Non resta che uccidere

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Aus der Reihe: Un thriller di Adele Sharp #4
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Non resta che uccidere
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N O N   R E S T A
C H E
U C C I D E R E
(Un thriller di Adele Sharp—Libro Quattro)
B L A K E   P I E R C E
EDIZIONE ITALIANA
A CURA DI
ANNALISA LOVAT
Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore statunitense oggi campione d’incassi della serie thriller RILEY PAGE, che include diciassette. Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE che comprende quattordici libri; della serie mistery AVERY BLACK che comprende sei libri;  della serie mistery KERI LOCKE che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE che comprende cinque libri; della serie mistery KATE WISE che comprende sette libri; dell’emozionante mistery psicologico CHLOE FINE che comprende sei libri; dell’emozionante serie thriller psicologico JESSIE HUNT che comprende sette libri (e altri in arrivo); della seria thriller psicologico RAGAZZA ALLA PARI, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della serie mistery ZOE PRIME, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della nuova seria thriller ADELE SHARP e della nuova serio di gialli VIAGGIO IN EUROPA.

Un avido lettore e da sempre amante dei generi mistery e thriller, Blake ama avere vostre notizie, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare informati.


Copyright © 2020 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuitao trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright CloudyStock, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

LA SERIE THRILLER DI ADELE SHARP

NON RESTA CHE MORIRE (Libro #1)

NON RESTA CHE SCAPPARE (Libro #2)

NON RESTA CHE NASCONDERSI (Libro #3)

NON RESTA CHE UCCIDERE (Libro #4)

THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)

IL VOLTO DELLA FOLLIA (Libro #4)

LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)

I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)

LA TRESCA PERFETTA (Libro #7)

L’ALIBI PERFETTO (Libro #8)

LA VICINA PERFETTA (Libro #9)

I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)

FINESTRE OSCURATE (Libro #6)

I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)

SE LEI UDISSE (Libro #7)

GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)

FOLGORAZIONE (Libro #6)

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)

UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE
UNA LEZIONE TORMENTATA

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)

PRIMA CHE FACCIA DEL MALE (Libro #14)

I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)

I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)

CAPITOLO UNO

L’oscurità si imponeva sulla timida luce delle stelle. Da quando la tempesta di due settimane fa aveva imperversato, la statale che attraversava il cuore meridionale della Foresta Nera nella regione del Baden-Württemberg in Germania era diventata insidiosa. I lampioni spenti erano quasi più di quelli accesi lungo la 317. Tra quelli che Herman vedeva dall’interno dell’abitacolo del suo autoarticolato, tre su sette non funzionavano. Uno di essi emetteva un lieve baluginio intermittente blu e giallo. Benone. Due su sette. Però gli addetti alla manutenzione avrebbero dovuto passare. Sfrecciò accanto al lampione morente e si inoltrò in una sezione più buia della strada.

Herman afferrò il volante, mormorando una bestemmia tra i denti mentre guidava il suo grosso veicolo sull’asfalto umido. La neve si era per lo più sciolta, ma il gelo aveva danneggiato i lampioni della statale. Intere porzioni di strada sembravano quasi abbandonate. Herman aveva degli amici – altri autisti – che di questi tempi evitavano quella parte della statale. Ma lui non poteva permettersi di perdere tempo. No, non ora. Guidava quindi lungo la strada solitaria e scarsamente illuminata, sfrecciando in mezzo alla foresta che prendeva la forma di un vortice di marroni e verdi fuori dai suoi finestrini. Stava mettendo il camion alla prova sulla sua capacità di affrontare le urgenze. Aveva già passato Rotmeer e poteva vedere il Feldberg in lontananza.

Non poteva fare tardi. Non stasera. Doveva fare il viaggio di ritorno in tempo per poter dormire un po’ prima dell’udienza per la custodia dell’indomani.

Herman si accigliò al pensiero di ciò che la mattina seguente gli avrebbe portato, e per un brevissimo istante abbassò lo sguardo sulla foto della ragazzina dagli occhi castani attaccata con lo scotch sul cruscotto. Parte della sua frustrazione si dissolse mentre osservava la figlia, così sospesa nel tempo.

Solo un breve momento di disattenzione. Risollevò lo sguardo. E gridò.

C’era qualcuno in mezzo alla strada.

Herman si sentì gelare il sangue, sbatté il piede sul freno e ruotò lo sterzo per evitare la persona.

Le ruote fischiarono, protestando per l’improvviso cambio di direzione e velocità. Herman sentì che la cabina del camion rischiava di ribaltarsi. Il cuore gli era già saltato fuori dal petto e sembrava contorcersi da qualche parte in prossimità della gola. Il suo grido si perse nel fragoroso stridio dei freni. Il camion virò fuori strada, andando a sbattere contro uno dei lampioni. Il palo si piegò e la luce della lampadina si infranse, facendo piovere frammenti di vetro sul parabrezza.

Tre luci su sette. Herman rimase seduto immobile, tremante, il sangue che gli gocciolava dal naso. Gli ci volle qualche secondo per capire che l’airbag era esploso. Le sue mani erano ancora strette sul volante. Per un istante ebbe quasi l’impressione di non poterlo lasciare. Fissò le sue nocche. Aveva la vista offuscata e si sentiva pulsare per l’adrenalina. Le mani erano bianche. Delle gocce rosse cadevano ritmicamente sul dorso. Si portò una mano al viso e sentì un liquido caldo che usciva dal naso.

Scosse la testa e sbatté le palpebre un paio di volte. Aveva colpito la persona?

 

Guardò ancora attraverso il parabrezza e fu nuovamente sconvolto da quanto quelle parti della foresta fossero solitarie e desolate. Nessuno nei paraggi. Guardò da una parte all’altra della strada, allungando lo sguardo in lontananza rispetto a dove si era schiantato, e notò che non c’erano auto parcheggiate a bordo strada. Un lento brivido di paura gli attraversò la schiena.

Herman avrebbe voluto chiudersi a chiave nella cabina del camion e chiamare la polizia. Ma un piccolo e fastidioso senso di preoccupazione gli fece riabbassare lo sguardo sulla foto attaccata al cruscotto. La persona in mezzo alla strada gli era sembrata una ragazzina. Uno slancio di coraggio lo spinse sul bordo del suo sedile. Si sganciò la cintura, spinse da parte l’airbag e aprì la portiera.

Normalmente, anche se era un uomo di mezz’età, era abbastanza atletico da venire giù dal camion con un salto. Ma adesso, con le gambe tremanti, scelse di usare il gradino metallico e smontò lentamente dall’abitacolo.

Il freddo lo avvolse come una coperta. A quanto pareva, un vento gelido aveva iniziato a soffiare. Sopra a lui, il lampione che aveva colpito era morto. Quello dall’altra parte della strada, qualche centinaio di metri più indietro, lampeggiava ancora nel suo bagliore blu.

Fu in quella foschia di luce pulsante che scorse di nuovo la persona. Una donna. Una ragazza. Forse una via di mezzo tra le due. Giovane, certo non più di vent’anni. Stava in mezzo alla strada e sembrava non essersi spostata di un centimetro da dove l’aveva vista la prima volta. In piedi. Che stesse in piedi era un segno positivo. Significava che era ancora viva.

“Salve! Fräulein!” la chiamò. “Si sente bene?” Sollevò una mano, facendosi vedere in mezzo alla statale.

La donna non si voltò. Continuava a fissare davanti a sé, rivolta verso la strada aperta.

Herman guardò da una parte e poi dall’altra, seguendo con gli occhi la strada che serpeggiava in mezzo alla foresta, seguendo una pendenza regolare. C’erano rami scuri con foglie mosse dal vento che si estendevano oltre i bordi della strada. Altri alberi erano stati tagliati, eliminati per fare spazio ai pali del telefono o per non generare pericolo lungo la statale.

Da dove era saltata fuori la ragazza? Non c’era nessun veicolo in vista.

Herman sussultò, sentendo un livido che si stava formando sulle sue costole, dove l’airbag l’aveva colpito. Il naso gocciolava ancora sangue, che si stava lentamente rapprendendo nell’incavo sopra al suo labbro superiore. Sentì un sapore amarognolo e salato mentre parte del sangue gli si infiltrava dall’angolo della bocca. Se lo asciugò con una mano, sempre avvicinandosi cautamente alla ragazza in mezzo alla strada.

Il suo camion era ancora piegato attorno al lampione, che era conciato molto peggio del veicolo. Il suo autoarticolato avrebbe potuto tornare in strada. L’autista continuò ad avanzare, una mano tesa a indicare calma. La ragazza ancora non si girava verso di lui.

A quel punto scorse il sangue.

Rivoli color cremisi scorrevano lungo le sue braccia e cadevano dalle punte delle dita finendo a terra. I suoi piedi erano callosi e screpolati, ricoperti di graffi e tagli. Non indossava scarpe, e dalla condizione in cui versavano i piedi, doveva aver corso scalza in mezzo alla foresta. C’erano degli squarci nella sottile maglietta grigia che indossava. Le braccia presentavano dei tagli. Indossava solo biancheria intima, niente pantaloni.

Herman sentì un altro brivido e fissò la ragazza, guardandola negli occhi. Alla fine lei parve notarlo, come se si fosse destata da un torpore. Lo guardò e iniziò a gridare.

Il suono riecheggiò tra colline e foreste, passando in mezzo agli alberi e allargandosi sulla statale come una cortina di ghiaccio. Con esso sopraggiunse un’orribile sensazione di gelo. Herman scosse la testa, rifiutando di permettere e se stesso di dare ascolto al proprio stomaco. Il suo istinto gli diceva di fuggire, di correre al suo camion, di entrare nella cabina e scappare via, lasciandosi alle spalle questo problema. Notò che anche le mani della ragazza erano insanguinate e con esitazione le chiese: “Geht’s dir gut? Stai bene?”

Lei stava scuotendo la testa, tremando, il mento spinto in avanti. I suoi occhi non si erano posati su di lui fino a pochi secondi prima, ma ora sembravano non voler guardare altro. La giovane continuava a fissarlo, disperata, un’espressione implorante. Alla fine parlò.

Se la morsa del gelo poteva avere un tono di voce, sarebbe stato come quello con cui la ragazza pronunciò le sue parole. La sua voce era gracchiante e andava a intermittenza. “Per favore,” disse, disperata. Il suo tedesco rivelava un accento americano. Herman sussultò, cercando di capire. “Per favore, non permettergli di riprendermi. Per favore, non permettergli di riprendermi!”

Ora Herman era vicino a lei. Tese una mano e la tenne sospesa sopra alla spalla della ragazza. Non era sicuro se toccarla o no. Voleva confortarla, farle sapere che sarebbe andato tutto bene. Ma allo stesso tempo non voleva spaventarla. Quindi abbassò la mano e cercò invece di comunicare calore e gentilezza attraverso gli occhi. Sentiva che il naso gli sanguinava ancora, ma lo ignorò.

“Da dove sei saltata fuori, piccola?”

La ragazza tirò il bordo della sua maglietta, come se si fosse improvvisamente resa conto che era mezza nuda in mezzo alla statale. Si guardò attorno, fissando in direzione degli alberi.

“Ce ne sono altri,” disse disperata. “Lui ci tiene rinchiusi, nascosti, nessuno può trovarci. Sono riuscita a scappare a malapena. Per favore. Sono stata lì… non so per quanto tempo. Per favore, lui li ucciderà!”

La terribile sensazione che prima lo aveva fatto fremere ora si ripresentò più potente. Herman la fissò e deglutì. “Chi?”

La ragazza lo guardò e rispose: “Per favore, per favore, non permettergli di riprendermi.”

Herman cercò di placarla, mentre con la mano rovistava in tasca e si rendeva conto che il telefono era rimasto nel camion.

Le fece segno e aggiunse velocemente: “Andiamo, veloce. Devo portarti in ospedale. Per favore, sarai al sicuro. Andiamo via dalla strada.”

Ci mise un po’ a convincerla, gli ci volle pazienza, aiutandosi con i gesti della mano. Ma alla fine la ragazza lo seguì zoppicante, lasciando impronte insanguinate dietro di sé. Si allontanò dal centro della strada e si diresse verso l’autoarticolato. Le gocce di sangue macchiarono l’asfalto bagnato. La luce blu che lampeggiava a scatti all’improvviso si spense del tutto mentre Herman la guardava.

Ogni passo era un salto nel buio. Gli alberi incombevano su di loro tutt’attorno, la foresta e la solitudine erano opprimenti.

“Vieni, veloce,” le disse Herman.

La aiutò a montare sul camion, delicatamente, facendo del proprio meglio per non toccarla. Ogni volta che per sbaglio la sfiorava, lei sembrava sussultare.

Poi fece di corsa il giro del camion, salì in cabina e, senza aspettare, fece retromarcia staccandosi dal lampione piegato. Avrebbe dato un’occhiata più approfondita al mezzo la mattina dopo. Per ora, voleva andarsene da quella statale maledetta, da quelle luci lampeggianti, da quella foresta desolata.

“Dove mi stai portando?” chiese lei sottovoce, gli occhi sgranati.

“All’ospedale,” le disse. “La polizia può venirci incontro lì. Andrà tutto bene. Te lo prometto. Chiunque ti abbia fatto del male, non è qui adesso, sei al sicuro.”

La ragazza si lasciò andare a un singhiozzo tremante, il petto che sobbalzava, gli occhi fissi sulla strada, poi chiusi, le palpebre che si muovevano a scatti. Quando la stanchezza ebbe la meglio e lei si appoggiò allo schienale, macchiando il sedile del passeggero, mormorò: “Gli altri non sono al sicuro. Lui farà loro del male. Lui li ucciderà per quello che ho fatto.”

CAPITOLO DUE

Niente ascensore nel suo nuovo appartamento, ma ad Adele le scale non davano fastidio. La sua mano scivolava sul corrimano in legno lucido, mentre con la mente rivangava vecchi ricordi. Ricordava di quando scendeva saltellando questi gradini di marmo. Ricordava di quando si fermava a guardare la porta dall’altra parte delle cassette della posta. L’appartamento 1A. Le lettere argentate si erano scrostate ed erano state sostituite. In effetti l’intero appartamento era stato ristrutturato. Anche le luci sopra la sua testa non erano più lampeggianti e soffuse, ma fornivano una solida illuminazione ad atrio e scale. Adele fece l’ultimo gradino fermandosi in fondo alle scale e ricomponendosi.

Di nuovo in Francia. Non l’avrebbe mai detto.

Si passò una mano tra i capelli biondi che le arrivavano alle spalle e sorrise. Era passato meno di un mese dall’ultima volta che aveva visto suo padre. Quella faccenda al resort sciistico si era conclusa in modo strano. Adele avrebbe voluto andare a trovare suo padre per Natale, ora che si era trasferita in Europa. Ma il suo appartamentino in Francia era lontano dalla casa in Germania dove lui abitava, e la tempesta di neve di due settimane fa le aveva impedito il viaggio. Quindi aveva passato quella settimana con Robert, festeggiando il Natale alla sua villa.

Si portò una mano all’orecchio e toccò gli orecchini di diamante a goccia che le aveva comprato. Adele normalmente non era tipa da gioielli, ma un regalo di Robert era sempre qualcosa di speciale. Si accigliò, abbassando la mano e fissando la porta dell’appartamento di fronte. Robert sembrava non stare bene. Ogni volta che glielo chiedeva, lui negava, ma poi si metteva a tossire e a volte addirittura si scusava e usciva dalla stanza.

Scosse la testa, pensando che sarebbe stato meglio affrontare l’argomento in maniera più decisa l’ultima volta che l’aveva visto. Ma i festeggiamenti di Natale non le erano sembrati il momento adatto.

E ora, non solo era tornata in Francia, ma si era trasferita addirittura nell’appartamento dove un tempo viveva con sua madre. Il destino aveva fatto il suo gioco: l’unità si era resa disponibile solo una settimana dopo che Adele aveva iniziato la sua caccia a Parigi. Forse non si trattava solo di destino: forse era qualcosa di più vicino all’inevitabilità.

Adele tirò fuori dalla tasca un piccolo taccuino in pelle marrone e ne sfogliò le pagine, il suo umore che si incupiva. Si appoggiò al corrimano, rivolta verso l’1A mentre studiava il bloc notes.

Ogni indizio, ogni possibile pista, e alcune di quei dettagli – lo sapeva – la polizia non li aveva neanche mai conosciuti. Suo padre aveva cercato per anni l’assassino di Elise. E ora le aveva ceduto il taccuino, passandole effettivamente il testimone.

Erano tre settimane che Adele passava al setaccio il quadernetto, tra i vari spostamenti e i festeggiamenti di Natale. Tre settimane di tempo a scorrere gli appunti di suo padre, a catalogarli, a memorizzarli. Aveva nel suo computer diversi file che usava per smistare gli appunti. Alla fine avrebbe trovato qualcosa.

Tornare a questo appartamento? Non la stessa unità, ma lo stesso edificio che un tempo aveva condiviso con sua madre. Non si trattava di nostalgia: c’era uno scopo. Adele non si considerava una persona particolarmente nostalgica.

Lei era un segugio con una traccia da seguire. Pagina trentasette.

Ci tornò e rilesse le righe ora impresse nella sua mente.

“Qualcuno si sta scambiando biglietti… scritti a mano. Buffo?”

Adele scosse la testa. Aveva già chiesto a suo padre cosa significasse, ma neanche lui non era stato in grado di darle una spiegazione. Era semplicemente il ricordo di una conversazione che aveva avuto con la sua ex moglie. La prima volta che aveva sospettato che in Francia ci fosse qualcosa che non andava. La sua ex moglie lo aveva chiamato e gli era sembrata agitata. Gli aveva detto che qualcuno stava scambiando qualcosa. Adele strinse i denti. Suo padre non era mai stato un grande ascoltatore. Almeno l’aveva scritto prima di dimenticarsene completamente. Qualcuno stava scambiando biglietti, scritti a mano, buffo…

Quindi qualcuno stava scambiando biglietti. Cosa significava esattamente?

Adele tamburellò con il blocchetto contro la mano e fissò le cassette della posta.

Aveva già parlato con il postino. Un tipo giovane, non più di trent’anni. Certo non poteva darle un aiuto in merito. Aveva cercato di avere da lui delle informazioni su chi portasse la posta in quell’edificio quasi dieci anni fa. Non aveva saputo risponderle. Non glielo poteva dire. Informazioni confidenziali.

Se qualcuno stava scambiando la posta di sua madre lasciando dei biglietti, forse si trattava di uno stalker. Qualcuno che aveva un interesse per lei. Forse l’assassino stesso?

 

Ma le cassette erano chiuse. Non le mandava biglietti… li scambiava. Così diceva il messaggio. Così ricordava suo padre. Era stato irremovibile su quel punto. Al telefono, quella volta, sua madre si era mostrata agitata perché qualcuno scambiava biglietti.

Ma perché succedesse, qualcuno doveva avere bisogno della chiave della posta. Neanche il locatore ne aveva una. Adele aveva già tentato di chiamare l’ufficio postale un po’ di volte, ma si erano rifiutati di fornirle l’informazione al telefono. Aveva pensato di usare le sue credenziali, ma senza una cassetta attiva, sarebbe stata un’infrazione del protocollo e motivo di terminazione del contratto. Questa era solo la seconda settimana che lavorava da corrispondente per il DGSI, fra i casi gestiti dall’Interpol. Usare delle credenziali senza permesso probabilmente non era la tattica migliore.

Ma ora Adele aveva una nuova idea.

Percorse il corridoio e si avvicinò alla porta dell’1A, sollevò la mano e bussò con delicatezza.

Un rumore dall’interno, poi il silenzio. Adele bussò un po’ più forte. Altri fruscii, poi dei passi.

Poi il rumore della catena che tintinnava e la porta si aprì. All’interno, l’appartamento era piuttosto ordinato. Una credenza piena di piatti e tazze era collocata dall’altra parte di un tavolo, attorno al quale erano ordinatamente disposte quattro sedie imbottite. La donna che stava di fronte ad Adele era anziana, con rughe sulla fronte e attorno agli occhi. Aveva al collo un medaglione appeso a una catenina e indossava un cardigan rosa. La donna inarcò un sopracciglio quando il suo sguardo si posò su Adele. “Ancora tu?” disse nel suo roco francese.

“Sì,” rispose Adele, parlando francese e annuendo educatamente. Pochissimi parigini potevano sentire che la prima lingua di Adele non era la loro. Parlava con un leggero accento, secondo alcuni, ma per altri era difficile coglierlo. “Mi chiedevo se avesse un momento per parlare.”

“Non di nuovo riguardo agli affittuari, vero?” disse la proprietaria. “Te l’ho già detto prima: non posso dire niente.”

Adele, il sorriso fisso stampato in faccia, annuì educatamente. “Ricordo. No, niente affittuari. Il postino.”

Le sopracciglia della locatrice sembravano permanentemente inarcate. “Come ti ho detto, non ricordo. Sono passati anni.”

“Sì” disse Adele, “ma i locatori in Francia devono tenere dei registri, no? Per motivi fiscali.”  Ecco il rischio. Ma Adele doveva seguire il suo istinto. Si voltò a guardare nell’appartamento, gli occhi che scrutavano l’arredamento ben disposto, i muri dipinti di fresco. Tutto nell’edificio, e nella sua ristrutturazione, suggeriva ordine.

“Lei non usa il computer per i suoi registri, vero?” chiese Adele.

La donna si accigliò. Si sistemò gli occhiali e scosse la testa coronata da capelli d’argento. “E anche se non lo facessi?”

Adele deglutì. “Ed è proprietaria di questo edificio da quanto? Dieci anni?”

“Faccio parte della famiglia da cinquanta. Sì, ne sono la proprietaria. Il mio ultimo marito dava una mano, ma faccio io la maggior parte del lavoro. E quindi?”

“Mi chiedevo se ci fossero delle dispute. Pacchi spariti, reclami. Oggetti fragili che sono andati rotti. In un edificio così grande, dev’esserci ogni tanto qualcuno con un problema.” Adele deglutì ancora. “Nello specifico, qualsiasi cosa sia successa una decina di anni fa o prima.”

La donna sbatté le palpebre dietro alle lenti dei suoi occhiali. “Ho una cartella per i reclami. Non so a quando risalgano. Ma quindi? Senza un mandato, non posso certo mostrarteli.”

Adele annuì, sentendo un brivido lungo la schiena. “Perché non vuole tradire i suoi affittuari, capisco. Ma cosa mi dice di affittuari che non abitano più qui? Gente che se n’è andata? Di sicuro non sarebbe un’invasione della privacy. Nello specifico… che mi dice di mia madre?” Ora toccò ad Adele scrutare la padrona di casa, aspettando con pazienza.

La donna arricciò il naso. “Non vuoi proprio mollare l’osso, eh?” La sua voce era roca per l’età, ma nei suoi occhi c’era un luccichio che spinse Adele a dire: “Se potessi, lo farei. Per favore, non mi interessano i locatari. Solo il postino. Che comunque sarebbe un’informazione pubblica, no?”

La donna si schiarì la gola. “Hai provato a chiamare la società?”

Adele sussultò. “Sì.”

“E?”

“Mi hanno detto che sono informazioni confidenziali,” aggiunse rapidamente. “Ma questo e dalla loro parte. Devono salvaguardare i registri dei dipendenti. Ma una disputa pubblica, un pacco andato perso… oppure,” si leccò le labbra, “posta manomessa… sarebbe scritto nel registro, no? Per favore, non glielo chiederei se non fosse importante. Elise Romei. Se la ricorda? Mia madre. Abitavamo qui una quindicina d’anni fa.”

Con sorpresa di Adele, la donna parve reagire al nome. Sgranò gli occhi e sbatté le palpebre dietro ai suoi occhiali. “Elisa Romei?” disse. “Certo che me la ricordo. Ricordo ancora la polizia, quando sono venuti a fare domande. Che tragedia. Hai detto che è tua madre?”

Adele annuì. “Non so se si ricorda. Ma in effetti vivevo qui anche io. Con mia madre. Avrei dovuto dirglielo quando ho firmato il contratto d’affitto, ma ho pensato che non fosse importante.”

“Sì? Però adesso lo è?”

Adele annuì, in silenzio, paziente. Guardò l’anziana donna. In qualche modo poteva notare qualcosa di familiare in quegli occhi intelligenti che la scrutavano da un volto raggrinzito. La donna guardava Adele a sua volta, studiandola, valutandola. Poi disse: “Non posso farti promesse. Ma darò un’occhiata. Lasciami qualche ora. Se trovo dei nomi su un modulo di reclamo per un postino, dove ci sia coinvolta tua madre, te lo faccio sapere. Ma di altri tenutari non posso. Ti va bene?”

Adele sorrise, pervasa da un’ondata di sollievo. “Sarebbe meraviglioso, grazie.”

La donna sorrise, le rughe attorno agli occhi che si facevano più evidenti, e annuì. Poi, lentamente, fece per chiudere la porta.

Adele fece un altro sospiro di sollievo e fissò la porta chiusa e dipinta da poco. Ora avrebbe solo dovuto aspettare. La locatrice aveva il suo numero.

Sperava solo che quella pista portasse i suoi frutti. Qualcuno scambiava biglietti. Scritti a mano. Buffo? Quell’ultima parte ancora non aveva senso, ma Adele sperava di poter capire tutto parlando con il postino. E se l’assassino era lui? Una persona che anni fa consegnava pacchi e posta avrebbe avuto l’alibi perfetto per intrufolarsi negli edifici e spiare le sue ignare vittime. Adele non ne era certa, ma si sentiva più vicina di prima alla soluzione.

Trattenne comunque l’emozione, non volendo sperare troppo, ed uscì dalla porta sul davanti, passando in strada. Si fermò un momento, rivolta verso la fermata dell’autobus di fronte a un bar. Sopra notò un cartello del limite di velocità. Chilometri, non miglia. Piccole differenze, ma piccole differenze importanti.

Adele sospirò. Doveva solo aspettare la risposta della padrona di casa.