Killer per Caso

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Aus der Reihe: Un Mistero di Riley Paige #5
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Killer per Caso
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Killer per Caso
Killer per Caso
Hörbuch
Wird gelesen Alessia De Lucia
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Riley sentì di nuovo la voce di Garrett Holbrook.

“Continua a ripeterlo: non tornerà al ricovero. Ma ho un’idea. Una delle mie sorelle, Bonnie, sta pensando all’adozione. Sono certo che lei e suo marito sarebbero entusiasti di avere Jilly. Sempre se lei …”

L’uomo fu interrotto dalle urla di gioia della ragazza, che continuava a gridare: “Sì, sì, sì!” ancora e ancora.

Riley sorrise. Era proprio il genere di momento di cui aveva bisogno in quel momento.

“Sembra un ottimo piano, Garrett” disse. “Fammi sapere come andrà a finire. Grazie infinite per tutto il tuo aiuto.”

“Quando vuoi” Garrett rispose.

Misero fine alla telefonata. Riley tornò sulla porta, e vide che Ryan ed April sembravano impegnati in una serena conversazione. Improvvisamente, le cose parevano andare davvero meglio. Nonostante tutti i fallimenti suoi e di Ryan, avevano dato ad April una vita di gran lunga migliore di quella che avevano molti ragazzi.

“Riley.”

La donna si voltò e vide il volto amichevole di Bill. Mentre si allontanava dalla porta per parlare con lui, Riley non poté fare a meno di spostare lo sguardo tra il suo partner storico e il suo ex marito. Persino nel suo attuale stato di agitazione, Ryan sembrava l’avvocato di successo che era.

Il suo bell’aspetto, gli splendidi capelli biondi e i suoi modi eleganti gli aprivano le porte ovunque andasse. Bill, come aveva compreso spesso, assomigliava più a lei. I suoi capelli scuri mostravano aree grigie; era più robusto e aveva molte più rughe di Ryan. Ma Bill era competente nel suo campo ed era uno su cui lei poteva sempre contare.

“Come sta?” Bill chiese.

“Meglio. Come sta andando con Joel Lambert?”

Bill scosse la testa.

“Quel piccolo criminale è un bel tipo” disse. “In ogni caso, sta parlando. Dice che conosce dei tizi che hanno guadagnato molto sfruttando le ragazzine, e pensava di provarci lui stesso. Non mostra alcun rimorso, è un sociopatico fino all’osso. Ad ogni modo, sarà senz’altro giudicato colpevole di reato e passerà del tempo in carcere. Probabilmente, alla fine chiederà il patteggiamento.”

Riley si accigliò. Odiava i patteggiamenti. E questo le dava particolarmente noia.

“So come ti fa sentire la cosa” Bill disse. “Ma immagino che lui solleverà un polverone, e noi saremo in grado di mettere molti bastardi dietro le sbarre. E’ una buona cosa.”

Riley annuì. Era utile sapere che da quella terribile disavventura sarebbe uscito qualcosa di buono. Ma aveva bisogno di parlare con Bill di altro, e non aveva idea di come dirglielo.

“Bill, riguardo il mio ritorno al lavoro …”

L’uomo le diede una pacca sulla spalla.

“Non devi dirmi niente” disse. “Non puoi lavorare per un po’. Hai bisogno di staccare. Non preoccuparti, lo capisco. Così come tutti a Quantico. Prenditi tutto il tempo che ti serve.”

Poi, guardò il suo orologio.

“Scusa se scappo via, ma …”

“Va’ pure” Riley disse. “E grazie di tutto.”

Riley abbracciò Bill, prima che se ne andasse, e rimase nel corridoio, riflettendo sul prossimo futuro.

“Prenditi tutto il tempo che ti serve” Bill aveva detto.

Il che non sarebbe stato facile. Ciò che era appena accaduto ad April le rammentava che il male era lì fuori. Spettava a lei fermarlo quanto più possibile. E, se aveva imparato una cosa nella vita, era che il male non riposava mai.

CAPITOLO DUE

Sette settimane dopo

Quando Riley giunse all’ufficio della psicologa, trovò Ryan seduto da solo nella sala d’attesa.

“Dov’è April?” gli chiese.

Ryan fece un cenno con il capo verso una porta chiusa.

“E’ con la Dottoressa Sloat” disse, sembrando a disagio. “Avevano qualcosa di cui parlare da sole. Poi, dovremmo entrare noi due e unirci a loro.”

Riley sospirò e si sedette su una sedia accanto a lui. Lei, Ryan ed April avevano vissuto molte ore emotivamente faticose durante le ultime settimane. Questa sarebbe stata la loro ultima sessione con la psicologa prima di prendere una pausa per le vacanze di Natale.

La Dottoressa Slot aveva insistito che l’intera famiglia partecipasse alla ripresa di April. Era stato piuttosto dura per tutti loro. Ma, con grande sollievo di Riley, Ryan aveva preso parte con entusiasmo al processo. Era venuto a tutti gli incontri, compatibilmente con i suoi impegni, ed aveva persino ridotto la sua mole di lavoro per dedicare più tempo alla cosa. Oggi, aveva accompagnato in auto April lì dalla scuola.

Riley studiò il volto dell’ex marito, che guardava la porta dell’ufficio. In molti modi, sembrava un uomo cambiato. Poco tempo prima si era rivelato disattento fino al punto di essere gravemente inadempiente come genitore. Aveva sempre insistito che tutti i problemi di April fossero colpa di Riley.

Ma il fatto che la ragazza si drogasse e fosse quasi entrata nel mondo della prostituzione aveva cambiato qualcosa nell’uomo. Dopo essere uscita dalla clinica, April era stata a casa con Riley per sei settimane. Ryan era andato spesso a trovarle, unendosi a loro per il Ringraziamento. A volte, sembravano quasi una famiglia funzionante.

Ma Riley continuava a ricordare a se stessa che non avevano mai funzionato come famiglia.

Questo potrebbe cambiare ora? si chiese. Voglio che cambi?

Riley si sentiva distrutta, persino un po’ in colpa. Per molto tempo aveva provato ad accettare il fatto che il suo futuro probabilmente non avrebbe compreso Ryan. Si era ormai convinta che, forse, potesse esserci un altro uomo nella sua vita.

C’era sempre stata una sorta di attrazione tra lei e Bill. Ma si erano anche scontrati di tanto in tanto. Inoltre, il loro rapporto professionale rendeva difficile mescolare il tutto con i sentimenti.

Il suo vicino gentile ed attraente della porta accanto, Blaine, sembrava una migliore prospettiva, specialmente da quando la figlia Crystal era diventata la migliore amica di April.

Ma a volte, proprio come ora, Ryan sembrava quasi lo stesso uomo di cui si era innamorata diversi anni prima. Come sarebbero andate le cose? Davvero non lo sapeva.

La porta dell’ufficio si aprì e uscì fuori la Dottoressa Lesley Sloat.

“Vorremmo vedervi ora” disse sorridendo.

Riley apprezzava da molto ormai la bassa, tozza e buona psicologa, ed anche April l’ammirava chiaramente.

Riley e Ryan entrarono nell’ufficio e si sedettero su un paio di comode sedie imbottite. Erano di fronte ad April, che era seduta su un divano accanto alla dottoressa. April sorrideva debolmente. La Dottoressa Sloat le fece cenno di cominciare a parlare.

“Questa settimana è accaduta una cosa” April esordì. “E’ molto difficile parlarne …”

Il respiro di Riley accelerò e sentì il cuore battere più forte.

“Ha a che fare con Gabriela” April proseguì. “Forse dovrebbe essere qui oggi a parlarne anche lei, ma non lo è, perciò …”

La voce di April si bloccò.

Riley fu sorpresa. Gabriela era una robusta donna guatemalteca di mezza età, che era stata la governante della famiglia per anni. Si era trasferita da Riley ed April, ed era ormai come un membro della famiglia.

April prese un respiro profondo e continuò: “Un paio di giorni fa, lei mi ha detto qualcosa che non vi ho detto. Ma penso che dobbiate saperlo. Gabriela mi ha detto di avere intenzione di andarsene.”

“Perché?” Riley sussultò.

Ryan sembrò confuso. “Non la paghi abbastanza?” chiese.

“E’ a causa mia” April disse. “Ha detto che non ce la faceva più. Che era una responsabilità troppo grande per lei impedire che io mi faccia del male o mi faccia uccidere.”

April si fermò. Una lacrima si formò nell’occhio.

“Ha detto che per me era troppo facile sgattaiolare fuori senza che lei se ne accorgesse. Non riusciva a dormire la notte, perché si chiedeva se io mi stessi mettendo in pericolo. Ha detto che, ora che sto di nuovo bene, se ne andrà via subito.”

Riley fu scossa, in panico. Non aveva alcuna idea delle intenzioni di Gabriela.

“La ho pregata di non andarsene” la ragazza disse. “Sono scoppiata a piangere, così come lei. Ma non sono riuscita a farle cambiare idea, ed ero terrorizzata.”

April soffocò un singhiozzo e si asciugò gli occhi con un fazzoletto.

“Mamma” April disse, “alla fine mi sono messa in ginocchio. Ho promesso di non farla sentire mai, mai più in quel modo. Infine… infine, lei mi ha abbracciata e ha detto che non sarebbe andata via, fino a quando avrei mantenuto la mia promessa. E io lo farò. Lo farò davvero. Mamma, papà, non farò preoccupare mai più voi, Gabriela o chiunque altro.”

La Dottoressa Sloat dette un colpetto alla mano di April e sorrise a Riley e Ryan.

La donna disse: “Immagino che April stia cercando di dire che ha svoltato un angolo.”

Riley vide Ryan tirare fuori un fazzoletto e asciugarsi gli occhi. Lo aveva raramente visto piangere. Ma comprese come lui si sentiva. Sentì anche la sua stessa gola stringersi. Era Gabriela— non Riley o Ryan — che aveva fatto vedere la luce ad April.

Nonostante ciò, Riley si sentì felice del fatto che la sua famiglia si sarebbe riunita e sarebbe stata in buona saluta per Natale. Ignorò il presentimento che la scuoteva dentro, quella brutta sensazione che i mostri nella sua vita le avrebbero rovinato la vacanza.

CAPITOLO TRE

Quando Shane Hatcher entrò nella biblioteca della prigione il giorno di Natale, l’orologio da parete mostrava che mancavano esattamente due minuti allo scoccare dell’ora.

 

Tempistica perfetta, pensò.

Nel volgere di pochi minuti sarebbe evaso.

Era contento di vedere le decorazioni natalizie appese qui e là. Tutte erano state realizzate in polistirolo colorato, naturalmente: niente di pesante o con spigoli o utile come corda. Catcher aveva trascorso molti Natali a Sing Sing, e l’idea di provare a rievocare lo spirito della festività lo colpiva assurdo.

Scoppiò quasi a ridere ad alta voce, quando vide Freddy, il taciturno bibliotecario della prigione, che indossava un cappello da Babbo Natale.

Seduto alla scrivania, Freddy si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso cadaverico. Quel sorriso fece capire ad Hatcher che tutto stava procedendo secondo i piani. L’uomo annuì silenziosamente, e ricambiò il sorriso. Poi, camminò tra due scaffali ed aspettò.

Non appena l’orologio scoccò l’ora, Hatcher sentì il suono della porta, che si apriva all’estremità della biblioteca. Pochi istanti dopo, un camionista entrò, spingendo un grosso bidone in plastica su ruote. La porta si chiuse rumorosamente dietro di lui.

“Che cos’hai per me questa settimana, Bader?”Freddy chiese.

“Che cosa credi che abbia?” l’uomo rispose a sua volta. “Libri, libri, libri.”

Il camionista dette una rapida occhiata in direzione di Hatcher, poi distolse lo sguardo. Naturalmente, quell’uomo stava seguendo il piano. Da quel momento in poi, sia lui sia Freddy si comportarono come se Hatcher non fosse affatto presente.

Eccellente, pensò Hatcher.

Insieme, Bader e Freddy misero i libri su un tavolo in acciaio con ruote.

“Che ne dici di una tazza di caffè allo spaccio?” Freddy chiese al camionista. “O forse un po’ di zabaione caldo? Lo servono per le feste.”

“Ci sto.”

I due uomini continuarono a chiacchierare del più o del meno, mentre sparivano attraverso le doppie porte scorrevoli, fuori dalla biblioteca.

Hatcher rimase in silenzio per un istante, studiando l’esatta posizione del bidone. Aveva pagato una guardia per far sì che spostasse leggermente la telecamera di sorveglianza, puntandola in modo tale che ci fosse un punto morto nella biblioteca e le guardie che controllavano i monitor non l’avevano ancora notato. Sembrava che il camionista avesse perfettamente colto nel segno.

Hatcher venne silenziosamente fuori dalla sua posizione in mezzo agli scaffali, e si posizionò all’interno del bidone. Il camionista aveva lasciato una pesante e grossa coperta sul fondo. L’uomo la usò per coprirsi.

Quello era l’unica fase del piano di Hatcher, in cui pensava che nulla avrebbe potuto andare male. Se anche qualcuno fosse entrato in biblioteca, dubitava che si sarebbe disturbato a guardare all’interno del bidone. Altri, che normalmente avrebbero controllato attentamente all’interno del camion mentre partiva, erano stati pagati.

Non che lui fosse preoccupato o nervoso. Non aveva provato quelle emozioni da circa tre decenni ormai. Un uomo che non aveva niente da perdere nella vita non aveva alcun motivo di essere ansioso o di sentirsi a disagio. La sola cosa che poteva destare il suo interesse era la promessa dell’ignoto. Giacque sotto la coperta, ascoltando attentamente. Sentì l’orologio da parete scoccare l’ora.

Ancora cinque minuti, pensò.

Questo era il piano. Quei cinque minuti avrebbero dato a Freddy una giustificazione credibile. Poteva onestamente dire di non aver visto Hatcher nascondersi nel bidone. Poteva dire di aver pensato che Hatcher fosse uscito prima dalla biblioteca. Quando i cinque minuti sarebbero trascorsi, Freddy ed il camionista sarebbero ritornati, ed Hatcher sarebbe uscito dalla biblioteca per poi venire trasportato fuori dalla prigione.

Nel frattempo, Hatcher si perse nei suoi pensieri, riflettendo sul da farsi una volta ottenuta la libertà. Aveva recentemente sentito delle notizie che valevano il rischio, rendendolo persino interessante.

Hatcher sorrise quando pensò ad un’altra persona che si sarebbe interessata alla sua fuga. Avrebbe voluto vedere il volto di Riley Paige, quando avrebbe scoperto che lui era ormai a piede libero.

Sorrise davvero.

Sarebbe stato bello rivederla.

CAPITOLO QUATTRO

Riley osservò April aprire la scatola contenente il regalo di Natale che Ryan le aveva portato. Si chiese quanto Ryan fosse sulla stessa lunghezza d’onda dei gusti della figlia di quei giorni.

April sorrise, mentre tirava fuori un braccialetto.

“E’ bellissimo, papà!” disse, dandogli un bacio sulla guancia.

“So che è all’ultimo grido” Ryan osservò.

“Sì!” confermò April. “Grazie!”

Poi, la ragazza fece un occhiolino appena accennato a Riley, che soffocò a stento una risatina. Soltanto pochi giorni prima, April le aveva detto che odiava quegli sciocchi braccialetti indossati da tutte le ragazze. Nonostante tutto, però, April stava facendo del suo meglio per sembrare entusiasta.

Naturalmente, Riley sapeva che non stava recitando del tutto: April era contenta che suo padre avesse almeno fatto uno sforzo per farle un regalo di Natale che lei avrebbe apprezzato.

Riley provò la stessa sensazione riguardo alla costosa borsa che Ryan le aveva regalato. Non rispecchiava affatto il suo stile, e non l’avrebbe mai usata—ad eccezione di quando sapeva che Ryan sarebbe stato presente. E, per quanto ne sapesse lei, Ryan si sentiva esattamente nello stesso modo per il portafoglio che lei ed April gli avevano regalato.

Stiamo provando ad essere di nuovo una famiglia, Riley pensò.

E, per il momento, sembrava che ci stessero riuscendo.

Era la mattina di Natale, e Ryan era appena arrivato per trascorrere la giornata con loro. Riley, April, Ryan e Gabriela erano tutti seduti accanto al fuoco del camino e gustavano una cioccolata calda. Il profumo delizioso della grandiosa cena natalizia di Gabriela fuoriusciva dalla cucina.

Riley, April e Ryan indossavano tutti le sciarpe che Gabriela aveva realizzato per loro, e lei indossava invece le morbide pantofole che April e Riley le avevano regalato.

Il campanello suonò, e Riley andò ad aprire la porta. Il suo vicino Blaine e la figlia adolescente Crystal erano di fronte a lei.

Riley si sentì contenta e a disagio nel vederli, al tempo stesso. In passato, Ryan si era dimostrato geloso nei confronti di Blaine, e non senza ragione, Riley doveva ammettere. La verità era che lo trovava piuttosto bello.

Riley non riuscì a fare meno di paragonarlo mentalmente a Bill e Ryan. Blaine era più giovane di lei di un paio di anni, snello ed in forma, e le piaceva il fatto che non fosse tanto vanitoso da mascherare di essere stempiato.

“Entrate!” Riley disse.

“Mi spiace, non è possibile” Blaine disse. “Devo andare al ristorante. Comunque, ho portato Crystal.”

Blaine possedeva un popolare ristorante in centro. Riley immaginò che non avrebbe dovuto sorprendersi del fatto che fosse aperto il giorno di Natale. La cena di quella sera al ristorante sarebbe stata certamente deliziosa.

Crystal si precipitò all’interno dell’abitazione e si unì al gruppo accanto al camino. Ridacchiando, lei ed April scartarono immediatamente i regali che si erano scambiate.

Riley e Blaine si scambiarono in maniera discreta dei biglietti d’auguri, poi l’uomo se ne andò. Quando Riley si riunì al gruppo, Ryan sembrava piuttosto rattristato.

Riley mise via il biglietto senza neanche aprirlo. Avrebbe aspettato fino a quando Ryan se ne fosse andato.

La mia vita è certamente complicata, pensò. Ma stava cominciando a sembrare quasi come una vita normale, una di cui lei poteva godere.

*

I passi di Riley riecheggiavano attraverso una grande camera buia. Improvvisamente risuonò il clic di un interruttore che veniva schiacciato. Le luci si accesero, accecandola per alcuni secondi.

Riley si ritrovò nel corridoio di quello che sembrava un museo delle cere, colmo di reperti orribili. Alla sua destra, c’era il cadavere nudo di una donna, esposto come una bambola contro un albero. Alla sua sinistra, c’era una donna morta avvolta da catene, e appesa ad un lampione. Un’altra espositore, poi, mostrava diversi cadaveri femminili con le braccia legate dietro la schiena. Al di là di questi, c’erano dei cadaveri emaciati con gli arti disposti in modo grottesco.

Riley riconobbe ogni scenario. Erano tutti i casi a cui aveva lavorato in passato. Era entrata nella sua personale camera degli orrori.

Ma che cosa ci faceva lì?

Improvvisamente, sentì una giovane voce chiamarla con terrore.

“Riley, aiutami!”

Lei guardò dinnanzi a sé e vide la sagoma di una ragazzina che allungava le braccia, chiedendo disperatamente aiuto.

Assomigliava a Jilly. Era di nuovo nei guai.

Riley cominciò a correre verso di lei. Poi, un’altra luce si accese e mostrò la sagoma di una persona che non era affatto Jilly.

Si trattava di un anziano uomo brizzolato, che indossava la divisa di un colonnello dei Marine.

Era il padre di Riley. E stava ridendo del suo errore.

“Non ti aspettavi di trovare qualcuno vivo, vero?” l’uomo disse. “Non servi a nessuno a meno che non sia morto. Quante volte devo dirtelo?”

Riley era perplessa. Il padre era morto mesi prima. Non le mancava. Aveva fatto del suo meglio per non pensare mai a lui, che era sempre stato un uomo duro e che non le aveva dato altro che dolore.

“Che cosa ci fai qui?” Riley chiese.

“Sono solo di passaggio.” Lui rise sommessamente. “Controllo come stai raffazzonando la tua vita. E’ la stessa di sempre, vedo.”

Riley voleva saltargli addosso. Voleva colpirlo più forte possibile. Ma si ritrovò immobile.

Poi, ci fu una forte vibrazione.

“Vorrei che potessimo parlare” l’uomo disse. “Ma hai altro da fare.”

La vibrazione divenne più forte, sempre più forte. Il padre si voltò e se ne andò.

“Non hai mai fatto un pizzico di bene a nessuno” disse. “Nemmeno a te stessa.”

Riley spalancò gli occhi. Si rese conto che il cellulare stava squillando. L’orologio indicava le 6 del mattino.

Qualcuno la stava chiamando da Quantico. Una telefonata a quell’ora doveva significare qualcosa di urgente.

Rispose al telefono, e sentì la voce severa del suo caposquadra, l’Agente Speciale Capo Brent Meredith.

“Agente Paige, deve venire subito nel mio ufficio” disse. “E’ un ordine.”

Riley si massaggiò gli occhi.

“Di che cosa si tratta?” domandò.

Ci fu una breve pausa.

“Dovremo discuterne di persona” l’altro rispose seccamente, chiudendo poi la telefonata.

Ancora intontita, Riley si chiese se potesse avere a che fare con il suo comportamento. Ma non era possibile: era fuori servizio da tempo ormai. Una chiamata di Meredith poteva solo significare una cosa.

Si tratta di un caso, Riley intuì.

Non le avrebbe telefonato durante una festività per un altro motivo.

E, dal tono di voce del capo, era certa che si trattasse di qualcosa di grosso; qualcosa che, forse, le avrebbe persino cambiato la vita.