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Buch lesen: «Un bel sogno», Seite 4

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VII

La sera era fresca e tranquilla. Il sole aveva già segnata la sua ritirata dietro le cime dei monti, e della sua luce splendida ed abbagliante altro non vi rimaneva che un rosso crepuscolo. Verso levante vedevasi apparire sullʼorizzonte un grandʼarco luminoso del disco lunare; era lʼastro della notte che nella sua fase di massima pienezza succedeva quasi immediatamente al sole. – Era una di quelle sere in cui sʼimpegna una lotta accanita tra la luce della luna che nasce e quella del sole che muore; ma i raggi crepuscolari cedono sensibilmente il campo, la striscia di fuoco che brillava allʼoccaso si restringe lentamente, e poco dopo vi rimane un barlume appena di luce che spegnesi con lenta agonia lasciando la luna trionfatrice sola nel dominio della volta celeste.

Spirava una brezza fresca e soave il cui carezzevole alitare temprava alquanto lʼafa soffocante di quella calda giornata.

Una ricca carrozza scoperta tirata da due bei cavalli, stava ferma davanti al palazzo Ramati, e poco dopo vi salirono sopra Laura, sua madre, Letizia ed Alfredo. – Laura e Letizia si collocarono in faccia ad Alfredo e madama Ramati. Sul balcone eravi lʼavvocato elle mandò loro lʼultimo saluto; indi la carrozza si allontanò velocemente.

Laura mollemente adagiata sui cuscini col capo abbandonato allʼindietro, stava immersa in profonda meditazione – Per la velocità della corsa lʼaria fendeva più rapida il di lei viso scomponendole leggermente i biondi capelli di cui alcuni fiocchi svolazzavano allʼindietro come se volessero fuggire. I suoi sguardi erravano sulle case fiancheggianti la via, e parevale che gli oggetti circostanti fuggissero rapidamente il suo mesto saluto.

Nel dare lʼaddio estremo ai luoghi ove erano state concepite tante dolci speranze, ella provava una dolorosa emozione; quelle mura, quelle case, quei giardini; tutto insomma aveva unʼespressione di dolcezza affascinante che le commoveva lʼanimo.

»Sospira, sospira povera fanciulla a sì straziante addio; ogni passo di quei focosi cavalli, ogni tratto percorso dalla carrozza, porta via a brani il caro edifizio delle tue illusioni, ed accrescendone il loro incanto, rende più grave il dolore della separazione – Le speranze del tuo casto amore erano sublimi, ignara dei disinganni accarezzasti confuse lusinghe; la realtà scosse il tuo trasporto, ti svegliò dal tuo dolce sopore, ed un destino amaro ti porta lunge dal teatro delle tue dolcezze – Le lagrime che ti brillano sugli occhi sono le prime che trovano eco nel tuo cuore; la tua mestizia tragge fonte per la prima volta dal più profondo dellʼanima tua!

»Piangi pure! o fanciulla, piangi con lagrime amare nel dare lʼaddio a questa città che racchiude nel suo seno colui che solo fra gli uomini potrebbe fare la tua felicità; colui che la tua dipartita renderà altrettanto sventurato quanto fu felice nello scoprire il secreto del tuo cuore.

»Piangi e spera! Le lagrime dellʼoggi vengono cancellate da quelle del domani: Ecco la vita!

La carrozza si fermò dinnanzi alla stazione, tutti discesero; Letizia tentava invano di distrarre la povera Laura il di cui abbattimento era portato allʼestremo. Lʼamabile giovinetta aveva pianto, e teneva gli occhi ancor pieni di lagrime rivolti verso la città.

Ermanno non era ancor giunto, ed ella nʼera inquieta; non già che dubitasse di lui, il cuore le diceva che a qualunque costo ei non avrebbe mancato; ma temeva che un qualche incidente gli facesse ostacolo – Ella voleva vederlo ancor una volta per rivelargli collo sguardo tutte le pene che soffriva il di lei cuore – E quella lettera? in essa la meschina fondava tutte le sue speranze per qualche conforto, allorchè fosse giunta a casa.

– Partenza per Milano, gridò una voce roca.

Ed egli non veniva ancora; invano Laura spingeva lo sguardo ove più glie lo permetteva la scarsa luce della luna – Ad un tratto il di lei occhio scintillò di gioia, ed il cuore le balzò vivamente in seno – Era desso!

Diffatti Ermanno apparve poco lungi. Era tempo!

Laura senza punto curarsi degli altri, e spinta da un moto involontario, gli si fece incontro stendendogli la mano.

Una lettera passò da una mano allʼaltra in un baleno, e mentre Ermanno volgevasi a salutare Madama Ramati, Laura la nascose lestamente in seno.

– Per Milano si parte, ripetè la stentorea voce del guardia sala.

– Buon viaggio, tanti saluti allo zio.

– Mille grazie!

– A rivederci signor Ermanno, disse madama Ramati, venga presto a trovarci a Milano; lʼaspettiamo.

– Non mancherà occasione.

– Addio Laura!

– Addio Letizia, e le giovinette si baciarono.

– Addio signor Ermanno sclamò Laura afferrandogli la mano… si ricordi di noi… e delle sue promesse… Non potè proseguire; le lagrime le troncarono la parola sulle labbra – Fuggì soffocando i singhiozzi, e mandandogli unʼultimo sguardo addolorato.

Non eravi tempo da perdere; madre e figlia presero posto nel vagone. – Laura si lasciò cadere oppressa in unʼangolo accanto allo sportello, e subito dopo il convoglio si mise in via.

Ermanno era a poco per piangere; Alfredo voleva ad ogni costo che salisse in vettura, ma egli si rifiutò; strinse la mano a Letizia, la quale era pure alquanto commossa, indi sʼincamminò lentamente verso la sua dimora.

Il dolore di una separazione così amara è troppo grande, troppo immenso perchè la parola possa rivelarlo. – È questa una di quelle sofferenze che non trovano espressione in tutte le umane favelle. Per comprendere quale fosse il dolore di Ermanno, è necessario porsi una mano sul cuore, interrogarlo in tutte le sue rimembranze, richiamarlo a tutte le emozioni del passato, farne rivivere i palpiti; e se il cuore risponde a questa pressione con un sospiro, allora soltanto si potrà comprendere quanto male arrechi una sì triste separazione!

Non parliamo no a quelle anime volgari che sorrideranno cinicamente al racconto di questi dolori. Si sa, essi non saprebbero compiangere lʼinfelice Ermanno – Ridano pure costoro, che poco importa; il disdegno per i dolori degli altri è per essi la più gran felicità che possono godere in terra – Ridano pure giacchè non sanno piangere; il riso è la più sublime delle loro sensazioni.

Le ironie di costoro stanno al basso come le loro intelligenze.

Ermanno giunse a casa mesto e silenzioso; si abbandonò sulla poltrona e stette immerso neʼ suoi pensieri senza neanche volger parola a sua madre – Egli soffriva come se gli venisse lacerata qualche parte del cuore. Il suo sguardo vagava sugli oggetti circostanti, ma il suo pensiero volava dietro alla graziosa giovinetta.

Per quella sera non volle uscire malgrado che il tempo invitasse al passeggio; sua madre poverina lo pressava con incessanti domande a cui egli rispondeva appena, e la buona donna infine credendo miglior partito lasciarlo solo a meditare, si ritirò nellʼaltra camera.

Allorchè Ermanno fu solo, si mise in moto per la stanza, e passando dappresso al caminetto si fermò a guardare alcuni fiori che languivano in un bicchier di acqua – Erano appassiti! Egli sospirò e volse altrove gli sguardi.

Aperse il pianoforte colla massima noncuranza, ne sfiorò i tasti stando in piedi, quindi lo rinchiuse sorridendo amaramente – Anche la musica aveva perdute le sue attrattive – Trascinò la poltrona sul balcone, vi si adagiò sopra e se ne stette per lungo tempo immobile vagando collo sguardo fra le stelle del cielo. —

La natura era bella illuminata dal patetico raggio lunare; ma egli chiuse gli occhi per richiamarsi alla mente la figura di Laura. – Certo lʼimmagine di lei sì ardentemente evocata rispose al suo desiderio, perchè egli aveva sulle labbra un mesto sorriso – Suonò la mezzanotte, ed ei conservava ancora la stessa attitudine. Quella specie di letargo durò molto…

Una rondinella accovacciata sui ferri del vicino balcone intuonò sommessamente il suo cicalio…

Ermanno apri gli occhi, guardò il cielo e vide che la luna già tendeva al tramonto, mentre ad oriente appariva una luce biancastra.

Era lʼalba.

VIII

Il treno su cui viaggiavano Laura e sua madre era diretto, epperciò la velocità assai maggiore dellʼordinario. – Nello scompartimento di prima classe da esse occupato, non eravi altri elle un prete dallʼaspetto venerando. – Madama Ramati erasi collocata in un angolo riparato dallʼaria; Laura invece stava affacciata allo sportello guardando al di fuori le campagne che sfuggivano rapidamente siccome le vedute di un panorama meccanico.

Già da molto tempo ella era assorta in quella contemplazione, quando la madre la esortò a ritirarsi per evitare gli sbuffi dellʼaria troppo umida. – Laura ubbidì macchinalmente, e si rincantucciò nellʼangolo senza far motto.

La poca luce malinconica che mandava il fanale, il monotono rullo delle ruote, ed il silenzio dei tre viaggiatori davano unʼaspetto di tristezza alla scena. Il prete dormiva saporitamente, madama Ramati aveva chiusi gli occhi; soltanto Laura era inquieta ed addolorata. La povera giovinetta non piangeva più, ma lʼespressione malinconica deʼ suoi grandʼocchi, era tutta di dolore. Dallo sportello aveva visto sospirando scomparire lentamente le torri di Brescia, ed allorquando lʼestrema punta della città si perdette nelle tenebre, la salutò con un addio che racchiudeva un tesoro di rimembranze.

Il viaggio era lungo, e parve lunghissimo a lei che anelava di essere in casa sua, nella sua camera per isfuggire la tristezza che inspiravale il lugubre silenzio che lʼattorniava; e più di tutto per leggere la lettera di Ermanno, quella cara lettera che avrebbe già baciata le mille volte se non vi era sua madre. —

Arrivarono finalmente, e Laura nel discendere guardò ancor una volta sulla via percorsa pensando che per di là ella sarebbe ritornata a Brescia, presso il suo Ermanno. – Papà Ramati era ad aspettarle, e non appena le vide uscire dalla stazione, corse ad abbracciare Laura, che per la prima volta rispose mestamente alle carezze del padre. – Giunta a casa madama Ramati stanca del viaggio si ritirò; Laura pure poco dopo entrò nella sua camera ove appena giunta congedò la fante che si disponeva a spogliarla. – Chiuse la porta a giro di chiave, sedette al tavolo estrasse dal seno la lettera, la baciò, indi ruppe il suggello e lesse:

Laura!

«Vengo or ora da te, ed è sotto lʼimpressione delle tue parole che ti scrivo. La mano mi trema ancora come poco fa fra le tue, il cuore mi batte violentemente come se fossi a te davanti, il mio sguardo è tuttora acceso dal fuoco che trovò nel tuo. – Sono espressioni dellʼanima, accenti del cuore quelli che scrivo. Ascoltami dunque o Laura. – Nei pochi anni della mia vita trascorsa, io acquistai una ben triste scienza, la certezza cioè che non havvi per lʼuomo felicità reale, e dal giorno in cui questa crudele certezza mi apparve chiara ed incontestabile, diedi lʼultimo addio alle bugiarde speranze della vita. —

«Lo scetticismo divenne la mia bandiera; lʼarte sola non presentava per me le impronte caratteristiche di una folle speranza: amai lʼarte come si ama la donna, ed al culto di questa fata misteriosa dedicai me stesso e lʼintera mia vita. – Ma ahimè! ben tosto mi accorsi che anche lʼarte è una promessa senza fine, una meta che si allontana quanto più tentasi di avvicinarla! Disperai allora di poter riempire quel vuoto che erasi formato nella mia esistenza, ma il mio cuore aveva necessità di amare, e ribellavasi ostinatamente alla solitudine a cui lo aveva dannato.

«Amai la natura nel suo assieme, confusi in un punto solo creato e creatore, spirito e materia; ma le grandezze e le meraviglie del cielo, e le bellezze della terra se mi entusiasmarono la mente, non seppero commovere dʼun palpito questo povero mio cuore che assisteva indifferente allo spettacolo maestoso dellʼuniverso. —

«Prostrato da inutili tentativi, mi abbandonai al mio destino lasciando che il cuore languisse incompreso, e lʼanima se ne stesse neghittosa; mi concentrai in me stesso lasciando alle poche risorse dellʼarte le cure di qualche conforto.

«Io era in tale stato ancora qualche giorno fa, prima di vederti; ma appena il mio sguardo sʼincontrò nel tuo, appena udii il suono della tua voce, qualche cosa di nuovo si agitò nellʼanimo mio; al solo contatto della tua mano, il cuore si scosse, e finalmente trovò un palpito!

«Oh! Io non so dirti la lotta che sʼimpegnò in me fra la ragione e lʼaffetto. In quella sera del nostro primo incontro passai una notte di mille angosce di innumerevoli tormenti. – Dio mi è testimonio con quanta ardore combattei contro una speranza di cui paventava le conseguenze; ma che vuoi? Allʼindomani mi alzai prigioniero; il cuore lʼaveva vinta: io ti amava!

«Ora mʼodi, o fanciulla, e che le mie parole ti restino impresse. – In questo momento non sono io che ti parlo, ma la parte migliore dellʼesser mio, lʼanima, lʼanima che nellʼabbandonarsi allʼamor tuo trae un triste presagio sul mio avvenire. – Lo so che tu mi ami, me lo dicesti, le tue lagrime me lo confermarono, ed io ti credo, perchè si può dubitare di tutto, ma non delle prime parole dʼamore che sfuggono dal labbro di una giovinetta. —

«Io credo adunque colla massima convinzione allʼamor tuo, nè tenterò per parte mia una lotta colle tendenze del cuore; sarebbe vano. Tale è il mio destino, mi abbandono in balìa di questo bel sogno, e ti amo! – Ti amo tanto, che ora al punto di separarmi da te sento aggravarmi da grande sventura. Ti amo tanto, e sento che dellʼamor tuo farò la mia vita. Soffrirò, che monta? Tu mi ami, e questa certezza mi sarà di gran conforto; tu parti ma la mia esistenza si lega a te, ed il mio cuore dʼora in poi non avrà più un moto che non sia tuo, lʼanima non avrà più una aspirazione che non sia per te.

«Per quanto recente sia il legame che a te mi unisce, io prevedo che esso durerà per tutta la vita: ma tu o giovinetta, potrai sempre amarmi come io ti amo? Nuova affatto del mondo, tu sorridi facilmente a tutte le soavi impressioni che ti cagiona; io lo so, quando si è privi dellʼesperienza pratica della vita, si pecca per eccesso dʼentusiasmo. È questa la spina che mi tormenta! Tu mi ami forse collʼinscienza di chi ama per la prima volta, ed il tuo affetto non è forse altro che una prova della gentile suscettibilità del tuo cuore.

«Ai primi moti dellʼanima, scambierai forse per amore quel facile accendersi della fantasia che domani potrebbe venir spenta dalla ragione; epperciò la coscienza mʼimpone in questo momento di palesarti tutti i miei dubbi, ed il tuo amore mi lasciò ancora tanto di percezione da poter travedere sebbene da lungi il fine di questo dolce episodio della mia vita. – La confessione che ora ti faccio del mio convincimento ti servirà per togliere dallʼanima tua ogni ombra di rimorso che potesse assalirti allorchè il tuo cuore cesserà di battere per me. —

«Mʼascolta o giovinetta, ascolta lʼamaro vaticinio del mio destino.

«Tu mi ami perchè rappresento la prima promessa del bene che ti apparve alla mente non appena lʼanima tua tendè alle aspirazioni dʼamore. – Io invece ti adoro perchè sei lʼultima larva di felicità che ancor sorrida alle mie speranze; ti adoro perchè col fascino dellʼamor tuo ravvivasti col soffio della mia esistenza, e mercè tua rivedo il sole in tutta la sua luce. – Ti amo, e mi avviticchio alla speranza dellʼamor tuo come il naufrago allʼultima tavola non ancora travolta dal turbinoso sconvolgersi dellʼonde.

«Il tuo amore è inspirato dal benessere, il mio dallo sconforto, ed il frutto di questo affetto sarà necessariamente diverso per entrambi giacchè il tuo cuore amando si apre alla speranza, mentre il mio si concentra nel dubbio e nel timore. – La tua ricca condizione, la tua avvenenza ti danno diritto ad aspirare alle dolcezze della vita; il mondo si apre al tuo sguardo siccome un paradiso di fiori ove ti è dato lo sciegliere a piacimento. – I piaceri del mondo per quanto falsi e fuggevoli affascinano, seducono e rapiscono; ed in breve nella varietà deʼ tuoi desideri, nellʼincertezza delle tue aspirazioni, fra le cure dellʼuno le sollecitudini dellʼaltro, tu dimenticherai ben tosto il tuo povero Ermanno che vive solo del tuo amore.

«A poco a poco la memoria di me, cederà il posto ad unʼaltra più recente, lʼamore per me verrà consumato dallʼamore per unʼaltro, e nello svolgersi di tante nuove sensazioni nellʼanimo tuo, sarà per me gran ventura se ti ricorderai qualche volta i tratti del mio volto. – Io la prevedo questa inevitabile conseguenza; è legge di natura che alla tua età si mutino spesso inclinazioni ed affetti; ma io o Laura, sarò sempre lo stesso, lʼimmagine tua sarà lʼultimo sorriso di gioja che splenderà fino allʼestremo della mia vita.

«I piaceri del mondo non hanno più attrattive per me che ne conosco la trama; io vivrò della tua immagine; e quando il tuo cuore non avrà più un palpito per me, quando la mia memoria verrà travolta nella tua mente, io ti adorerò sempre colla stessa religione, ne accadrà giammai che ti rimproveri menomamente unʼincostanza alla quale sono già fin dʼora rassegnato!

«Perdonami Laura, lʼamarezza di queste parole; lo so, esse ti suoneranno come unʼingratitudine da parte mia, e forsʼanco ti strapperanno una lagrima di dolore; ma un giorno pur troppo ti persuaderai che il presentimento del mio cuore era una ben triste verità. – Ricordati allora o Laura, che nel pronunziare questo fatale vaticinio, io ti ho anticipatamente perdonata ed assolta da ogni rimorso.

«Ed ora, fanciulla mia, ora che il mio amore ti ha tutto svelato il suo dubbio tremendo, ora che questʼanima innamorata ha letto nel libro dellʼavvenire, tergi le lagrime, ed ascolta la voce del mio amore: – Tu parti! fra poche ore abbandonerai questa città, e chi sa quando ci rivedremo. – Addio anima mia! il mio più ardente saluto ti accompagnerà per via; la mia mente ed il mio cuore saranno sempre teco, e benedico con tutto il trasporto la buona stella che ti addusse sul mio cammino… Addio Laura! in questo estremo saluto si concentra tutto lʼardore deʼ miei sensi, tutto lo spirito della mia esistenza! Voglia il cielo restituire a te tutta quella felicità che mi viene dal tuo amore; io vivrò solo, lontano da te ma ti amerò sempre benedicendo al fuoco deʼ tuoi sguardi che mi accesero in seno tal fiamma a cui sarò debitore di tutte le gioje del mio avvenire. —

«Amami come io ti amo; pensa qualche volta a questo infelice che vivrà solo della tua memoria. – Nelle gioje, nelle feste e nei piaceri a cui ti destina lʼelevatezza del tuo grado, non dimenticarti di colui che dal fondo di una piccola città passa tutti i giorni, le ore ed i minuti nello sconforto della solitudine. – Pensa al tuo povero Ermanno che si smarrì neʼ tuoi beglʼocchi, e che non avrà mai più pace lontano da te. —

Addio per lʼultima volta!..

.......

La povera giovinetta nel terminare la lettura di quelle pagine, aveva gli occhi molli di lagrime. Lʼamarezza dei sentimenti espressi in quella lettera, era troppo straziante; Ermanno aveva crudelmente oppresso il di lei cuore, violando con un orribile dubbio lʼamore di quella cara fanciulla, giacchè sotto quelle parole velate da unʼapparente rassegnazione si nascondeva un desolante sconforto.

Era troppo amaro il colpo per il cuore di Laura che amava del più santo affetto. Egli dubitava dunque di lei perdonando anticipatamente unʼincostanza che non aveva diritto di supporre? lʼingrato! A tali riflessioni, Laura sentivasi opprimere di dolore; nullameno rilesse la lettera. – Anche quelle frasi crudeli le erano care perchè sue, e le lagrime elle le solcavano silenziose il ciglio contenevano il perdono a tanta ingratitudine.

Lʼagitazione della gentile fanciulla mentre ripassava le tristi predizioni di Ermanno, era una forte protesta contro quei dubbi scagliati con tanta barbarie.

Ella cercò invano nel riposo un poʼ di tregua al profondo dolore che rattristava, le parole di Ermanno suonavano sempre al di lei orecchio. Tutto il resto della notte lo passò in una veglia angosciosa, e solo sullʼalbeggiare ella potè addormentarsi. – Ma ohimè anche i sogni riproducevano lo strazio dellʼanimo suo; anche in sogno le appariva la figura malinconica di Ermanno che la rimproverava di aver fatta la sua infelicità.

Si alzò palliduccia ed abbattuta. Aprendo gli occhi ella si credette a tutta prima in Brescia, ma volgendo lo sguardo attorno si trovò in casa sua, nella sua camera lontana da lui, da lui che in quella notte di angoscia aveva imparato ad amare maggiormente.

Durante la giornata che le sembrò lunga e nojosa, rilesse varie volte la lettera di Ermanno; ciò lʼattristava vieppiù, ma anche quella tristezza aveva il suo lato gradevole, ed ella compiacevasi nellʼaccrescerla. – La sua casa, il suo giardino, i suoi fiori non avevano più per lei alcuna attrattiva; per tutto eravi un vuoto, ovunque vi mancava una cosa, e Milano, la grandiosa città col suo movimento era diventata per lei un deserto. Oh! Brescia nella sua semplicità le sembrava assai più bella! quei passeggi, quei colli verdeggianti le stavano sempre nella mente. Quanto migliore ella trovava la placida casetta dello zio Ramati! Là tutto era tranquillo, là ella poteva affacciarsi al balcone e respirar lʼaria della sera senza venir disturbata dallʼassordante andirivieni di carrozze. – Ripensando ai bei giorni colà passati, la giovinetta sospirava amaramente trovandosi come dispersa nelle vaste sale del suo alloggio.

La madre si accorse benissimo del cambiamento subitaneo operatosi nel carattere della figlia; ma non ne feʼ gran caso attribuendolo al dispiacere di aver lasciata la cugina Letizia; tuttavia cercò di distrarla conducendola ai passeggi, ai teatri, ovunque insomma vi fosse da impiegare bene il tempo.

Tutto fu vano. – Dopo alcuni giorni, Laura era rassegnata, ma non guarita, e sulle sue labbra più non comparve quel sorriso dʼingenuità che prima le era abituale. Lʼimpressione del distacco erasi alquanto scemata nel volgere di alcuni giorni, nullameno il suo pensiero era sempre rivolto alla cara Brescia, a lui!

Oh! la prima volta che si ama non si può conciliare il dolore colla necessità; collʼesperienza poi si ragiona di più, ma si ama di meno. – È questo un fatto incontestabile; lʼamore è tanto più grande quanto maggiore è lʼegoismo chʼesso inspira. – Laura era egoista, perchè amava per la prima volta, e mal sapeva adattarsi a soffrire.

Tuttavolta veniva a calmarla alquanto lʼidea che un giorno o lʼaltro conoscerebbe quel pittore Bresciano, amico intimo di Ermanno, ed in cuor suo la giovinetta anelava a quel momento, giacchè avrebbe potuto parlare di lui con altri, e ciò era già molto. – Eppoi unʼamico di Ermanno doveva essere necessariamente il suo, e già senza conoscere questo pittore ne sentiva simpatia.

Ma intanto per ora nulla valeva a distrarla. – La memoria di Ermanno era impressa nel di lei cuore, e la lontananza accrebbe quellʼaffetto già così grande.

Con dolorosa compiacenza riandava col pensiero al punto della sua partenza da Brescia, ricordava le sue lagrime, quel saluto scambiatosi dagli sguardi che rivelavano unʼinfinita di pene, una promessa di lunga fede. Rammentando quellʼistante la giovinetta sentivasi ancora inumidire le ciglia.

Madama Ramati potè dar passo per alcuni giorni alla mestizia della figlia quantunque fosse lontanissima dal supporne la vera causa; ma un giorno stanca di consolarla invano, le disse:

– Sii certa figlia mia che non ti condurrò mai più a Brescia. È giusto lʼaffliggersi per qualche tempo, ma infine bisogna pure essere ragionevoli.

Questa minaccia fece divenir Laura più cautelata, e dʼallora seppe nascondere in faccia aʼ suoi la sua mestizia.