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Un Trono per due Sorelle

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Aus der Reihe: Un Trono per due Sorelle #1
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CAPITOLO UNDICI

Sofia si sforzava di stare a guardare il ballo mentre le danze venivano aperte, con gruppi di persone che si muovevano in formali balli di corte di cui lei semplicemente non conosceva i passi. Avrebbe voluto correre verso il Principe Sebastian, ma in quel momento le era difficile far muovere i piedi nella direzione giusta.

Per cosa sei venuta qui, allora? si chiese.

Era quella la questione. Non poteva fare la timida. Se neanche poteva convincersi ad andare a parlare al principe, allora sarebbe dovuta andare da uno degli altri uomini presenti in sala. E se non poteva farlo, allora doveva andarsene, vendere quello che aveva e sperare che le sarebbe bastato per restare fuori dalla strada per una notte o due.

Non era forse meglio andare dal principe piuttosto che scegliere una delle altre due opzioni? Non era meglio parlare a un uomo che le piaceva? Con quel pensiero Sofia si ritrovò capace finalmente di camminare, e iniziò ad avanzare in mezzo alla folla.

Ancora non tutti stavano ballando. I nobili più anziani per lo più guardavano dai lati, parlando tra loro di quale figlio, o figlia, o nipote stesse ballando nel modo più elegante; delle guerre dall’altra parte del Tagliacqua; delle ultime feste organizzate dalla vedova o del fatto che la figlia di Lord Horrige avesse scelto di diventare una suora della Dea Mascherata. Solo il nominare quella parola fece allontanare Sofia dalla conversazione.

Continuò ad avanzare verso il principe. Non stava ancora danzando, anche se suo fratello era invece in pista intento a passare da una compagna all’altra con l’allegra esuberanza di un uomo che sapeva di poter scegliere le donne che voleva. Sofia si accertò di evitarlo. Non aveva intenzione di essere risucchiata dal vortice del suo divertimento.

Mentre si avvicinava al Principe Sebastian, fu certa di vederlo guardare verso di lei. Era difficile da dire per certo, con la maschera che gli oscurava l’espressione, ma il suo talento parve cogliere la sua sorpresa.

Sta venendo verso di me? Ero certo che una ragazza così adorabile avesse il biglietto del ballo già pieno.

“Vostra altezza,” disse Sofia quando lo raggiunse, inchinandosi dato che almeno le avevano insegnato a fare così alla Casa degli Indesiderati. “Spero non vi dia fastidio che mi sia avvicinata a voi in questo modo.”

Fastidio? Solo se inizierà a parlare di quanto perfetto sembri il ballo. Odio il modo in cui queste cose appaiono così forzate.

“No, nessun fastidio,” le rispose. “Scusatemi, non riesco ad indovinare chi si celi sotto questa maschera.”

“Sofia di Meinhalt,” disse lei ricordando la sua falsa identità. “Mi scuso, non sono molto brava nelle feste. Non sono certa di cosa dovrei fare.”

“Non sono molto bravo neanche io,” ammise Sebastian.

Sono dei carnai.

“Non dovete nascondervi a me,” disse Sofia. “Vedo che non vi piacciono molto. Troppe persone che cercano vantaggi per sé nello stesso posto?” Esitò. “Scusatemi, sono stata troppo diretta. Se volete che me ne vada…”

Sebastian la prese per un braccio. “No, vi prego. È un sollievo incontrare una persona così preparata ad essere onesta riguardo a quello che sta succedendo qui.”

Sofia si sentiva a dire il vero un po’ in colpa, dato che era ben consapevole di trovarsi sotto falsi pretesti. Allo stesso tempo sentiva più di un collegamento verso Sebastian, mentre le stava più vicino di qualsiasi altro dei presenti. Aveva la sensazione che fosse reale, mentre molti degli altri erano nascosti sotto una facciata di apparenza.

La verità era che le piaceva, e sembrava che anche lei piacesse a lui. Sofia poteva vedere i suoi pensieri limpidamente come dei pesci sul fondale di un fiume. Erano cose brillanti, senza nessuno dei segni di crudeltà che aveva visto in suo fratello. E poi poteva vedere come lui si sentisse e cosa pensava quando la guardava.

“Perché siete venuto al ballo se li odiate così tanto?” gli chiese. “Pensavo che un principe potesse scegliere di non farlo.”

Sebastian scosse la testa. “Forse funziona così a Meinhalt. Qui tutto è dovuto. Mia madre vuole che partecipi, e quindi partecipo.”

“Probabilmente spera che voi troviate una ragazza carina,” disse Sofia. Si guardò in giro appositamente. “Sono certa che ce ne debba essere una da qualche parte.”

Riuscì a farlo ridere con quella battuta.

“Pensavo di averla appena vista,” ribatté Sebastian. Sembrò rendersi conto di quello che aveva appena detto. “E tu, Sofia? Perché sei a questo ballo?”

Sofia si sentì di non volergli mentire, almeno non più di quanto fosse necessario.

“Non avevo nessun altro posto dove andare,” gli disse, e Sebastian dovette percepire la sua tristezza. Ovviamente non poteva conoscerne la ragione, ma anche se pensò che si trattasse di una qualche nobile sconosciuta che era dovuta scappare dalle guerre, l’empatia nelle parole che disse fu molto importante.

“Mi spiace. Non volevo sollevare argomenti difficili,” le disse. Le porse la mano. “Ti va di ballare?”

Sofia prese la mano, sorpresa di scoprire che non c’era nulla che desiderasse di più in quel momento. “Sì, mi va.”

Andarono insieme verso la pista da ballo. A Sofia venne in mente allora che in questo c’era un ovvio problema.

“Dovrei forse avvisarti che non sono la migliore delle danzatrici. Neanche conosco tutti i passi dei balli qui.”

Vide il sorriso di Sebastian. “Almeno tu hai la scusa di un completo insieme di balli di corte a Meinhalt. Io semplicemente non sono tanto bravo, e ho avuto insegnanti che me l’hanno detto, quindi deve essere vero.”

Sofia gli mise una mano sul braccio. Sapeva di persona cosa significasse avere degli insegnanti crudeli. Dubitava che quelli del principe l’avessero picchiato, ma c’erano modi di essere crudeli anche senza mettere un dito addosso a qualcuno.

“È una cosa orribile da dire a qualcuno,” disse. “Sono certa che balli meglio di quanto pensi.”

“Almeno potremo imparare insieme,” disse Sebastian.

Per il primo paio di passi del nuovo ballo Sofia vacillò, non sapendo cosa fare. Poi le venne in mente una cosa ovvia: c’era un’intera stanza piena di gente attorno a lei che conosceva i passi della danza, e che avrebbe dovuto pensarci per poterli eseguire.

Si mise in ascolto usando i suoi poteri e sperando di poter cogliere quello che le serviva, usando gli occhi per comprendere il resto mentre osservava i ritmi degli altri danzatori. Una ragazza poco distante da loro sembrava completamente concentrata sui passi, come se le fossero stati impiantati nella mente da un maestro non poi tanto tempo fa.

“Stai imparando velocemente,” disse Sebastian mentre Sofia iniziava a muoversi.

“Neanche tu stai facendo tanto male,” lo rassicurò lei.

Ed era vero. Nonostante le sue dichiarazioni di non saper ballare bene, l’unico problema che poteva vedere nel modo di danzare di Sebastian era una sorta di rigidità imbarazzata. Sembrava andare e venire a seconda che ricordasse o meno che la gente lo stava guardando, tanto che Sofia decise di distrarlo.

“Dimmi di te,” gli disse mentre roteavano tra le altre coppie.

“Cosa c’è da dire?” le rispose Sebastian. “Sono il figlio più giovane della vedova, tecnicamente lord di un ducato minore a ovest, e del tutto irrilevante per quanto concerne la successione. Faccio tutto ciò che è richiesto dai miei doveri, il che include partecipare ai balli.”

Sofia gli mise una mano sulla spalla. “Sono contenta che tu lo faccia. Ma non sono queste le cose che mi interessano. Voglio sapere di te. Cosa ti fa sorridere? Cosa ti piace di più nel mondo? Quando sei con i tuoi amici, ti trattano come se fossi un principe, o sei semplicemente Sebastian per loro?”

Sebastian rimase in silenzio così a lungo che Sofia sospettò di aver detto qualcosa di sbagliato nonostante i vantaggi che i suoi poteri le davano.

“Non lo so,” disse alla fine. “Non sono certo di avere degli amici, non veramente. Al meglio sono sempre stato uno che sta ai lati della cerchia di amici di mio fratello. Vista la maggior parte di loro, magari non è poi una brutta cosa. Ad ogni modo il mio unico lavoro in qualità di giovane principe è di non rivelarmi imbarazzante. Ed è più facile se riesco ad evitare il genere di gineprai che Rupert sa creare. E a dire il vero i libri sono molto più interessanti di loro.”

Sofia lo strinse un po’ di più a sé. “Sembra una situazione solitaria. Spero di essere almeno più interessante di un libro.”

“Molto più interessante,” disse Sebastian, e poi parve rendersi conto di ciò che aveva detto. “Scusa, non avrei dovuto…”

Anche se è vero.

“Nessun problema,” disse Sofia. Poté vedere il suo imbarazzo per essere andato oltre, ma il suo talento le mostrò anche quanto fosse al contempo felice che a lei non desse fastidio, oltre a quello che iniziava a pensare ogni volta che la guardava. Era strano vedere la stanza che sembrava illuminarsi per qualcuno solo perché Sofia era lì.

Sebastian pareva essere sul punto di dire qualcos’altro, ma un’altra ragazza scelse quel momento per avvicinarsi a loro con il braccio teso, come a chiedergli di ballare. Sofia poteva vedere come sarebbero andate le cose, con il principe che passava da una adorabile ragazza a un’altra, dimenticandosi completamente di lei.

Ma con sua sorpresa Sebastian si ritrasse dalla ragazza.

“Magari più tardi,” le disse, sebbene con voce gentile. “Come vedi, ho una compagna per questo ballo.”

“Ho il mio biglietto del ballo,” iniziò la ragazza, ma Sofia stava già ballando con Sebastian dirigendosi dalla parte opposta.

 

Non avrebbe dovuto preoccuparsi. Gli occhi di Sebastian erano solo per lei mentre continuavano a danzare. Sofia adorava la sua voce mentre le parlava delle cose che gli piacevano: non le assurde guerre in cui erano interessati la maggior parte dei nobili, ma l’arte e il mondo, la gente della città e le cose che era capace di fare in qualità di principe per rendere le cose migliori.

“Certo,” disse, “non è come i giorni prima delle guerre civili, quando re e regine potevano fare quello che volevano. Ora tutto passa per l’Assemblea dei Nobili.”

“Lasciandoti la sensazione di non poter fare niente di buono?” ipotizzò Sofia.

Sebastian annuì.

“Ashton è una città crudele,” le disse, “e il resto del paese non è molto meglio. Ancora peggio in alcune delle parti più anarchiche. Sarebbe bello poter dare una mano.”

Sofia aveva sempre dato per scontato che i nobili non facessero altro che sputare addosso a quelli che stavano sotto di loro, senza curarsi di quanto fossero dure le loro vite. Parlando di Sebastian almeno sembrava che si sbagliasse.

Lo stesso non voleva dirgli la verità sulla propria identità. In quel momento le sembrava una situazione troppo preziosa per questo. Sembrava un filo sottile come quello di una tela di ragno, e allo stesso modo fragile. Una mossa sbagliata e tutto poteva crollare.

Sofia non voleva che crollasse. Sebastian le piaceva, e un’occhiata ai suoi pensieri le disse che anche lei piaceva parecchio a lui. In quel momento le pareva di poter stare lì a ballare e parlare con lui tutta la notte.

E lo fece.

Ruotò tra le braccia di Sebastian mentre suonava un’altra canzone. Gli parlò della vita nel palazzo, dei posti che aveva visto e della gente con cui aveva parlato. Lei gli tirò fuori le parti di lui che brillavano come diamanti nei suoi pensieri, allontanandolo dai giorni mondani e dalla pressione della vita di corte.

Parlando della propria vita, Sofia mantenne le cose in generale più che poté. Poteva ammettere di avere una sorella, ma non poteva raccontargli le storie delle loro vite, eccetto che per i più vaghi dettagli, perché questo avrebbe significato parlare dell’orfanotrofio. Poteva attenersi a citazioni delle ultime notizie perché poteva prendere i dettagli dalla mente del principe. La cosa migliore che poté fare fu riportare l’attenzione a Sebastian, o parlare di cose che non avrebbero svelato da dove veniva o cosa aveva fatto per arrivare lì.

Ad un certo punto le sembrò semplicemente naturale doverlo baciare. Sofia si fece indietro per un momento, poi si chinò con noncuranza più vicina a lui, ignorando le occhiate di alcune delle giovani nobildonne ai lati della stanza. Non si trattava di loro. Si trattava di lei, e di Sebastian, e…

Quando gli orologi segnarono le ore, il frastuono delle loro campane oltrepassò il suono della musica, e attraverso ciò che aveva legato Sofia e Sebastian per tutta la serata. Lo shock fece distogliere ad entrambi lo sguardo e in quel momento tutto ciò che stava per unirli in un bacio andò in frantumi.

Sofia sollevò lo sguardo e vide alcuni di coloro che stavano in disparte a guardarli, parlando a voce bassa. Le donne più giovani non sembravano per niente felici mentre iniziavano ad allontanarsi, togliendosi le maschere mentre andavano.

“La festa è finita?” chiese Sofia. “Non sembra sia passata un’ora da quando è iniziata.”

“Tre,” disse Sebastian, ma solo dopo aver dato un’occhiata a un orologio per avere conferma. Sofia vide che anche per lui il tempo era scorso veloce. “È una strana sensazione. Normalmente queste cose sembrano dispiegarsi per un’eternità.”

“Dev’essere la compagnia,” disse Sofia con un sorriso.

“Probabilmente lo è,” rispose Sebastian. A quel punto si tolse la maschera, e se il cuore di Sofia già stava battendo forte al pensiero di lui, ora lo fece ancora più potentemente. Era più bello di quanto avesse pensato, non insignificante e banale come suo fratello, come era apparso dai pensieri di molti altri.

“Posso?” chiese Sebastian allungando le mani verso la maschera. “Porta sfortuna portare una maschera dopo la fine di un ballo mascherato, e la gente penserà che non conosci i nostri modi se la indossi per tornare alla tua carrozza.”

Sofia provò allora un attimo di paura. Dietro la sua maschera era Sofia di Meinhalt, una straniera che non poteva essere identificata. Senza di essa… sarebbe bastata?

Sentì le dita di Sebastian mentre toglievano delicatamente la mezza maschera dietro la quale si nascondeva. Poi la guardò, e Sofia poté sentire i suoi pensieri chiaramente come se glieli stesse gridando.

Per Dio, è ancora più perfetta di quanto credessi! È così… è così l’amore?

Sofia si stava ponendo la stessa domanda, e questo portò con sé un problema. Sofia cercò di seppellirlo mentre Sebastian iniziava a portarla verso l’ingresso del palazzo, scivolando insieme a lei in mezzo alla folla di gente.

Sofia poté vedere lì alcune delle ragazze che la guardavano con ostilità appena mascherata.

Chi è quella? Cosa ci fa qui?

Sofia poteva sentire la loro rabbia per non essere tra le braccia del principe, ma in quel momento voleva concentrarsi solo su Sebastian.

“Quando ti rivedrò?” chiese Sebastian.

Sofia non era sicura di cosa dire. Come poteva rispondere, quando l’unico motivo per cui si trovava lì era una completa bugia? Il grande difetto del suo piano si aprì allora davanti a lei: le aveva guadagnato l’ingresso a palazzo per una volta, ma non le concedeva nient’altro. Le mostrava questo mondo e poi la chiudeva fuori di esso.

Sebastian le accarezzò il viso.

“Cosa c’è?”

Sofia non aveva pensato che la sua preoccupazione fosse così evidente. Pensò più rapidamente che poté.

“La carrozza che mi aspetta…” iniziò, cercando con intensità di non mentire, ma sapendo che non aveva altra scelta, “… mi riporterà a…”

“Alla nave?” le suggerì lui con la preoccupazione stampata in volto. “Tornerai a casa, dall’altra parte dell’oceano?”

Sofia annuì, sollevata che l’avesse detto lui, evitandole quindi di pronunciare la bugia.

“Sì,” disse, “e adesso… non ho una casa, per niente,” concluse. “La mia casa non è più quella di un tempo. È in completa rovina.” Quella parte almeno era facile da fingere, dato che c’era qualcosa di vero. “Ho viaggiato attraverso l’oceano per scappare da casa mia. Non ci voglio tornare. Soprattutto ora che ho conosciuto te.”

Vide la confusione sul volto di Sebastian, e poi la determinazione.

“Resta qui” le disse Sebastian. “Questo è un palazzo. Ci sono più stanze per gli ospiti di quante io ne possa contare.”

Sofia non rispose. Non voleva mentirgli più di quanto fosse necessario. Era una cosa sciocca, dato che era lei stessa una menzogna, ma lo stesso non voleva dire quelle parole.

“Mi stai offrendo di lasciarmi stare?” gli chiese. “Così e basta?”

Sofia non poteva crederci. Sebastian riempì quel vuoto e venne fuori che gli servivano solo due parole per farlo, porgendole una mano mentre gli ultimi uscivano dalla sala.

“Resti?” le chiese ancora.

Sofia allungò la propria mano e prese la sua, lentamente, e sorrise.

“Non c’è nulla che vorrei di più,” disse.

CAPITOLO DODICI

Kate sussultò mentre il fabbro le inchiodava l’anello di una catena attorno al polso, legandola alla recinzione di ferro battuto. Kate cercò di liberarsi tirando, ma non c’era segno di cedimento nel metallo.

E pareva non esserci alcun segno di cedimento neanche nell’uomo che l’aveva forgiato. Sembrava forte quanto il ferro che lavorava, con il petto ampio e potente. Sua moglie era più esile e aveva un aspetto preoccupato.

“Tutto qui, Thomas? La lasci proprio dove potrebbe liberarsi?”

“Tranquilla, Winifred,” le disse il fabbro. “Non si libererà. Conosco il mio lavoro.”

La moglie però non pareva convinta. Avrebbe dovuto provare a stare dove si trovava Kate. In quel momento le pareva di avere una morsa stretta attorno al polso. Avrebbe voluto tirare, lottare, ma le armi che aveva rubato erano sparite, e lei non poteva neanche liberarsi.

“È poco meglio di un animale,” disse la donna. “Dovremmo portarla a un magistrato, Thomas, prima che ci ammazzi tutti quanti.”

“Non ci ammazzerà,” disse il fabbro, scuotendo la testa di fronte a tutto quel melodramma. “E se la consegniamo a un magistrato, la impiccheranno. È poco più che una ragazzina. Vuoi essere responsabile della sua impiccagione?”

La paura si insinuò in Kate al pensiero. Conosceva i rischi del furto mentre lo perpetrava, ma saperli era cosa diversa dalla minaccia di un’effettiva morte. Fece del suo meglio per apparire il più innocente e innocua possibile. Kate non era certa di esserne capace. Era quel genere di cosa in cui Sofia era sempre stata meglio di lei. Certe volte nell’orfanotrofio era riuscita a non farsi picchiare solo perché era piaciuta alle sorelle mascherate.

Non molto spesso, però. Dopotutto la Casa degli Indesiderati era stato un luogo duro.

“Mi spiace,” disse Kate.

“Stento a crederlo,” disse seccamente la moglie del fabbro. “Là fuori c’è un cavallo che dubito si sia accaparrata onestamente, e poi stava rubando delle armi. Perché una ragazza come questa dovrebbe volere delle armi? Cosa intendeva fare? Diventare una bandita?”

E se vedessero il cavallo? E se pensassero che stiamo dando protezione a un ladro?

Kate poteva vedere che le paure della donna erano più legate a ciò che sarebbe successo se non l’avessero consegnata alla giustizia, piuttosto che una reale minaccia per loro.

“Non volevo diventare una bandita,” disse Kate. “Volevo vivere libera e cacciarmi il cibo da me.”

“Essere un bracconiere è forse meglio?” domandò Winifred. “È una follia. Fai quello che vuoi, Thomas, io me ne torno in casa.”

Rispettò le parole appena pronunciate e tornò a grandi passi verso l’edificio principale. Il fabbro la guardò allontanarsi, e Kate colse l’opportunità per tentare ancora di scappare. Ma non fece alcuna differenza.

“Potresti anche smettere di provarci,” disse l’uomo. “Lo forgio bene il mio metallo, io.”

“Potrei gridare per chiamare aiuto,” disse Kate. “Potrei dire alla gente che mi avete rapita e che mi state trattenendo qui contro la mia volontà.”

Vide l’uomo allargare le braccia. “Mostrerei loro la finestra rotta, le cose che hai cercato di rubare. Allora loro andrebbero a chiamare il magistrato.”

Kate immaginò che fosse vero. Il fabbro era probabilmente parte del cuore della comunità in quella piccola sezione della città, mentre lei era una ragazza capitata dalla strada. E poi c’era il cavallo, e la gente che avrebbe ben saputo che l’aveva rubato.

“Meglio,” disse Thomas. “Magari adesso possiamo parlare. Chi sei? Hai un nome?”

“Kate,” gli rispose. Scoprì allora che non riusciva a guardarlo dritto negli occhi. Provava effettivamente vergogna per tutto questo, ed era una cosa che Kate non avrebbe mai pensato di provare.

“Bene, Kate, io sono Thomas.” La sua voce era più gentile di quanto Kate si sarebbe aspettata. “Sentiamo, da dove vieni?”

Kate scrollò le spalle. “Ha importanza?”

“Ha importanza se hai una famiglia che ti vuole bene. Genitori.”

Kate sbuffò all’idea. I suoi genitori erano spariti da tempo, perduti in una notte che… scosse la testa. Anche in quel momento il pensiero si rifiutava di presentarsi completo. Sofia magari sapeva, ma Sofia non era lì.

“Il che ci lascia diverse possibilità,” disse Thomas. Afferrò la gamba dei suoi pantaloni rubati, sollevandola per mostrare il tatuaggio che la marchiava come una delle Indesiderate. Kate si dimenò per liberarsi, ma era troppo tardi.

“Stai scappando dal tuo contratto di vincolo?” chiese Thomas. Scosse poi la testa. “No, sei troppo giovane. Da uno degli orfanotrofi allora? Hai degli inseguitori?”

“Hanno mandato dei ragazzi dall’orfanotrofio,” ammise Kate.

Cercò poi di leggere i pensieri del fabbro per capire cosa avesse intenzione di fare a questo punto. Se l’avesse riconsegnata, non aveva dubbi che ci sarebbe stata una sorta di ricompensa per lui, e nella sua esperienza, la gente faceva di tutto per il proprio interesse. Dispiegò i propri sensi verso la sua mente, e lo trovò intento a fissarla.

“Sei una di loro, vero?” le disse Thomas.

 

“Cosa intendi dire?” ribatté Kate. Sapeva per dolorosa esperienza che chiunque sapesse ciò che lei era avrebbe reagito in malo modo. I mozzi del barcone non l’avevano forse gettata nel fiume per quel motivo?

Vide Thomas scuotere la testa. “Non ha senso tentare di nasconderlo. Uno dei figli del nostro vicino… era come te. Sembrava sempre sapere quello che stavamo pensando, anche quando non dicevamo niente. Ho imparato a maturare una sensazione per quando lui si intrometteva ad ascoltare i pensieri. Non abbiamo saputo niente di cosa fosse fino a che non abbiamo sentito i sermoni di alcuni dei sacerdoti mascherati.”

“Non so… non so di cosa tu stia parlando,” disse Kate.

Thomas allungò le mani e aprì la catena che aveva al polso.

“Puoi scappare se vuoi,” le disse, “ma non ho intenzione di farti del male.”

Kate non scappò. Aveva la sensazione che il fabbro avesse altro da dire.

Lo fece. “Non mi interessa quello che sei capace di fare. Per quanto mi riguarda, non sei maledetta, né malvagia, né nient’altro di quello che loro dicono. Senti… mio figlio Will è scappato in una delle compagnie. Vuole essere un grande soldato. Beh, da allora mi serve aiuto nella forgia.”

Kate aggrottò la fronte, cercando di capire cosa il fabbro stesse dicendo.

“Mi stai offrendo un lavoro?”

Non era ciò per cui era scappata dalla Casa degli Indesiderati. Non era neanche quello che voleva mentre tentava di scappare dalla città. Eppure doveva ammettere che c’era qualcosa di allettante in questo.

“Stai scappando,” disse Thomas. “Ma io credo che tu non abbia questo gran piano. Danno la caccia ai vincolati che fuggono. Se ti prendono, ti faranno del male, e poi ti venderanno. In questo modo invece ti troveresti a lavorare a qualcosa che secondo me ti piacerà. Tu sei al sicuro e io ottengo l’aiuto che mi serve. Puoi avere cibo e alloggio, imparare il mio lavoro.” La guardò speranzoso. “Cosa ne dici?”

Kate non si era aspettata questo quando l’uomo l’aveva catturata. Non si era aspettata nient’altro che violenza, e probabilmente pure il cappio del boia. Le pareva che stesse accadendo tutto fin troppo rapidamente e le girava la testa.

Però il fabbro aveva ragione. Sarebbe stata al sicuro e avrebbe imparato qualcosa che da tempo voleva sapere come fare. Non sarebbe stata in campagna, ma per quello magari ci sarebbe stato tempo in futuro.

“Da dove cominciamo?” chiese.

***

La forgia era un luogo buio quando vi entrarono e Kate provò un pizzico di preoccupazione sentendo la mano di Thomas sulla sua spalla, mentre la guidava. E se si fosse trattato di un trucco? Per cosa però? Kate non poteva immaginare cosa avrebbe potuto volere da lei.

Di certo voleva qualcosa. Tutti volevano qualcosa.

Aspettò mentre lui accendeva una lampada, poi andò al forno e dispose il carbone in un modo che pareva ben più che un miscuglio buttato lì a caso.

“Guarda attentamente,” le disse. “Uno dei tuoi compiti sarà quello di aiutare ad accendere la forgia la mattina, e c’è un’arte per farlo.”

Kate osservava tutti i movimenti cercando di carpirne il senso.

“Perché farlo così?” chiese. “Perché non buttarci semplicemente dentro il carbone?”

Vide Thomas scrollare le spalle. “Il calore è lo strumento primario di un fabbro. Deve essere trattato con cura. Troppo carburante, o troppo poco, troppa aria o troppo poca: tutto questo può rovinare il ferro.”

Kate fu sorpresa quando lui le porse una selce e dell’acciaio, indicando un punto dove mettere la stoppia.

“Iniziamo con il legno, poi costruiamo.”

Kate si mise al lavoro con selce e acciaio, producendo scintille fino a che le fiamme presero vita nella stoppia.

“Perché sei scappata?” le chiese Thomas.

“Sai com’è l’orfanotrofio?” ribatté Kate. Era difficile non indurire la voce a quel pensiero.

“Non ci sono stato, quindi direi di no,” rispose il fabbro. “Ho sentito delle voci.”

Voci. Non erano lo stesso che la realtà. Non ci si avvicinavano neanche. Un pettegolezzo erano poche parole che si dimenticavano presto. La realtà era stata dolore e violenza e paura. Era stato un luogo dove ogni giorno si era sentita dire che valeva meno di chiunque altro, e che doveva essere grata per l’occasione che le venisse detto.

“Era così male quindi?” chiese Thomas, e fu solo mentre lo diceva che Kate capì quanto il suo volto dicesse al riguardo.

“Era così male,” assicurò.

“Eh, ci sono dei posti malvagi nel mondo,” disse Thomas. “E spesso non sono dove i sacerdoti dicono.” Fece un cenno con la testa indicando un grosso mucchio di soffietti. “Ti farò lavorare sodo qui, Kate, se ti fermerai. Vediamo se sei capace di soffiare un po’ di aria nel fuoco per farlo diventare abbastanza caldo.”

Kate andò dai soffietti, aspettandosi di poterli spostare facilmente. Invece erano duri come gli ingranaggi della macina all’orfanotrofio. La differenza era che, mentre lei si sforzava per far funzionare il soffietto, l’effetto si vedeva. Il fuoco nella forgia crebbe, cambiando colore mentre veniva alimentato da aria e carbone. Kate guardò le fiamme che mutavano da giallo ad arancio, a calore incandescente capace di muovere l’acciaio.

Thomas prese un pezzo di ferro e lo mise nella forgia. “Continua, Kate. Il ferro si muove lentamente. Ci sono cose che non possiamo accelerare.”

Lo disse con la pazienza di qualcuno che aveva lavorato sodo al metallo. Kate continuò a lavorare, ignorando il sudore che le si formava sulla pelle. Si trovò a desiderare di fare colpo sul fabbro. Dopo quello che le aveva offerto, voleva mostrargli che lei valeva. Era una strana sensazione: all’orfanotrofio non le era interessato. Forse era stato perché lei non interessava loro, eccetto che per i loro comodi.

“Vedi la sfumatura che ha assunto il ferro?” le chiese Thomas. “Quando tiriamo il metallo fuori dalla forgia, dobbiamo lavorarlo rapidamente. Quando inizia a sbiadire, dobbiamo rimetterlo rapidamente nella forgia.”

Kate capì e corse a prendere un paio di pinze, allungandole verso il metallo e tirandolo fuori rapidamente. Non voleva sprecare un singolo istante nella sua forgiatura. Il movimento fu troppo rapido e Kate sentì il momento in cui il metallo le scivolò dalla presa piegandosi e cadendo sul pavimento in pietra della forgia.

Le sfiorò una gamba cadendo, e Kate urlò. Un profondo bruciore le scorse dentro: solo quel leggero contatto le aveva provocato agonia pura. Thomas fu da lei in un istante, inclinando un trogolo d’acqua sulla gamba e anche sul metallo. Kate sentì il metallo sfrigolare, ma in quel momento non c’era tempo per curarsene. Le faceva davvero troppo male.

“Stai ferma,” disse Thomas prendendo una caraffa di salvia odorosa. Si rivelò delicata e rinfrescante, intorpidendo la gamba di Kate tanto da far diminuire il dolore. Da dove si trovava distesa, Kate poteva vedere le crepe nel pezzo di ferro che aveva afferrato troppo velocemente.

“Mi spiace,” disse. Si aspettava che Thomas la colpisse per la sua goffaggine, proprio come erano solite fare le suore. Invece lui le porse una mano e la aiutò ad alzarsi.

“La cosa principale è che tu non ti sia fatta male seriamente,” le disse. “È una brutta scottatura, ma guarirà.”

“Ma il ferro…” iniziò Kate.

Thomas fece un gesto di noncuranza. “Il ferro si rompe. La cosa importante è che tu impari ad avere pazienza. Non puoi diventare un mastro fabbro in un giorno, e neanche in cento. Non puoi fare le cose di fretta attorno a una forgia. È un luogo per pazienti e calmi, perché l’alternativa è pelle ustionata e metallo rotto.”

“Migliorerò,” insistette Kate.

L’uomo annuì. “Lo so.”