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Aus der Reihe: Appunti di un Vampiro #12
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CAPITOLO QUATTRO

Kyle camminava lungo la strada di periferia nei pressi della casa di Vivian, illuminata soltanto dalla luce lunare, che disegnava gli alberi come sagome scheletriche allineate, una dopo l’altra. Si leccò il sangue secco dalle labbra, ricordando con gioia l’omicidio che aveva commesso, l'espressione di timore e terrore di Vivian.

Ne fu confortato. Era certo che lei sarebbe stata la prima di molte, la prima vittima e la prima recluta dell'esercito dei vampiri che stava per creare.

Il liceo. Quella sarebbe stata la sua prossima tappa. Aveva un forte desiderio di trovare la ragazza che lo aveva tramutato, Scarlet. Forse l'avrebbe trovata lì, o qualcuno avrebbe saputo dove fosse.

In ogni caso, quello era un posto che gli sarebbe andato certamente bene, perché avrebbe potuto nutrirsi del sangue di un’innumerevole folla di ragazzini, che avrebbe tramutato. Sin dalla trasformazione di Vivian, aveva trovato di suo gusto il sangue degli adolescenti, e ancor più apprezzava l'idea di un obbediente piccolo esercito pronto a seguirlo.

Voleva portare il caos in quella città, e nel mondo.

Kyle cominciò a correre lungo il marciapiede, poi si fermò improvvisamente, scoppiando a ridere: si era ricordato di essere un vampiro, con forza e doti che un normale essere umano non sarebbe riuscito neppure ad immaginare, e – tra queste – la capacità di volare.

Era l'unica cosa che non aveva ancora provato a fondo. E ora, aveva intenzione di provare tutto ed assaporare ogni istante della sua nuova condizione. Voleva librarsi nel cielo, e guardare in basso quelle formiche così insignificanti che vivevano le loro piccole vite noiose. Voleva piombare su di loro, e dare loro la caccia come un'aquila che piomba sulla sua preda.

Sorridendo, fece due grandi balzi e spiccò il volo.

Fu straordinario. Il vento lo sferzò, scompigliandogli i capelli, mentre volava più in alto, sempre più in alto nel cielo. Sotto di lui, vide le luci della città. Pensò a tutte le persone chiuse nelle loro case, che ignoravano l'inferno che stava per scatenarsi. Scoppiò a ridere da solo, immaginando il caos che presto avrebbe generato. Nulla gli avrebbe dato più gioia di rovinare la vita di ogni singolo uomo.

Ben presto, Kyle avvistò il liceo a distanza, sotto di lui. La polizia aveva posizionato un blocco intorno ad una grande area del quartiere, inclusa ogni strada che conduceva alla scuola. Ogni via era pattugliata da auto delle forze dell’ordine.

Idioti, Kyle pensò, volando proprio sopra di loro, del tutto inosservato.

Evidentemente erano del tutto inconsapevoli. Era chiaro che l'idea di un vampiro assassino a piede libero superava le capacità del loro piccolo cervello; perciò, nella loro testa, lo avevano limitato, degradandolo ad un assassino comune. Non avevano idea di che cosa li aspettasse.

Quando Kyle si avvicinò all'entrata della scuola, vide pezzi di nastro della polizia svolazzare al vento, da dove quei due uomini avevano provato a sparargli. Vide il suo stesso sangue. Strinse i pugni e pensò a come nessuno potesse fermarlo. Ora era immortale. Auto, proiettili, nulla poteva arrestare la sua furia.

Allora, decise di prendere l'entrata sul retro. Scese sul campo sportivo, dove si stava svolgendo l'allenamento di football alla luce dei riflettori, e si abbassò, confondendosi nell’ombra. Grazie alla sua vista super sviluppata, individuò due auto della polizia parcheggiate proprio dietro all'angolo, nel tentativo di passare inosservate. Forse, Kyle pensò con un sorriso, potevano passare inosservate all'occhio umano. Ma non per un vampiro.

Il posto era in disordine. Vetri infranti e rifiuti erano tutti sparsi sul pavimento. Si chiese come avessero fatto a convincere qualcuno dei ragazzi a restare nella scuola. Era certo colpa del fatto che ignoravano del tutto la realtà, suppose.

Raggiunse le porte chiuse della palestra, che reputava la miglior strada per entrare nella scuola. Anche lì, notò, era presente la sicurezza. Vide un ragazzo robusto fermo davanti alle porte, più grosso di lui. Era la sorta di guardia di sicurezza che sarebbe stata meglio davanti a un losco nightclub del centro, piuttosto che in una scuola. Kyle si limitò a sorridere, assaporando la sfida di abbattere quell'uomo.

Si diresse con passo risoluto e sciolto verso la guardia di sicurezza, notando immediatamente che la mano dell’uomo era scesa alla cintura. Kyle si chiese se stesse cercando la pistola o piuttosto un walkie-talkie per chiamare rinforzi. La cosa gli era del tutto indifferente: nulla poteva disturbare Kyle. Le pistole non potevano ucciderlo e cento poliziotti non avrebbero potuto fare altro che rallentarlo.

“Hai del coraggio a tornare qui” l'uomo della sicurezza disse, mentre Kyle si avvicinava. “Sei un ricercato. Ogni poliziotto e agente della sicurezza in città ha una tua fotografia. Tutta la città ti sta cercando.”

Kyle fece un sorrisetto e allargò le braccia.

“Ebbene, eccomi qua” lui rispose.

L'uomo della sicurezza provò a non tradire preoccupazione sul volto, ma Kyle avvertì la sua paura

“Che cosa vuoi?” chiese, con voce malferma.

Kyle fece un cenno con la testa, indicando le porte della palestra. Sentì la martellante musica provenire da dentro, e immaginò tutte le cheerleader all'interno nel bel mezzo dell'allenamento. Lui voleva trasformarle tutte.

Kyle si avvicinò alla guardia di sicurezza e lo afferrò per il collo, sollevandolo dal pavimento. Sebbene fosse più grosso e più alto di Kyle, la forza di Kyle era maggiore. L'uomo era a malapena più pesante di un bambino.

“Voglio creare un esercito” Kyle sussurrò nell'orecchio dell'uomo.

L'uomo emise un pianto soffocato e calciò. Kyle gli abbassò la testa e gli morse il collo. L'uomo provò a urlare, ma la presa di Kyle intorno al collo era d’acciaio. Non riuscì ad emettere un singolo suono, mentre il sangue sgorgava da lui.

Kyle gettò a terra la nuova vittima, sapendo di aver creato il suo secondo vampiro. Quando si sarebbe svegliato, rinato, avrebbe fatto parte del suo esercito.

Il soldato numero due.

Kyle spalancò le porte della palestra, e la forte musica pop riecheggiò insieme all'odore di sudore ed alle risate delle ragazze intente ad allenarsi.

“Ehi!” una ragazza gridò dalle tribune. “Non può stare qui.”

Lei indossava la stessa uniforme da cheerleader, che avevano le altre ragazze. Si avvicinò frettolosamente a Kyle, fermandosi di fronte a lui, con espressione accigliata.

“Vada fuori!” esclamò.

Kyle ignorò le sue richieste.

“Conosci Scarlet Paine?” le chiese.

La ragazza fece una smorfia. “Quello scherzo della natura? So di lei.”

Dietro la giovane, le altre cheerleader si voltarono a osservare che cosa stesse accadendo.

“Lei dov'è?” Kyle domandò.

La ragazza alzò le spalle.

“Come faccio a saperlo?” rispose.

Kyle si fece avanti e l'afferrò, sollevandola ben oltre la sua testa. Le altre ragazze cominciarono a urlare.

“Se qualcuna di voi sa dove si trova Scarlet Paine” Kyle gridò contro di loro, “farà meglio a parlare subito.”

Le cheerleader indietreggiarono. La ragazza che Kyle stava tenendo sollevata al di sopra della sua testa,  si divincolò. Soltanto una delle ragazze che guardavano fu abbastanza coraggiosa da dire qualcosa.

“Non so dove sia” disse, tremando. “Ma le sue amiche Becca e Jasmine sono nel coro della scuola. Si stanno esercitando in fondo al corridoio.”

Kyle strinse gli occhi, rivolgendosi alla ragazza. “Stai dicendo la verità?”

Lei strinse le labbra e annuì.

Kyle abbassò la ragazza, che continuava a divincolarsi tra le sue braccia, e la mise a terra: lei corse verso il resto delle compagne, che la circondarono, come per farla sentire al sicuro tra di loro. Alcune però piangevano.

Kyle si avvicinò alla parete e prese con violenza una scala. Strappò uno dei lunghi pioli in legno e lo usò per fermare le porte della palestra, incastrandolo tra le maniglie.

“Che nessuno si muova” ordinò alle ragazze terrorizzate.

Intendeva ancora tramutarle, ma doveva seguire prima la pista.

Sentì un pianto soffocato dietro di sé, quando lasciò la palestra e si diresse nei corridoi scolastici. Nonostante tutto quanto era successo, il posto brulicava ancora di ragazzi. Kyle scoppiò a ridere, quando si rese conto che dovevano aver pensato che circondare la scuola con le auto della polizia sarebbe bastato per tenerlo lontano. Stavano provando a mantenere una parvenza di normalità, così da non spaventare gli studenti o i genitori della comunità.

“Quanto possono essere stupide queste persone?” Kyle pensò sorridendo.

Si avvicinò ad un gruppo di ragazzi dal look alternativo, che stavano vicino ai loro armadietti. Sembravano il tipo di ragazzi di cui si circondava quando andava a scuola, il tipo che sarebbe uscito di là senza prendere il diploma, e destinato a lavorare nei bar per il resto della vita.

“Amico” uno dei ragazzi disse, dando un colpetto al compagno vicino a lui. “Guarda quello straccione.”

Kyle si diresse verso il gruppo, e colpì gli armadietti con un pugno, ammaccandoli. I ragazzi saltarono per lo shock.

“Che problema hai, amico?” il ragazzo disse.

“Il coro” Kyle grugnì. “Dove si esercita?”

Una delle ragazze del gruppo, vestita in stile gotico con lunghi capelli neri, si fece avanti. “Col cavolo che te lo diciamo.”

Prima che chiunque altro del gruppo avesse anche solo il tempo di battere le palpebre, Kyle afferrò la ragazza e la attirò a sé. Le affondò i denti nel collo e succhiò. Nell'arco di pochi secondi, la ragazza si afflosciò priva di vita tra le sue braccia. Il resto del gruppo urlò.

Kyle lasciò cadere a terra la ragazza, e si asciugò il sangue dalle labbra col dorso della mano.

 

“Il coro” ripeté. “Dove si esercita?”

Il ragazzo che per primo aveva parlato, puntò un dito tramante verso la fine del corridoio. Accanto a lui, due delle amiche piangevano e si abbracciavano, i loro sguardi di terrore erano fissi sul cadavere della ragazza.

Kyle fece per andarsene, ma aveva fatto soltanto due passi, quando tornò indietro e afferrò le due ragazze che piangevano. Morse prima una, e poi l'altra, facendo scorrere il sangue dai loro colli, così da fermare il loro pianto, mutandolo finalmente in silenzio. Le gettò ai suoi piedi, le calpestò e si diresse in fondo al corridoio, lasciando il resto del gruppo a bocca aperta.

Kyle seguì il suono dei canti, fino a quando raggiunse la sala dove il coro si stava esercitando. Spalancò le porte.

Nel medesimo istante in cui entrò, tutti capirono di trovarsi in pericolo. I canti cessarono immediatamente.

“Jasmine. Becca” lui domandò.

Le due ragazze tremanti si fecero avanti. Le afferrò entrambe per il collo, sollevandole dal pavimento.

“Scarlet Paine. Ditemi dov'è.”

Le ragazze calciarono e si dimenarono nella sua stretta. Nessuna delle due riuscì a parlare, visto che Kyle le stringeva per il collo con forza eccessiva.

“Io lo so” qualcuno disse.

Tutti si voltarono, sorpresi. Kyle fece cadere Becca e Jasmine, e guardò la ragazza.

“Tu chi sei?” Kyle disse.

“Jojo” lei riprese. Si attorcigliò delle ciocche di capelli nelle dita, e sorrise. Indossava un top di Ralph Lauren. Chiaramente, si trattava di un'amica di Vivian.

“Allora?” Kyle disse.

“Io…” la ragazza esordì, ma poi si fermò. “Eravamo ad una festa insieme l'altra sera.”

“E?” Kyle chiese.

“L'ho vista. Con quel ragazzo. Davvero bello comunque.”

Becca e Jasmine si scambiarono uno sguardo. Jojo tossì e continuò a parlare.

“Stavano parlando del fatto che non potevano stare insieme per sempre, perché credo che lui stesse morendo o una cosa del genere.”

La pazienza di Kyle si esaurì. Volò dall'altra parte della stanza verso la ragazza, e la sollevò in aria.

“Vai dritta al punto!” le gridò.

La ragazza gli graffiò la mano intorno al suo collo. “Chiesa.”

Kyle la studiò per un momento, poi la mise giù. “Chiesa?”

La giovane annuì, con gli occhi spalancati per il terrore. Si massaggiò poi il collo.

“Chiesa. O castello. O cattedrale. Qualcosa del genere. Sono … volati via insieme.”

Se la ragazza lo avesse detto prima, i suoi compagni l'avrebbero ridicolizzata. Ma, pochi istanti dopo aver visto con i propri occhi Kyle volare nella stanza verso la loro compagna, l'idea di Scarlet Paine e un bel ragazzo che volavano via insieme, improvvisamente, appariva meno inverosimile.

Ancora dolorante sul pavimento, Becca rivolse uno sguardo furioso alla ragazza.

“Perché gliel'hai detto, Jojo?” le urlò. “E' ovvio che voglia farle del male!”

“Lealtà a Vivian” Jasmine rispose aspramente.

Le orecchie di Kyle pungevano. Pensò al sangue dolce di Vivian. Tornò a rivolgersi a Jojo.

“Sei una delle amiche di Vivian?” le chiese.

La ragazza annuì.

Kyle le afferrò la mano.

“Verrai con me.”

Il coro osservò con orrore Jojo che veniva trascinata fuori dalla stanza, fino al corridoio. Kyle la portò lungo i corridoi con lui. Tutto il posto era una scena caotica. I ragazzi che aveva tramutato avevano cominciato a banchettare. Quelli che non erano ancora stati tramutati correvano e urlavano, provando a uscire. Kyle fece un cenno d’approvazione alla ragazza gotica ed alla sua amica, mentre passava, osservandole succhiare il sangue dai loro compagni di scuola. Accanto a lui, sentì Jojo tremare.

Raggiunse la palestra e spalancò le porte, scoprendo che le cheerleader avevano provato a formare una piramide umana, per uscire dalle finestre in cima. La piramide crollò, non appena si resero conto che il loro catturatore era tornato, vanificando il loro piano.

“Brillanti” Kyle disse con una risata. “Sarete un'eccellente aggiunta alla mia famiglia.”

“Jojo!” qualcuno gridò, mentre l'amica di Vivian veniva gettata nella palestra.

Kyle si guardò intorno e si leccò le labbra.

“Che il divertimento cominci” disse a se stesso.

CAPITOLO CINQUE

L'agente di polizia Sadie Marlow guardò dalla piccola finestra, entrando nella stanza. Dentro vide solo un letto, addossato alla parete. Seduta lì, c'era la ragazza, con cui avrebbe dovuto parlare.

Lo psicologo, che si era mantenuto al suo fianco, estrasse una scheda dalla tasca. Ma prima di strisciarla nella serratura e permettere ai poliziotti di entrare, si fermò e si voltò a guardarli entrambi.

“Sapete che non siamo stati ancora in grado di farle dire una parola sensata” lo psicologo disse. “Non dice altro che ‘Scarlet. Scarlet. Devo trovare Scarlet.’”

Si intromise l'agente Brent Waywood, indicando il suo taccuino aperto. “E’ per questo che siamo qui, signore” “Scarlet Paine. Quel nome continua a saltare fuori nelle nostre indagini.”

Lo psicologo seguì le sue labbra.

“Capisco perché siate qui” replicò. “Solo che non mi piace che la polizia interroghi i miei pazienti.”

Brent chiuse brutalmente il taccuino, facendo un suono violento. Rivolse uno sguardo allo psicologo.

“Sono stati uccisi degli agenti” disse in tono secco. “Bravi uomini e donne non torneranno a casa dalle loro famiglie stasera, perché uno psicopatico ucciderà tutti quelli che incontrerà sulla sua strada. Che cosa vuole? Scarlet Paine. E' tutto quello che abbiamo, per andare avanti nelle indagini. Così, può capire per quale motivo interrogare la sua paziente per noi sia una priorità.”

L'Agente Marlow passeggiava avanti e indietro nervosamente, frustrata dal fatto che il partner  sembrava riuscire a litigare in ogni situazione. Era convinta che il suo lavoro sarebbe stato senz'altro più semplice, se avessero lasciato a lei la possibilità di fare gli interrogatori.

Infatti, a differenza di Brent, restava sempre calma, specie con i testimoni ed in particolare con quelli afflitti da problemi mentali, come la ragazza che dovevano incontrare lì. E questa era precisamente la ragione per cui il capo della polizia l'aveva mandata in quella clinica psichiatrica. Tuttavia, avrebbe voluto avere un partner migliore.

Ma un pensiero la colpì, come un pugno allo stomaco: il suo capo non aveva avuto a disposizione molti poliziotti tra cui scegliere. Oltre a quelli che ora sorvegliavano la scuola, il resto del suo distretto era composto da morti o feriti.

Si fece avanti.

“Comprendiamo che la testimone è in uno stato di fragilità” disse in tono diplomatico. “Manterremo un tono civile. Nessuna domanda. Nessun tono di voce alto. Mi creda, signore, ho sei anni di esperienza con ragazzi come lei.”

Tutti guardarono attraverso la finestrella e notarono che la ragazza si stava dondolando andando avanti e indietro, con le ginocchia contro il petto.

Alla fine lo psicologo sembrò accontentarsi di quelle promesse e consentì ai poliziotti di entrare.

Strisciò la scheda contro la serratura della porta, attese l’accensione di una lucina verde, seguita da un sonoro bip, e poi entrò per primo nella stanza, avvicinandosi alla ragazza, che era rimasta raccolta in posizione fetale.

I due agenti lo seguirono e solo allora la donna notò le manette che bloccavano le mani e le caviglie della ragazza, immobilizzandola.

Ne fu sorpresa. L'ospedale non ricorreva a questi metodi, se non quando il paziente manifestasse l’intenzione di far del male a se stesso o agli altri. Qualsiasi esperienza avesse affrontato quella ragazza, rifletté, doveva essere stata terribile. Per quale altra ragione una liceale sedicenne, dalla fedina penale perfettamente pulita, avrebbe potuto diventare improvvisamente pericolosa?

Fu lo psicologo a parlare per primo.

“Ci sono dei poliziotti qui che vogliono vederti” le disse in modo calmo. “Si tratta di Scarlet.”

La ragazza sollevò la testa. Gli occhi erano vuoti e osservarono i volti delle tre persone davanti a lei. L'Agente Marlow lesse nella sua espressione angoscia e disperazione.

“Scarlet” la ragazza gridò, tendendo le manette. “Devo trovare Scarlet.”

Lo psicologo guardò in silenzio i due poliziotti, mentre lasciava la stanza.

*

Maria osservò gli agenti. Da qualche parte, nei recessi più nascosti, la parte sana stava ancora funzionando, era rimasta lucida e sveglia. Ma la parte con cui aveva giocato Lore era dominante, e sembrava che una nube le oscurasse l’intelletto.

Sapeva di dover uscire da quel posto e di dover trovare Scarlet. Forse l’amica era con Sage, che, sicuramente, l'avrebbe aiutata. Sarebbe stato in grado di disfare quello che il cugino le aveva fatto.

Ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a spiegare a nessuno che non era affatto pazza, che quello non era il suo posto, ammanettata come una criminale. Le sue amiche erano andate a trovarla, e sua madre le aveva tenuto la mano, in lacrime, ma Maria non era riuscita a parlare. Qualunque cosa Lore le avesse introdotto nella mente, era immune ad ogni attacco. E si stava rinforzando. Ad ogni istante, Maria si sentiva sempre più debole. La sua capacità di combattere il controllo mentale di Lore stava diminuendo, e la parte sana della sua mente si riduceva sempre di più. Maria era certa che, se non avesse trovato un aiuto, sarebbe scomparsa del tutto, riducendola ad un guscio vuoto.

Waywood rimase in piedi, tenendo lo sguardo puntato su Maria. Marlow, invece, era appoggiata al bordo del letto.

“Maria, dobbiamo farti alcune domande” le disse dolcemente.

Maria provò ad annuire, ma non accadde nulla. Il suo corpo era diventato pesante. Era esausta. Respingere quello che Lore aveva introdotto nella sua mente era davvero faticoso.

“La tua amica, Scarlet” la poliziotta proseguì nello stesso modo gentile. “Sai dov'è?”

“Scarlet” Maria disse.

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma le parole proprio non riuscivano ad uscirle di bocca. Frustrata, osservò il poliziotto roteare gli occhi.

“E’ del tutto inutile” sbottò.

“Agente Waywood, devi avere pazienza” replicò incollerita Marlow.

“Pazienza?” il collega gridò. “I miei amici sono morti! I nostri colleghi sono in pericolo! Non c'è tempo per avere pazienza!”

Intrappolata nella sua stessa mente, Maria sentì crescere la propria frustrazione. Comprendeva la preoccupazione dell'Agente Waywood e desiderava davvero essere d'aiuto. Ma, per colpa di Lore, riusciva a malapena a spiccicare una parola. Parlare per lei equivaleva a camminare su un tapis roulant: si sforzava, ma non arrivava mai da nessuna parte.

La poliziotta ignorò lo scatto del collega e tornò a rivolgersi a Maria.

“L'uomo che cerca la tua amica, si chiama Kyle. Lo hai già visto prima? L’hai mai sentita menzionarlo?”

Maria provò a scuotere la testa, ma non le riuscì neppure quello. Marlow si morse il labbro e giocherellò con il taccuino nelle mani. Maria comprese da quei gesti che stava riflettendo, probabilmente era incerta se chiederle qualcos’altro.

Infine, la poliziotta si fece avanti e strinse la mano di Maria. La guardò intensamente negli occhi.

“Kyle … lui è un vampiro, non è vero?”

Waywood alzò le braccia al cielo, deridendola.

“Sadie, sei diventata pazza! Quelle storie sui vampiri sono stupidaggini!”

La poliziotta si voltò rapidamente, guardando profondamente il partner.

“Non osare ripetere una cosa simile” lei disse. “Sono un’agente di polizia. E' mio dovere interrogare questa testimone. Come posso interrogarla in modo corretto, se non le dico quello che sappiamo?” Prima che il poliziotto avesse la possibilità di replicare, Sadie aggiunse: “E io sono l'Agente Marlow, grazie mille.”

Waywood la guardò con irritazione.

“Agente Marlow” rispose a denti stretti “è mia opinione personale che parlare di vampiri ad un testimone mentalmente instabile sia una cattiva idea.”

Lì sul letto, Maria cominciò a dondolarsi. Sentì la parte sana di lei, sepolta così profondamente da quello che Lore le aveva fatto, cominciare ad emergere. In qualche modo, il fatto che la poliziotta credesse nei vampiri stava aiutando le parti intrappolate della sua mente a liberarsi. Provò a parlare, e finalmente, un suono le fuoriuscì dalla gola.

“Guerra.”

I due poliziotti smisero di litigare e guardarono Maria.

“Che cos'ha detto?” chiese Waywood, perplesso.

Marlow si precipitò sul letto e si sedette accanto a lei.

“Maria?” lei disse. “Dillo di nuovo.”

“G …” Maria provò. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Stava ritornando lucida. La sua mente si stava liberando. Alla fine, riuscì a ripetere la parola. “Guerra.”

 

Marlow guardò il suo collega. “Penso che stia dicendo ‘guerra.’”

Lui annuì, mentre la preoccupazione si dipingeva sul suo volto.

Maria fece un altro respiro profondo, tentando di aiutare la parte lucida della sua mente a prendere il controllo: voleva dire loro quello di cui aveva disperatamente bisogno.

“Vampiro” disse a denti stretti. “Vampiro. Guerra.”

Il volto della donna impallidì.

“Vai avanti” la esortò Marlow.

Maria si leccò le labbra. Fece appello ad ogni energia residua.

“Kyle” rispose con una smorfia. “Capo.”

Marlow strinse la mano di Maria. “Kyle guiderà una guerra di vampiri?”

Maria ricambiò la stretta di mano della donna e annuì.

“Scarlet” aggiunse. “Unica. Speranza.”

L’agente di polizia fece un sospiro e si raddrizzò. “Sai dove si trova Scarlet?”

Maria digrignò i denti e cercò di parlare ancora. “Con Sage … il castello.”

Improvvisamente, un dolore acuto prese a pulsare nella testa di Maria. La ragazza emise un grido e si strinse forte la testa, tirando i capelli con le mani. Comprese subito che la parte sana della sua mente stava soccombendo di nuovo al danno che Lore le aveva causato. Se ne stava andando.

“Aiutatemi!” gridò.

La ragazza cominciò a tirare le manette e ad agitarsi.

Colta dal panico, Marlow si alzò. Fece un cenno al partner e ordinò “Fallo entrare”.

Provò a calmare Maria, ma la ragazza aveva perso il controllo. Continuava a gridare. La porta emise un bip e lo psicologo si precipitò all'interno.

“Che cosa è successo?” l'uomo urlò.

“Niente” rispose Marlow, facendosi da parte. “Si è solo rivoltata.”

Si allontanò, mentre lo psicologo provava a calmare Maria, e si posizionò accanto al partner.

“Lo hai chiamato tu?” chiese, il respiro reso affannoso dall’angoscia.

“No” fu la risposta laconica.

La poliziotta lo guardò risentita e prese il suo walkie-talkie. Ma Waywood si fece sotto e lo afferrò con le mani.

“Non farlo” l'uomo sbottò. “Il capo non vuole sentir parlare di questo schifo. Ha la sua intera squadra fuori al lavoro, e tu vuoi disturbarlo perché una ragazzina folle crede che ci sia una guerra di vampiri!”

Superando anche le urla di Maria, Sadie Marlow replicò in un tono precipitoso e insistente.

“Il capo ci ha mandati qui per una ragione. Perché voleva interrogare una cosiddetta “ragazzina folle” se non perché pensa che possa essere di aiuto? Kyle vuole Scarlet Paine. Quella ragazza” indicò Maria, “è l'aiuto più importante di cui disponiamo per trovarla, e forse mettere la parola fine a questa storia. Se lei sa qualcosa, allora sono sicura che il capo vorrà saperlo.”

Waywood scosse la testa.

“Bene” replicò, restituendole il walkie-talkie. “C'è la tua carriera in gioco, non certo la mia. Lascia che il capo creda che sei una matta.”

Marlow prese lo strumento dal partner e premette il bottone.

“Capo? Sono Marlow. Sono all'istituto con la testimone.”

Il walkie-talkie crepitò.

La poliziotta stette ad aspettare, pesando le parole da utilizzare. “Dice che ci sarà una guerra di vampiri. Guidata da Kyle. E la sola persona che può fermarla è Scarlet Paine.”

Lei notò lo sguardo irritato del partner e si sentì una vera stupida. Poi, il walkie-talkie crepitò di nuovo, e si udì la voce del capo della polizia.

“Sto arrivando.”