Grido d’Onore

Text
Aus der Reihe: L’Anello Dello Stregone #4
0
Kritiken
Leseprobe
Als gelesen kennzeichnen
Wie Sie das Buch nach dem Kauf lesen
Keine Zeit zum Lesen von Büchern?
Hörprobe anhören
Grido d’Onore
Grido d’Onore
− 20%
Profitieren Sie von einem Rabatt von 20 % auf E-Books und Hörbücher.
Kaufen Sie das Set für 4,82 3,86
Grido d’Onore
Grido d’Onore
Hörbuch
Wird gelesen Edoardo Camponeschi
2,63
Mehr erfahren
Schriftart:Kleiner AaGrößer Aa

CAPITOLO TRE

Thor era lanciato al galoppo sul terreno polveroso, ormai lontano dalla Corte del Re. Reece, O’Connor, Elden e i gemelli erano al suo fianco, Krohn correva dietro di lui, Kendrick, Kolk, Brom e altri uomini della Legione e dell’Argento erano con loro: un esercito grandioso pronto a scontrarsi con i McCloud. Procedevano tutti insieme, pronti a liberare la città. Il rumore degli zoccoli dei cavalli era assordante, rombante come un tuono. Avanzavano da una giornata intera e il secondo sole era già alto in cielo. Thor stentava a credere che stava galoppando insieme a tutti quei grandi guerrieri nel mezzo della sua prima vera impresa militare. Si sentiva parte di quell’esercito, accettato come uno di loro. In effetti tutta la Legione era stata convocata in qualità di riserva, e i suoi fratelli d’armi erano attorno a lui. I membri della Legione erano nettamente inferiori ai componenti dell’Esercito del Re, e Thor – per la prima volta in vita sua – si sentì un tassello di qualcosa di veramente grande.

Si sentiva anche guidato da un forte senso di fermezza, convinzione nel proprio obiettivo. Sentiva che avevano bisogno di lui. I suoi cittadini si trovavano sotto l’assedio dei McCloud ed era compito del loro esercito liberarli, salvare la loro gente da un destino orribile. L’importanza di ciò che stavano facendo pesava su di lui e lo faceva sentire vivo.

Thor si sentiva sicuro al cospetto di tutti quegli uomini, ma provava anche un senso di preoccupazione: quello era un esercito di uomini veri, ma ciò significava anche che stavano per scontrarsi con un altro esercito di uomini altrettanto reali. Veri e propri forti guerrieri. Questa volta di trattava di vita o di morte, e c’era molto più in ballo ora qui che mai nelle situazioni vissute in passato. Mentre avanzava allungò istintivamente una mano a toccare la sua fidata fionda e la sua nuova spada, rassicurato dalla loro presenza. Si chiese se entro la fine del giorno sarebbero state macchiate di sangue. O se lui stesso sarebbe stato ferito.

Improvvisamente il loro esercito eruppe in un forte grido che sovrastò addirittura il rumore degli zoccoli dei cavalli, mentre svoltavano a una curva e scorgevano all’orizzonte la città assediata. Fumo nero saliva al cielo formando grosse nuvole, e i MacGil spronarono i cavalli acquistando velocità. Anche Thor spinse di più il suo cavallo, cercando di restare al passo con gli altri mentre tutti sguainavano le spade, sollevavano le armi e si dirigevano con determinazione letale verso la città.

L’enorme esercito si divise in piccoli gruppi e in quello di Thor si vennero a trovare dieci soldati, membri della Legione: i suoi amici e pochi altri che non conosceva. Alla loro testa procedeva un comandante anziano dell’Esercito del Re, un soldato che gli altri chiamavano Forg: un uomo alto e magro dalla corporatura atletica, la pelle butterata, i capelli corti grigi e gli occhi scuri e infossati. L’esercito di stava scomponendo e dirigendo in ogni direzione.

“Questo gruppo mi segua!” ordinò facendo un gesto con la sua spada verso Thor e gli altri perché si staccassero dalla massa e lo seguissero.

Il gruppetto di Thor obbedì e si mise al seguito di Forg separandosi dal resto dell’esercito. Thor si guardò alle spalle e notò che il suo gruppo si era allontanato più degli altri e l’esercito si stava facendo sempre più distante. Proprio mentre Thor si stava chiedendo dove stessero andando, Forg gridò:

“Prenderemo posizione a lato dei McCloud!”

Thor e gli altri si scambiarono uno sguardo nervoso ed eccitato continuando a galoppare, proseguendo fino a che il resto dell’esercito scomparve alla vista.

Si trovarono subito in un terreno nuovo, e la città svanì completamente all’orizzonte. Thor restava in guardia, ma non vi era più traccia dell’esercito dei McCloud da nessuna parte.

Alla fine Forg fece fermare il suo cavallo alle pendici di una piccola collina, in una macchia di alberi. Gli altri si fermarono dietro di lui.

Thor e gli altri guardarono Forg, chiedendosi perché si fosse fermato.

“Restiamo qui, questa è la nostra missione,” spiegò loro. “Siete ancora guerrieri giovani, quindi vogliamo risparmiarvi il cuore della battaglia. Manterrete questa posizione mentre l’esercito principale attraverserà la citta e affronterà l’esercito dei McCloud. È improbabile che alcuni dei McCloud vengano da questa parte e sarete quindi più al sicuro qui. Prendete posizione qua attorno e rimanete qui fino a che non vi daremo ulteriori ordini. Non muovetevi!”

Forg spronò il cavallo iniziando a risalire la collina. Thor e gli altri fecero lo stesso e lo seguirono. Il gruppetto attraversò il versante polveroso, sollevando una nuvola: non c’era nessuno all’orizzonte per quanto Thor potesse vedere. Era contrariato per essere stato allontanato dall’azione principale: perché li proteggevano così tanto?

Più avanzavano più in Thor si innescò un presentimento. Non riusciva a capire completamente di cosa si trattasse, ma il suo sesto senso gli diceva che c’era qualcosa che non andava.

Quando raggiunsero la cima della collina, dove si trovava un piccolo e antico torrione – una torre alta e stretta che pareva abbandonata – qualcosa disse a Thor di guardarsi alle spalle. In quel momento vide Forg.  Si stupì che il comandante avesse lentamente lasciato terreno al gruppo, rimanendo sempre più indietro, e mentre Thor lo guardava lo vide voltarsi, spronare il cavallo e, senza avvertimento, galoppare nell’altra direzione.

Thor non capiva cosa stesse accadendo. Perché Forg li aveva lasciati così all’improvviso? Dietro di lui Krohn gemette.

Proprio quando Thor stava iniziando a capire cosa stava succedendo, raggiunsero la cima della collina, l’antico torrione, aspettandosi di vedere nient’altro che terra deserta davanti a loro.

Ma il piccolo gruppo della Legione fu costretto a fermare di colpo i cavalli. Rimasero lì, tutti pietrificati da quanto avevano di fronte ai loro occhi.

Lì, davanti a loro, c’era l’intero esercito dei McCloud.

Erano finiti dritti in trappola.

CAPITOLO QUATTRO

Gwendolyn percorreva di corsa le intricate vie della Corte del Re, Akorth e Fulton la seguivano trasportando Godfrey e lei si faceva strada a forza tra la gente del popolo. Era determinata a raggiungere la guaritrice il prima possibile. Godfrey non poteva morire, non dopo tutto quello che avevano passato insieme, e non certo a quel modo. Riusciva quasi a figurarsi il sorriso pieno di soddisfazione di Gareth mentre riceveva la notizia della morte del fratello, e lei era decisa a cambiare le carte in tavola. Avrebbe solo voluto averlo trovato prima.

Quando Gwen svoltò a un angolo ed entrò nella piazza della città, la folla divenne particolarmente fitta. Lei sollevò lo sguardo e vide Firth, ancora appeso alla trave, il cappio stretto attorno al suo collo, penzolante davanti agli occhi di tutti. Distolse istintivamente lo sguardo. Era una visione orribile, un promemoria della scelleratezza di suo fratello. Si sentiva come se fosse impossibile sfuggire alle sue grinfie, ovunque andasse. Era strano pensare che appena il giorno prima aveva parlato con Firth, e che ora lui era appeso lì. Non poteva fare a meno di pensare che la morte la stava circondando, e forse avrebbe preso anche lei.

Per quanto Gwen desiderasse voltarsi e prendere una strada diversa, sapeva che dirigendosi attraverso la piazza avrebbe fatto prima, e non si lasciò quindi deviare dalle sue paure: si sforzò di passare proprio accanto al patibolo, vicino al corpo appeso. Lì si sorprese di vedere il boia di palazzo, vestito di nero, a bloccarle la strada.

Inizialmente pensò che stesse per uccidere anche lei, ma poi si inchinò.

“Mia signora,” disse umilmente, abbassando il capo in segno di rispetto. “Non abbiamo ancora ricevuto ordine di cosa fare del corpo. Non mi è stato detto se seppellirlo a dovere o se gettarlo nella fossa comune dei poveri.”

Gwen si fermò, scocciata che una decisione del genere dovesse ricadere sulle sue spalle. Akorth e Fulton le si fermarono accanto. Lei sollevò lo sguardo, strizzò gli occhi per il sole e guardò il corpo che penzolava a pochi metri da lei. Stava per voltarsi e ignorare quell’uomo, quando improvvisamente le accadde qualcosa. Sentì il pressante desiderio di rendere giustizia a suo padre.

“Gettatelo in una fossa comune,” disse. “Senza nome. Nessun rito funebre. Voglio che il suo nome venga dimenticato dagli annali della storia.”

Lui chinò la testa in assenso e lei provò un piccolo senso di vendetta. Dopotutto quello era l’uomo che aveva effettivamente ucciso suo padre. Odiava le manifestazioni di violenza, ma non aveva lacrime per Firth. Poteva sentire lo spirito di suo padre dentro di sé adesso, più forte che mai, e provò un senso di pace per lui.

“Ancora una cosa,” aggiunse, fermando il boia. “Tirate giù il corpo ora.”

“Ora, mia signora?” chiese lui. “Ma il re ha dato ordine che rimanesse qui appeso il più a lungo possibile.”

Gwen scosse la testa.

“Ora,” ripeté. “Sono i suoi nuovi ordini,” mentì.

Il boia si inchinò e si affrettò a tagliare la corda che reggeva il cadavere.

Gwen sentì un altro piccolo senso di soddisfatta vendetta. Era certa che nel corso della giornata Gareth avrebbe controllato il corpo di Firth dalla finestra e che la rimozione del corpo l’avrebbe mandato su tutte le furie e gli avrebbe ricordato che le cose non potevano sempre andare secondo i suoi programmi.

Gwen stava per andare quando udì un verso ben noto: si voltò e vide che in alto, appollaiata sulla trave, c’era Estofele. Si portò una mano agli occhi per ripararsi dal sole e accertarsi che la luce non le stesse giocando degli scherzi. Estofele gracchiò di nuovo, aprì le ali e le richiuse.

Gwen sentiva che il falco portava in sé lo spirito di suo padre. La sua anima, così inquieta, si era avvicinata di un altro passo alla pace.

 

Gwen ebbe improvvisamente un’idea: fischiò e tese un braccio in fuori. Estofele volò giù dalla trave e andò a posarsi sul polso di Gwen. Era pesante e i suoi artigli le punsero la pelle.

“Va’ da Thor,” sussurrò al falco. “Trovalo sul campo di battaglia. Proteggilo. VAI!” gridò, sollevando il braccio.

Guardò Estofele mentre sbatteva le ali e si librava sempre più in alto nel cielo. Pregò che funzionasse. C’era qualcosa di misterioso in quel falco, soprattutto nel suo legame con Thor, e Gwen sapeva che ogni cosa era possibile.

Continuarono velocemente in direzione della casetta della guaritrice. Passarono attraverso uno dei diversi cancelli ad arco che conducevano fuori dalla città. Gwen camminava più veloce che poteva, pregando perché Godfrey resistesse abbastanza da permetterle di aiutarlo.

Il secondo sole si stava abbassando nel cielo quando raggiunsero e risalirono una piccola collina al confine della Corte del Re. Lì apparve loro la casa della guaritrice. Era una semplice dimora con un’unica stanza, i muri bianchi fatti d’argilla, una piccola finestra da ogni lato e una piccola porta di quercia a forma di arco sulla facciata. Dal tetto pendevano piante di ogni colore e varietà facendo da cornice alla casa, che era anche circondata da un giardino di floride erbe, fiori di ogni colore e misura che facevano pensare che la casa fosse immersa nel mezzo di una serra.

Gwen corse alla porta e picchiò il batacchio diverse volte. La porta si aprì e di fronte a lei apparve il volto stupito della guaritrice.

Illepra. Era guaritrice della famiglia reale da una vita, ed era una presenza nella vita di Gwen da quando aveva imparato a camminare. Eppure era capace di avere un aspetto sempre giovane: sembrava infatti avere appena qualche anno più di Gwen. La sua pelle era splendente, radiosa, e faceva da contorno a due occhi verdi e gentili, facendola sembrare poco più che diciottenne. Gwen sapeva che era molto più anziana, sapeva che il suo aspetto era ingannevole, e sapeva anche che Illepra era una delle più intelligenti e talentuose persone che avesse mai incontrato.

Lo sguardo di Illepra si spostò su Godfrey, e la donna cercò di capire la situazione. Lasciò da parte ogni formalità e aprì gli occhi colmi di preoccupazione, rendendosi conto dell’urgenza. Passò velocemente oltre Gwen e si avvicinò a Godfrey, appoggiandogli una mano sulla fronte. Si accigliò.

“Portatelo dentro,” ordinò ai due uomini con durezza, “e fate in fretta.”

Illepra rientrò, aprì del tutto la porta e loro la seguirono rapidamente all’interno della casetta. Anche Gwen li seguì, abbassando la testa sotto la bassa porta d’ingresso, e richiuse il battente alle loro spalle.

Era buio là dentro, e le ci volle un po’ perché gli occhi si abituassero alla poca luce. Allora vide che la casa era esattamente come la ricordava da bambina: piccola, chiara, pulita e piena zeppa di piante, erbe e pozioni di ogni genere.

“Mettetelo lì,” ordinò Illepra agli uomini, più seria di quanto Gwen l’avesse mai sentita. “Su quel letto nell’angolo. Toglietegli camicia e scarpe. Poi lasciateci soli.”

Akorth e Fulton fecero come lei aveva detto. Mentre si affrettavano alla porta Gwen afferrò Akorth per un braccio.

“State di guardia fuori dalla porta,” gli ordinò. “Chiunque segua Godfrey potrebbe volerci riprovare con lui. O con me.”

Akorth annuì e insieme a Fulton uscì chiudendosi la porta alle spalle.

“Da quanto si trova in questo stato?” chiese Illepra con urgenza, senza guardare Gwen mentre si inginocchiava accanto a Godfrey e iniziava a tastargli il polso, lo stomaco e la gola.

“Da ieri sera,” rispose Gwen.

“Ieri sera!” le fece eco Illepra, scuotendo la testa con preoccupazione. Lo esaminò a lungo in silenzio, l’espressione sempre più cupa.

“Non è preso bene,” disse alla fine.

Gli mise di nuovo una mano sulla fronte e questa volta chiuse gli occhi, respirando, molto a lungo. Un silenzio denso pervase la stanza e Gwen iniziò a perdere il senso del tempo.

“Veleno,” disse infine Illepra, gli occhi ancora chiusi, come se stesse leggendo la condizione di Godfrey per osmosi.

Gwen si meravigliava sempre della sua abilità: non si era mai sbagliata una sola volta in tutta la vita. E aveva salvato più vite di quante l’esercito ne avesse prese. Si chiedeva se fosse una capacità appresa o ereditata. Anche la madre di Illepra era stata una guaritrice, e sua nonna prima di lei. Eppure allo stesso tempo Illepra aveva trascorso ogni momento della sua vita a sperimentare pozioni e a studiare l’arte medica.

“Un veleno molto potente,” aggiunse Illepra, più sicura di sé. “Di un tipo che incontro raramente. Molto costoso. Chiunque cercasse di avvelenarlo, sapeva ciò che faceva. È incredibile che non sia morto. Quest’uomo è più forte di quanto pensiamo.”

“Gli viene da mio padre,” disse Gwen. “Aveva la costituzione di un toro. Tutti i re MacGil erano così.”

Illepra andò dall’altra parte della stanza e si mise a mescolare diverse erbe su un ripiano di legno, affettandole e macinandole e contemporaneamente aggiungendovi un liquido. Ne risultò un unguento denso e verde. Lei se ne riempì la mano, corse al fianco di Godfrey e glielo spalmò sulla gola, sotto le braccia e sulla fronte. Quando ebbe finito tornò dall’altra parte della stanza, prese un bicchiere e versò diversi liquidi: uno rosso, uno marrone e uno viola. Quando si riversarono la pozione sibilò e ribollì. Lei la rimestò con un lungo cucchiaio di legno e poi si affrettò a versarla sulle labbra di Godfrey.

Lui non si mosse. Illepra gli sollevò la testa con una mano e gli spinse il liquido tra le labbra. La maggior parte cadde fuori rigandogli le guance, ma un po’ entrò e gli andò in gola.

Illepra tamponò il liquido dalla bocca e dalla mascella, poi si ritrasse e sospirò.

“Vivrà?” chiese Gwen agitata.

“Forse,” disse lei con tono cupo. “Gli ho dato tutto quello che avevo, ma potrebbe non bastare. La sua vita è nelle mani del fato.”

“Cosa posso fare?” le chiese Gwen.

Lei si voltò e la fissò.

“Prega per lui. Sarà comunque una notte molto lunga.”

CAPITOLO CINQUE

Kendrick non aveva mai apprezzato la libertà – la vera libertà – fino a quel giorno. Il tempo trascorso chiuso nelle segrete aveva modificato il suo punto di vista sulla vita. Ora apprezzava ogni piccola cosa: la sensazione donata dal sole, il vento tra i capelli, il semplice stare all’aria aperta. Galoppare con il suo cavallo, sentire il terreno che scorreva veloce sotto di lui, essere di nuovo dentro un’armatura, avere le sue armi con lui e muoversi con i suoi compagni lo faceva sentire come se fosse stato sparato da un cannone. Provava una temerarietà mai sperimentata prima.

Kendrick galoppava, abbassandosi contro il vento, il fido compagno Atme al suo fianco, completamente grato per la possibilità di combattere insieme ai propri compagni, di non perdersi la battaglia, desideroso di liberare la sua patria dai McCloud, e fargliela poi pagare per averli invasi. Cavalcava pervaso dall’urgenza di spargere sangue, anche se era ben consapevole che il vero bersaglio della sua collera non erano i McCloud, ma suo fratello Gareth. Non lo avrebbe mai perdonato per averlo imprigionato, per averlo accusato dell’assassinio di suo padre, per averlo arrestato di fronte ai suoi uomini, e per aver tentato di mandarlo a morte. Kendrick voleva vendetta, ma dato che non poteva averla direttamente su Gareth, almeno non adesso, se la sarebbe presa sui McCloud.

Una volta tornato alla Corte del Re avrebbe comunque rimesso le cose a posto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per eliminare suo fratello e mettere sul trono sua sorella Gwendolyn.

Si avvicinarono alla città saccheggiata ed enormi nuvole scure e gonfie li accolsero, riempiendo le narici di Kendrick di un odore acre di fumo. Lo addolorava vedere una città dei MacGil ridotta in quegli stati. Se suo padre fosse stato ancora vivo tutto ciò non sarebbe mai accaduto; se Gareth non gli fosse succeduto al trono non si sarebbe mai verificata una cosa del genere. Era una disgrazia, un’onta sull’onore dei MacGil e dell’Argento. Kendrick pregava che non fossero giunti troppo tardi per salvare quella gente e che i McCloud non fossero lì da troppo tempo, che non fosse stata ferita o uccisa troppa gente.

Spronò ancor più il suo cavallo, portandosi davanti agli altri mentre tutti galoppavano, come uno sciame di api, verso il cancello aperto che dava accesso alla città. Lo attraversarono, Kendrick brandendo la sua spada e preparandosi allo scontro con un contingente dell’esercito nemico. Liberò un alto grido e così fecero gli uomini attorno a lui, preparandosi all’impatto.

Ma quando ebbero attraversato il cancello e si furono ritrovati nella polverosa piazza della città, Kendrick rimase frastornato di fronte a ciò che vide: niente. Tutt’attorno c’erano evidenti segni di un’invasione – distruzione, incendi, case svaligiate, cadaveri ammassati, donne che strisciavano. C’erano animali uccisi, sangue sulle pareti. Era stato un massacro. I McCloud avevano devastato quel popolo innocente. Il solo pensiero fece venire a Kendrick la nausea. Erano dei codardi.

Ma ciò che lo stupì maggiormente mentre si guardava in giro era che dei McCloud non c’era nessuna traccia. Non riusciva a capire. Era come se l’intero esercito si fosse dileguato, come se avessero saputo che loro stavano arrivando. Gli incendi erano ancora accesi ed era chiaro che erano stati accesi per un motivo.

Nella mente di Kendrick si stava facendo strada l’idea che fosse un’esca. Che i McCloud avessero voluto appositamente attirare l’esercito dei MacGil in quel luogo.

Ma perché?

Kendrick si voltò di scatto, si guardò in giro, cercando disperatamente di capire se mancasse qualcuno dei suoi uomini, se qualche pezzo dell’esercito fosse stato trascinato da qualche altra parte, in un altro luogo. Nella mente gli scorrevano ora nuovi pensieri, una nuova sensazione che tutto ciò fosse stato organizzato per isolare un gruppo dei suoi uomini, in modo da tendere loro un’imboscata. Guardò ovunque, chiedendosi chi mancasse.

E poi capì. C’era una persona che mancava. Il suo scudiero.

Thor.

CAPITOLO SEI

Thor era in groppa al suo cavallo, in cima alla collina affiancato dal gruppo di membri della Legione e da Krohn, e guardava la spiazzante visione davanti a sé: a perdita d’occhio si dispiegavano le truppe dei McCloud, tutti a cavallo; un vasto esercito che si estendeva a macchia d’olio e sembrava non attendere che loro. Erano stati incastrati. Forg doveva averli portati lì di proposito, doveva averli traditi. Ma perché?

Thor deglutì, osservando quella che aveva tutto l’aspetto di essere morte certa.

Un grandioso grido di battaglia si levò quando improvvisamente l’esercito dei McCloud si lanciò all’attacco. Erano a poco più di cento metri da loro, e fecero presto ad avvicinarsi. Thor si diede un’occhiata alle spalle, ma non c’erano rinforzi per quanto riuscì a vedere. Erano completamente soli.

Thor sapeva che non avevano altra scelta che tentare un ultimo atto di resistenza lì, su quella collinetta, accanto a quel torrione abbandonato. Le loro possibilità erano nulle e non c’era praticamente modo che potessero vincere. Ma se anche avesse dovuto morire, sarebbe morto coraggiosamente e li avrebbe affrontati da uomo. La Legione gli aveva insegnato questo. Scappare non era una possibilità da contemplare: Thor si preparò ad affrontare la propria morte.

Si voltò a guardare i volti dei suoi amici e poté vedere che anche loro erano pallidi per la paura, scorse la morte nei loro occhi. Ma a loro totale credito, mantennero il coraggio. Nessuno di loro trasalì, anche se i loro cavalli si impennarono o cercarono di voltarsi per scappare. La Legione era un blocco unico ora. Erano più che amici: il Cento aveva fatto di loro una squadra di fratelli. Nessuno di loro avrebbe mai lasciato gli altri. Avevano fatto tutti un giuramento e c’era in ballo il loro onore adesso. E per la Legione l’onore era più sacro del sangue.

“Signori, credo che abbiamo una battaglia davanti,” constatò Reece lentamente, allungando una mano e sguainando la spada.

Thor prese la sua fionda con l’intento di eliminare più soldati possibile prima che potessero raggiungerli. O’Connor estrasse la sua lancia corta, mentre Elden preparò il giavellotto, Conval il martello da lancio e Conven il suo picco d’armi. Gli altri ragazzi della Legione che erano con loro, quelli che Thor non conosceva, sguainarono le spade e sollevarono gli scudi. Thor percepiva la paura aleggiare nell’aria e lui stesso la provava, mentre il boato generato dagli zoccoli dei cavalli lanciati al galoppo si avvicinava e le urla degli uomini di McCloud raggiungevano il cielo dando l’impressione di essere un rombo di tuono pronto a colpirli. Thor sapeva che avevano bisogno di una strategia, ma non aveva idea di quale potesse essere quella migliore.

 

Accanto a Thor, Krohn ringhiò. il giovane fu ispirato dall’audacia di Krohn, dalla sua mancanza di paura: non esitò e non si guardò alle spalle una sola volta. In effetti il pelo gli si era rizzato sulla schiena e lentamente stava avanzando, come volesse affrontare quell’esercito da solo. Thor sapeva di aver trovato in Krohn un vero compagno di battaglia.

“Credete che gli altri ci manderanno dei rinforzi?” chiese O’Connor.

“Non in tempo,” rispose Elden. “Siamo stati messi nel sacco da Forg.”

“Ma perché?” chiese Reece.

“Non ne ho idea,” rispose Thor, avanzando con il suo cavallo, “ma ho la terribile sensazione che abbia qualcosa a che vedere con me. Penso che qualcuno mi voglia morto.”

Thor sentì che gli altri si voltavano verso di lui e lo guardavano.

“Perché?” chiese Reece.

Thor scrollò le spalle. Non lo sapeva, ma aveva la sensazione che centrassero in qualche modo tutte le macchinazioni della Corte del Re, che fosse qualcosa di connesso all’assassinio di MacGil.  Probabilmente era Gareth. Forse vedeva in Thor una minaccia.

Si sentiva malissimo all’idea di aver messo in pericolo i suoi compagni, ma non c’era nulla che potesse fare. Poteva solo tentare di difenderli.

Ne aveva abbastanza. Gridò e spronò il cavallo, lanciandosi al galoppo e scattando in azione prima degli altri. Non avrebbe aspettato di farsi trovare lì dall’esercito e dalla sua stessa morte. Avrebbe scagliato lui il primo colpo, magari avrebbe addirittura deviato qualcuno dei suoi fratelli d’armi e avrebbe dato loro l’occasione di scappare, se avessero voluto. Aveva intenzione di andare incontro alla sua fine e l’avrebbe fatto senza paura, con onore.

Tremando dentro di sé ma rifiutando di darlo a vedere, Thor galoppò distaccandosi sempre più dagli altri, scendendo il versante della collina e avvicinandosi all’esercito nemico. Accanto a lui Krohn correva senza perdere una falcata.

Thor udì un grido mentre alle sue spalle i suoi compagni della Legione galoppavano cercando di raggiungerlo. Erano ad appena una ventina di metri da lui e lo seguivano lanciando grida di guerra. Thor rimase a capo del gruppo, ma si sentiva incoraggiato sentendo il loro sostegno.

Davanti a lui un contingente di guerrieri si distaccò dall’esercito di McCloud lanciandosi contro di lui. Erano forse cinquanta uomini. Erano a un centinaio di metri da lui e si avvicinavano velocemente. Thor tirò fuori la sua fionda, vi piazzò una pietra, prese la mira e tirò. Colpì l’uomo che stava alla guida, un soldato robusto con un pettorale d’argento. Lo prese alla base della gola, proprio tra le lamine dell’armatura, e l’uomo cadde da cavallo finendo a terra davanti agli altri.

Con lui cadde anche il suo cavallo e le decine di cavalli che avanzavano alle sue spalle si ammassarono facendo finire a terra anche i loro cavalieri.

Prima che potessero reagire Thor mise un’altra pietra nella fionda e tirò di nuovo. Un’altra volta il colpo andò a segno e colpì uno dei principali guerrieri alla tempia, dove la visiera del suo elmo era sollevata, facendolo cadere da cavallo di lato, sbattendo contro diversi altri guerrieri che finirono tutti a terra uno dopo l’altro, come tessere del domino.

Mentre Thor avanzava un giavellotto gli volò sopra la testa, poi una lancia, poi un martello da lancio, poi un picco d’armi, e capì che i suoi fratelli stavano cercando di dargli manforte. Anche i loro colpi andarono a segno e mandarono a terra i soldati di McCloud con una precisione fatale. Molti dei guerrieri nemici caddero da cavallo facendone a loro volta cedere altri.

Thor era esultante nel vedere che erano già riusciti a mandare al tappeto decine di soldati di McCloud, alcuni con colpi diretti, ma la maggior parte scagliati a terra da cavalli che cadevano. Il contingente d’attacco di cinquanta uomini era ora completamente a terra in un cumulo polveroso.

Ma l’esercito di McCloud era forte e ora era il loro turno di contrattaccare. Quando Thor giunse a circa trenta metri da loro, diversi guerrieri lanciarono delle armi contro di lui. Un martello da lancio gli giunse dritto verso il volto e Thor si abbassò all’ultimo momento. L’arma gli sfiorò l’orecchio e lo mancò per un centimetro. Alla medesima velocità anche una lancia quasi lo colpì e lui la schivò piegandosi dall’altra parte. La punta toccò appena la sua armatura, ma fortunatamente lo mancò. Un picco d’armi gli arrivò quasi in faccia, ma Thor sollevò lo scudo e lo fermò. L’arma vi si conficcò e Thor la staccò per poi rilanciarla contro il suo attaccante. La mira fu buona e il picco si piantò nel petto dell’uomo, perforando la sua maglia di ferro. Con un grido il guerriero cadde da cavallo e rimase poi a terra, morto.

Thor continuò ad avanzare. Si lanciò dritto contro il fitto dell’esercito, in quel mare di soldati, pronto ad affrontare la propria morte. Gridò e sollevò la spada, levando un sonoro grido di battaglia, ripetuto spalle dietro di lui dai suoi compagni d’armi.

Con un grande scontro d’armi si giunse all’impatto. Un enorme e robusto guerriero si avventò su di lui, sollevò un’ascia doppia e la scagliò contro la testa di Thor. Thor si abbassò e la lama gli sfiorò il capo e squarciò lo stomaco del soldato mentre lui gli passava accanto. L’uomo urlò e si accasciò sul suo cavallo. Cadendo lasciò andare l’ascia che roteò andando a colpire un cavallo dei McCloud che scalpitò e disarcionò il suo cavaliere scaraventandolo addosso agli altri.

Thor continuò ad addentrarsi in mezzo ai guerrieri di McCloud, centinaia di uomini, facendosi strada tra di loro mentre uno dopo l’altro tutti tentavano di colpirlo con le loro spade, asce, mazze ferrate che lui bloccava con lo scudo o schivava, colpendo a sua volta, abbassandosi e ondeggiando, sempre lanciato al galoppo. Era troppo veloce, troppo agile per loro, e certo non se lo erano aspettato. Con un esercito di quelle dimensioni non potevano certo muoversi abbastanza rapidamente da fermarlo.

Un forte clangore metallico si levò tutt’attorno a lui, mentre i colpi gli precipitavano addosso da ogni parte. Thor li bloccava servendosi dello scudo e della spada, ma non riuscì a fermarli tutti. Una spada gli prese di striscio la spalla e luì urlò di dolore mentre il sangue iniziava a sgorgare. Fortunatamente non era una ferita profonda e non gli impedì di continuare a combattere, per cui non smise di lottare.

Thor si batteva con entrambe le mani ed era circondato da guerrieri di McCloud. Presto i colpi iniziarono a farsi meno pesanti e altri membri della Legione raggiunsero il gruppo. Il frastuono delle armi si fece ancora più sonoro mentre gli uomini di McCloud combattevano contro i ragazzi della Legione. Le spade cozzavano contro gli scudi, le lance colpivano i cavalli, i giavellotti venivano scagliati contro le armature, tutti combattevano in ogni modo possibile. Le grida si levavano da entrambe le parti.

La Legione era avvantaggiata in quanto era una piccola e agile forza: dieci ragazzi in mezzo a un enorme esercito che si muoveva a rilento. Si era creato una sorta di imbuto e non tutti gli uomini di McCloud riuscivano a passarvi insieme. Thor si ritrovò a combattere con due o tre uomini alla volta, ma non di più. E i suoi fratelli alle sue spalle gli evitavano di essere attaccato da dietro.

Quando un guerriero colse Thor alla sprovvista e fece roteare la sua mazza chiodata mirando alla sua testa, Krohn ringhiò e saltò. Balzò alto in aria e atterrò dritto sul polso dell’uomo squarciandoglielo. Il sangue si riversò ovunque e il braccio del guerriero fu deviato un attimo prima che la mazza colpisse il cranio di Thor.