Regno Diviso

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Regno Diviso
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r e G N O D I V I S O

(UN THRILLER DI LUKE STONE — LIBRO 7)

J A C K M A R S

Jack Mars

Jack Mars è un avido lettore, nonché un appassionato da tutta la vita del genere thriller. A OGNI COSTO è il suo primo libro. Visita il suo sito internet www.Jackmarsauthor.com per entrare a far parte della mailing list, ricevere un libro in omaggio e altri regali, e connettiti su Facebook e Twitter per non perdere le prossime uscite!

Copyright © 2018 di Jack Mars. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza il permesso dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con altre persone, è pregato di acquistarne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro senza aver provveduto all’acquisto, o se l’acquisto non è stato effettuato unicamente per il suo uso personale, è pregato di restituirlo e acquistare la sua copia. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright evantravels, utilizzata con il permesso di Shutterstock.com.

I LIBRI DI JACK MARS

SERIE THRILLER DI LUKE STONE

A OGNI COSTO (Libro 1)

IL GIURAMENTO (Libro 2)

SALA OPERATIVA (Libro 3)

CONTRO OGNI NEMICO (Libro 4)

OPERAZIONE PRESIDENTE (Libro 5)

IL NOSTRO SACRO ONORE (Libro 6)

REGNO DIVISO (Libro 7)

SERIE PREQUEL CREAZIONE DI LUKE STONE

OBIETTIVO PRIMARIO (Libro 1)

COMANDO PRIMARIO (Libro 2)

SERIE DI SPIONAGGIO DI AGENTE ZERO

AGENTE ZERO (Libro 1)

OBIETTIVO ZERO (Libro 2)

LA CACCIA DI ZERO (Libro 3)



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INDICE

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÉ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO TRENTATRÉ

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

CAPITOLO TRENTACINQUE

CAPITOLO TRENTASEI

CAPITOLO TRENTASETTE

CAPITOLO TRENTOTTO

CAPITOLO TRENTANOVE

CAPITOLO QUARANTA

CAPITOLO QUARANTUNO

CAPITOLO QUARANTADUE

CAPITOLO QUARANTATRÉ

CAPITOLO QUARANTAQUATTRO

CAPITOLO QUARANTACINQUE

CAPITOLO QUARANTASEI

CAPITOLO QUARANTASETTE

CAPITOLO QUARANTOTTO

CAPITOLO QUARANTANOVE

CAPITOLO CINQUANTA

CAPITOLO CINQUANTUNO

CAPITOLO CINQUANTADUE

CAPITOLO CINQUANTATRÉ

CAPITOLO CINQUANTAQUATTRO

“… un regno diviso contro se stesso va in rovina.”

Matteo 12:25

CAPITOLO UNO

28 gennaio

11:05 ora del Sinai (4:05 ora della costa orientale)

Vicino all’aeroporto internazionale di Sharm el-Sheikh

Penisola del Sinai

Egitto


“Arriva,” disse il giovane osservatore con una punta di preoccupazione nella voce. “Arriva l’aereo.”

Qualche metro più in là, Hashan al Malik sedeva a gambe incrociate sul terreno accidentato fumando quel che restava di una sigaretta turca. Le dita lunghe erano magre e scure, con lo sporco tanto profondamente incorporato che forse non sarebbero mai venute pulite. Aveva un viso di cuoio. La barba folta era bianca, con ancora qualche striscia di nero, ma gli occhi erano acuti e vivi. Aveva uno sguardo penetrante. Era vivo da molto tempo, e non per caso.

Nel mondo dei combattenti itineranti di Allah – i martiri, i mujaheddin – era spesso noto come Alshaykh, la parola araba usata per dire “il vecchio”. Oggi sentiva ogni minuto che aveva vissuto. Sicuramente era troppo vecchio per tutto questo. Aveva le mani fredde – quasi come ghiaccio – e il corpo non se la passava tanto meglio. Lassù si gelava.

Alzò lo sguardo sull’osservatore, un beduino dalla pelle scura con un turbante celeste che aveva trascorso tutta la sua breve vita attraversando quelle montagne aride e brulle. Il ragazzo indossava sandali sui piedi nudi. Aveva guance morbide e pulite – non avrebbe potuto farsi crescere la barba neanche sotto ordine di Allah. Se ne stava in piedi a guardare lontano, con il binocolo ad alto potenziale puntato a nordovest.

“Lo vedi cosa c’è scritto?” disse Hashan.

Esitò. “Un attimo… tra un attimo… sì.”

Hashan adesso udiva l’aereo, il rumore dei motori lottava per essere udito sopra al ruggito del vento. Si illuse di riuscir quasi a sentire il rumore del carrello di atterraggio che si muoveva.

“Cosa dice?”

“Dice TUI?” disse il ragazzo, quasi ponendo una domanda. Poi, con maggiore sicurezza: “Sicuro. TUI.”

 

Hashan consultò l’orologio che aveva sul polso secco. Non male, quell’orologio. Nero e pesante, dal cinturino spesso, il grosso quadrante al riparo dietro a vetro temprato. Era resistente agli urti, all’acqua, a freddo e caldo estremi e accuratissimo alle alte altitudini. Se l’avesse venduto, i ricavi avrebbero sfamato un’intera famiglia di contadini per un anno – ma l’orologio era più importante dei contadini. La famiglia poteva morire di fame, ma un uomo come Hashan aveva bisogno di sapere che ore fossero.

E l’orario, guarda caso, era esatto. L’aereo era in ritardo di venti minuti.

“Ci siamo,” disse Hashan. “È lui.”

Diede un ultimo tiro alla sigaretta e poi la gettò con il pollice e l’indice. Si alzò e si levò di dosso la pesante coperta di lana ruvida. Si concesse qualche secondo per ammirare le protuberanze delle colline che li circondavano e le innevate montagne più alte appena a ovest. Due secondi, forse tre – non c’era molto tempo. Riusciva già a vedere il puntino nero spostarsi nel cielo, crescere di dimensione, venire da loro.

Sollevò da terra il lanciarazzi marrone e verde. Era un aggeggio bellissimo – uno Strela-2, sistema missilistico terra-aria di fabbricazione russa recuperato dalle scorte personali del recentemente deceduto lacchè dell’Occidente, Mu’ammar Gheddafi.

Hashan passò rapidamente in rassegna le preparazioni precedenti l’attacco. Lo Strela poteva essere ricaricato, ma non sul campo. Avrebbe avuto un colpo solo, quindi meglio essere pronto. Rimosse le coperture e allungò i mirini, poi si posizionò il tubo sulla spalla. Attivò l’alimentazione dei componenti elettronici del missile e attese qualche secondo che si stabilizzasse.

Il lanciarazzi gli pesava molto sulle ossa – lo aveva fatto portare lì dal ragazzo.

I suoi sessantadue anni gli pesavano addosso più del razzo stesso. Aveva combattuto molte guerre in molti luoghi, ed era stanco. Essere stato mandato lì gli pareva più una punizione che un onore. Ieri aveva percorso a piedi quelle montagne impervie con il giovane del posto come guida, e avevano trascorso la notte senza cibo e senza fuoco, e si erano tenuti vicini sul terreno gelato in cerca di calore.

Il viaggio era stato difficile, ma Hashan aveva già avuto freddo e fame in passato, molte volte. Abbattere aerei di linea con vecchi missili da spalla sovietici era ancor più difficile. Si doveva essere degli esperti, e Hashan lo era, ma comunque…

Comunque…

Scosse la testa. Vecchio sciocco. Era Allah ad aguzzargli la vista. A tenergli ferme le mani. A guidare il missile al suo obiettivo.

Hashan era troppo stanco persino per pregare. Gli passò per la mente un’immagine – Allah immerso in una luce brillante che lo convocava in Paradiso. Sospirò. Avrebbe dovuto. Il Perfettissimo conosceva tutto, incluse le intenzioni del suo servo più inadeguato.

“Dammi la forza,” mormorò sottovoce Hashan.

Posizionò l’occhio destro dietro ai mirini di ferro, immobilizzò il tubo con la mano sinistra e tirò per metà il grilletto con la destra. Lo fece quasi automaticamente, come se il lanciarazzi agisse da solo. Hashan ora vedeva l’aereo abbastanza chiaramente – una specie di grossa barca, come un grasso bombo che si spostava lentamente da sinistra a destra, scendendo per atterrare all’aeroporto venti miglia a sud da lì. Il sole invernale luccicava sul vetro della cabina di pilotaggio a mano a mano che si avvicinava.

Non aveva importanza quello che vedeva Hashan. Avrebbe deciso il missile se la visuale era libera. D’un tratto, apparve una luce nei mirini di ferro e partì una bassa sirena. Il missile aveva acquisito un segnale a infrarossi dall’aereo. Hashan puntò il lanciatore davanti all’aereo, guidandolo di poco. Si piantò sui piedi e premette completamente il grilletto.

Il missile uscì dal tubo con un WHOOOSH, e la forza che ci mise fece oscillare la sottile figura di Hashan. Lo osservò andare, le pinne anteriori e posteriori saltarono fuori immediatamente. Parve volar via al rallentatore, e quasi immaginò di vederlo ruotare.

“Dio è grande,” disse il ragazzo accanto a lui.

Hashan annuì. “Sì.”

Questo era vero, che il missile trovasse o meno l’obiettivo.

* * *

Il deputato del Texas Jack Butterfield poltriva sul sedile vicino al finestrino della prima classe bevendo una vodka tonic, osservando le montagne scorrere sotto di lui e ascoltando il canuto miliardario inglese Marshall Dennis blaterare accanto a lui di alcune disavventure edonistiche vissute a Ibiza da giovane, il tutto simultaneamente.

“È uno spasso, Marsh,” disse Jack, e non scherzava. L’intero viaggio era stato uno spasso, finora. Quello era l’aereo del partito. Avevano cominciato tutti a bere in una sala VIP dell’aeroporto prima di partire da Gatwick. Erano andati a zonzo a piacere per la cabina per tutta la durata del volo, come se fossero a un cocktail party volante.

E la giovane hostess rossa di capelli gli aveva appena servito un altro drink, anche se stavano atterrando. La seguì con gli occhi risalire il corridoio per fermarsi alla fila del console generale egiziano. Mamma mia, quanto gli sarebbe piaciuto vivere qualche disavventura con quella hostess.

Doveva pensare a una ragione per richiamarla da lui.

“Se a te sta bene,” disse Jack, “probabilmente questa storia non la racconterei all’inaugurazione.”

“Oh, dubito che anche solo una persona ne rimarrebbe sorpresa,” disse Marsh Dennis. “Sono un tipo sportivo da sempre.”

“Lo so. Credimi quando dico che seguo le tue…”

E allora l’aereo si inclinò bruscamente e sbandò violentemente a sinistra. Dall’altoparlante del velivolo giunse una voce. Jack riconobbe la lenta parlata strascicata dell’Oklahoma del pilota, un vecchio veterano della marina statunitense che Jack aveva brevemente incontrato salendo a bordo. Ma adesso la voce era diversa. L’uomo parlava rapido e forte.

“Assistenti di volo! Prepararsi per atterraggio di emergenza.”

Qualcuno due file dietro trasalì.

La carina assistente di volo dai capelli rossi era caduta in grembo al console generale. L’aereo sbandava tanto che si ritrovava quasi sottosopra, a gambe all’aria. Non riusciva a rimettersi in piedi.

Jack Butterfield si voltò verso Marsh Dennis. Tutto parve rallentare e assumere un velo surreale. Gli occhi iniettati di sangue di Marsh erano sgranati, quasi rotondi dalla paura improvvisa. Per la prima volta, Jack si accorse delle profonde rughe che aveva in faccia – lunghi e stretti canyon che gli mareggiavano giù per le guance.

Jack abbassò lo sguardo sulla propria mano, che teneva la vodka in una tazza di plastica da aeroplano. Non ne aveva versata una goccia, nonostante il trambusto. Provò un momento di assurdo orgoglio alla cosa – beveva da molto. Diavolo, era uno del Texas, lui.

“Virare a destra!” gridò qualcuno alle casse. “Tutto a destra, ho detto. Oddio, ci sta seguendo!”

Jack si guardò intorno in cerca della cintura. La trovò, la agganciò e la strinse forte.

Trascorse un attimo.

“Prepararsi all’impatto,” disse qualcuno.

Impatto?

Accanto a lui, Marsh Dennis mise le mani rovinate sulla cima del sedile davanti.

Da qualche parte dietro di loro, lontano nella cabina principale, giunse un rumore. Il deputato Jack non lo capì. Era così forte da andare oltre la sua comprensione. Era come un tuono moltiplicato per mille. Un istante dopo, la traiettoria di volo cambiò drasticamente. L’aereo stava precipitando – una caduta nauseante. Giunse il fischio della corsa… non c’era nulla di paragonabile.

Le cose adesso presero il volo, risucchiate all’indietro. La bella rossa fu una di queste. Il carrello dei drink che portava fu un’altra. E dopo, partì un’altra persona – un grassone in giacca e cravatta.

“Posizione di schianto!” gridò una voce tonante.

Jack urlò, ma senza riuscire a sentirsi. Lasciò cadere il drink e si schiacciò le mani sulle orecchie.

La cabina dell’aereo era come uno stretto tunnel davanti a lui. Quando si capovolse, chiuse forte gli occhi. Nel mezzo del terrore che provava, non gli venne in mente nessun pensiero, solo una fioca consapevolezza che, qualunque cosa fosse seguita, lui non voleva vedere.

* * *

“Arriva,” disse Liz Jones.

Se ne stava in piedi con la sua squadra avanzata dell’accoglienza all’area ricevimento internazionale passeggeri VIP del terminal 1 dell’aeroporto di Sharm el-Sheikh. Tutta la squadra era vestita con le uniformi nero e oro della Dennis Hotels Worldwide. Lei portava un tailleur marrone chiaro.

Lì i finestroni erano alti quattro piani, e offrivano un panorama imponente delle montagne circostanti e del deserto che si avvicinava all’aeroporto.

Sentì un briciolo di nervosismo correrle giù per la schiena – quella era una faccenda seria. Stava arrivando un carico passeggeri di pezzi grossi, incluso Sir Marshall Dennis in persona, e per la maggior parte adesso sarebbero stati belli ubriachi. Ma Liz poteva farcela. Lo sapeva bene. Aveva corso con i grandi di tutto il mondo, per anni e anni.

“Datevi una mossa,” disse.

D’un tratto un giovane del gruppo, un irlandese, trasalì. Poi una giovane urlò. Adesso sempre più persone nella lounge urlavano.

Liz guardò fuori dalla finestra, col bel viso di mezza età intorpidito, il cervello congelato dallo shock. Per un lungo momento non capì quello che stava succedendo là fuori. Non aveva senso. Quei dati poco familiari non tornavano.

D’altra parte, in un punto profondo della sua mente, sapeva di aver immagazzinato un video di quello che stava accadendo in quel momento. Se lo avesse rivisto, sapeva che cosa sarebbe stato – l’aereo in avvicinamento sopra alle montagne, poi un bagliore di luce sulla fiancata destra del velivolo circa a metà, appena dietro all’ala. Lo aveva visto succedere in tempo reale, ma era stata incapace di processare la cosa. Si stava preparando psicologicamente allo sbarco, e non si era accorta di quello che stava guardando.

L’aereo si era spezzato a mezz’aria. All’inizio ce n’erano due pezzi, poi tre, poi quattro. La parte posteriore della fusoliera era partita roteando come un boomerang. La sezione anteriore era schizzata in basso in avanti. Si era capovolta, velocissima, schiantandosi contro alla collina pedemontana e mandando in volo migliaia di frammenti. Le ali si erano disintegrate sbattendo a terra.

Liz continuò a fissare. Adesso non c’erano che incendi su tutta la collina. Tutt’intorno a lei, la squadra rimaneva ammutolita, delle statue in nero e oro della Dennis. Dietro a loro, nel terminal, la gente ancora urlava, e adesso correva.

Molti erano crollati al suolo.

“Era davvero l’aereo?” disse Liz a nessuno in particolare.

CAPITOLO DUE

4:35 ora della costa orientale

Residenza della Casa Bianca

Washington DC


Suonava il telefono.

Faceva un rumore strano, non tanto uno squillo quanto un ronzio. Però era forte. In più, ogni squillo accendeva l’oscurità del mattino di azzurro, come le luci delle macchine della polizia. Luke Stone quel telefono lo odiava.

Se ne stava tra la veglia e il sonno. Gli passavano delle immagini per la testa. Gli ultimi anni: un’esplosione alla vecchia Casa Bianca, l’imponente colonnato che andava in pezzi, con dei frammenti che volavano in aria; una battaglia a suon di pistole e razzi nell’ampio stadio aperto della Corea del Nord; gli occhi feroci di Ed Newsam e una nave portacontainer inghiottita dalle fiamme alle sue spalle; Mark Swann, scheletrico e barbuto con una tuta arancione, gli occhi vacui, incatenato a un gruppo di altri prigionieri dell’ISIS; gli occhi sofferenti e rabbiosi di Becca, il suo volto magro, la pelle come carta… i grandi occhi preoccupati di Gunner, che lo fissavano perché Luke facesse…

Luke aprì gli occhi. Accanto a lui, sul comodino, nel buio della camera da letto presidenziale, il telefono infernale continuava a suonare. Un orologio digitale si trovava accanto al telefono. Guardò i numeri rossi.

4:35. Come sbatté le palpebre, cambiarono. 4:36.

“Gesù,” sussurrò. Aveva dormito tre ore.

Una voce femminile impastata dal sonno: “Non rispondere.”

Una ciocca dei capelli biondi di lei faceva capolino dalle coperte. Le pesanti tende erano chiuse, e se non fosse stato per il telefono sarebbe stato completamente buio nella stanza, proprio come piaceva a Luke. Ma il telefono continuava a gettare quell’assurda luce azzurra per la camera.

 

“Pare di stare in discoteca.”

Raccolse il telefono. Misericordiosamente, la cruda luce azzurra morì.

“È per te,” disse porgendole il ricevitore.

Serpeggiò fuori una mano sottile, che prese il ricevitore e se lo portò sotto alle coperte. Se lo tenne a lato della faccia mezza coperta, gli occhi ancora sigillati.

“Susan Hopkins,” disse con voce seria, come se fosse sveglia da un’ora, avesse già fatto colazione e fosse stata interrotta mentre esaminava dei documenti importanti – la presidente degli Stati Uniti non dormiva mai.

Gli venne in mente un pensiero: Quante volte?

Quante volte lui o lei erano stati svegliati a notte fonda perché era accaduta una cosa orribile, o stava accadendo in quel momento, o stava per accadere? Quanti momenti di intimità, di normalità, di vita semplice – cosa che molti davano per scontata – erano stati bloccati o persino distrutti da telefonate come quella?

Mezzo addormentato, si concesse di immaginare un altro mondo, un mondo in cui loro due non facevano quei lavori. Il telefono non suonava a notte fonda con notizie terribili. Lei andava in tv, in una qualche misura. Lui faceva il professore al college. Una vita impegnativa, ma le cose potevano essere organizzate, si potevano fare progetti, e non dovevano nascondere la loro relazione.

Quella parte lo preoccupava ancora, forse più che mai. Il mondo pareva aver dato loro un lasciapassare per le ultime settimane. Forse era stata l’influenza delle vacanze – la gente aveva la propria vita e la propria famiglia a cui pensare. Le figlie di Susan erano venute dalla West Coast. Lui e Gunner avevano trascorso molto tempo lì alla residenza per qualche giorno. All’inizio era stato imbarazzante – Gunner era di poco più piccolo di Michaela e Lauren, e non era abituato ad avere a che fare con quelle mosche bianche dei figli di alcune delle persone più ricche della Terra. Comunque si erano tutti acclimatati un pochino, e avevano festeggiato uno strambo Natale da famiglia allargata. La vigilia era anche nevicato.

E in qualche modo era rimasto tutto fuori dalla portata dei media. Quando Luke aveva riportato Gunner alla casa dei nonni, non c’erano furgoni dei notiziari parcheggiati fuori. Nessun giornalista lo aveva chiamato nel suo ufficio chiedendogli con insistenza del suo ruolo di consulente stretto della presidente. Sul fronte media tutto tranquillo – troppo tranquillo. Ogni volta che chiedeva a Susan come faceva a non essere ancora giunta la notizia ai media, lei sorrideva misteriosamente e diceva:

“Non ti preoccupare. Abbiamo i nostri metodi.”

Ma lui si preoccupava. La situazione lo attanagliava. Più che altro lo preoccupava Gunner. Il ragazzo stava crescendo, e Luke voleva che avesse una vita pressoché normale. Dio sapeva se se la meritava dopo tutto quello che aveva passato. Stava ancora con i genitori di Becca, e andava bene così – almeno ultimamente si erano fatti più cordiali del solito. Non erano che degli arrivisti, e il loro ex genero adesso frequentava di nascosto la presidente.

A dire il vero, Luke avrebbe voluto solo che Gunner tornasse a vivere con lui. Però era ancora una spia, e adesso gestiva un’agenzia tutta sua. Vile da ammettere, ma adesso il tempo di crescere un figlio non ce l’aveva. Se fosse venuto a stare da lui, Gunner avrebbe trascorso un sacco di tempo da solo. Per adesso, Luke faceva di tutto per essere presente nella sua vita.

Scosse la testa, scacciandone i pensieri vaganti. Sotto le coperte, Susan ascoltava con attenzione. Per un attimo, Luke non abbandonò la speranza che magari la telefonata non fosse così male. Cavolo, potevano anche essere buone notizie – così buone da non poter aspettare la mattina. Cosa poteva essere?

“Oddio,” disse Susan, e il tono infranse qualsiasi speranza di lui. Susan fece un respiro profondo. “Ok. Senti. Fino a un minuto fa dormivo. Dammi mezz’oretta per farmi una doccia e mangiare un boccone. Nel frattempo, comincia a riunire i soliti sospetti.”

Susan fece una pausa mentre la persona all’altro capo parlava.

“Ok. Grazie.” La mano serpeggiò di nuovo fuori e passò il ricevitore a Stone. Luke lo rimise sulla base.

“Male?” disse.

“Sì.”

Non aveva ancora compiuto nessun tentativo di riemergere da sotto le coperte. Gli occhi di Luke si erano già adattati al buio e lei sembrava una bambina piccola là sotto – una bambina che non aveva voglia di alzarsi per andare a scuola.

“Schianto aereo nella penisola del Sinai,” gli disse. “Un vero disastro. A bordo c’era Jack Butterfield. E Sir Marshall Dennis e un’altra sessantina di persone di vari gradi di importanza. Non abbiamo ancora la lista passeggeri completa.”

Scostò le coperte. Aveva la testa appoggiata a un gomito, gli occhi ora aperti che lo fissavano. Erano occhi azzurri, incorniciati da folte ciglia. Le stavano crescendo i capelli. Era ormai scomparso il conservatore (e celebre) Caschetto alla Hopkins, o Elmo alla Hopkins, a seconda che si nutrissero simpatie o antipatie per la presidente.

Forse si stava facendo un po’ audace per la Washington ufficiale, forse abbracciava il suo lato femminile più di quanto avrebbe dovuto.

“Sopravvissuti?” disse Luke.

Scosse la testa. “No.”

Poi sospirò.

“Conosco Jack Butterfield l’Ascia da quindici anni. Era un cretino e un ubriacone e un bravo vecchio – non la mia combinazione preferita. Però era un uomo per bene, molto sveglio e molto vicino alle agenzie di intelligence e al Pentagono.”

“Lo so chi era.”

Scosse lentamente la testa. “Conosco Marshall Dennis da quando ero una ragazzina. Anche lui era un cretino e un ubriacone, e trascorreva troppo tempo a paleggiare le ragazzine, però…” Fece una pausa.

“Eh, lascia stare. Marsh Dennis non mancherà a nessuno. Le sue ex mogli probabilmente adesso sono al telefono con gli avvocati per chiedere di indagare sul testamento.” Fece un cenno al telefono. “Era Kurt Kimball.”

Luke annuì. “Ovviamente.”

D’un tratto, Susan scivolò fuori dal letto. Nella luce fioca, la osservò attraversare nuda con passo felpato la stanza. Un’ultima fuggevole immagine di una vita diversa gli passò per la testa – una vita in cui non era ancora ora di alzarsi.

“Mi servi, a questa riunione,” gli disse. “Per quanto odi dirlo, a questo dovrebbe lavorare lo Special Response Team.”

“Per via di Jack Butterfield?”

Sì, Butterfield era vicino alla comunità di intelligence nel senso che gli piaceva far visita agli uffici, ascoltare quello che avevano da raccontare e trastullarsi con i loro giocattoli. In cambio di essere trattato come uno dei grandi, lui faceva avanzare le richieste di budget al Congresso. L’ascia di Jack l’Ascia veniva dalla sua passione per il taglio delle attività extrascolastiche e dei programmi sociali per i poveri.

Luke si aspettava una chiamata, e poi una visita, di Jack l’Ascia uno di questi giorni. Non moriva dalla voglia di farsi piedino con Jack Butterfield, però era una cosa che doveva essere fatta. L’SRT era l’agenzia preferita della presidente, ma era il Congresso a prendere le decisioni in merito al budget.

Be’, supponeva che quella visita in particolare ora non ci sarebbe stata. Dentro di sé sorrise. Non avrebbe mai augurato del male al deputato Butterfield, e soprattutto non agli altri passeggeri, però…

Si alzò, andò al bovindo e tirò un angolino delle pesanti tende. Il meteo aveva previsto neve, e aveva avuto ragione. Scendeva pesante, soffiata da raffiche di vento. Pareva che a terra ce ne fossero già diversi centimetri.

“Nevica,” disse Luke. E ora sorrise davvero. “Giusto per dire una cosa originale, il traffico del mattino sarà un casino.”

“L’aereo è stato abbattuto, Luke. Kurt pensa che sia stato un assassinio con un obiettivo preciso. Peggio, pensa che potrebbe essere l’inizio di qualcosa di più grosso.”