Buch lesen: «Il Fiume Di Gennaio»
Enrico Tasca
Il fiume di gennaio
Romanzo
La copertina: Rio de Janeiro di notte.
Sullo sfondo la baia di Guanabara. In primo piano il Pão de Açucar, con il quartiere di Urca che si affaccia sulla Baia di Botafogo.
Ideata e realizzata dall'autore.
© 2015
Titolo: Il fiume di gennaio
Autore: Enrico Tasca
enrico.tasca@outlook.it
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à vietata per legge la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo senza lâautorizzazione scritta dellâautore.
Terza edizione
Il 1° gennaio del 1502 il comandante portoghese Gaspar de Lemos, capo di una spedizione di cui faceva parte anche Amerigo Vespucci, entrò con la sua nave in una baia, chiamata in seguito di Guanabara, pensando che si trattasse di un fiume. Chiamò quindi il posto "Il Fiume di Gennaio", che in portoghese si dice "O Rio de Janeiro".
Nel 1504, a proposito del Brasile, Amerigo Vespucci scrisse: "E se nel mondo è alcun paradiso terrestre, senza dubbio deve essere non molto lontano da questi luoghi".
La parola carioca viene spesso erroneamente utilizzata per descrivere l'intera popolazione del Brasile. Invero i carioca sono gli abitanti di Rio de Janeiro, mentre gli abitanti dello stato di Rio de Janeiro si chiamano fluminenses, così come i paulistanos sono gli abitanti della città di São Paulo e i paulistas gli abitanti dello Stato di São Paulo.
Sulle origini del nome carioca, che è sia un aggettivo che un sostantivo, esistono varie opinioni. Sembra quasi certo che derivi dalla lingua dei Tupi, un gruppo etnico che viveva in Amazzonia nel XVI secolo. Per alcuni deriverebbe dal fiume Carioca, per altri significherebbe "casa del bianco", per altri ancora deriverebbe dalla parola akari che indicava un pesce che ricordava l'armatura dei colonizzatori portoghesi.
...Gira pilota,
recuperiamo il cielo ad alta quota, torna nel mondo dal bel colore baio, trovami il fiume di gennaio.
(da "Aguaplano" di Paolo Conte)
PREFAZIONE
Tanto tempo fa mi ero messo in testa di scrivere un romanzo, un giallo alla Mike Spillane, per intenderci, un autore americano che, in quegli anni in cui ero ancora un ragazzo, leggevo avidamente.
Ricordo che avevo iniziato con una frase tipo "La città di notte appariva come una prostituta ingioiellata" che ricevette una stroncatura senza appello da mio fratello maggiore. Fine della mia carriera di romanziere.
Dopo tanti anni, sollecitato da mia moglie, ho voluto riprovarci, con un genere diverso, legato in parte alle mie esperienze. Infatti, come spesso capita, c'è tanto di autobiografico nel mio racconto, ma ovviamente i personaggi sono frutto della mia fantasia.
Per me è stata comunque un'esperienza emozionante. La cosa fantastica è che man mano che la storia andava avanti i personaggi acquistavano spessore, diventavano vivi, veri. Mi sembrava di conoscerli veramente, di averli incontrati nel mondo reale. Non ero io che creavo i loro comportamenti, i loro dialoghi, i loro sentimenti, erano loro che mi trascinavano, loro che agivano costringendomi a seguirli con la penna, o meglio con la tastiera del mio PC.
Qualcuno ha detto che un uomo nella vita dovrebbe fare tre cose: generare un figlio, piantare un albero e scrivere un libro. Mi sto dando da fare.
1
Quando Estela, alle 5 del pomeriggio di una splendida giornata estiva, un giovedì di gennaio, fece il suo ingresso nella sala di attesa del terminale 2 dell'aeroporto Galeão-Antônio Carlos Jobim, Stato di Rio de Janeiro, Brasile, da dove si sarebbe imbarcata per Milano via Lisbona col volo della TAP TP0074, non passò certo inosservata. A parte i capelli neri lunghi e ricci, le labbra carnose e un viso d'angelo, come avrebbe detto un cantautore di qualche anno fa, il suo modo di vestire sembrava studiato apposta per attirare lo sguardo degli uomini, ma anche di qualche donna come la bionda Beatriz, che distolse lo sguardo dal suo tablet, attirata dalla scia di profumo che Estela, passandole vicino, lasciò dietro di sé.
Un profumo delicato e costoso - pensò Beatriz - in linea con lâabbigliamento, che peraltro appariva ai suoi occhi ostentatamente lussuoso. D'altra parte Estela non aveva solo tanti capelli. Aveva anche un corpo che ore ed ore di palestra avevano reso un capolavoro della natura. Grazie a quel po' di sangue nero che scorre spesso nelle vene dei brasiliani, soprattutto da Rio de Janeiro in su, la sua pelle appariva di un colore ambrato.
Avrà avuto trentacinque anni o poco più - ragionò Beatriz. Osservando meglio, aveva notato qualche accenno di ruga intorno agli occhi e agli angoli della bocca. La ragazza era comunque uno schianto, comunque fosse vestita. Per intendersi non è che indossasse vestiti cafoni. Erano di buon gusto e pantaloni, camicia e gilet erano ben abbinati tra loro, però apparivano troppo costosi, come se avessero ancora l'etichetta del prezzo attaccata. In altre parole la ragazza tentava di ostentare uno stato sociale ed economico che forse non aveva, ma qualunque cosa avesse indossato sarebbe stata comunque notata.
Beatriz si sentiva colpita da quella donna, forse perché così diversa fisicamente da lei. Sua madre era italiana, veneta per la precisione, e da lei aveva ereditato degli occhi di un azzurro profondo che illuminavano la sua pelle chiara che neppure il sole brasiliano riusciva a scurire più di tanto e dei capelli biondi che portava né troppo lunghi né troppo corti. Nonostante non fosse più una ragazzina, anche lei teneva al suo benessere fisico ed infatti aveva un bel corpo abbastanza minuto, e dei lineamenti regolari e ben proporzionati. Non si poteva forse definire bella, ma sicuramente gradevole.
Beatriz andava in Brasile di regola una volta l'anno per trovare la madre, rimasta vedova quando lei era ancora ragazza. Per il resto del tempo viveva a Milano, dove lavorava presso una banca brasiliana, e dove il sole poteva tutt'al più prenderlo all'Idroscalo a luglio e agosto. Le avevano fatto unâofferta che non aveva potuto rifiutare. Lei sarebbe rimasta volentieri a São Paulo, la città dove era nata e dove aveva vissuto i migliori anni della sua vita.
Ma quando la sua banca aveva deciso di aprire una filiale a Milano, avevano scelto lei per la sua conoscenza dellâitaliano e le avevano offerto tanti soldi e una prospettiva di carriera che difficilmente avrebbe avuto restando in Brasile. Il lavoro non era proprio quello che sognava da bambina, ma lo stipendio in euro le permetteva di mettere da parte un po' di soldi in una valuta forte. Inoltre a São Paulo non aveva più legami sentimentali, infatti il suo "fidanzato" lâaveva lasciata e lei era rimasta così scioccata che non aveva più voluto sentire parlare di uomini e avrebbe comunque cambiato aria volentieri.
A Milano i primi tempi erano stati veramente duri. A parte il clima, quello che le pesava di più era la solitudine. Non conosceva nessuno e non riusciva a fare nuove amicizie, escludendo i colleghi della banca che però pensavano ognuno per sé. Poi le sue radici mezzo italiane avevano forse avuto il sopravvento e piano piano aveva cominciato ad abituarsi a quella città apparentemente poco ospitale, ma in fondo non troppo diversa dalla sua, sia pure in scala ridotta. Aveva iniziato a vedere Milano sotto una luce diversa. Ne riconosceva un certo fascino, tutto da scoprire. Quando era arrivata aveva trovato interessante, ad esempio, il cosiddetto "quadrilatero della moda", quell'area racchiusa tra Via Monte Napoleone, Via della Spiga, Via Manzoni e Corso Venezia, e poi le era anche piaciuta piazza del duomo, il castello sforzesco, la basilica di sant'Ambrogio, la galleria Vittorio Emanuele, la Scala.
Italia e Brasile sono comunque due mondi agli antipodi, non solo dal punto di vista geografico. Era pur vero che con l'arrivo di immigrati da varie parti dell'Africa, del Sud America e dell'Europa dell'est, la capitale lombarda stava diventando, almeno in certe aree, non più tanto sicura, ma almeno non c'erano i trombadinhas o i meninos de rua, quei bambini che in Brasile ti strappano di dosso la collanina o ti rubano il marsupio mentre te ne stai sdraiato sulla spiaggia di Copacabana a prendere il sole e poi sniffano colla per stordirsi.
Dopo un anno difficile era riuscita ad innamorarsi di un ragazzo italiano, un fatto che non avrebbe mai pensato sarebbe potuto accadere. Era una relazione seria? Avrebbe potuto anche avere un lieto fine, come i romanzi che ogni tanto si divertiva a leggere, in cui la ragazza immancabilmente finisce con lo sposare l'amore della sua vita, magari dopo mille controversie. Ma non ne era poi così sicura. Viveva alla giornata, aveva imparato a non porsi troppe domande.
Estela sapeva di attrarre gli sguardi degli uomini, in fondo non le dispiaceva e poi cosa poteva farci? Doveva forse mettersi il chador o il burka? Avesse avuto il fio dental, quel pezzo di stoffa minuscola che ha fatto diventare il bikini un costume da educande, allora sì che avrebbe catturato l'attenzione della gente. D'altra parte il suo mestiere di modella la costringeva in un certo senso ad apparire. Era questo che volevano da lei. Usavano il suo corpo per vendere mutandine e reggiseni, deodoranti e costosi profumi. Era un lavoro difficile, che richiedeva un equilibrio fisico e mentale fuori del comune. Aveva visto troppe colleghe cadere nella trappola della droga, dei soldi facili, delle promesse non mantenute fatte da tanti uomini che volevano una sola cosa, fare sesso o l'amore, come si diceva un tempo.
Estela, nonostante le apparenze, era una ragazza con la testa sul collo, che sapeva esattamente quello che voleva. Aveva un innamorato italiano con il quale si trovava abbastanza bene. Si poteva comunque classificare come una vera mosca bianca in un ambiente difficile e competitivo come quello della moda e della pubblicità .
Certo lâinizio era stato durissimo. Era andata in Italia per la prima volta, anni prima, lasciando il suo lavoro di commessa in un negozio di abbigliamento di Rio, grazie a un tizio di Bergamo, pieno di soldi, che l'aveva rimorchiata sulla passeggiata di Copacabana, un posto tra l'altro che lei non frequentava volentieri perché troppo turistico. Era stata Elza, la sua amica del cuore, con la quale condivideva un piccolo appartamento a Botafogo, a insistere di andare lì. Le avevano parlato di un nuovo ristorante italiano e voleva provarlo. Estela avrebbe preferito restare nel suo quartiere, dove l'atmosfera era più genuina, ma alla fine aveva ceduto.
A Copacabana giravano un sacco di ragazze facili a caccia di turisti e Estela non ci andava quasi mai perché non voleva essere presa per quello che non era. L'italiano, che era con un amico, l'aveva agganciata con molto stile, non l'aveva certo scambiata per una che si vendeva per un pugno di dollari. Si era presentato e, in un portoghese stentato, le aveva detto che non aveva mai conosciuto una ragazza bella come lei e che se lei e la sua amica non avessero accettato di cenare con lui e il suo amico, si sarebbe buttato a mare e lasciato annegare. Una specie di sceneggiata napoletana, ma, dopo una prima reazione stizzita, Estela si era detta che in fondo il tizio le sembrava a posto. Alla sua amica Elza l'amico del bergamasco piaceva e dopo aver confabulato un po' avevano deciso di accettare. Erano andati nel miglior ristorante della zona e poi era successo quello che doveva succedere.
Il bergamasco, che si chiamava Giulio, era rimasto con lei per tutto il periodo della vacanza e pochi giorni dopo essere tornato in Italia le aveva spedito un biglietto aereo di prima classe per Milano, dove Estela, senza tanto riflettere, aveva deciso di stabilirsi, almeno per un po'. Peccato che dopo qualche mese, insospettita dallo strano atteggiamento di Giulio e dalle sue prolungate assenze, avesse scoperto che il suo âinnamoratoâ italiano aveva moglie e figli e nessuna intenzione di divorziare.
Dopo momenti di disperazione, momenti in cui pensava di mollare tutto e tornare a Rio con la coda tra le gambe, il suo carattere determinato e combattivo la spinse a stringere i denti ed andare avanti in quella città che sentiva fredda e ostile.
Per pura fortuna le era capitato di conoscere Teo, che faceva lâArt Director per unâimportante agenzia pubblicitaria americana. Era un uomo molto gentile e carino di modi che le aveva proposto di fare degli spot pubblicitari per un suo cliente che produceva biancheria intima femminile di lusso.
Uno spot in particolare, dove mostrava il suo fondo schiena, aveva avuto un gran successo ed attirato lâattenzione di molti pubblicitari e fotografi. Grazie al suo bumbum, come si chiama affettuosamente il sedere in Brasile, Estela era riuscita a entrare nel riservato mondo della pubblicità . Avrebbe preferito essere apprezzata per la sua intelligenza o tenacia sul lavoro, ma nelle sue condizioni non poteva certo andare tanto per il sottile.
Temeva che Teo prima o poi le avrebbe presentato il conto sotto forma di invito a cena seguito da appassionata notte di amore, ma aveva scoperto che era gay e la cosa lâaveva molto rassicurata. Teo sarebbe poi diventato il suo migliore amico e confidente. Era bello avere un uomo con cui parlare, senza la paura che potesse saltarti addosso da un momento allâaltro. Purtroppo, a causa della sua bellezza latina, si rendeva conto di attirare gli uomini come mosche sul miele. A Rio era diverso, forse câera più disponibilità di ragazze facili, ma comunque gli italiani, almeno quelli che aveva conosciuto, le parevano particolarmente assatanati.
Anche Federico aveva notato quella bella ragazza bruna, ma non si era impressionato più di tanto. Nel suo mestiere, il fotografo di moda, di belle donne ne aveva viste tante e ormai era vaccinato contro i pericoli della bellezza femminile. Aveva lavorato per anni in Brasile per un'agenzia fotografica di cui era anche socio, fondata da un suo vecchio compagno di scuola, Giancarlo, che viveva a São Paulo. L'amico si era ricordato di lui e l'aveva convinto a mollare l'Università ed a dedicarsi alla fotografia a tempo pieno, visto che era ormai fuori corso e già lavoravaa Milano come free lance, perché teneva alla sua indipendenza economica e non voleva farsi mantenere dal padre. Si era poi trasferito a Rio per lavorare in un'agenzia pubblicitaria ed alla fine aveva deciso di creare una agenzia fotografica tutta sua che però, dopo un inizio promettente, aveva cominciato a creare problemi.
Il suo sguardo si abbassò nuovamente sullo smart phone, sul quale aveva segnato tutti gli appuntamenti della settimana a venire. A Milano aveva uno studio fotografico molto ben avviato ed il suo unico dispiacere era di non avere figli ai quali lasciarlo. Aveva una sola figlia, che andava a trovare abbastanza spesso a Rio. L'aveva avuta nel periodo in cui viveva in Brasile.
La madre era brasiliana, carioca per l'esattezza, visto che era nata a Ipanema e aveva un nome che era tutto un programma: Luma.
Quando l'aveva conosciuta, tanti, troppi anni prima, aveva solo 23 anni, si era appena laureata in giurisprudenza, mentre lui ne aveva già compiuti 29. Luma era uno splendore, era la luce dei tropici, il ritmo cadenzato del samba, la malinconica magia del Carnevale. Aveva una carnagione che tendeva a sfumare verso il bruno e dei capelli nerissimi e lisci. Li portava raccolti, e la prima volta che li sciolse, nell'intimità , le ricadevano quasi a metà schiena. Aveva gli occhi neri come la notte tropicale, calda e piena di mistero. Quando sorrideva le labbra carnose svelavano denti bianchissimi, ereditati forse da qualche trisavolo di pelle scura.
Il loro era stato un grande amore, passionale e romantico al tempo stesso, ma poi era tutto finito, dopo pochi anni di convivenza. La figlia, che Luma aveva voluto chiamare con un nome che fosse tanto italiano quanto brasiliano, Olga, faceva foto solo con il cellulare e comunque aveva altri interessi. Non avrebbe mai accettato di vivere a Milano e ancor meno di lavorare con il padre. Il sole, il mare, le spiagge di Rio erano per lei la vita e non avrebbe mai cambiato neppure per tutto l'oro del mondo. Aveva appena compiuto 26 anni e Federico le aveva regalato una reflex, sperando che questo la invogliasse a fare delle fotografie decenti. Ma era chiaro che non era portata, anzi non gliene fregava proprio niente. Federico temeva che la Nikon sarebbe rimasta a lungo in un cassetto, inutilizzata.
Evidentemente Olga, che era nata prima che Federico e Luma si sposassero, aveva preso dalla madre che, appena sbarcata a Milano era rimasta scioccata dal clima, dalla gente, dal modo di vivere dei milanesi. L'idea di tornare in Italia era venuta a Federico dopo che la sua agenzia era fallita e le banche lo braccavano come un animale selvaggio. A Milano aveva tanti amici e avrebbe potuto ricominciare tutto da capo. Per convincere Luma a seguirlo le aveva promesso di sposarla, impegno che mantenne con un atto ufficiale in un cartorio, senza abito da sposa né fronzoli. Olga era ancora piccola ed era stata affidata ad una amica che aveva fatto anche da testimone.
Avevano fatto il viaggio di nozze ad Angra dos Reis, perché la situazione economica non permetteva niente di più esotico.
Federico aveva tentato di spiegare che Milano aveva sì un brutto clima ma, pur non essendo sfacciatamente appariscente come Rio, aveva una bellezza nascosta, che bisognava imparare a scoprire. Bastava guardare nei cortili, alzare lo sguardo verso i giardini pensili, entrare nelle chiese, apprezzare gli aspetti culturali e la gente "col coeur en man". A Luma la cultura interessava poco e di gente con il cuore in mano non ne aveva mai incontrata, ma soprattutto sentiva la mancanza del sole, del mare e dell'allegria della sua città natale. Inoltre non si dava pace per aver lasciato lo studio di avvocati dove, appena laureata, aveva iniziato a far pratica. A Milano non avrebbe certo potuto fare l'avvocato, troppo diverse le leggi e poi la sua laurea non era riconosciuta in Italia.
I primi screzi erano iniziati quando Luma si era resa conto di non poter contare a Milano su una donna di servizio fissa, come si usava in Brasile, ma di doversi sobbarcare tutte le incombenze della casa. Quando poi la bambina aveva cominciato ad andare all'asilo si era sentita sempre più sola, si annoiava a non far nulla tutto il giorno e non era riuscita a farsi delle amiche nuove. Federico lavorava molto e spesso non riusciva a pranzare a casa o tornava tardi la sera. Lui aveva anche pensato di ritrasferirsi a Rio, ma il rischio di un nuovo fallimento era troppo grande. Come avrebbe potuto ricominciare, senza soldi e con il suo nome nella lista nera delle banche? Milano era la città dove aveva vissuto prima di partire per il Brasile, dove aveva fatto l'Università senza riuscire a finirla e dove aveva i contatti giusti e il lavoro stava ingranando. Era riuscito ad accedere al tempio della pubblicità , dove circolava parecchio denaro. Ci voleva solo pazienza e tenacia, due doti che non gli mancavano.
Resta il fatto che a un certo punto, per motivi che ancora oggi faceva fatica a capire, sua moglie era tornata in Brasile con la bambina e lui non aveva fatto niente per fermarla. Avrebbe potuto rivolgersi ad un avvocato, per cercare almeno di avere la custodia della figlia, ma vi rinunciò. Era talmente sotto choc che sembrava quasi non importargli più niente di nulla. Passò il più brutto periodo della sua vita, anche perché era molto innamorato di Luma e l'idea di averla persa lo faceva uscire di senno. Era molto affezionato anche alla piccola Olga, alla quale, le sere in cui riusciva a tornare a casa non troppo tardi, era solito raccontare storie fantastiche, dopo averla messa a letto.
Cadde in depressione e gli amici più cari cominciavano a preoccuparsi seriamente per la sua salute mentale. Per fortuna il suo amore per la fotografia lo salvò. Piano piano riuscì a uscire dal tunnel, a ritrovare il suo equilibrio di sempre. Alcune sue foto piacquero molto, fece delle mostre e vinse dei premi, insomma la tanto agognata scalata al successo divenne ben presto una realtà .
Luma, dopo essere tornata a Rio, aveva ripreso il suo lavoro presso lo stesso studio di avvocati nel quale aveva fatto il praticantato ed aveva divorziato da Federico che non si era opposto. Dopo parecchi anni aveva incontrato un imprenditore edile pieno di soldi, Agostinho detto Ago, che le aveva fatto una corte spietata per mesi. Alla fine si erano sposati ed erano andati a vivere a Leblon con Olga e una ragazza che il neo marito aveva avuto da una precedente relazione. Queste cose Federico le aveva sapute dalla figlia, perché con la madre parlava assai poco e quasi sempre di cose pratiche, come la scuola di Olga, le vacanze di Olga, il dentista di Olga, i corsi di inglese di Olga e così via.
Dopo anni, sempre da Olga, aveva saputo che Luma si era separata anche dal secondo marito e che madre e figlia erano andate a vivere in un appartamento in affitto a Ipanema.
Anche Estela amava il mare, ma più che il mare le piacevano i "dané", come aveva imparato a dire in milanese. Il suo era un mestiere che non durava molto, e voleva mettere da parte abbastanza soldi da poter tornare magari a Rio e mettere su un negozio di abbigliamento o qualcosa di simile. L'unico ostacolo a questo progetto era il suo ragazzo, Dado. Gli voleva bene, ma non avrebbe rinunciato ai suoi sogni per causa sua. Se le voleva altrettanto bene avrebbe potuto seguirla in Brasile. Lâaveva conosciuto tramite Teo, e se ne era subito invaghita, forse perché sentiva il disperato bisogno di un uomo o forse perché aveva visto in quel bel giovanotto, elegante e gentile, la possibilità di avere un futuro in Italia. Si era quindi attaccata a lui come un naufrago ad una tavola di legno. Avevano cominciato a uscire insieme e Dado, che lavorava nel settore, le aveva anche dato una grossa mano e l'aveva introdotta negli ambienti giusti della moda e della pubblicità . La loro era una relazione atipica, spesso Dado spariva senza dare spiegazioni, ma al tempo stesso era geloso e tempestava Estela di domande, ad esempio quando le capitava di dover andare a cena con qualcuno per lavoro. Un giorno lei lo aveva affrontato a muso duro gridandogli che un rapporto per funzionare doveva anche essere basato sulla fiducia e che se lui non aveva fiducia in lei, come lei l'aveva in lui, allora sarebbe stato meglio andare ognuno per la sua strada. Se Dado pensava che bastasse esser bravi a letto per tenersi una donna allora non aveva capito niente della vita.
Quella sfuriata sembrò funzionare, almeno per un po'. Il loro rapporto assunse una piega diversa dai primi tempi, lui diventò più aperto e si concessero reciprocamente una maggiore libertà .
Beatriz si sentiva un po' annoiata. Le sue vacanze non erano state granché. La madre abitava a São Paulo, in un elegante quartiere residenziale dove Beatriz aveva trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza. Aveva fatto gli studi in una scuola italiana, il Colégio Dante Alighieri, situato a pochi metri dalla Avenida Paulista, la via più importante di São Paulo, inaugurata alla fine dell' 800, la prima strada asfaltata della città . Era stata voluta fortemente dai produttori di caffè che l'avevano arricchita costruendo ai lati ville sontuose, poi demolite per far posto ai grattacieli.
Aveva anche iniziato a studiare all'Università , ma il mondo le era poi crollato addosso con la morte del padre, avvenuta a seguito di una rapina nella banca dove lavorava come funzionario, e da quel momento nulla sarebbe più stato come prima. Dopo parecchi anni la madre si era risposata con uno di Curitiba, un certo Juscelino, nome voluto dal padre in onore del Presidente Juscelino Kubitschek, creatore di Brasilia, e da cui aveva avuto un altro figlio, Thiago, un ragazzo superficiale e presuntuoso che Beatriz non sopportava, anche se era il suo fratellastro.
La ragazza non andava molto d'accordo neppure con il patrigno, un personaggio cinico e secondo lei anche un po' imbroglione, che non parlava d'altro che di soldi. L'atmosfera in casa diventava sempre più pesante. Quindi dopo essere stata assunta dalla banca dove aveva lavorato il padre, era andata a vivere per conto suo, dividendo un piccolo appartamento con un'amica.
Comunque voleva molto bene alla madre e capiva che quelle sue visite annuali le facevano un gran piacere e quindi soffriva in silenzio. Sempre per amore filiale non aveva neppure fatto storie circa il fatto che la madre vivesse con la nuova famiglia nell'appartamento di sua proprietà . Il padre, anni prima di morire, quando era stato operato all'esofago, aveva infatti scritto di suo pugno un testamento nel quale lasciava alla figlia la proprietà del suo unico bene, l'appartamento di Via Rocha Azevedo, ed alla moglie l'usufrutto. Ma questa era un'altra storia.
Beatriz non aveva trovato un volo diretto da São Paulo e aveva quindi dovuto fare scalo a Rio, città che detestava per la sua superficialità . Le piaceva fare un paragone tra le città italiane e quelle brasiliane: São Paulo come Milano, Rio come Roma e Bahia come Napoli, ma era solo un gioco. Si trattava di due universi totalmente differenti.
Federico si divertiva ad osservare la gente. I ritratti erano una delle sue passioni fotografiche e con gli anni si era convinto di riuscire a capire cosa si celava dietro la maschera che indossiamo dalla nascita. Non era semplice. Alle volte feroci assassini avevano l'aspetto di bravi ragazzi e brutti ceffi si rivelavano poi buoni come il pane. Ma gli occhi erano rivelatori dell'animo, difficile mascherare l'emotività , i sentimenti. Per passare il tempo quindi Federico si divertiva ad osservare la gente. Avevano annunciato un leggero ritardo nel volo ed il viaggio era lungo. Era rilassato o forse rassegnato a lunghe attese, ma tanto aveva davanti un lungo weekend per riposarsi. A Milano nessuno lo stava aspettando. Aveva avuto una compagna per qualche tempo, ma poi era tutto finito.
Dopo Luma non aveva più voluto risposarsi e in fondo stare solo non gli dispiaceva affatto. Non disdegnava peraltro avventure occasionali, talvolta anche con le sue modelle, alla faccia dell'etica professionale. Non era uno psichiatra che andava a letto con la sua paziente! Il più delle volte erano le ragazze a cominciare e lui trovava assurdo fare tanto il difficile. Tra l'altro gli anni passavano velocemente e la pensava come recita il detto popolare: ogni lasciata è persa.
Osservando la gente si divertiva a catalogare i vari passeggeri in attesa dell'imbarco. C'era la famiglia brasiliana composta da padre, madre e due figli maschi tutti sovrappeso, per non dire obesi. I ragazzi passavano il tempo a giocare con il cellulare, piluccando contemporaneamente delle patatine fritte da un sacchetto, la mamma leggeva una rivista scandalistica brasiliana e il papà sonnecchiava. Erano vestiti con abiti lussuosi, ovviamente firmati, ma l'aspetto celava una cafonaggine di fondo che il denaro non riusciva a cancellare. C'era poi il manager italiano che leggeva il Financial Times, passeggero della Business Class molto probabilmente. Guardava tutti con aria un po' schifata chiedendosi cosa ci stava a fare un signore come lui in mezzo a tanti plebei. E c'era poi un gruppetto di giovani che rideva e scherzava. Una coppia di anziani che si teneva per mano. "Che tenerezza - pensò Federico - a me non succederà mai di sicuro".
Ripensava alle donne della sua vita. A parte le prime cotte giovanili che non contano perché sono più che altro conseguenza di tempeste ormonali, nessuna donna gli aveva fatto venire voglia di mettere su famiglia. Finché non aveva conosciuto Luma. Lei era il calore di Rio, la ragazza di Ipanema, Jemanjà la regina del mare, madre di tutti gli Orixà , la gioia di vivere mista ad una sensualità naturale, non ostentata, anzi quasi celata per paura che gli uomini se ne accorgessero e pensassero chissà cosa di lei. Luma era un prodotto di Rio, la cidade maravilhosa che ricorda un teatro immenso, il cui palcoscenico sono le spiagge spaziose e le passeggiate a mare, dove gli attori recitano improvvisando liberamente e il fondale è l'oceano con le sue onde quasi sempre infuriate e travolgenti.
Ma Rio è anche violenza e insicurezza, e Federico ne sapeva qualcosa, visto che una volta era stato rapinato in pieno giorno, davanti a São Conrado. Ragazzi provenienti dalla favela della Rocinha, la più grande del mondo, coi suoi 150.000 abitanti. Era divisa in bande di narcotrafficanti, Comando Vermelho, Amigos dos amigos, ed era anche il regno dei bicheiros, gli organizzatori del gioco del bicho, che era una specie di lotteria clandestina, legata ai nomi di animali, che utilizzava le estrazioni settimanali della lotteria nazionale. Era diffuso soprattutto tra la gente umile, che sperava, con un investimento minimo, di poter essere baciata dalla fortuna. I bicheiros non erano solo temuti, ma anche rispettati perché usavano parte dei loro illeciti guadagni per finanziare le scuole di samba che sfilavano nel sambodromo durante il carnevale.
Quando aveva incontrato per la prima volta Luma abitava anche lui a Ipanema, erano bei tempi. Ricordava ancora come si erano conosciuti, presentati da un comune amico. Allora Luma aveva una specie di fidanzato, un compagno di università , ma non era tanto convinta di aver fatto la scelta giusta. Federico la martellò per mesi, riempiendola di regali e facendole il lavaggio del cervello. Era troppo innamorato per rinunciare a lei e alla fine la spuntò. Era così cotto che la prima volta che andarono a letto insieme non prese precauzioni e Luma rimase incinta al'inizio della loro relazione.