Divisione e riunificazione

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Divisione e riunificazione
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Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek:

Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detallierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.d-nb.de abrufbar.

Villa Vigoni ringrazia il Ministero federale dell’Istruzione e della Ricerca (BMBF) per aver finanziato la pubblicazione nel contesto del progetto speciale “Cosa unisce l’Europa: il sapere europeo”.

© Villa Vigoni Editore | Verlag, Loveno di Menaggio 2020

Tutti i diritti riservati. – Alle Rechte vorbehalten.

www.villavigoni.eu

Impaginazione – Satz : Studio Logos

Stampa – Druck: Grafiche Boffi, Giussano (MB)

Printed in Italy.

ISBN (Deu): 978-3-96698-656-4

ISBN (Ita): 978 88 944986 08

Indice

Introduzione

Ringraziamenti

1. La nuova capitale socialista

Primo itinerario

2. La stratificazione della storia tedesca nel quartiere di Mitte

Secondo itinerario

3. La Germania di Pankow

Terzo itinerario

4. La Berlino degli Alleati

Quarto itinerario

Appendice

Indice dei luoghi

Crediti fotografici

Introduzione

“Nessuno ha intenzione di costruire un muro.”

Walter Ulbricht, 15 giugno 1961

“Il muro rimarrà in piedi per altri 50 e anche 100 anni.”

Erich Honecker, 19 gennaio 1989

Quali immagini ci vengono in mente quando pensiamo a Berlino come città simbolo della Guerra Fredda?

Sicuramente il Muro e in particolare le sue parti più famose: i murales della East Side Gallery con la Trabant e con il “bacio della morte” fra Erich Honecker e Leonid Brezhnev, che in realtà furono realizzati nel 1990, quando il Muro era già caduto.

Poi probabilmente Checkpoint Charlie, con i carri armati americani e sovietici che si fronteggiano: un luogo in cui oggi è tutto finto e anche piuttosto kitsch.

Forse anche storie di sorveglianza da parte della Stasi e di spionaggio fra agenti socialisti e imperialisti, che difficilmente riusciamo ad ambientare in qualche luogo della Berlino di oggi.

E quali immagini ci vengono in mente quando pensiamo alla riunificazione della Germania? Verosimilmente nessuna, a parte la caduta del Muro.

Nei trent’anni trascorsi dalla riunificazione la città è cambiata radicalmente: la fascia semi-deserta al di qua e al di là del Muro è stata riempita di costruzioni, molti edifici della ex Berlino Est sono stati abbattuti, palazzi di epoche precedenti sono stati ricostruiti. Il tutto fra grandi polemiche e preoccupazioni per le nuove generazioni, che nell’odierna capitale non riescono più a vedere i segni evidenti della divisione della Germania – e dell’Europa e del mondo – come accadeva prima, semplicemente camminando per la città anche senza conoscenze storiche.

Se però si fa lo sforzo di approfondire andando oltre la East Side Gallery e Checkpoint Charlie, la città conserva ancora moltissime tracce del suo passato, nelle strade e negli edifici che hanno visto il passaggio di diversi regimi e assunto diverse funzioni. Questi luoghi sono testimonianze di una storia molto spesso drammatica e a tratti bizzarra, molto spesso semi-sconosciuta in Italia.

Si tratta di una storia – quella della divisione e riunificazione della Germania sullo sfondo della Guerra Fredda, che non si limita alla costruzione e alla caduta del Muro – che in altre località può essere raccontata in modo cronologico come nei testi scolastici, ma che a Berlino può invece essere tuttora scoperta ed esplorata proprio per strada, camminando letteralmente nella storia.

Ecco cos’è questo libro: una passeggiata attraverso Berlino, che ci porta nelle vie, nelle piazze e nei palazzi che ci raccontano al meglio la sua storia, che è al contempo storia di una città, della Germania, dell’Europa e del mondo; storia di guerre e di dittature, di società con valori diversi, di conferenze e trattati internazionali, di crisi economiche e umanitarie, di vita quotidiana immersa nella propaganda. È una passeggiata virtuale, ma può diventare anche reale, grazie a una serie di mappe e di indicazioni che permetteranno al lettore che si farà ispirare da queste pagine di visitare i luoghi storici che ne sono protagonisti.

Nel trentennale della riunificazione tedesca e in un periodo in cui proprio la Germania ricopre un ruolo di primo piano nell’Unione Europea attraversata da divisioni, questo libro non vuole essere semplicemente un contributo alla commemorazione di un anniversario, per quanto importante e meritevole di essere ricordato.

Vuole invece essere uno strumento che offre al pubblico italiano l’opportunità di conoscere in modo non accademico la storia recente della Germania, che è anche la nostra storia: non solo per le forti relazioni italo-tedesche in tutti i campi, ma perché influenza tuttora il modo in cui vediamo l’Europa e interpretiamo le sfide che è chiamata ad affrontare.

Ringraziamenti

In questo libro confluiscono lo studio e le ricerche che ho realizzato e la passione che ho coltivato per la storia della Germania e per la città di Berlino negli ultimi 17 anni: una serie di esperienze professionali e private che rendono l’elenco delle singole persone da ringraziare molto più lungo di quanto posso fare qui.

Il libro è stato scritto come contributo di Villa Vigoni – Centro italo-tedesco per il dialogo europeo alla commemorazione del trentennale della riunificazione tedesca. Ringrazio perciò il Segretario generale, Christiane Liermann Traniello, per aver sostenuto la proposta di una pubblicazione che esce dai tradizionali schemi accademici e rappresenta un esperimento di Public History a favore di una delle mission di Villa Vigoni in quanto unica istituzione binazionale italo-tedesca in Italia: promuovere una maggiore conoscenza e comprensione reciproca fra i due Paesi.

A Villa Vigoni tengo a ringraziare anche Giovanni Meda Riquier per i suoi preziosi consigli in ambito editoriale e grafico, Aglaia Pimazzoni e Sara Zanotta per l’aiuto nel reperimento del materiale fotografico e nella correzione delle bozze, e i colleghi del dipartimento scientifico per il loro sostegno.

Ringrazio inoltre Alba Scapin per la revisione editoriale, per i molti suggerimenti utili su vari aspetti della pubblicazione e per avermi permesso di utilizzare alcune delle sue fotografie. Sono grata anche a Giuseppe Ventura per avermi a sua volta fornito alcuni scatti realizzati durante il viaggio a Berlino in cui l’ho guidato.

Ho visitato i luoghi di cui racconto la storia in diverse occasioni e con diverse persone. Alcune li hanno esplorati con me, altre sono state accompagnate da me lungo itinerari storici più o meno simili a quelli delle prossime pagine: i soci del FAI (Fondo Ambiente Italiano) che hanno partecipato al viaggio storico a Berlino che ho organizzato per il trentesimo anniversario della caduta del Muro; il gruppo dei Berlinesi, amici italiani tedescofoni così chiamati perché i nostri tour annuali alla scoperta della storia della Germania sono iniziati con un indimenticabile viaggio nella capitale; gli amici italiani e stranieri conosciuti durante l’Erasmus a Berlino; tanti altri singoli amici e conoscenti.

Tutte queste persone – con il loro entusiasmo, i loro commenti e le loro domande – sono state fonti di ispirazione per questo libro e di ricerche che lo hanno arricchito. Perciò lo dedico a loro.

1. La nuova capitale socialista

In nessun luogo al mondo la Guerra Fredda ha lasciato tracce nell’urbanistica e nell’architettura come a Berlino. Negli ultimi trent’anni sono state in gran parte cancellate dal centro della città, mentre lontano dall’ex percorso del Muro molto è sopravvissuto agli stravolgimenti post riunificazione.

In particolare sono ancora visibili due quartieri che rappresentano fisicamente l’antitesi fra le posizioni politiche ed estetiche che caratterizzarono la Guerra Fredda: a Est l’ex Stalinallee, oggi Karl-Marx-Allee; a Ovest Interbau 1957, una serie di complessi ed edifici costruiti per l’omonima mostra internazionale dell’edilizia, che si trovano in gran parte nella zona Hansaviertel del quartiere di Charlottenburg. Entrambi sono simboli di come la politica, sia a Est che a Ovest, abbia utilizzato l’edilizia come strumento di autorappresentazione e concorrenza, facendo sorgere nella Berlino del dopoguerra due modelli antitetici di città.

Nel caso di Berlino Est, ancor più che in quello di Berlino Ovest, si trattava peraltro non solo di un modello di città, ma del modello di un intero nuovo Paese, che doveva diventare vetrina dell’intero blocco sovietico.

Fra Alexanderplatz e la sede centrale della Stasi, nel quartiere di Lichtenberg, si percorrono più di 5 km di strada dritta lungo Karl-Marx-Allee e Frankfurter Allee: uno dei due assi centrali della nuova Berlino socialista, insieme a quello che collega la piazza alla Porta di Brandeburgo. Alexanderplatz era il centro della vita sociale e la vetrina di Berlino Est. Era ed è anche il centro geografico dell’intera Berlino, da cui partono tutti gli assi radiali che portano fuori dalla città nelle varie direzioni.

 

Potremmo perciò pensare che sia stata la prima area di grande intervento urbanistico della DDR, ma non fu così: la piazza fu ricostruita solo a partire dalla metà degli anni Sessanta. Nel 1969, per il ventennale della nascita del Paese, fu inaugurata la torre della televisione. L’impianto e gli edifici principali furono completati nel 1973, ma i lavori continuarono fino ai primi anni Ottanta.


1. Vista su Karl-Marx-Allee e Frankfurter Allee voltando le spalle ad Alexanderplatz: in primo piano i grattacieli di Strausberger Platz, in secondo piano le torri sormontate da cupole di Frankfurter Tor.


2. Il secondo asse centrale della Berlino socialista, fra Alexanderplatz e la Porta di Brandeburgo, nel 1984: a sinistra, dall’alto, il Ministero degli Esteri della DDR e il Palazzo della Repubblica. Al centro, dall’alto, il Duomo di Berlino e il Palasthotel. Tutti questi edifici sono stati abbattuti dopo la riunificazione, a parte il duomo.

Prima che su Alexanderplatz, l’attenzione del regime si concentrò sul grande viale che dalla piazza porta verso est, dedicato a Stalin nel 1949. Il progetto edilizio di Stalinallee, primo grande progetto di prestigio della neonata DDR, iniziò dalla periferia andando verso il centro, nella stessa direzione in cui il viale era stato percorso nell’aprile 1945 dalle truppe sovietiche che entravano in città. L’intero impianto urbanistico fu concepito come un percorso che accompagnasse il visitatore proveniente da Est lungo “la prima strada socialista” della Germania, impressionandolo sempre più con un susseguirsi di piazze sempre più monumentali, che iniziavano con Frankfurter Tor e si concludevano con la piazza Marx-Engels (l’odierna Schloβplatz, piazza del Castello), centro del potere politico su cui si affacciavano gli edifici più rappresentativi (v. Palazzo della Repubblica, Palazzo del Consiglio di Stato, Ministero degli Esteri della DDR, Edificio del Comitato centrale).

Perciò la nostra visita inizia dalla ex Centrale della Stasi, il punto più a est del nostro itinerario, per poi raggiungere Frankfurter Tor e da lì proseguire verso il centro fino ad Alexanderplatz, seguendo così la cronologia di costruzione di questo grande progetto.

La Stasi, abbreviazione che sta per Ministero della Sicurezza nazionale, fu creata nel 1950 ispirandosi alla Ceka, la polizia politica segreta del governo bolscevico che fece da precursore al KGB sovietico, realizzando fra l’inizio della Rivoluzione russa e il 1922 una strategia di terrorismo di Stato per eliminare gli oppositori politici. I dipendenti della Stasi si chiamavano fra loro “cekisti”.

L’istituzione era definita “scudo e spada del partito” unico della DDR, poiché aveva l’obiettivo di difendere il suo monopolio del potere nel Paese. Questo era realizzato attraverso un sistema di controllo, minacce, ricompense e privilegi, che doveva garantire che il singolo cittadino fosse indotto all’adattamento, alla sottomissione e possibilmente alla collaborazione con il regime. La Stasi non aveva un ruolo formalmente definito nella costituzione, ma riassumeva in sé le funzioni di polizia segreta, servizi segreti e organo di investigazione criminale; aveva le proprie forze armate e le proprie carceri.

Tutto ciò era realizzato da tantissime persone, che ne facevano uno dei più grandi apparati di sicurezza segreti al mondo: nel 1989 contava circa 91.000 dipendenti e 189.000 collaboratori non ufficiali (circa 1 per ogni 90 abitanti della DDR). I collaboratori esterni erano lo strumento più importante della Stasi, poiché raccoglievano e trasmettevano informazioni su tutti coloro che li circondavano: famigliari, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro.

L’Edificio n. 1 dell’enorme complesso che costituiva la sede centrale, costruito nel 1960-61, ospita oggi il Museo della Stasi (Stasimuseum), in cui è visitabile nello stato originale l’ufficio di Erich Mielke, che diresse il Ministero della Sicurezza nazionale dal 1957 alla caduta della DDR.


3. L’edificio n. 1 dell’enorme ex complesso della Stasi, che ospita l’omonimo museo.

Il museo esiste come centro di ricerca e memoriale dal novembre 1990. In gennaio la centrale della Stasi era stata occupata da rappresentanti dei comitati civici, protagonisti della rivoluzione pacifica che portò al crollo della DDR. In settembre un “gruppo operativo” ne aveva occupato l’archivio, preoccupato per il destino che era stato deciso per i documenti della Stasi dopo la riunificazione: trasferimento nell’archivio federale centrale, imposizione di un periodo di divieto di consultazione (di solito sono almeno 30 anni), nessun progetto di revisione storica (con annesso rischio che gli ex dipendenti della Stasi potessero continuare ad inquinare o far sparire le prove). A seguito di quest’azione furono inserite nel Trattato di Unificazione fra le due Germanie (v. Altes Stadthaus) delle previsioni sulla documentazione della Stasi che offrirono maggiori garanzie.

Prima di queste occupazioni vi erano state quelle di tutte le sedi periferiche della Stasi, che insieme alle proteste popolari e soprattutto all’allontanamento dal potere del Presidente Honecker, nell’ottobre del 1989, avevano reso evidente il pericolo per il regime. Perciò, quando i cittadini arrivarono a occupare l’archivio, il Ministro Mielke aveva ordinato già da mesi ai suoi dipendenti di raccogliere e distruggere i documenti più importanti e compromettenti.

Quelli che non sono stati distrutti, della sede centrale e delle sedi locali di Berlino e Potsdam, sono ora conservati e consultabili accanto al museo, nell’Archivio centrale della Stasi. È facile capire perché esso è stato definito “un monumento alla sorveglianza”: includendo anche i materiali di tutte le sedi staccate, l’archivio contiene circa 111 km di documenti, di cui 51 già archiviati dalla Stasi, consultabili in base al nome delle persone coinvolte, e 60 di materiali trovati sparsi negli uffici (fra cui circa 41 milioni di singole schede), che in questi trent’anni sono stati riordinati per più del 90%.


4. Le schede e gli schedari con cui la Stasi ordinava gran parte delle informazioni raccolte. Oltre a questi c’erano anche filmati, registrazioni audio e altri materiali, ad esempio una sorta di “biblioteca degli odori” costituita da vasetti di vetro sigillati contenenti delle pezzuole, che erano state poste sotto la sedia delle persone sospettate o incriminate.

In tutti questi anni l’archivio ha ricevuto più di 7 milioni di richieste di informazioni o di consultazioni. Fra queste più di 3 milioni da parte di cittadini che hanno voluto vedere quali notizie su di loro o i loro parenti erano state rivelate, spesso da persone molto vicine, e memorizzate. In molti casi le informazioni raccolte erano state utilizzate in vario modo (dall’impedire di iscriversi all’università o di fare un viaggio all’estero, alla confisca illegittima di proprietà private, all’arresto e alla tortura) contro le persone coinvolte, che almeno in piccola parte hanno potuto utilizzare la documentazione d’archivio come prova per essere indennizzate o riabilitate o per intraprendere azioni penali contro gli autori dei reati che avevano subito.

Nell’archivio è inoltre possibile visitare la mostra “Einblick ins Geheime” (Accesso alla segretezza), che illustra sia i metodi e gli strumenti con cui la Stasi conservava la grandissima quantità di informazioni che raccoglieva, sia i metodi e gli strumenti con cui si sta ricostruendo la documentazione che i funzionari della Stasi non riuscirono a eliminare completamente prima dell’occupazione degli edifici da parte dei cittadini. Ad esempio, esistono circa 15.500 contenitori di carta strappata a mano, che si sta cercando di ricomporre sia manualmente che con l’aiuto di software. Dai soli primi 500 sacchi sono stati ricostruiti più di 1,6 milioni di fogli e schede: ciò dà l’idea di quanto lavoro ci sia ancora da fare in questo archivio.

La Centrale della Stasi si trova nelle vicinanze della stazione della metropolitana Samariterstraße. Fra questa e la stazione di Frankfurter Allee, in direzione est, fu eretto il terzo e ultimo lotto del lunghissimo viale che porta ad Alexanderplatz: costruito fra il 1985 e il 1990, è caratterizzato da una larghezza della strada molto inferiore e da un uso più ridotto di elementi prefabbricati rispetto agli altri lotti.

Proseguendo invece verso ovest si raggiunge Frankfurter Tor: il punto d’inizio dell’ex Stalinallee.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Berlino si trovò coperta da 75 milioni di metri cubi di macerie. Nel quartiere di Friedrichshain, attraversato appunto da Stalinallee, fu distrutto il 68% degli edifici. Perciò la rimozione delle macerie – a opera soprattutto delle donne, che dopo la guerra rappresentavano circa i ⅔ della popolazione berlinese – fu la prima impresa necessaria.

Già nel 1946 fu elaborato un progetto per la ricostruzione del quartiere, nell’ambito del “Piano generale per la ricostruzione di Berlino”, a opera di un collettivo di architetti diretto da Hans Sharoun, che comprendeva tutta la città. Di quel progetto rimangono solo poche tracce, poiché durante la costruzione dei primi edifici, nel 1950, il regime della neonata DDR li bollò come “scatole per uova americane” e decise di avviare nel 1951 un nuovo concorso per la progettazione edilizia e urbanistica, che rappresentò l’inizio della seconda fase della storia architettonica della DDR, dopo quella della ricostruzione nell’immediato dopoguerra che aveva seguito i canoni del modernismo internazionale. I partecipanti al concorso avrebbero dovuto rispettare i “16 principi per la costruzione socialista delle città”, stabiliti all’ultimo congresso del Partito unico della DDR, che assegnavano all’arte e all’architettura la funzione di trasmettere al popolo i valori del socialismo. Sharoun, il cui lavoro era stato bocciato a Berlino Est, continuò a lavorare all’Ovest, dove fu invece molto apprezzato per una serie di celebri edifici, fra cui quello della Filarmonica di Berlino (Ovest al tempo).

Il nuovo piano stabilì anzitutto la larghezza di 90 metri del viale, sul quale si sarebbero svolte le più importanti parate civili e militari, e poi gli aspetti edilizi e architettonici del grande progetto, che sarebbe stato realizzato in tempi diversi da diversi collettivi di architetti, ma con una coerenza globale.

La parte piú a est di Stalinallee, fra Frankfurter Tor e Strausberger Platz, è il primo lotto, costruito tra il 1952 e il 1958 nello stile tipico della seconda fase architettonica della DDR: il cosiddetto classicismo socialista, che ricorda le costruzioni monumentali di Mosca della stessa epoca, a partire dalle cosiddette Sette Sorelle. In uno stretto rapporto fra ideologia e architettura, questo stile era pensato da un lato per celebrare il socialismo internazionale, infatti lo si ritrova in molte città dell’ex blocco sovietico, e dall’altro per legittimare il socialismo come erede delle tradizioni nazionali, aggiungendo agli edifici tocchi di stili locali dell’Ottocento e Novecento.

Quest’ultimo aspetto aveva una particolare importanza nella DDR, dove fino a metà degli anni Cinquanta si pensò a un’ipotesi di riunificazione tedesca sotto la bandiera del socialismo. Evidenziando nei nuovi edifici elementi dell’architettura tradizionale tedesca – in questo caso il neoclassicismo di Karl Friedrich Schinkel, il regio architetto prussiano che aveva dato a Berlino l’impronta di capitale imperiale (v. Gendarmenmarkt) – il regime della DDR sperava di impressionare l’intera popolazione tedesca, suscitando un senso patriottico e un legame con la storica capitale. Gli edifici di Stalinallee dovevano quindi essere il simbolo di una “Germania migliore”, che si offriva come opzione a tutti i tedeschi.

 

Questo messaggio fu esplicitato il 3 febbraio 1952, al momento della posa della prima pietra, nel discorso del Primo Ministro della DDR Otto Grotewohl: “Berlino deve diventare il simbolo dell’unità anche nella sua opera di ricostruzione. Berlino è e sarà la capitale della Germania unita”. La costruzione del viale era così legata alla prospettiva di unità della Germania, che in uno dei suoi palazzi fu progettato addirittura un “Caffè Unità tedesca”, con immagini dei principali fiumi del Paese.

Il concetto di legittimazione del socialismo attraverso rimandi all’architettura nazionale del passato fu applicato in tutta la DDR. Stalinallee fu il punto di riferimento per la costruzione dei grandi viali simbolici, le cosiddette magistrali, e delle piazze principali di varie città della DDR, ma in ognuna il classicismo socialista fu adattato alle tradizioni architettoniche della zona: mentre a Berlino si ispirò al neoclassicismo, a Rostock seguì lo stile gotico fatto di mattoni rossi, a Dresda e Lipsia il barocco (v. Nikolaiviertel).


5. Wokrenter Straße a Rostock (qui nel 1984) è un esempio molto significativo delle case a capanna tipiche dello stile locale: alcune sono nuove, altre restaurate, altre ricostruite, ma tutte si ispirano alla stessa tradizione architettonica.

L’ispirazione neoclassica di Stalinallee si nota subito nei due grattacieli a forma di torre coperta da cupola di Frankfurter Tor, che ricordano i due duomi della celebre piazza Gendarmenmarkt (v.).


6. Le due torri sormontate da cupole di Frankfurter Tor, nel 1960. A lato, alcuni palazzi dei lavoratori.


7. Il cosiddetto Duomo francese (Französischer Dom) che si affaccia su Gendarmenmarkt, a cui sono chiaramente ispirate le torri di Frankfurter Tor. Nella foto del 1985 è in ricostruzione.

Proseguendo oltre le torri, si vedono grandissimi edifici coperti di piastrelle: i cosiddetti “Palazzi dei lavoratori”. Poiché il grande progetto edilizio di Stalinallee non aveva solo l’obiettivo di fornire abitazioni, di cui c’era grandissimo bisogno dopo la guerra, ma anche quello di dimostrare la grandezza e la superiorità del socialismo, questi edifici dovevano trasmettere il messaggio che la DDR aveva molto più da offrire ai lavoratori che qualsiasi Paese capitalista: costruiva addirittura dei palazzi per loro!


8. Il palazzo dei lavoratori dietro ad una delle torri di Frankfurter Tor, così come appare oggi (blocco F sud di Stalinallee).

Molti operai impegnati nell’enorme sforzo richiesto per realizzare in poco tempo un progetto così ambizioso, che speravano inizialmente di poter ottenere uno di questi appartamenti, furono poi protagonisti dell’insurrezione popolare del 17 giugno 1953 (v. Ministero delle Finanze), il cui soffocamento nel sangue diede un chiaro messaggio sul trattamento dei lavoratori nella DDR.

Per l’epoca il lusso non mancava certo in questi palazzi: riscaldamento centralizzato, ascensori, citofoni, pavimenti di parquet, stucchi sui soffitti, oltre a facciate decorate, colonnati e terrazze, che a Ovest furono ridicolizzati come “stile torta nuziale” per i loro ornamenti considerati eccessivi. Anche a causa di questo sfoggio il progetto di Stalinallee rimase incompleto per ragioni economiche, perciò all’edilizia abitativa non furono aggiunti gli edifici culturali e amministrativi previsti. Già pochi anni dopo l’edificazione i palazzi, costruiti troppo velocemente, iniziarono a deteriorarsi. Nel 1989 buona parte delle piastrelle che ricoprivano le pareti esterne erano cadute ed erano state realizzate delle coperture per proteggere i passanti.


9. Uno dei palazzi dei lavoratori più imponenti verso la fine della sua costruzione, nel 1955 (blocco G sud di Stalinallee, all’incrocio con Warschauer Straβe).

Proseguendo lungo il viale sulla destra si vede il Cinema Kosmos, il più grande della DDR. Costruito nel 1961, quindi quando questo lotto di viale era già stato completato, era dedicato alle esplorazioni spaziali: uno dei massimi orgogli nazionali della DDR e dell’URSS, particolarmente in quell’anno in cui Juri Gagarin era stato il primo uomo a viaggiare nello spazio. Dopo la riunificazione divenne il primo cinema multisala della ex Germania orientale, mentre ora è una location per eventi.


10. La facciata del Cinema Kosmos nel 1963.

Sulla sinistra, proprio di fronte al cinema, una doppia fila di alberi divide due palazzi dei lavoratori. Gli alberi più alti furono piantati per nascondere alla vista di chi percorreva il viale monumentale i primi e unici edifici del progetto di ricostruzione del 1946, ispirati all’architettura moderna degli anni Venti: poiché non erano certo imponenti e decorati come gli altri, avrebbero rovinato lo sguardo d’insieme, ma non furono abbattuti dato che erano appena stati costruiti e c’era un estremo bisogno di abitazioni. Camminando verso la stazione della metropolitana di Weberwiese si incontrano due di queste costruzioni (Laubenganghäuser, ai numeri 126-128 e 102-104 di Karl-Marx Allee).


11. Una delle case di ringhiera che costituiscono i prototipi della ricostruzione di Berlino secondo il progetto del 1946.

Andando sul retro, lungo Hildegard-Jadamowitz-Straße, ci si ritrova in un angolo particolarmente significativo per la ricostruzione, architettonica e ideologica, della Berlino del dopoguerra. Proprio in mezzo ai primi due edifici del progetto modernista bocciato dai governanti della DDR nel 1950 si scopre il primo palazzo del nuovo progetto socialista, eretto nel 1952. A pochi passi da lì si vede l’esperimento pilota per la realizzazione di quest’ultimo: il grattacielo a Weberwiese, primo grattacielo nella storia della DDR, definito dal suo progettista “il cigno bianco che si innalza dalle macerie di Berlino”. Il grattacielo, con l’edificio a fianco e il piccolo parco con fontane – ispirato al classicismo russo, in particolare all’edificio dell’Università Lomosonov di Mosca, e al neoclassicismo di Schinkel per compiacere i committenti – è uno dei primi esempi in assoluto dell’architettura socialista orientata alle tradizioni nazionali della neonata DDR e diede così il tono a ciò che sarebbe poi stato costruito nel primo lotto di Stalinallee.

I lavori iniziarono nell’ottobre del 1951 e continuarono 24 ore su 24 per tutto l’inverno, affinché l’edificio potesse essere inaugurato in pompa magna, con tanto di francobollo commemorativo e canzone dedicata, il 1° maggio 1952, festa dei lavoratori. Per il regime un’impresa così eccezionale avrebbe dovuto mostrare alla popolazione di Berlino e della Germania Ovest i risultati che i lavoratori avrebbero potuto ottenere se liberati dal capitalismo e dall’imperialismo.

Non solo la data di inaugurazione, ma ogni dettaglio dell’edificio era simbolico: una rappresentazione materiale della Germania socialista del futuro. Gli abitanti degli appartamenti furono attentamente scelti in base alla loro professione (degli operai, un insegnante, un architetto, un poliziotto…) in modo che il condominio riproducesse l’intera società della DDR come una società che offriva a tutti le stesse opportunità e in cui tutti convivevano armoniosamente. Nel concorso architettonico per la costruzione di Stalinallee si era infatti richiesto espressamente uno stile che rispecchiasse “la ricchezza della nuova società”.


12. Il grattacielo a Weberwiese a costruzione quasi ultimata, nel 1952.

A segnalare che la DDR si identificava con chi aveva sconfitto il nazismo, la provenienza del marmo nero dell’ingresso fu fatta risalire a Carinhall, la residenza di campagna di Hermann Göring, che ospitava la sua enorme collezione d’arte (v. Schloβ Schönhausen) e che egli fece distruggere prima che fosse raggiunta dall’armata rossa. Le piastrelle con cui furono ricoperte le pareti esterne venivano dalla città di Meiβen, grande orgoglio per la DDR non solo perché l’omonima manifattura di porcellane era una delle più antiche e importanti d’Europa, ma anche e soprattutto perché essa costituiva una preziosa risorsa: con l’esportazione delle celebri porcellane si ricavava preziosa valuta estera per il bilancio statale (il regime provò a introdurre soggetti di ispirazione marxista, ma dato che non vendevano, tornò ai prodotti tradizionali che garantivano maggiori entrate). Nell’edificio più basso accanto al grattacielo, i bassorilievi nello stile del realismo socialista rappresentavano la ricostruzione di Berlino e la DDR come paradiso dei lavoratori.

Nonostante la costruzione di ogni appartamento del grattacielo fosse costata 9 volte il previsto, gli affitti rimasero minimi: un modello evidentemente non sostenibile su larga scala, ma molto utile a livello propagandistico.

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