La Terra del Fuoco

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Aus der Reihe: L’Anello Dello Stregone #12
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CAPITOLO QUATTRO

Romolo si trovava sulla prua della sua nave, la prima della flotta, con migliaia di altre navi dell’Impero al suo seguito, e guardava verso l’orizzonte con estrema soddisfazione. In alto sopra di lui volavano i suoi draghi che riempivano l’aria dei loro versi, lottando contro Ralibar. Romolo si teneva stretto al corrimano della nave mentre guardava, affondando nel legno le lunghe unghie, mentre guardava le sue bestie attaccare Ralibar e spingerlo nell’oceano, tenendolo poi sott’acqua.

Romolo gridò di gioia e strinse il corrimano con tale forza da spezzarlo quando vide uscire i suoi draghi dall’oceano, vittoriosi, senza lasciarsi alle spalle alcun segno di Ralibar. Romolo sollevò le mani al cielo e si chinò in avanti sentendo il potere che gli ardeva nei palmi.

“Andate, draghi miei,” sussurrò con occhi scintillanti. “Andate.”

Non aveva quasi finito di pronunciare quelle parole che i suoi draghi subito si erano girati e avevano messo gli occhi sulle Isole Superiori: si lanciarono in avanti, gracchiando e aprendo le loro grandi ali. Romolo sentiva che era lui a controllarli, si sentiva invincibile, capace di manovrare ogni cosa nell’universo. Dopotutto la luna era ancora a suo favore. Il suo momento di potere sarebbe presto terminato, ma intanto niente al mondo poteva fermarlo.

Gli si accesero gli occhi quando vide i draghi dirigersi verso le Isole Superiori, quando vide in lontananza uomini, donne e bambini correre e gridare per fuggire dalla loro traiettoria. Guardò con piacere mentre le fiamme iniziavano a scendere, la gente bruciava viva e l’intera isola si trasformava in un’enorme palla di fuoco e distruzione. Si godette lo spettacolo di quel luogo che veniva distrutto, proprio nello stesso modo in cui era stato distrutto l’Anello.

Gwendolyn era riuscita a scappargli, ma questa volta non c’era via di fuga per lei. Alla fine l’ultima dei MacGil sarebbe stata schiacciata per sempre sotto il suo pugno. Alla fine non sarebbe rimasto angolo dell’universo che non fosse sotto il suo controllo.

Romolo si voltò per guardarsi alle spalle, alle migliaia di navi, alla sua immensa flotta che riempiva l’orizzonte. Fece un respiro profondo, sollevò la testa guardando il cielo, alzò le mani portando le braccia in fuori e lanciò un grido di vittoria.

CAPITOLO CINQUE

Gwendolyn si trovava nella cavernosa cantina sotterranea insieme a decine di persone ammucchiate là sotto, ascoltando il terremoto e l’incendio che stava dilagando sopra di loro. Il suo corpo rabbrividiva ad ogni rumore. La terra tremava tanto da farli spesso barcollare o cadere mentre fuori enormi pezzi di macerie sbattevano contro il terreno come giocattoli per i draghi. Il suono di quel precipitare e riecheggiare risuonava senza sosta nelle orecchie di Gwen, facendola sentire come se tutto il mondo fosse in fase di distruzione.

Il calore divenne sempre più intenso sottoterra man mano che i draghi sputavano fuoco contro le porte d’acciaio, come se sapessero che loro erano nascosti là sotto. Le fiamme fortunatamente venivano bloccate dall’acciaio, ma il fumo nero filtrava all’interno e rendeva difficile respirare. Tutti tossivano sempre di più.

Si udì un orribile rumore di pietra che sbatteva contro il metallo e Gwen vide che le porte d’acciaio venivano piegate e scosse fin quasi a cedere. Chiaramente i draghi sapevano che loro si trovavano lì e stavano facendo del loro meglio per entrare.

“Quanto terranno ancora le porte?” chiese Gwen a Mati che le stava vicino.

“Non ne ho idea,” le rispose. “Mio padre ha fatto costruire queste cantine sotterranee per far fronte agli attacchi dei nemici, non dei draghi. Non penso che resisteranno ancora a lungo.”

Gwendolyn sentiva la morte che si faceva sempre più vicina man mano che la stanza diventava sempre più calda. Si sentiva come in una terra bruciata. Il fumo rendeva sempre più difficile anche vedere e il pavimento tremava mentre le macerie cadevano ripetutamente sopra le loro teste sotto forma di piccoli pezzi di pietra e polvere che si staccavano dal soffitto.

Gwen si guardò attorno scrutando i volti terrorizzati di tutti coloro che si trovavano lì con lei: non poteva fare a meno di chiedersi se, ritirandosi là sotto, si fossero destinati a una morte lenta e dolorosa. Stava iniziando infatti a pensare che magari tutti coloro che erano morti in superficie fossero stati più fortunati.

Improvvisamente vi fu una tregua, come se i draghi fossero volati altrove. Gwen fu sorpresa e si chiese cosa stessero tramando, quando pochi attimi dopo udì un tremendo schianto di roccia contro il suolo che si scosse con una tale forza da far cadere tutti nella stanza. Il tonfo era avvenuto lontano e venne seguito da altri due scossoni, come di una frana di roccia.

“La fortezza di Tiro,” disse Kendrick avvicinandosi a Gwen. “Devono averla distrutta.”

Gwen guardò verso il soffitto e si rese conto che suo fratello aveva probabilmente ragione. Cos’altro avrebbe potuto spiegare una tale valanga di roccia? Chiaramente i draghi erano infuriati, decisi a distruggere qualsiasi cosa fino all’ultimo sull’isola. Sapeva che era solo questione di tempo e poi avrebbero fatto irruzione anche lì.

Nell’improvvisa calma Gwen fu scioccata di sentire l’acuto pianto di un bambino squarciare l’aria. Quel suono la perforò come un coltello conficcato nel petto. Non poté fare a meno di pensare immediatamente a Guwayne e mentre il grido, da qualche parte in superficie, si faceva sempre più forte, una parte di lei, ancora distrutta, si convinse che si trattava sicuramente di Guwayne che la chiamava. Sapeva razionalmente che non era possibile: suo figlio era in mezzo all’oceano, lontano da lì. Eppure il cuore le diceva che era così.

“Il mio bambino,” gridò Gwen. “È lassù. Devo salvarlo!”

Gwen corse verso i gradini ma improvvisamente sentì una mano forte che la tratteneva.

Si voltò e vide suo fratello Reece che la bloccava.

“Mia signora,” disse, “Guwayne è lontano da qui. Quello è il pianto di un altro bambino.”

Gwen non avrebbe voluto altro che fosse vero.

“È pur sempre un bambino,” disse. “È tutto solo lassù. Non posso lasciarlo morire.”

“Se salissi in superficie,” disse Kendrick facendosi avanti e tossendo tra la fuliggine, “dovremmo chiudere le porte alle tue spalle e ti troveresti sola. Moriresti là sopra.”

Gwen non riusciva a pensare con chiarezza. Nella sua mente c’era un bimbo vivo lassù, tutto solo, e sapeva che doveva salvarlo a qualunque costo.

Gwen diede uno strattone e liberò il braccio dalla stretta di Reece, scattando verso le scale. Fece tre gradini alla volta e prima che chiunque altro potesse raggiungerla, tirò la sbarra di metallo che teneva le porte chiuse. Si appoggiò poi ad esse con la spalla e spinse con tutte le sue forze sollevando le mani.

Gridò di dolore facendo così, dato che il metallo era talmente caldo da ustionarle il palmi. Si ritrasse di scatto, ma imperterrita si coprì le mani con le maniche e spinse di nuovo le porte spalancandole.

Gwendolyn tossì furiosamente facendo irruzione nella luce del giorno, avvolta da nuvole di fumo che emersero da sottoterra insieme a lei. Mentre balzava in superficie strizzò gli occhi per guardare controluce, poi si diede un’occhiata attorno portandosi una mano sopra gli occhi. Rimase scioccata dall’ondata di distruzione che le si presentò davanti. Tutto ciò che poco prima era in piedi era stato ora raso al suolo, ridotto in mucchi di fumo e macerie abbrustolite.

Le grida del bambino si levarono di nuovo, più forti udite da lì, e Gwen si guardò in giro aspettando che le nuvole di fumo si dissolvessero. Quando poté vedere meglio scorse dalla parte opposta della corte un bambino a terra, avvolto un una coperta. Accanto a lui giacevano i genitori, arsi vivi e ora morti. In qualche modo il neonato era riuscito a sopravvivere. Forse, pensò Gwen con estremo dolore e commiserazione, la madre era morta facendo schermo con il proprio corpo per proteggerlo dalle fiamme.

Improvvisamente Kendrick, Reece, Godfrey e Steffen apparvero accanto a lei.

“Mia signora, devi tornare indietro!” la implorò Steffen. “Morirai quassù!”

“Il bambino,” disse Gwen. “Devo salvarlo.”

“Non puoi,” insistette Godfrey. “Non ce la farai mai a tornare indietro viva!”

A Gwen non importava più. La sua mente era completamente attratta e concentrata su quell’obiettivo e tutto ciò che vedeva e a cui riusciva a pensare era il bambino. Aveva estraniato tutto il resto del mondo e sapeva che aveva bisogno di salvarlo tanto quanto le serviva respirare.

Gli altri cercarono di afferrarla, ma Gwen era determinata: si liberò dalla loro presa e si lanciò verso il bambino.

Corse con tutte le sue forze, con il cuore che le martellava in petto mentre procedeva a grandi balzi tra le macerie, attraverso le nuvole nere che si levavano attorno a lei insieme ai resti delle fiamme. Il fumo nero faceva da schermo e fortunatamente per lei i draghi non riuscivano ancora a vederla. Attraversò il cortile di corsa, attraverso le nuvole, vedendo solo il bambino e udendo solo le sue grida.

Continuò a correre, con i polmoni che le bruciavano, fino a che lo raggiunse. Si abbassò e lo sollevò da terra esaminando subito il suo volto, come se una parte di lei si aspettasse di vedere Guwayne.

Fu delusa quando constatò che non era lui ma che si trattava di una bimba. Aveva bellissimi e grandi occhi blu pieni di lacrime, piangeva e tremava, le mani serrate in stretti pugni. Eppure Gwen era comunque felice di poter stringere un bambino, si sentiva come se in qualche modo stesse pagando ammenda per aver mandato via Guwayne. E poteva già vedere che, pur avendole dato solo una fugace occhiata negli occhi luccicanti, quella bambina era bellissima.

Le nuvole di fumo si sollevarono e Gwendolyn improvvisamente si ritrovò esposta nell’estremità opposta del cortile, con una bambina che si dimenava tra le braccia. Sollevò lo sguardo e vide, a neanche cento metri da lei, una decina di furiosi draghi con occhi enormi e scintillanti che si voltavano e la guardavano. Posero il loro sguardo su di lei con gioia e rabbia allo stesso tempo e Gwen capì subito che si stavano già preparando a ucciderla.

 

I draghi si lanciarono in aria, sbattendo le enormi ali, così grandi da quella distanza, dirigendosi verso di lei. Gwen si preparò, rimanendo ferma lì e stringendo la bambina, sapendo che non avrebbe mai fatto in tempo a tornare al rifugio.

Improvvisamente si udì il suono di spade che venivano sguainate e Gwen si voltò vedendo i suoi fratelli – Reece, Kendrick e Godfrey – insieme a Steffen, Brandt, Atme e gli altri membri della Legione, accanto a lei con spade e scudi in mano, tutti pronti a difenderla. Gwen fu estremamente commossa e spronata dal loro coraggio.

I draghi si tuffarono contro di loro, aprendo le enormi fauci e tutti si prepararono all’inevitabile ondata di fuoco che li avrebbe uccisi. Gwen chiuse gli occhi e vide suo padre, vide tutti coloro che erano stati importanti per lei nella sua vita, preparandosi a incontrarli di nuovo.

Improvvisamente si udì un grido terrificante e Gwen rabbrividì, convinta che fosse il primo attacco.

Ma poi si rese conto che era un verso diverso, un verso che conosceva: il verso di una vecchia amica.

Gwen sollevò gli occhi al cielo alle sue spalle e fu sopraffatta dalla sorpresa quando scorse un drago solitario che volava nel cielo, lanciandosi in battaglia contro quelli che le si stavano avvicinando. E fu ancora più felice di vedere, sul dorso di quel drago, l’uomo che amava più di ogni altra cosa al mondo: Thorgrin.

Era tornato.

CAPITOLO SEI

Thor sedeva in groppa a Micople e sfrecciava con lei tra le nuvole, così veloce da fare fatica a respirare, dirigendosi verso l’esercito di draghi, pronti a combattere. Il bracciale di Thor pulsava al suo polso e lui si sentiva come se suo madre gli avesse infuso un nuovo potere difficile da comprendere: era come se ci fosse un limitato senso di spazio e tempo. Thor aveva appena fatto a tempo a pensare di tornare indietro, di levarsi in volo dalle coste dell’Isola dei Druidi, che già si veniva improvvisamente a trovare al di sopra delle Isole Superiori, diretto verso quel covo di draghi. Gli sembrava di essere stato trasportato lì per magia, come se avessero viaggiato tramite un vuoto spazio-temporale, come se sua madre li avesse lanciati lì, avesse loro permesso di raggiungere in qualche modo l’impossibile, di volare più veloci che mai. Era come se sua madre l’avesse dotato di incredibile velocità.

Mentre strizzava gli occhi nel mezzo della coltre di nubi, gli apparvero gli immensi draghi che accerchiavano le Isole Superiori, tuffandosi verso il basso e preparandosi a fare fuoco. Thor guardò in basso e il cuore gli sprofondò nel petto vedendo che l’isola era già ricoperta dalle fiamme e tutto era stato raso al suolo. Si chiese con timore se qualcuno fosse riuscito a sopravvivere, ma non vedeva come avessero potuto. Era arrivato troppo tardi?

Ma quando Micople si abbassò avvicinandosi sempre più a terra, Thor strizzò gli occhi e vide una singola persona la cui vista lo attirò come un magnete non appena la riconobbe in quella confusione: Gwendolyn.

Era lì, la sua futura moglie, coraggiosamente in piedi nel mezzo del cortile, temeraria, stringendo un bambino al petto, circondata da tutti quelli che Thor amava, tutti pronti a proteggerla sollevando i solo scudi verso il cielo mentre i draghi si lanciavano contro di loro attaccandoli. Thor guardò con orrore i draghi che aprivano le loro enormi fauci e si preparavano a lanciare fiamme che – lo sapeva bene – in un solo momento avrebbero eliminato completamente Gwendolyn e tutti quelli cui voleva bene.

“SCENDI!” gridò Thor a Micople.

Micople non aveva bisogno di essere incoraggiata: volò più veloce di quanto Thor potesse immaginare, così veloce da non riuscire quasi a respirare, e lui si tenne con tutte le forze rischiando quasi di cadere. In pochi momenti raggiunsero i tre draghi che stavano per attaccare Gwendolyn e con un grande ruggito e la bocca aperta, gli artigli protesi in avanti, Micople attaccò le ignare bestie.

Andò a sbattere contro i tre draghi trasportata dallo slancio acquistato nella picchiata, atterrando sui loro dorsi, artigliandone uno, mordendone un altro e colpendo il terzo con le ali. Li fermò giusto un attimo prima che lanciassero le fiamme e li spinse con il muso al suolo.

Andarono tutti a sbattere contro terra contemporaneamente e si levò un grosso polverone mentre Micople spingeva i loro musi sottoterra fino a incastrarli così profondamente da lasciare in superficie solo i loro artigli. Quando giunsero a terra Thor si voltò e vide l’espressione scioccata di Gwendolyn, ringraziando Dio per averla salvata giusto in tempo.

Si levò un forte ruggito e Thor riportò lo sguardo al cielo vedendo un gruppo di draghi alla carica in veloce avvicinamento.

Micople si stava già voltando per volare verso l’alto, lanciandosi contro i draghi senza alcuna paura. Thor era senza armi ma si sentiva diverso rispetto a tutte le altre volte che era entrato in battaglia: per la prima volta nella sua vita sentiva di non avere bisogno di armi. Sapeva di poter chiamare a raccolta e contare sui poteri che c’erano dentro di lui. La sua vera forza. Il potere di cui sua madre lo aveva dotato.

Mentre si avvicinavano Thor sollevò il polso con il bracciale dorato e una luce venne immediatamente proiettata dal diamante nero al centro. La luce gialla avvolse i draghi più vicini a loro, al centro del gruppo, e li spinse indietro facendoli volare in aria, verso l’alto, fino a sbattere l’uno contro l’altro.

Micople, infuriata, determinata a scatenare l’inferno, si tuffò temerariamente contro il gruppo di draghi, duellando e artigliando facendosi strada, affondando i denti nel collo di uno, spingendo un altro. Ne respinse molti nella sua avanzata. Rimase aggrappata a uno di essi fino a che questo si afflosciò, poi lo lasciò cadere. Il drago precipitò a terra come un enorme macigno che cadeva dal cielo e colpì il suolo facendolo tremare. Thor sentì l’impatto anche da lì, una sorta di nuovo terremoto sotto di loro.

Abbassò lo sguardo e vide Gwen e gli altri che correvano al riparo. Capì che doveva dirigere tutti quei draghi lontano dall’isola, lontano da Gwendolyn, in modo da concedere loro una possibilità di fuga. Se avesse condotto i draghi in mare aperto, probabilmente avrebbe potuto farli allontanare e combattere con loro là fuori.

“Verso l’oceano!” gridò Thor.

Micople seguì il suo ordine e si voltò volando attraverso il gruppo di draghi, continuando alle loro spalle.

Thor si voltò udendo un ruggito e percependo un lontano calore di fiamme lanciate verso di lui. Fu soddisfatto di vedere che il suo piano funzionava: tutti i draghi abbandonarono le Isole Superiori e lo seguivano ora verso il mare aperto. In lontananza, in basso, Thor scorse la flotta di Romolo che ammantava il mare e capì che se anche fosse in qualche modo sopravvissuto contro i draghi, avrebbe dovuto affrontare anche quel milione di uomini da solo. Sapeva che probabilmente non sarebbe sopravvissuto a un tale scontro. Ma almeno avrebbe guadagnato un po’ di tempo per gli altri.

Almeno Gwendolyn avrebbe potuto farcela.

*

Gwen si trovava nel cortile devastato e bruciato di ciò che rimaneva della corte di Tiro, stringendo sempre la bambina al petto e guardando il cielo con stupore e sollievo, ma allo stesso tempo con tristezza. Il cuore le si era colmato di gioia nel rivedere Thor, l’amore della sua vita, vivo, di nuovo a casa nientemeno che con Micople. Con lui lì, si sentiva come se le fosse stata restituita una parte di se stessa, aveva la sensazione che ogni cosa fosse possibile. Provava qualcosa che non sentiva da tempo: la volontà di continuare a vivere.

I suoi uomini abbassarono lentamente gli scudi e guardarono i draghi che si voltavano e si allontanavano, lasciando finalmente le Isole e dirigendosi verso il mare aperto. Gwen si guardò attorno e vide la devastazione che era rimasta, le enormi pile di macerie, le fiamme ovunque, i draghi morti che giacevano al suolo. Sembrava un’isola devastata dalla guerra.

Vide anche quelli che dovevano essere stati i genitori della bambina, due cadaveri che giacevano uno accanto all’altro, proprio dove Gwen aveva trovato la piccola. Gwen guardò la bambina negli occhi e si rese conto che lei era tutto ciò che le era rimasto al mondo. La strinse a sé.

“Questa è la nostra occasione, mia signora!” disse Kendrick. “Dobbiamo andarcene ora!”

“I draghi sono distratti,” aggiunse Godfrey. “Almeno per ora. Chissà quando torneranno. Dobbiamo lasciare questo posto all’istante.”

“Ma l’Anello non esiste più,” disse Aberthol. “Dove andremo?”

“In qualsiasi posto ma non qui,” rispose Kendrick.

Gwen udiva le loro parole, ma quelle risuonavano lontane nella sua mente. Si voltò invece a scrutare il cielo, guardando Thor che volava via, lontano. Provò immensa nostalgia.

“E Thorgrin?” chiese. “Lo lasceremo qui, da solo?”

Kendrick e gli altri la guardarono con espressione seria, tutti afflitti. Era evidente che il pensiero disturbava anche loro.

“Combatteremmo con Thor fino alla morte se potessimo, mia signora,” disse Reece. “Ma non possiamo. Lui è in cielo, al di sopra del mare, lontano da qui. Nessuno di noi ha un drago. E non abbiamo neppure i suoi poteri. Non possiamo aiutarlo. Ora dobbiamo offrire il nostro aiuto a chi possiamo. È questo ciò per cui Thor si è sacrificato. È per questo che Thor ha offerto la sua vita. Dobbiamo cogliere l’occasione che lui stesso ci ha dato.”

“Ciò che rimane della nostra flotta si trova dalla parte opposta dell’isola,” aggiunse Srog. “È stato saggio da parte tua nascondere quelle navi. Ora dobbiamo usarle. Chiunque sia rimasto del nostro popolo deve essere portato con noi e dobbiamo lasciare quest’isola all’istante, prima del loro ritorno.”

Nella mente di Gwendolyn vorticavano emozioni contrastanti. Voleva fortemente andare a salvare Thor, ma allo stesso tempo sapeva che aspettando lì, con tutta quella gente, non avrebbe fatto nulla di buono. Gli altri avevano ragione: Thor aveva appena offerto la sua vita per la loro salvezza. Le sue azioni non sarebbero valse a nulla se non avesse almeno tentato di salvare quella gente mentre ne aveva la possibilità.

Un altro pensiero era in agguato nella mente di Gwen: Guwayne. Se ora se ne fossero andati, dirigendosi velocemente verso il mare aperto, magari avrebbe potuto trovarlo. E il pensiero di rivedere suo figlio la riempiva di nuova vita.

Alla fine Gwen annuì, tenendo la bambina in braccio e preparandosi a muoversi.

“Va bene,” disse. “Andiamo a trovare mio figlio.”

*

Il ruggito dei draghi si faceva sempre più forte dietro a Thor man mano che il gruppo si faceva più vicino, rincorrendoli mentre lui e Micople volavano sempre più lontano verso il mare aperto. Thor sentì un’ondata di fuoco avvampargli vicino alla schiena quasi avvolgendoli e capì che se non avesse presto fatto qualcosa sarebbe morto.

Chiuse gli occhi, non più timoroso di richiamare i poteri dentro di sé, non sentendo più la necessità di fare affidamento sulle sue armi materiali. Quando chiuse gli occhi ricordò il tempo trascorso nella Terra dei Druidi, ricordò quanto potente era stato, quanto era stato in grado di influenzare ogni cosa attorno a sé con la sua mente. Ricordò che il potere dentro di sé e tutto l’universo fisico attorno a lui erano un’estensione della sua mente.

Thor impose alla propria mente di portare il potere interiore in superficie e immaginò un grandioso muro di ghiaccio dietro di sé a fargli da scudo contro il fuoco, proteggendolo. Immaginò se stesso e Micople avvolti da una bolla, al sicuro dalle fiamme dei draghi.

Aprì gli occhi e fu stupito di sentirsi avvolto dal freddo e di vedere un’enorme parete di ghiaccio attorno a sé, proprio come aveva visualizzato, spessa quasi un metro e di un colore blu brillante. Si voltò a guardare le fiamme dei draghi avvicinarsi ed essere bloccate dal muro di ghiaccio. Il fuoco sibilò e grosse nuvole di vapore si levarono in alto. I draghi erano furiosi.

Thor ruotò mentre il muro di ghiaccio si scioglieva e decise di affrontare l’esercito di draghi a testa alta. Micople volò temerariamente tra i draghi nemici che evidentemente non si aspettavano quell’attacco.

Micople si lanciò in avanti, allungò gli artigli, afferrò un drago al muso, lo fece roteare e lo scagliò lontano. Il drago precipitò ruotando sottosopra, perdendo il controllo e andando a finire nell’oceano sotto di loro.

 

Prima di potersi riorganizzare Micople venne attaccata da un altro drago che le affondò le zanne nel fianco. Micople gridò e Thor reagì immediatamente. Saltò dalla schiena di Micople al naso del drago nemico e corse lungo la sua testa e il suo collo portandosi sul suo dorso. Il drago tenne salda la morsa addosso a Micople, dimenandosi selvaggiamente per disarcionare Thor, ma lui si tenne stretto cercando di rimanere in groppa.

Micople sbandò in avanti e con le sue zanne riuscì ad addentare la coda di un altro avversario, tirando con tutta la sua forza. Il drago strillò e precipitò verso l’oceano. Non aveva neanche finito con lui che Micople venne colpita da diversi altri draghi che le morsero le zampe.

Thor nel frattempo si teneva ancora stretto al drago e cercava di prenderne il controllo. Si sforzò di restare calmo e di ricordare che era tutta una questione di mente. Poteva percepire il potere pazzesco di quella bestia antica e primordiale irradiare dalle sue vene. Quando chiuse gli occhi smise di opporre resistenza e iniziò a sentirsi in sintonia con lui. Sentiva il suo cuore, il suo battito, la sua mente. Si sentì diventare tutt’uno con lui.

Thor aprì gli occhi e anche il drago fece lo stesso: i suoi avevano ora un colore differente. Thor vedeva il mondo attraverso gli occhi del drago: quella bestia ostile era diventata una sua estensione. Quello che vedeva il drago lo vedeva anche Thor. Thor gli dava degli ordini e lui lo ascoltava.

Il drago, comandato da Thor, rilasciò la presa su Micople. Poi ringhiò e sbandò di lato, affondando i denti contro i tre draghi che stavano attaccando Micople e facendoli a pezzi.

Gli altri draghi vennero presi alla sprovvista: chiaramente non si aspettavano che uno di loro li attaccasse. Prima che potessero riorganizzarsi Thor ne aveva già attaccati una decina, utilizzando quel drago per calarsi sui loro colli, prendendoli senza che se ne rendessero conto e ferendoli uno dopo l’altro. Poi si tuffò contro altri tre e ordinò al drago di mordere le loro ali, staccandogliele dal corpo e facendoli precipitare in mare.

Improvvisamente Thor venne attaccato di lato senza vedere il suo aggressore. Il drago aprì le fauci e affondò i suoi denti su Thor stesso.

Thor gridò mentre un dente lungo e affilato gli perforava la cassa toracica facendolo cadere dal suo drago e precipitare in aria. Thor si sentì cadere verso l’oceano, ferito, e si rese conto che stava per morire.

Con la coda dell’occhio scorse Micople che si tuffava verso di lui. Subito dopo si trovò ad atterrare sulla sua schiena: la sua vecchia amica l’aveva salvato. I due erano di nuovo insieme, entrambi feriti.

Thor, con il fiatone e tenendosi strette le costole, osservò i danni procurati: una decina di draghi ora giacevano morti o mutilati, galleggiando nell’oceano. Avevano fatto un bel lavoro solo in due, molto meglio di quanto avesse immaginato.

Ma Thor udì uno strillo tremendo e sollevando lo sguardo vide diverse decine di draghi che erano rimasti. Respirando affannosamente si rese conto che era stato un combattimento coraggioso, eppure le loro possibilità di vittoria apparivano misere. Ma non esitò: volò temerariamente verso l’alto, dritto contro i draghi che li sfidavano.

Micople strillò e sputò fiamme mentre loro facevano altrettanto contro Thor. Thor usò i suoi poteri di nuovo per creare un muro di ghiaccio davanti a sé, fermando momentaneamente le fiamme dei draghi. Si tenne stretto a Micople quando andò a sbattere contro il gruppo, mentre lei mordeva, artigliava e colpiva, combattendo per la sopravvivenza. Venne ferita ma questo non la rallentò e non la trattenne dal continuare a ferire i draghi che la circondavano. Thor, unendosi al combattimento, sollevò il bracciale e lo puntò contro un drago dopo l’altro. una luce bianca venne proiettata in avanti andando ad abbattere tutte le bestie, allontanandole da Micople mentre lei lottava.

Thor e Micople continuarono a combattere, entrambi ricoperti di ferite, sanguinanti ed esausti.

Eppure restavano decine di altri draghi.

Mentre Thor teneva il braccialetto in alto sentiva che il potere iniziava ad attenuarsi: sembrava che le forze iniziassero ad abbandonarlo. Era forte, lo sapeva, ma non ancora a sufficienza. Capì che non avrebbe potuto sostenere quel combattimento fino alla fine.

Thor sollevò lo sguardo e vide le grandi ali che andavano a sbattergli in faccia, seguite da lunghi artigli affilati che guardò conficcarsi nella gola di Micople senza poter fare nulla per evitarlo. Thor si tenne stretto mentre il drago afferrava Micople e la teneva saldamente affondando le zanne nella sua coda e facendola roteare per poi scagliarla via.

Thor si tenne stretto mentre lui e Micople roteavano in aria: Micople ruotò sottosopra ed entrambi precipitarono verso l’oceano perdendo il controllo.

Atterrarono in acqua, sempre con Thor saldamente afferrato a lei, e finirono sotto la superficie. Thor si dimenò sott’acqua fino a che il loro slancio si esaurì. Micople si voltò e nuotò verso la superficie, seguendo la luce del sole.

Quando riemersero Thor fece un respiro profondo, ansimando e nuotando nell’acqua gelida mentre ancora si teneva a Micople. I due galleggiarono in acqua e guardando di lato Thor vide qualcosa che non si sarebbe mai dimenticato: a galleggiare poco distante da lui, con gli occhi aperti, morto, c’era un drago cui aveva imparato a voler bene. Ralibar.

Micople lo scorse nello stesso istante e in quel momento qualcosa accadde in lei, qualcosa che Thor non aveva mai visto: levò un fortissimo gemito di dolore e sollevò le ali in aria, allungandole del tutto. Tutto il suo corpo tremò mentre emetteva quell’ululato terribile, scuotendo l’universo. Thor vide che i suoi occhi cambiavano diventando di un colore diverso fino a che iniziarono a brillare di giallo e bianco.

Micople si voltò, un drago diverso ora, e sollevò lo sguardo verso il gruppo di draghi che scendeva verso di loro. Thor capì che qualcosa in lei si era spezzato. Il suo lamento si era trasformato in rabbia e le aveva dato un potere diverso dal precedente. Era un drago posseduto.

Micople si lanciò in cielo, con le ferite sanguinanti ma senza curarsene. Thor sentì una nuova esplosione di energia proprio come lei, accompagnata da un forte desiderio di vendetta. Ralibar era stato un caro amico, aveva sacrificato la sua vita per tutti loro e Thor era determinato a fare giustizia.

Mentre correvano verso di loro Thor si lanciò dalla schiena di Micople e atterrò sul muso del drago più vicino aggrappandosi ad esso e serrandogli la mandibola in un abbraccio. Thor chiamò a raccolta tutto il potere che gli era rimasto e fece roteare il drago in aria per poi lanciarlo via con tutta la sua forza. Il drago volò via andando a sbattere e trascinando con sé altri due draghi. Tutti e tre precipitarono poi nell’oceano.

Micople ruotò e recuperò Thor mentre cadeva, facendolo atterrare sulla sua schiena mentre si avventava contro i draghi che erano rimasti. Rispose ai loro ruggiti con i suoi, mordendo più forte, volando più veloce e colpendo più a fondo di loro. Più la ferivano e meno lei sembrava curarsene. Era un’ondata di distruzione e così anche Thor. Quando ebbero finito Thor si rese conto che non restava neppure un drago in cielo ad affrontarli: erano tutti caduti dal cielo all’oceano, feriti gravemente o uccisi.

Thor si ritrovò a volare solo con Micople in aria, in cerchio sopra i draghi caduti di sotto. I due respiravano affannosamente e perdevano sangue. Thor sapeva che Micople stava esalando gli ultimi respiri, vedendo il sangue scenderle dalla bocca e sentendo che ogni respiro era mortalmente doloroso.

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