molti punti di vista. L’esistenza della donna, cosa gli era successo e il fatto che lei credesse di avere dei difetti nel suo aspetto.

Lei sospirò e guardò il moncherino ferito nel polso sinistro. Lui avrebbe quasi voluto immergerlo di nuovo nell’acqua per nascondere l’imperfezione agli occhi di lei. Se c’era qualcuno di deludente da guardare, quell’onore spettava a lui. Sarebbe stato considerato un invalido al suo ritorno a Londra. C’erano anche delle cose peggiori, ma il nome della sua famiglia avrebbe occupato i pettegolezzi per mesi. Qualcosa che non avrebbe certo giovato a sua sorella durante la sua prima stagione.

“Devo portarti più avanti sulla terraferma”, disse lei di nuovo, interrompendo le sue preoccupazioni. “Se mi permetti di toccarti di nuovo.” Quando lo guardò, non mostrò alcuna compassione. Lui le fu grato per tutto ciò.