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Castel Gavone: Storia del secolo XV

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–Oh, fosse venuta allora!—sclamò il Bardineto chinando gli occhi a terra e mettendo un sospiro.

–Affediddio, non ci mancherebbe altro che aver dato la vita a chi te la stima sì poco! E invero, perchè dici tu questo? Perchè ti hanno pagato di quella buona moneta che sai. La fiducia del marchese! Grazie infinite; che è dessa? Leviamo la buccia, e consideriamola ignuda. T'hanno sperimentato di buona pasta, ti adoprano, ti spendono in ogni loro bisogno, come si spende un castaldo, un procuratore, un ser faccenda, un ceccosuda. Tu se' un arnese del castello. Giovi? ti si leva dal dimenticatoio. Non giovi più? ti si mette in disparte. È questo il tuo stato; non sperare di più. Ma tu sei uomo, hai occhi per vedere, cuore per desiderare, servigi da metter fuori, a fondamento delle tue ambizioni. Orbene, la è finita per te. Ami la figlia del tuo signore; chi non se n'era avveduto? e chi, guardando alla sostanza, non t'avrebbe riputato un buon partito? Tu fedel servitore della casa, tu valoroso cavaliere, tu messaggiero accorto e sicuro, tu anima d'ogni più malagevole impresa, che non dovevi riprometterti, in ricompensa dell'opere tue? Ma no; tu eri e resti un vassallo e la donna che desideri, che credi di aver meritato, te la ruba il primo venuto, perchè gli è nobile e signor di castella.

–Ah, tu sai?….

–Certamente; un Cascherano, conte di Osasco, che è un borgo di là da Torino. Questo matrimonio è una sorta di rifugio, e il marchese Galeotto, alla disperata, l'ha scelto. Poteva dare la figliuola ad uno di questi Adorni, che, cacciati da Genova, sono venuti ad appoggiar la labarda da noi e a congiurare contro la patria loro. Ma questo era il peggio dei peggi. L'ha negata a un Fregoso, che è doge, ma che potrebbe essere rovesciato da oggi a domani; non poteva pensare a un Adorno, che, anco tornando in alto posdimani, potrebbe dar la capata a sua volta. Quella è gente instabile e non c'è da far conto sovr'essa; meglio un nobile di là dai monti, che ha meno grandezza di nome e più sicurezza di stato. E ad un di costoro, che niuno sapeva chi fosse, si sacrifica il valore, la divozione, l'amore infinito di Giacomo Pico. Donde tu devi vedere che sorte di virtù siano queste tue, e come ben collocate!

–Ah, io ne morrò!—prorruppe il Bardineto, cacciandosi a furia le mani nei capegli.

–E dàlli,—soggiunse Tommaso.—O non ci hai proprio nient'altro da fare? Ma sai che mi faresti uscire dai gangheri? Infine, che cosa desideri? per che cosa ti arrovelli? Per una donna che ti piace. Orbene, da Adamo in poi ciò è capitato a più d'uno, e non so che alcuno abbia perso il lume degli occhi, prima di averne l'intiero. Pensaci un tratto; o le piaci tu pure, o non le piaci. Se non le vai a genio, ci hai il tuo conto saldato; puoi mandarla a quel paese, o aspettarla al varco e far vendetta allegra; ad ogni modo, egli non c'è da desiderarsi la morte per una donna che non ti abbada. Se in quella vece la ti vede di buon occhio, aspetta, perdiana; il tuo giorno verrà. O che credi, perchè la diventa contessa d'Osasco, t'abbia a fare il viso dell'arme? Il non esser buono per marito, non vuol già dire…. che anzi!…. In questi casi, un rifiuto io l'avrei per grazia profumata. La donna, amico mio, è una gran bella cosa e ci ha i suoi dolci momenti, che la getteresti sopra ogni altra delizia del mondo; ma guai a chi l'avesse sospesa al braccio tutte le ventiquattr'ore del giorno; e' ci sarebbe da pregarsi il fistolo! Or dunque, Giacomo Pico, sta di buon animo, e non ti lasciar scolorire le ultime rose sul volto, che non abbia a parer meglio di te il Cascherano, quando verrà a fare il mogliazzo.

–È già venuto;—mugghiò il Bardineto.

–Ah, ah! non si perde tempo? E sia pure e ci resti, in sua malora! Tu non mi fare il poeta; che saresti ridicolo, e chi fa ridere ha perso la causa. Ti piace la donna! tienti sull'orma e aspetta il buon punto. Chi sa? Non t'eri accorto, e forse la tua stella è già apparsa sull'orizzonte. Ma sopratutto, bada, non ti guastare il sangue, non pigliar nulla a scesa di testa; è l'essenziale. A proposito di scesa, o che, si sta qui fino a notte? Io ho fame, e tu non devi rimanere quassù, a far l'uomo salvatico. Si scende, dunque?

–No, Tommaso; non per di qua!—disse Giacomo Pico, torcendo gli occhi in atto supplichevole.

–No? Orbene, come ti pare. Largo ai canti e scendiamo alla Marina.—

Ciò detto, e per mandare i fatti di costa alla parole, il Sangonetto, che già s'era alzato da sedere, diè di piglio al suo archibugio e se lo gittò in spalla; con un colpo della palma distesa si acciaccò la berretta sul capo e, per uno di que' sentieruoli che serpeggiavano lunghesso i fianchi della montagna, s'avviò alla discesa.

Giacomo Pico si mosse dietro di lui, non rassegnato affatto, nè affatto sconsolato, bensì pieno di maltalento contro di sè, contro di tutti, pronto ad affogare la sua rabbia nel vino, come a sfogarla in una mareggiata di sangue.

Accadeva al Bardineto ciò che spesso accade a molti infelici suoi pari, che la compagnia e i conforti d'un uomo volgare mutano indirizzo al loro tormento. Sia che un intimo senso li ritenga dal commettere un alto dolore in piena balìa di chi non è nato ad intenderlo, o sia che la medesima volgarità del compagno pigli il sopravvento sulla fibra umana (già, per istinto, volgare, e non mai delicata, nè nobile, se non per eccesso, che non è naturale nell'uomo), o sia finalmente che la vostra vanità messa al punto, s'inalberi e comandi agli atti nostri una apparenza di fortezza, egli è un fatto che il dolore, almeno fino a tanto che duri quella nuova maniera di contrasto, non pure fa le viste di cedere, ma veramente si scema, o si addorme nel profondo dell'anima. Ripiglierà forse vigore, crescerà d'intensione più tardi, troverà le occasioni a romper fuori, tanto più impetuoso, quanto più è rimasto compresso ed inerte; ma tace, frattanto, e qualche volta, fra mezzo alle cento cure svariate del vivere, agli aspetti diversi delle cose, ai ragionari delle liete e noncuranti brigate, lascia libero il campo alle più discordi sensazioni, financo a quella che ci sforza di ridere. Cose che non si spiegherebbero altrimenti, senza questa mobilità somma detta umana natura.

Del resto, è anche vera un'altra cosa, ed accade agli animi deboli, che sono poi il maggior numero della figliolanza di Adamo. Ci si apre con un gentile ascoltatore, con un virtuoso consigliere, e si piange o si è sconfortati, ed è nobile sfogo che ci eleva lo spirito ad altezze o non prima vedute, o non reputate accessibili all'uomo. Si commettono i proprii dolori ad orecchio volgare; da labbro volgare si aspettano i conforti e i consigli; ma gli uni e gli altri ci affondano nel pantano dei sensi ingenerosi; crassi vapori c'involgono e ci nascondono il sereno de' cieli; il dolore, fatto ira e bestemmia, bramosia di vendetta, di mal per male, non ci affina lo spirito, lo ingombra, lo accieca, vi attossica le sacre fonti del bene.

I due amici scendevano, come si è detto, lungo la costa del monte. Giacomo Pico era taciturno e grave; ma tratto tratto scuoteva il capo e sbuffava a guisa di toro ferito. Il Sangonetto taceva del pari, e certo non facea bocca da ridere; ma chi gli fosse stato dinanzi e lo avesse veduto a dondolare il capo e ad aggrinzare di tanto in tanto le labbra, avrebbe detto che il consolatore di Giacomo Pico se la rideva dentro di sè, di quel riso tacito e profondo che fa tanto buon sangue. Gongolava, il Sangonetto; e perchè? Perchè la era finita una volta, quella cuccagna del Bardineto; perchè gli era finalmente caduto, quel superbioso, che si struggeva di salire tant'alto; perchè sprofondava nella mota comune, quel sognatore, quel pazzo, che cavalcava così alteramente le nuvole.

E non era crudele, il nostro Tommaso; non odiava già il Bardineto; che anzi lo amava, come poteva egli amare qualcuno, per consuetudine antica, e perchè non gli era venuta mai occasione di scontro. Sì, certo, gli era parso qualche volta noioso, con quel suo starsene in dimestichezza coi grandi, così felice in apparenza tra le bellezza del castello Gavone, libero di profferire i suoi omaggi a madonna Bannina, bellezza matura, o a madonna Nicolosina, bellezza nascente, o alla Gilda, bellezze di mezzo, ma più franca, secondo lui, e più attrattiva. Per altro, pensandoci su, il Bardineto non corteggiava la Gilda; era cotto, per sua disgrazia, della giovine castellana; gli era un uomo spacciato; non era da invidiarsi poi troppo. Lo amava dunque, sì lo amava; ma ora, poi, dieci cotanti di più, sapendolo giù d'ogni speranza e d'ogni superbia. Donde quel giubilo interno, quel gongolo, che gli facea dimenare il capo e aggrinzare le labbra. Anima umana!

In questi pensieri, i due compagni, erano giunti ai piedi del monte, e, valicato il Pora su certi passatoi disposti a giuste distanze sul pelo dell'acqua corrente, entravano in una viottola, che risaliva verso levante, ad incontrare la strada maestra dalla Marina al Borgo. E pochi passi avevano fatti in quella stretta, allorquando venne loro udito un calpestìo, insolito per que' luoghi e in quell'ora.

Giacomo Pico, che era stato il primo a notarlo, affrettò il passo, stese la mano sul braccio del Sangonetto, come per trattenerlo, e stette coll'orecchio teso in ascolto.

–Cavalli!—soggiunse egli, rispondendo ad un gesto del compagno, che si era voltato stupefatto a guardarlo.

–Cavalli, sicuro;—disse di rimando Tommaso;—e poi?

–Non hai indovinato? Son essi.

–Essi? Pronome, e nient'altro;—ripigliò il Sangonetto;—io non t'intendo.

Giacomo Pico crollò le spalle in atto d'impazienza.

–I cavalieri di questa mane;—aggiunse egli poscia;—il conte d'Osasco e il suo amico, o famiglio che sia.

–Ah, ah!—sclamò il Sangonetto, mettendosi finalmente sull'orma.—Buon viaggio a loro! Ma ora che ci penso, o come vuoi che, giunti a mala pena, già se ne tornino via dal castello? Il tratto, in fede mia, non sarebbe cortese.

 

–Ma! che ne so io?—rispose Giacomo Pico.—D'una cosa son certo; che sono costoro. Me lo dice il cuore….—aggiunse con accento di profonda amarezza.—Seguimi; or ora vedrai.

E senz'altro aspettare si mosse con rapido passo alla svolta. Il Sangonetto fu pronto a seguirlo.

Il cuore del Bardineto non si era ingannato. Erano proprio loro, messer Pietro e il Picchiasodo, che venivano di buon trotto per la strada maestra, con quel fare spigliato e contento di chi s'è sciolto d'ogni molestia e non ha più a darsi pensiero che di arrivare alla posta.

A Giacomo Pico la vista del più giovine dei due cavalieri diede una scossa fortissima al cuore. Era quegli il suo fortunato rivale, il suo nimico giurato. E gli prese in quel punto una maledetta voglia di buttarsi al pettorale del palafreno, di rovesciare il cavaliere e di finirlo d'un colpo.

La via era stretta, e, per andar oltre, con quell'intoppo dei due sopraggiunti, a messer Pietro convenne di spronare il cavallo e farsi innanzi da solo.

Il Bardineto lo divorava degli occhi. Era bello, messer Pietro, ed ilare in volto; due cose che lo rendevano uggioso a quell'altro.

Senza por mente all'effetto che cagionava la sua presenza, messer Pietro, cortese per consuetudine di gentiluomo e più ancora per la contentezza del momento, nell'atto di cansarsi col suo palafreno dai due viandanti, fece un gesto a mo' di saluto, che certo credeva gli fosse ricambiato in quel punto.

Frattanto, Giacomo Pico, innanzi che il Sangonetto potesse indovinare le sue intenzioni e trattenerlo, si faceva in mezzo alla strada e, afferrando lo redini del cavallo, salutava il suo avversario con queste parole:

–Messer cavaliere, mi consentite voi pochi istanti di colloquio?—

CAPITOLO IV

Nel quale si veda messer Pietro perdere la pazienza, il Sangonetto la ciarla, il Picchiasodo l'occasione, Giacomo Pico il tempo e mastro Bernardo la scrima.

All'atto insolito e inaspettato, il primo pensiero di messer Pietro fu di metter mano alla spada e di castigar l'arrogante che ardiva afferrare le redini del suo palafreno.

Senonchè, a lui, come un giorno ad Achille, la sapiente Minerva dovette susurrar qualche cosa nell'orecchio. O piuttosto, senza andare a scomodare gli Dei dell'Olimpo, che dormono da mille cinquecent'anni il gran sonno, è da credere che messer Pietro fosse di animo pronto a vedere per ogni lato le cose, come audace di mano ad operarle. E in quel punto egli certamente pensò che quei due sopraggiunti non erano assassini di strada, che alla più trista si era a numero pari, e che, finalmente, in paese nuovo e nemico, la prudenza non era mai troppa, nè mai gli avrebbe nociuto un pochino di calma. Dopo tutto, che ne sapeva egli? Poteva anch'essere usanza patriarcale di quei popoli, di trattare con tanta dimestichezza la gente.

E messer Pietro ristette, spianò le sopracciglia, che s'erano a tutta prima aggrondate; fe' un gesto da fianco per chetare il Picchiasodo, che egli colla coda dell'occhio avea visto dare un sobbalzo in arcione e spronare avanti il cavallo; quindi componendo le labbra ad un risolino tra cortese ed ironico, disse a Giacomo Pico:

–Parlate, messere, quantunque non sia luogo nè momento da ciò; son tutto orecchi ad udirvi.—

Parlare! era presto detto; ma il farlo non era la più agevole impresa. Il Bardineto ci aveva bensì avuto la forza del primo impeto; ma lì sui due piedi, senza aver meditata la possibilità d'una conversazione tranquilla, tirato in sul falso da quella urbana risposta, non trovò più il filo. E balbettando un poco, e stizzito con sè medesimo di non averci pensato prima, uscì in questa dimanda:

–Come va che tornate via così presto? Il castello non ha avuto potere di trattenervi?—

Messer Pietro lo guardò stupefatto; ma non uscì di misura.

–Che dite mai?—ripigliò, col medesimo accento di prima.—È luogo stupendo, il castello, e fo conto di tornarci prestissimo.

–Ah!—sclamò il Bardineto, fremendo di rabbia,—E quando si faranno le nozze?—

Messer Pietro fu ad un pelo di uscire dai gangheri. Per altro, gli venne il sospetto di aver da fare con un pazzo, e si volse, con aria trasognata, al Picchiasodo. Il suo vecchio compagno rideva.

–Messere,—disse il Picchiasodo, affrettandosi a commentare il suo riso,—la notizia si è sparsa, non c'è più verso di tenerla celata. L'oste dell'Altino ha cantato.—

L'altro ricordò allora le supposizioni di mastro Bernardo, e un sorriso venne a sfiorargli le labbra; ma fu pronto a reprimerlo. Non era più un pazzo, bensì un insolente, colui che lo aveva fermato per via e lo interrogava in tal guisa.

–Via, per l'andata, poteva correre; pel ritorno, non già!—rispose egli, facendosi grave.

Indi, rivolto a Giacomo Pico, gli parlò asciuttamente così:

–Messere, io fo nozze quando mi torna, e non dò ragguagli per via al primo che capita.

–Avete fatto il conto senza di me!—soggiunse Giacomo Pico, digrignando i denti, e facendo l'atto di afferrare da capo le redini.

–Giù quelle mani!—tuonò messer Pietro, in quella che facea dare indietro due passi al suo palafreno.—E spulezzami tosto, o ch'io lascio al mio cavallo di tritarti come paglia, villano!—

Giacomo Pico, che il pronto inalberarsi del cavallo avea fatto desistere dal suo tentativo, si morse le labbra all'udire quelle superbe parole, ma non diede già indietro d'un passo. Incrociò in quella vece le braccia sul petto; rispose con una crollata di spalle al Sangonetto che gli raccomandava di non far ragazzate e di pigliare dal consiglio d'un nemico quel che c'era di buono; indi, misurando ad una ad una le frasi, che gli uscivan sibilando dalle labbra contratte, così rimbeccò il suo avversario:

–Non son villano, e le opere mie, in attesa di altre prove, potranno chiarircene largamente. Voi, a cavallo, messere, potete sbarattarci d'un salto e darvi alla fuga; lo vedo, e lo temo. Ma dove sarebbe allora la differenza tra voi, conte di Osasco, e il più vile de' vostri vassalli? e quale rimarrebbe la vostra fama agli occhi dalla donna che amate?

–Conte di Osasco!—ripetè messer Pietro, voltandosi al Picchiasodo.—Ah, mi ricordo;—soggiunse a bassa voce,—lo sono, a quel che pare, e non posso disdirmi.—

Indi, rivolto il discorso a Giacomo Pico, gli chiese, con quel suo piglio sarcastico:

–E chi sei tu? Forse il duca Namo di Baviera, tornato tra i vivi? O forse Guerrino il Meschino, cercator d'avventure?

–Rattenete la lingua, per utile vostro!—replicò il Bardineto, impallidendo dallo sdegno.—Son tale che ha diritto sopra un tesoro, e non consentirà che altri glielo rubi. Son tale che desidera di vedere alla prova se la vostra spada è degna della vostra arroganza.

–Per san Giorgio, gli è questo un audace linguaggio,—disse a lui di rimando quell'altro,—e per la prima volta ch'io l'odo, mi piace.

–Vi piaccia, o no, gli è il mio, e lo udrete più d'una volta al Finaro, se vi piglierà il ruzzo di tornarci.

–Per Dio, se ci tornerò! Non foss'altro, per vedere di quanti palmi t'avranno scavato profonda la fossa!

–Di ciò parleremo;—borbottò Giacomo Pico.—Vi piaccia intanto calarvi d'arcione.

–Volentieri, se m'indicherete un luogo dove possiamo sbrigare i fatti nostri meglio che sulla strada maestra.

–Qui presso, nei greti della fiumana.

–Ottimamente; insegnate la strada.—

E così dicendo, messer Pietro, sempre ilare e disposto alla celia, spronò il cavallo per tener dietro a Giacomo Pico. Ma la faccenda non garbava punto al Picchiasodo, a cui era balenato un pensiero più vasto.

–Non già!—entrò egli a dire sollecito.—Con vostra licenza, messer Pietro, padron mio colendissime, abborro l'acqua, e ricordo in buon punto che siamo lontani appena un cento di passi dall'insegna dell'Altino. Questi degni messeri lo sapranno benissimo, che sono del paese; c'è buona l'accoglienza….

–E meglio il vino!—rincalzò, chiudendo la frase, il Sangonetto.

–Ah, bravo!—ripigliò il Picchiasodo.—Veniteci in aiuto anche voi, messere dell'archibugio. Siamo dunque intesi; si va a sbrigar la faccenda all'Altino. L'aia è piana e lucente come uno specchio, e sul battuto c'è posto pel giuoco di quattro lame. Che ve ne pare? Voi certo avete pratica del luogo. Non ci si è abbastanza liberi in quattro?—

Tommaso Sangonetto lo guardò con aria melensa. La proposta di quel vecchio barbone, che ci avea un paio di spalle e un torace da fare alle forze con Ercole, non gli andava a fagiuolo. Chinò la testa in atto di chi vuol dire e non dire; ma dentro di sè fece atto di contrizione per la sua lingua, che era stata un po' troppo latina.

–Andiamo dunque laggiù!—disse il Bardineto, avviandosi primo.

I due cavalieri incontanente lo seguirono. Tommaso, quantunque di mala voglia, si messe al suo fianco.

–Ah, Giacomo! Giacomo!—gli andava intanto bisbigliando all'orecchio.—L'hai fatta grossa!

–Che!—rispose il Bardineto, crollando superbamente le spalle.—Mi sfogo, perdio!

–Ma pensa al poi, te ne prego! E che dirà il marchese, quando verrà a risaperlo?

–Dirà…. dirà quel che gli parrà meglio di dire. Già, sentimi, Tommaso; o morto io, o morto quest'altro, s'è sciolto finalmente ogni nodo.

–Uhm! Mi pare che tu ne aggiunga, di nodi; e guai se vengono al pettine.

–Vattene, allora!—ripiccò spazientito il Bardineto.

–Ma…. lasciarti così solo?… Un testimone ti sarà pur necessario!—entrò a dire accortamente Tommaso.

–Un testimone! E per che farne?

–Eh, quel che si fa d'un testimone, perdiana! Il testimone vede e può all'occorrenza far fede. Inoltre, la sua presenza può tenere in soggezione gli avversarii. Capisco che non s'ha da appiccar zuffa in quattro, essendo voi due soli alle prese, e che io, pure volendo, non lo potrei, per non tirarmi addosso lo sdegno del castello, a cui non sono in grazia, come tu sai; ma infine, un amico presente….

–Capisco anch'io; non dirmene altro!—interruppe il Bardineto, che vedeva l'amico inteso a fermar chiaramente i patti della sua accompagnatura all'Altino.—Io non ho bisogno d'aiuto; la quistione è mia, tutta mia; tu non c'entri. E adesso, se ti piace venir testimone allo scontro, fa come t'aggrada; io non ci ho nulla a vedere.—

Il Sangonetto chinò la testa, in atto di chi si rassegna, suo malgrado, ai voleri d'un amico. E col cuor più tranquillo, e per conseguenza col passo più spedito di prima, si fece innanzi alla comitiva.

In quelle chiacchiere, erano giunti presso all'Altino. Lo scalpitar dei cavalli avea fatto correre il ragazzo dell'osteria sull'uscio di strada.

–Padrone! ohè, padrone!—aveva egli gridato.—Presto, fatevi innanzi; son qua di ritorno i gentiluomini di questa mattina.

–Che diavol dici?—esclamò mastro Bernardo, uscendo sull'aia.—O che ci verrebbero a fare?

–Eh, che so io?—disse il Maso, impenitente nella sua celia.—Forse ad assaggiare quel vinello fiorito….

–Zitto là, mascalzone! Oh, magnifici messeri….—

Come è facile argomentare da questo trapasso dell'oste, entravano allora Giacomo Pico e Tommaso Sangonetto a piedi, lasciando scorgere dietro di loro messer Pietro e il Picchiasodo a cavallo.

Mastro Bernardo, confuso e giubilante ad un tempo di quella nuova e non più sperata ventura, corse sollecito per tenere le redini a messer Pietro, che fu pronto ugualmente a balzar giù di sella.

–Che buon vento, messeri….—andava dicendo frattanto l'ostiere;—e come va che io sono onorato….

–Mastro Bernardo,—gridò il Picchiasodo, troncandogli i suoi complimenti a mezzo,—non lo sai tu l'adagio: chi n'assaggia ci torna? A te, ragazzo; tieni i cavalli.

–Ve li metto al coperto? disse il Maso, pigliandoli per le briglie.

–No, no, tirati là in fondo, ed aspetta, Il ragazzo afferrò le briglie e, superbo di prestare i suoi servigi a così nobili bestie, menò i cavalli in fondo dell'aia.

–Che fortuna per l'osteria dell'Altino!—ripigliò mastro Bernardo, che non aveva posto mente alle ultime parole del Picchiasodo, profferite a voce più bassa.—E dite, magnifici messeri; poichè il numero è cresciuto, s'ha egli da metter due polli allo spiedo?

–Ah, ci vuol altro che spiedo! Or ora vedrai;–gridò il Picchiasodo con aria beffarda.—Per un bicchiere di vino, intanto, non si dice di no. Almeno….—soggiunse dopo essersi guardato dattorno e aver veduto le facce rannuvolate de' suoi compagni,—io lo bevo, e posso fare anche la parte degli altri.

–Vado subito;—disse l'ostiere;—e sarà di quel tale, ve lo prometto.

–Sta bene, e non mi tradire!—aggiunse burlescamente il Picchiasodo.—Porta il fiasco incignato, che già sappiamo che cos'è, e non avrà avuto tempo A pigliare lo spunto.—

Mastro Bernardo, tutto nella sua beva, entrò in casa, senza aver capito nulla di quell'improvviso ritorno, nè pigliato sospetto dalla presenta del Bardineto, che due ore innanzi era andato via così in furia.

 

Più accorto di lui a gran pezza, il Maso aveva odorato l'aria, e aspettandosi qualcosa di grosso, stava là rincantucciato in mezzo ai cavalli, con tanto d'occhi a guardare la scena.

–Or dunque, a noi!—sclamò messer Pietro, poichè i quattro arrivati furono soli sull'aia.

E così dicendo, si tolse di dosso la sua cappa di scarlatto verde, foderata di vaio, e la gittò sulla sella del suo palafreno.

Giacomo Pico, a sua volta, si tolse la cappa di bigello, e rimase, come il suo avversario, in farsetto.

E già erano, per tacito accordo, intesi a pigliar campo e metter mano alle spade, allorquando il Picchiasodo entrò a dire la sua.

–Un momento, messeri, di grazia!—

I due avversarii si fermarono a tempo, e stettero guardando il vecchio soldato, aspettando che volesse parlare.

Ma il Picchiasodo non aveva da fare un lungo discorso.

–Come si combatte?—dimandò egli brevemente, ma con un certo sussiego.

–O come?—ripiccò messer Pietro.—Che novità è questa tua? Si combatte con questa, e chi ne assaggia un palmo rimane sul terreno.

–Un palmo! grazie tante!—mormorò il Sangonetto tra sè.

–Certo,—proseguiva messer Pietro,—se fossimo in campo chiuso, con giudici e testimoni, il vincitore avrebbe le spoglie, e si potrebbe anco stabilire il riscatto del vinto; Ma qui non siamo nel caso; ci si ricambia quattro colpi alla svelta e chi l'ha tocche son sue.

–Così l'intendo ancor io, con vostra licenza, messer Pietro,—replicò il Picchiasodo.—Ma scusate, io volevo domandare se di questo sollazzo non ce n'ha ad esser per tutti. In quattro ci siamo incontrati; ora, dico io, in quattro si avrebbe a combattere.—

Il Sangonetto fece a quelle parole una smorfia.

–Infine!—proseguì il Picchiasodo, con quel suo piglio tra rispettoso e faceto.—Non mi par bella che due se la godano e gli altri due debbano stare a vedere. Voi, messer Pietro…. signor conte degnissimo, ve la farete con chi vi ha provocato, e sta bene; ma noi, noi due, seguaci delle parti in contesa, per che altro ci troveremmo qui, a fare il paio, se non per seguire l'esempio?—

Messer Pietro si strinse nelle spalle e crollò il capo in atto di dire: accomodatevi, io non ci vedo alcun male.

–Animo dunque; a voi, messere dell'archibugio,—disse il vecchio soldato, volgendosi a Tommaso Sangonetto;—dite la vostra opinione.

–Io?… Ah!…—rispose questi confuso, come se cascasse dalle nuvole.—Eh, certo, sarebbe una bella pensata! Ma ecco, per incrociare le spade, ci vorrebbe un quid… la causa agendi….

–Che diamine m'andate voi latinando?—gridò il Picchiasodo imbizzarrito.—Sareste voi chierico, per avventura?

–Eh! un pochino;—rispose quell'altro, facendo bocca da ridere, ma senza averne gran voglia.—Ho scombiccherato qualche foglio di carta presso un notaio, e mi capirete….

–Sì, capisco alla prima che ci avete inchiostro per sangue, dentro le vene.

–Oh, mi meraviglio!…—sclamò il Sangonetto; rizzando la testa.

–Orbene, vediamo dunque che cos'è; fuori lo spiedo!—

E così dicendo il Picchiasodo trasse la spada dal fodero.

–Fuori, e sia; fuori dunque!—ripetè il Sangonetto, che già più sapeva a qual santo votarsi.

E messe mano al suo coltellaccio. Ma qui per fortuna gli venne trovata la gretola.

–Ecco il mio spiedo!—diss'egli, con aria di trionfo.—Voi ci avete la spada d'Orlando, e vi fa comodo di metterla fuori; io, colto alla sprovveduta, non ci ho che un coltello da caccia; vedete!—

Il Picchiasodo rimase lì grullo per un istante a guardarlo. Ma egli non era uomo da smarrirsi per così poco, e trovò subito uno spediente da rimediare allo sconcio.

–Oh, non importa!—rispose.—Date a me il coltello; io cedo a voi la spada d'Orlando.

–Ma….—balbettò il Sangonetto.—Non ci sarebbe generosità….

–Eh via! Non temete; con quel coltellaccio tra mani io mi riprometto di tagliarvi la punta del naso che avete rossa e lucente come una ciliegia marchiana.—

Fu questo per Tommaso Sangonetto il caso di vedersi perduto. Con quel diavolo d'uomo non la si potea vincere nè impattare.

Buon per lui che messer Pietro gli venne in aiuto.

–Anselmo!—diss'egli severo.—Lascialo stare; non c'è bisogno di combattere in quattro, dove la lite è soltanto tra due.

–Già, diteglielo voi, messere;—ripigliò il Sangonetto, ritornando da morte a vita.—Che bisogno c'è? Se ci fosse una ruggine tra noi, non direi di no… si potrebbe anche vederlo, questo taglio del naso. Ma la ruggine non c'è, come non c'è la ciliegia, con vostra licenza. Del resto, siamo sacri alla patria. Se foste un nemico…. un genovese….

–Ah! con quelli là ti sentiresti proprio di combattere?—domandò il Picchiasodo, con piglio sarcastico.

–Ma, sicuramente!—rispose il Sangonetto, facendo l'uomo a sua posta.

–Ci ho gusto, perbacco!—disse a lui di rimando il vecchio soldato.—Han da tremare, povera gente, quando ti vedranno in prima fila, colla tua cerbottana da passeri!—

Volea replicare, il prode Sangonetto; ma sì, a farne la prova! Quel maledetto vecchio lo guardava con certi occhi da spiritato!

Così perdette la ciarla Tommaso Sangonetto, come il Picchiasodo avea perso l'occasione di misurarsi con lui. Frattanto i due avversarii, che già stavano colle spade sguainate, si fecero in mezzo dell'aia, pronti a impegnare il combattimento.

Giacomo Pico ne aveva una voglia spasimata. Così almeno mostravano gli atti impazienti e le contrazioni del volto. Messer Pietro era a gran pezza più calmo, e la faccia atteggiata al sorriso dinotava, non pure il disprezzo del pericolo, ma eziandio la certezza della vittoria. E la pugna in sè stessa e l'occasione dond'era venuta, parevano cosa da scherzo per lui. Certo il valentuomo s'era trovato più volte a simili scontri, fors'anco a più gravi, e quello doveva parergli la cosa più naturale dal mondo.

Incrociarono le spade. Ma era scritto lassù che il combattimento non dovesse aver principio così presto.

Un grido li rattenne in quel punto e li costrinse a smettere. Era mastro Bernardo che compariva sull'uscio di casa, col vassoio de' bicchieri in una mano e col suo fiasco prezioso nell'altra. Mai fiasco e bicchieri furono raccomandati a più trepide mani, e ben se ne avvide il Picchiasodo, che, voltatosi a quel grido improvviso, fu sollecito a sostenere que' dolcissimi pesi.

–Per amor del cielo, messeri, che vuol dir ciò?—chiese l'ostiere, con voce tremebonda.

–Animo, via, mastro Bernardo!—entra a dirgli il Picchiasodo, con quel suo piglio burlesco.—Non si sforacchiano mica le tue botti, nè la tua pancia, perbacco!

–Oh, Gesummaria! che cos'è stato? Ah capisco, ora!—soggiunse il povero oste, ricordandosi.—Messer Giacomino…. Ah, maledetta lingua! Ma spero che non andrete più oltre…. Nella mia osteria!… E che dirà il magnifico marchese quando saprà che avete fatto uno sfregio a suo genero…. al magnifico signor conte di Cascherano…. a un gentiluomo di quella fatta? Nobilissimo signore, per carità, non date retta alle offese di quel giovinastro. È un matto, credetelo…. e ai matti non si presta orecchio.—

E intanto che così parlava a frasi spezzate, come voleva lo stato dell'animo suo, mastro Bernardo, aiutato e costretto dal Picchiasodo, gli veniva mescendo il vino nel bicchiere.

Giacomo Pico a cui rinfiammavano lo sdegno le allusioni matrimoniali dell'oste, perdette a dirittura la pazienza al sentirsi dare di giovinastro e di matto.

–Taci là, vecchio rimbambito!—gli disse, schizzando rabbia dagli occhi.

–Rimbambito a me? Sciocco presuntuoso…. villan rifatto…. serpicina riscaldata, per amor di Dio, dai nostri signori…

–Ohe, dico, mastro Bernardo, non mi spandere il vino; e' sarebbe peccato mortale!—gridò il Picchiasodo, affannandosi a rimettere in equilibrio il vassoio, che andava di qua e di là, secondo i movimenti impetuosi del vecchio stizzito.