Un Lamento Funebre per Principi

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Aus der Reihe: Un Trono per due Sorelle #4
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“Sì,” disse Rupert, “fai una figura molto più tragica in questo modo, piuttosto che con l’odio. Ora sembri veramente il ritratto del dolore.”

Sebastian sapeva che suo fratello non avrebbe mai capito la verità. Non avrebbe mai compreso il puro dolore che gli stava attraversando il cuore, molto peggio dei dolori che provenivano dai suoi lividi. Non avrebbe mai capito la pena di perdere qualcuno che si ama, perché Sebastian ora era sicuro che Rupert non amava nessuno eccetto se stesso.

Sebastian aveva amato Sofia, ed era solo ora che lei era morta che lui poteva iniziare a capire quanto, semplicemente vedendo quanto il suo mondo fosse stato lacerato da quando l’aveva vista immobile e priva di vita, bellissima anche nella morte. Si sentiva come una di quei mostriciattoli mollicci che venivano dai vecchi racconti, vuoto se non per il guscio di carne che circondava il suo dolore.

L’unico motivo per cui non stava piangendo era perché si sentiva troppo vuoto anche per quello. Beh, e anche perché non voleva dare a suo fratello la soddisfazione di vederlo soffrire. In quel momento avrebbe addirittura ben accettato che Rupert lo uccidesse, perché almeno questo avrebbe portato una fine all’infinita vastità di dolore che sembrava dipanarsi attorno a lui.

“È ora che torni a casa,” disse Rupert. “Puoi essere presente mentre faccio rapporto a nostra madre di tutto quello che è successo. Mi ha mandato a riprenderti, ed è quello che farò. Ti legherò su un cavallo, se devo.”

“Non devi,” disse Sebastian. “Vengo.”

Lo disse sottovoce, ma lo stesso ottenne un sorriso di trionfo da parte di suo fratello. Rupert pensava di avere vinto. La verità era semplicemente che a Sebastian non importava. Non importava più niente. Aspettò che uno dei soldati gli portasse un cavallo, montò in sella e lo spronò in avanti con gambe pesanti.

Sarebbe tornato a casa ad Ashton e avrebbe fatto la parte del principe che la sua famiglia voleva da lui. Niente avrebbe fatto alcuna differenza.

Niente, ora che Sofia era morta.

CAPITOLO TRE

Cora fu più che grata quando il terreno tornò ad essere pianeggiante. Sembrava che lei ed Emeline stessero camminando da sempre, anche se l’amica non mostrava alcun segno di fatica.

“Come fai a continuare a camminare come se non fossi stanca?” chiese Cora mentre Emeline continuava ad incalzare l’avanzata. “È una sorta di magia?”

Emeline si guardò alle spalle. “Non è magia, è solo che… ho trascorso la maggior parte della mia vita nelle strade di Ashton. Se mostravo che ero debole, la gente trovava dei modi per approfittarsi di me.”

Cora tentò di immaginarlo: vivere in un posto dove c’era una possibilità di violenza ogni volta che qualcuno mostrava debolezza. Si rese conto che non serviva immaginarselo, però.

“A palazzo erano Rupert e i suoi parassiti,” disse, “o le ragazze nobili che pensavano di poter abusare di te solo perché erano arrabbiate per qualcosa.”

Vide Emeline piegare la testa di lato. “Avrei pensato che le cose fossero migliori a palazzo,” disse. “Almeno non dovevi schivare le bande o i cacciatori di schiavi. Non dovevi trascorrere la notte rannicchiata e nascosta in magazzini di carbone in modo che nessuno ti trovasse.”

“Perché ero già vincolata,” sottolineò Cora. “Non avevo neanche un letto a palazzo. Davano semplicemente per scontato che potessi trovare un angolo per dormire. Oppure che qualche nobile mi volesse nel suo letto.”

Con sorpresa di Cora, Emeline la strinse in un abbraccio. Se c’era una cosa che Cora aveva imparato strada facendo, era che Emeline non era una persona particolarmente espansiva di solito.

“Ho visto dei nobili una volta, in città,” disse Emeline. “Pensavo che fossero qualcosa di più brillante e migliore di una delle bande, fino a che non mi sono avvicinata. Poi ho visto uno di loro che picchiava un uomo facendogli perdere i sensi solo perché gli era permesso. Erano proprio la stessa cosa.”

Sembrava strano, essere così legate su quanto dure fossero state le loro vite, ma Cora si sentiva più vicina ad Emeline rispetto all’inizio. Non solo perché avevano passato più o meno le stesse cose nelle loro vite. Ora avevano anche viaggiato a lungo insieme, e c’era la prospettiva di molti chilometri ancora da percorrere.

“Casapietra sarà lì,” disse Cora, tentando di convincere se stessa quanto Emeline.

“Sì,” disse Emeline. “Sofia l’ha vista.”

Sembrava strano, porre così tanta fiducia nei poteri di Sofia, ma la verità era che Cora si fidava davvero di lei, assolutamente. Avrebbe volentieri scommesso la propria vita sulle cose che Sofia aveva visto, e non c’era nessun altro al di fuori di Emeline con cui avrebbe condiviso quel viaggio.

Continuarono a procedere, e mentre si dirigevano verso ovest, iniziarono a vedere più fiumi, in reti che si collegavano come capillari che portavano ad arterie più grosse. Presto parve esserci quasi più acqua che terra, così che anche i campi nel mezzo erano come cose in parte allagate, con la gente che coltivava in fango che minacciava di trasformare il tutto in palude da un momento all’altro. La pioggia pareva essere una costante, e sebbene occasionalmente Cora ed Emeline si rannicchiassero da qualche parte per evitarne il peggio, per la maggior parte del tempo continuarono ad avanzare.

“Guarda,” disse Emeline indicando una delle rive del fiume. Tutto ciò che Cora poté vedere all’inizio furono delle canne che crescevano nel mezzo, spostate qua e là dal movimento di piccoli animali. Poi vide la barchetta capovolta a riva, come la conchiglia di qualche creatura corazzata.

“Oh, no,” disse Cora, immaginando cosa volesse fare Emeline.

Emeline le mise una mano sul braccio. “Va tutto bene. Sono brava con le barche. Vieni, ti divertirai.”

Fece strada fino alla barca e tutto ciò che Cora poté fare fu seguirla, sperando silenziosamente che non ci fossero i remi. C’era una pagaia però, e sembrava essere quello che serviva ad Emeline. In un batter d’occhio era nella barca, e Cora dovette saltare accanto a lei, altrimenti sarebbe rimasta a camminare a riva.

Si avanzava più rapidamente che a piedi, Cora doveva ammetterlo. Scivolavano lungo il fiume come un sasso gettato dalla mano di un gigante. Era rilassante come era stato starsene sedute nel carro. Più rilassante, dato che avevano passato la metà del tempo a saltare a terra per spingerlo nel risalire le colline o per disincagliarlo fuori dal fango. E poi sembrava che ad Emeline piacesse pilotare la barca, navigando seguendo i cambiamenti del fiume mentre passava da acqua mossa a liscia, e poi nuovamente agitata.

Cora vide il momento in cui l’acqua cambiò, e vide mutare nello stesso istante l’espressione di Emeline.

“C’è… qualcosa qui,” disse Emeline. “Qualcosa di potente.”

Cos’abbiamo qui? chiese una voce risuonando nella mente di Cora. Due cose giovani e fresche. Venite più vicine, mie care. Venite più vicine.

Più avanti Cora vide… beh, non era proprio certa di cosa vide. All’inizio le parve una donna fatta d’acqua, ma un secondo dopo le sembrò un cavallo. L’urgenza di andare verso di lei era travolgente. Era come se più avanti ci fosse la salvezza.

No, era di più: era come se ci fosse la casa che l’aspettava laggiù. La casa che aveva sempre voluto, con calore, famiglia, salvezza…

Giusto. Venite da me. Posso darvi tutto quello che volete. Non sarai mai più sola.

Cora avrebbe voluto spingere avanti la barca. Avrebbe voluto tuffarsi e andare con quella creatura che prometteva così tanto. Si alzò pronta a farlo.

“Aspetta!” gridò Emeline. “È un trucco, Cora!”

Cora sentì qualcosa stringerle la mente, un muro che si alzava tra lei e le promesse di salvezza. Poteva vedere Emeline che si sforzava, e capì che era probabilmente l’altra ragazza a fare questo, bloccando il potere che le stava spingendo, usando i suoi stessi talenti.

No, vieni da me, disse la cosa, ma era una eco distante di quello che era stato prima.

Cora guardò da quella parte, ora guardò davvero. Vide un vortice d’acqua, vide le correnti attorno ad esso che avrebbero tirato sotto chiunque fosse stato tanto sciocco da passarci attraverso. Ricordò vecchie storie di spiriti del fiume, il genere di magia pericolosa che aveva portato il mondo ad essere contrario a tutto ciò.

Vide l’acqua che iniziava a cambiare sotto alla barca, e si rese conto solo in quel momento di cosa stava accadendo, mentre la corrente iniziava a trascinarla avanti.

“Emeline!” gridò. “Ci sta tirando dentro!”

Emeline rimase ferma, scossa da ovvio sforzo mentre lottava per impedire che la creatura le travolgesse entrambe. Questo significava che stava tutto a Cora. Afferrò la pagaia della barca, intenzionata ad andare verso riva e remando con tutte le sue forze.

All’inizio parve che non stesse accadendo nulla. La corrente era troppo forte, l’attrazione del kelpie troppo violenta. Cora riconobbe quei pensieri per ciò che erano e li spinse da parte. Non doveva remare contro la corrente, ma solo di lato. Spingeva contro l’acqua, costringendo la barca a spostarsi per la pura forza del suo pensiero.

Lentamente iniziò a mutare rotta, spostandosi più vicina alla riva mentre Cora remava.

“Veloce,” disse Emeline vicino a lei. “Non so quanto ancora posso essere capace di reggere.”

Cora continuò a remare, e la barca si spostava per quelli che sembravano centimetri, ma si spostava. Si fece sempre più vicina, fino a che Cora pensò che le canne potessero essere a portata di mano. Si allungò verso di esse e riuscì ad afferrarne una, usandola per tirare la loro barchetta più vicina alla riva. Trascinò la barca a riva e poi balzò a terra, afferrando il braccio di Emeline.

 

Tirò l’amica a terra, vedendo poi la barca trascinata via dalla corrente. Cora vide il kelpie alzarsi in evidente rabbia e colpire la barca facendola a pezzi.

Non appena furono sulla terra asciutta, Cora sentì la pressione nella sua mente che si scioglieva, mentre Emeline sussultava e si alzava in piedi sorreggendosi da sola. Pareva che fuori dall’acqua il kelpie non potesse toccarle. Si alzò di nuovo, poi si tuffò in acqua e scomparve alla vista.

“Penso che siamo al sicuro,” disse Cora.

Vide Emeline annuire. “Penso… magari per un po’ staremo fuori dall’acqua.”

Sembrava esausta, quindi Cora la aiutò ad allontanarsi dalla riva. Le ci volle un po’ per trovare un sentiero, ma quando lo fecero, le parve naturale seguirlo.

Continuarono a procedere lungo la strada, e ora c’erano più persone di quante ce ne fossero state a nord. Cora vide pescatori che provenivano dalle sponde del fiume, contadini con carri pieni di merce. Vide più gente che veniva da ogni direzione adesso, con carichi di tessuti o bestiame e animali. Un uomo stava addirittura conducendo un branco di papere davanti a sé come un altro avrebbe potuto fare con delle pecore.

“Deve esserci un mercato ambulante,” disse Emeline.

“Dovremmo andare,” disse Cora. “Potrebbero aiutarci a tornare sulla strada per Casapietra.”

“Oppure potrebbero ucciderci come streghe nel momento in cui glielo chiediamo,” sottolineò Emeline.

Lo stesso andarono, facendosi strada lungo i sentieri insieme agli altri fino a che videro il mercato davanti a loro. Era su una piccola isola in mezzo ai fiumi, raggiungibile da tutti da almeno una dozzina di punti. Su quell’isola ora vide bancarelle e spazi per aste per qualsiasi cosa, dalle merci al bestiame. Era solo grata che nessuno quel giorno stesse tentando di vendere delle vincolate.

Lei ed Emeline si diressero all’isola, guadando uno dei canali per raggiungerla. Tenevano la testa bassa, mescolandosi alla folla il più possibile, soprattutto quando Cora vide la figura mascherata di una sacerdotessa che si aggirava tra la gente dispensando le benedizioni della sua dea.

Cora si trovò attirata verso un posto dove degli attori stavano mettendo in scena la Danza di San Cutberto, sebbene non fosse la versione seria che a volte era stata messa in scena al palazzo. Questa versione mostrava un sacco di umorismo in più e miriadi di pretesti per combattimenti con le spade. Di certo la compagnia conosceva bene il suo pubblico. Quando ebbero finito fecero un inchino, e la gente iniziò a chiamare i nomi di commedie e sketch, sperando che venisse rappresentato il loro pezzo preferito.

“Ancora non capisco come potremmo trovare qualcuno che conosca la strada per Casapietra,” disse Emeline. “Almeno senza rivelarci pienamente davanti ai sacerdoti.”

Anche Cora ci stava pensando. Le venne un’idea.

“Però vedresti se delle persone iniziassero a pensarci, vero?” chiese.

“Forse,” disse Emeline.

“Allora induciamoli a pensarci,” disse Cora. Si girò verso gli attori. “Che ne dite de Le figlie del guardiano di pietra?” gridò, sperando che la folla la coprisse.

Con sua sorpresa funzionò. Forse perché era una commedia pericolosa e audace da chiedere: la storia di come le figlie di un tagliapietre dimostrassero di essere delle streghe e trovassero una casa lontana da coloro che davano loro la caccia. Era il genere di commedia per cui sarebbero potuti finire arrestati se l’avessero rappresentata nel posto sbagliato.

Ma la misero invece in scena qui, in tutta la sua gloria, con figure mascherate che rappresentavano sacerdoti che inseguivano i giovani uomini che recitavano la parte delle donne per paura della sfortuna. Per tutto il tempo Cora guardò Emeline con piena aspettativa.

“Beh, li sta facendo pensare a Casapietra?” le chiese.

“Sì, ma non significa che… aspetta,” disse Emeline girando la testa. “Vedi quell’uomo lì che vende lana? Sta pensando a un tempo in cui ci è andato per vendere. Quella donna… sua sorella ci è andata.”

“Quindi hai la direzione da prendere?” chiese Cora.

Vide Emeline annuire. “Penso che potremmo trovarla.”

Non era una grossissima speranza, ma era pur sempre qualcosa. Casapietra era sempre davanti a loro, e con essa la prospettiva della salvezza.

CAPITOLO QUATTRO

Dall’alto l’invasione sembrava la spazzata di un’ala che avvolgeva ogni parte di terra che riusciva a toccare. Il Maestro dei Corvi si divertiva, ed era forse l’unico che si trovava nella posizione di poterlo apprezzare, dato che i suoi corvi gli davano una veduta perfetta sulle navi che arrivavano a riva.

“Magari ci sono altri osservatori,” disse a se stesso. “Forse le creature di quest’isola vedranno quello che viene verso di loro.”

“Cosa c’è, signore?” chiese un giovane ufficiale. Era chiaro di carnagione e con i capelli biondi, l’uniforme scintillante dopo averla a lungo lustrata.

“Niente di cui tu ti debba preoccupare. Preparatevi ad approdare.”

L’uomo partì di scatto, con il genere di velocità nei movimenti che sembrava fin troppo esagerata per l’azione. Forse si pensava invulnerabile perché combatteva per il Nuovo Esercito.

“Sono tutti cibo per i corvi alla fine,” disse il Maestro dei Corvi.

Non oggi però, perché aveva scelto con cura i punti in cui approdare. Erano parti del continente oltre il Tagliacqua, dove la gente sparava ai corvi quasi come conseguenza naturale, ma qui dovevano ancora imparare come andavano le cose. Le sue creature si erano sparpagliate, mostrandogli i punti dove i difensori avevano predisposto cannoni e barricate in preparazione all’invasione, dove avevano nascosto uomini e fortificato villaggi. Avevano creato una rete di difese che avrebbe dovuto inghiottire la forza degli invasori per intero, ma il Maestro dei Corvi poteva vederci chiaramente i buchi.

“Iniziate,” ordinò, e i corni suonarono, riecheggiando tra le onde. La scialuppe d’approdo vennero calate e un’ondata di uomini si riversò a riva. Per lo più lo fecero in silenzio, perché un giocatore non annunciava il posizionamento dei suoi pezzi sulla plancia di gioco. Si sparpagliarono, portando cannoni e scorte, muovendosi rapidamente.

Ora iniziò la violenza, proprio nei modi che avevano programmato, con gli uomini che si raggruppavano attorno ai punti delle imboscate dei loro nemici per piombare loro addosso da dietro, le armi che andavano a colpire i nodi nascosti degli avversari che volevano fermarli. Da lontano avrebbe dovuto essere impossibile udire le grida di coloro che morivano, o anche il fuoco dei moschetti, ma i suoi corvi gli riportavano ogni cosa.

Vedeva una dozzina di fronti nello steso istante, la violenza che fioriva in un caos multi-sfaccettato, come faceva sempre nei momenti successivi all’inizio del conflitto. Vide i suoi uomini attaccare una spiaggia scagliandosi contro un nugolo di paesani, facendo roteare le spade. Vide sbarcare cavalli mentre attorno a loro una compagnia combatteva per mantenere il possesso della spiaggia contro una milizia armata di attrezzi agricoli. Vide entrambi i punti di massacro e di sudato coraggio, sebbene fosse difficile distinguerli.

Attraverso gli occhi dei suoi corvi, vide un gruppo di cavalieri che si riunivano un po’ più verso l’entroterra, i loro pettorali che brillavano al sole. Erano tanti che avrebbero potuto potenzialmente creare un buco nella sua ben coordinata rete di punti d’approdo, e sebbene il Maestro dei Corvi dubitasse che conoscessero il punto corretto dove colpire, non poteva correre quel rischio.

Estese la sua concentrazione, usando i suoi corvi per trovare un ufficiale adatto lì vicino. Con suo divertimento, trovò il giovane uomo che prima era stato così felice. Si concentrò, lo sforzo di portare una delle sue bestie a fare da portavoce delle sue parole molto più grosso che semplicemente guardare attraverso i loro occhi.

“Ci sono dei cavalieri a nord rispetto a te,” disse, udendo il gracchiare della voce del corvo mentre ripeteva le sue parole. “Fai il giro della cresta a ovest e prendili di sorpresa mentre vengono verso di te.”

Non aspettò la risposta, ma mandò invece il corvo a volare, guardando dall’alto mentre gli uomini obbedivano ai suoi ordini. Questo era ciò che il suo talento gli offriva: l’abilità di vedere di più, di dipanare la sua presa ben oltre qualsiasi uomo normale. La maggior parte dei comandanti si trovarono impantananti nella nebbia della guerra, o azzoppati da messaggeri che non potevano muoversi sufficientemente veloci. Poteva coordinare un esercito con la facilità con cui un bambino avrebbe potuto mostrare di muovere dei soldatini di piombo su un tavolo.

Sotto ai suoi uccelli che volavano in cerchio, vide la cavalleria che arrivava di gran carriera, con l’aspetto in tutto e per tutto di un elegante esercito d’altri tempi. Udì lo scoppio dei moschetti che iniziavano ad abbatterli, poi vide i soldati in attesa che li attaccavano, trasformando rapidamente la loro carica da favola in qualcosa di sanguinario e mortale, in dolore e improvvisa angoscia. Il Maestro dei Corvi vide cadere un uomo dopo l’altro, incluso il giovane ufficiale, colpito alla gola da una lama vagante.

“Tutto cibo per i corvi,” disse. Non importava: quella piccola battaglia era vinta.

Poté vedere una battaglia più difficile dall’altra parte delle dune che portavano verso un piccolo villaggio. Uno dei suoi comandanti non era stato abbastanza veloce da seguire i suoi ordini, il che significava che i difensori erano penetrati e avevano tenuto testa nella via che conduceva al loro villaggio, anche contro un esercito più grosso. Il Maestro dei Corvi si stiracchiò, poi salì su una scialuppa da approdo.

“A riva,” disse, indicando.

Gli uomini con lui si misero al lavoro con la velocità che veniva dalla lunga esperienza. Il Maestro dei Corvi guardava l’avanzare della battaglia man mano che si avvicinava, udendo le grida dei morenti, vedendo i suoi eserciti che travolgevano un gruppo dopo l’altro di difensori. Era ovvio che la vedova avesse ordinato la difesa del suo regno, ma chiaramente non abbastanza bene.

Raggiunsero la riva, e il Maestro dei Corvi avanzò in mezzo alla battaglia come se stesse facendo una passeggiata. Gli uomini attorno a lui si tenevano bassi, i moschetti sollevati mentre cercavano le minacce, ma lui camminava eretto. Sapeva dove si trovavano i suoi nemici.

Tutti i suoi nemici. Poteva già sentire il potere di questa terra, e percepire il movimento in essa mentre alcune delle cose più pericolose lì presenti reagivano al suo arrivo. Lasciava che lo sentissero arrivare. Lasciava che capissero la paura di ciò che stava per accadere.

Un piccolo gruppo di soldati nemici balzò fuori da un nascondiglio dietro a una barca capovolta, e non ci fu tempo per pensare, solo di agire. Sguainò una lunga spada da duello e una pistola con un unico movimento fluido, sparando in faccia a uno dei difensori e poi trafiggendone un altro con la lama. Schivò un attacco, colpì di rimando con forza letale e continuò ad avanzare.

Le dune erano lì davanti, e il villaggio si trovava dietro ad esse. Ora il Maestro dei Corvi poteva sentire la violenza senza dover ricorrere alle sue creature. Poteva distinguere lo schianto delle lame tra loro con le sue stesse orecchie, il rimbombo dei moschetti e delle pistole che riecheggiava mentre si avvicinava. Poteva vedere gli uomini che lottavano tra loro, e i suoi corpi gli permettevano di cogliere i punti in cui i difensori stavano inginocchiati o distesi, le armi puntate contro qualsiasi cosa si avvicinasse.

Lui si portò in mezzo, sfidandoli a sparargli.

“Avete una possibilità di vivere,” disse. “Mi serve questa spiaggia, e sono pronto a pagare per averla con le vostre vite e con quelle delle vostre famiglie. Deponete le armi e andatevene. Ancora meglio, unitevi al mio esercito. Fate questo e sopravviverete. Continuate a combattere e farò radere al suolo le vostre case.”

Rimase fermo lì aspettando una risposta. La ottenne quando uno sparo risuonò e il dolore e l’impatto del proiettile gli passarono attraverso con tale violenza da farlo barcollare e cadere su un ginocchio. In quel momento però non c’era tanta morte attorno da poterlo fermare così facilmente. I corvi erano ben nutriti oggi, e il loro potere avrebbe guarito qualsiasi cosa che non fosse in grado di ucciderlo all’istante. Spinse del potere nella ferita, che si chiuse mentre lui si alzava in piedi.

 

“E allora che così sia,” disse, quindi si lanciò all’attacco.

In genere non faceva di queste cose. Era un modo sciocco di combattere, un modo vecchio che non aveva niente a che fare con gli eserciti ben organizzati o le tattiche più efficienti. Si mosse con tutta la velocità che il suo potere gli dava, schivando e correndo mentre serrava la distanza.

Uccise il primo uomo senza fermarsi, piantando la spada a fondo e poi estraendola di nuovo. Diede un calcio al successivo spingendolo a terra, poi lo finì con un rapido colpo di spada. Afferrò il moschetto dell’avversario con una mano e sparò, usando la vista dei corvi per sapere dove puntarlo.

Si tuffò su un mucchio di uomini che si nascondevano dietro a una barricata di sabbia. Contro la lenta avanzata delle sue forze, avrebbe potuto essere sufficiente per ritardarli, creando del tempo perché altri uomini potessero arrivare in aiuto. Contro il suo attacco selvaggio non faceva alcuna differenza. Il Maestro dei Corvi saltò il muro di sabbia piombando in mezzo ai nemici e colpendo in ogni direzione.

I suoi uomini l’avrebbero seguito, anche se non aveva la concentrazione per vedere dove fossero attraverso gli occhi dei suoi corvi. Era troppo occupato a parare i colpi di spada e di accetta, colpendo a sua volta con feroce efficienza.

Ora i suoi uomini erano lì, che si riversavano oltre le barricate di sabbia come un’ondata. Morivano mentre lo facevano, ma questo non importava fintanto che si trovavano con il loro capo. Era ciò su cui il Maestro dei Corvi contava. Mostravano sorprendente lealtà per essere degli uomini che ai suoi occhi non erano più che cibo per i corvi.

Con i loro numeri alle spalle, non ci volle molto prima che i difensori fossero morti, e il Maestro dei Corvi lasciò che fossero i suoi uomini a farsi strada verso il villaggio.

“Andate,” disse. “Massacrateli per la loro disobbedienza.”

Guardò il resto degli approdi per qualche altro minuto, ma pareva non esserci nessun altro punto di strozzatura. Aveva scelto bene il suo punto d’attacco.

Quando il Maestro dei Corvi raggiunse il villaggio, parti di questo erano già in fiamme. I suoi uomini si stavano muovendo tra le strade, uccidendo qualsiasi paesano trovassero. Il Maestro dei Corvi ne vide uno trascinare una donna fuori dal villaggio, spaventata solo quanto il suo aguzzino pareva contento.

“Cosa stai facendo,” gli chiese quando fu più vicino.

L’uomo lo guardò scioccato. “Io… ho visto questa qui, e ho pensato…”

“Pensavi di poterla tenere,” disse il Maestro dei Corvi concludendo la frase.

“Beh, mi guadagnerebbe un buon prezzo nel posto giusto.” Il soldato osò sorridere, con l’intento di portare il suo capo dalla sua parte, come complice della sua cospirazione.

“Capisco,” disse. “Però io non te l’ho ordinato, giusto?”

“Mio signore,” iniziò il soldato, ma il Maestro dei Corvi stava già alzando la pistola. Sparò così da vicino che i tratti dell’altro uomo scomparvero del tutto nell’esplosione. La giovane accanto a lui parve troppo scioccata anche solo per gridare mentre il suo aggressore cadeva.

“È importante che i miei uomini imparino ad agire in accordo con i miei ordini,” disse il Maestro dei Corvi alla donna. “Ci sono posti dove permetto le catture, e altri dove siamo d’accordo che nessuno se non i dotati di magia debbano essere picchiati o uccisi. È importante mantenere la disciplina.”

La donna parve allora speranzosa, come se pensasse che questo fosse tutto un errore, nonostante le depredazioni che gli altri stavano portando avanti al villaggio. Ebbe quell’espressione fino al momento in cui il Maestro dei Corvi le piantò la spada nel cuore, un colpo netto e chiaro, probabilmente addirittura privo di dolore.

“In questo caso ho dato ai tuoi uomini una scelta, e loro l’hanno fatta,” disse mentre lei stringeva l’arma. Lui la estrasse e la donna cadde. “È una scelta che intendo dare al resto di questo regno. Magari gli altri sceglieranno più saggiamente.”

Si guardò attorno mentre il massacro continuava, non provando piacere ma neanche dispiacere, solo una sorta di bilanciata soddisfazione per l’aver completato il compito. Una parte, almeno, perché dopotutto questa non era che la presa di un villaggio.

Ci sarebbe stato molto altro ancora a seguire.