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Un Trono per due Sorelle

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Aus der Reihe: Un Trono per due Sorelle #1
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Lo faceva sembrare così semplice, quando per tutta la sua vita le avevano detto che c’erano cose che erano troppo malvagie anche solo per parlarne. C’era un motivo per cui Kate e Sofia avevano nascosto ciò che sapevano fare.

“Non dovresti più avere paura di ciò che sei,” disse Siobhan. “Potresti essere forte. Potresti essere libera. Quelli come me potrebbero aiutare quelli come te, se ce ne dai il permesso.”

Una parte di Kate voleva dire di sì, ma sapeva che non era il caso di farlo. La gente era raramente così generosa.

“E tu cosa vorresti in cambio?” chiese Kate.

Siobhan apparve compiaciuta. “In cambio, due cose.”

“Due cose?” ribatté Kate.

“Tu mi chiedi tanto,” rispose la donna. “Due cose non mi pare irragionevole.”

Lo faceva apparire quasi allegro, come se tutta la cosa fosse un gioco. C’era qualcosa nella risata che seguì che quasi non parve umano. Era come se la foresta stessa stesse ridendo.

“Quali cose?” chiese Kate nonostante tutto.

“Farmi da apprendista e imparare tutto quello che voglio insegnarti.”

Non sembrava molto diverso dall’accordo che aveva con Thomas. Non sembrava tanto diverso, in molti modi, dal miglior genere di accordo che potrebbe essere derivato da un contratto di vincolo.

“E la seconda cosa?” chiese Kate.

La donna entrò nella fontana, e per un momento la fece brillare. Kate vide un’immagine di essa lucente e nuova, piena d’acqua. La statua al di sopra luccicava, e sembrava fin troppo simile a una strega per i gusti di Kate.

Ci fu un lungo silenzio, e poi:

“Un favore.”

Kate piegò la testa di lato. “Che favore?”

Siobhan rise ancora in quel modo preoccupante. Sembrava fin troppo divertita dall’intera situazione. “Non ho ancora deciso. Ma lo faresti, qualsiasi cosa fosse.”

Era una cosa molto più grande da chiedere. Kate non era certa di averne lo stomaco.

Scosse la testa. Era troppo. Era decisamente troppo. Sentiva l’oscurità di quella dona, e sentiva che, qualsiasi fosse il favore, sarebbe stato orribile. Sarebbe stato come vendere la sua anima.

Si ritrasse dalla fontana, un passo alla volta.

“No,” disse, sorpresa di udire le sue stesse parole, sorpresa di sentire se stessa rinunciare all’unica cosa che aveva sempre voluto.

La donna in tutta risposta sorrise appena, come se sapesse che Kate non aveva scelta.

Kate arretrò, e quando raggiunse i gradini, si mise a correre, inciampando mentre scappava. La risata folle di Siobhan la seguì.

“Sarò qui quando cambierai idea.”

CAPITOLO VENTIDUE

Sofia ancora non poteva credere che Sebastian le avesse chiesto di sposarlo. Si era appena abituata al fatto di aver trovato un posto nel palazzo come sua amante, e ora, improvvisamente, il suo anello le stava al dito. Non poteva credere che le cose fossero avanzate così rapidamente, e che ora lei stesse per sposarsi. Era come essere portati avanti da una corrente, così veloce che non c’era modo di sapere per la metà del tempo cosa stesse accadendo.

Sofia non aveva immaginato che programmare un matrimonio richiedesse così tanto. Sapeva che non si trattava solo di trovare il sacerdote, quando si trattava della famiglia reale, ma c’erano delle complessità che non aveva mai considerato. C’erano feste da organizzare, annunci da fare. C’erano anche permessi da richiedere, perché la vedova e l’Assemblea dei Nobili avrebbero dovuto dare la loro benedizione prima che il matrimonio del principe andasse avanti. Quest’ultima, secondo alcuni ufficiali cui aveva chiesto, era una semplice formalità. Era una questione in cui i nobili sarebbero andati avanti qualsiasi cosa dicesse la loro governatrice.

Ma avere il consenso della madre di Sebastian le appariva più che una semplice formalità. Era stata piuttosto cortese durante la cena alla quale Sofia l’aveva incontrata, ma Sofia non era tanto stupida da credere che una governatrice non fosse felice se uno dei suoi figli sposasse qualcuno che non potesse fornire un’alleanza o portare nuove terre nel suo regno. Al momento Sofia si trovava circondata da una piccola cerchia di aiutanti, con un segretario che stava ripassando l’intera etichetta della richiesta di permessi, un sarto che lavorava a dei modelli per un abito da sposa e il cuoco del palazzo che parlava della possibilità di mangiare cigno od oca.

“Ovviamente si tratta della tradizione qui, ma ho pensato che potrei offrire una selezione delle prelibatezze che vengono dalla vostra patria.”

I loro nomi lampeggiarono nella mente del cuoco, e Sofia ne scelse un paio, poi fece un cenno per lasciare intendere che l’argomento era chiuso.

“Sono sicura che lo renderete meraviglioso, qualsiasi cosa sceglierete,” disse Sofia. Avrebbe voluto che Cora fosse lì ad aiutarla a trovare una rotta in tutto quel caos.

Avrebbe voluto che Sebastian stesso fosse lì, piuttosto che incastrato nei preparativi dell’esercito e nel ruolo che aveva in questo. Sofia sentiva che poteva arrivare solo fino a un certo punto da sola, ed essere con lui… beh, questo era praticamente il punto della situazione, o no? Che senso aveva sposarsi se il futuro marito neanche c’era?

Se stava facendo tutto questo solo per avere une bella vita, allora avrebbe potuto non contare. Avrebbe potuto programmare il matrimonio dei sogni, senza la quasi inutile presenza di un marito. Sofia poteva immaginarsi Angelica seduta felice in una delle stanze di Sebastian, intenta a dare ordini ai servitori mentre programmava la sua posizione da moglie.

Sofia voleva Sebastian. Più di tutto lo amava. Sentiva un doloroso bisogno ogni volta che lui non era presente, e il mondo pareva illuminarsi quando invece c’era. Ora pareva che lei fosse intrappolata nel mezzo dei preparativi di un matrimonio, senza nessuna possibilità di poter realmente vedere il suo futuro marito.

Poi apparve, e Sofia si alzò per gettargli le braccia al collo. Rimase scioccata quando lo vide fare un passo indietro.

“Sebastian?”

“Vieni con me, Sofia,” le disse.

“Cosa c’è?” chiese Sofia. Cercò di cogliere la risposta dai pensieri di Sebastian, ma in quel momento erano un caotico groviglio, pieni di dolore e confusione. C’erano dentro troppe cose per potersi concentrare su un unico filone. “È successo qualcosa? Sebastian, cosa sta succedendo?”

“Speravo che potessi dirmelo tu,” disse Sebastian in un tono che fece gelare il sangue a Sofia. Qualcosa era andato storto. Le ragazze del castello avevano inventato un pettegolezzo su di lei, o sua madre aveva rifiutato il matrimonio. Forse il negoziante dove aveva venduto il vestito era venuto a dire a Sebastian della sua nuova sposa. C’erano talmente tante cose che potevano essere andate storte nel suo piano, che sembrava stare insieme solo perché legato da fili di ragnatela.

Sofia non sapeva cosa fosse andato storto, quindi seguì Sebastian attraverso il palazzo, spostandosi dalla zona centrale alle stanze degli ospiti, andando verso una sala dove tutto sembrava essere ordinario, eccetto per la guardia che stava fuori dalla porta.

“Grazie,” disse Sebastian all’uomo. “Ora puoi andare.”

“Sì, vostra altezza,” rispose l’uomo. Si allontanò, ma solo la sua presenza rese dubbiosa Sofia riguardo a cosa stesse accadendo.

Quando Sebastian aprì la porta, la risposta arrivò. La stanza era stata sistemata come studio di un artista, la maggior parte dell’arredamento tolto per fare spazio a tele pronte per essere lavorate. Sofia non dovette chiedere di chi fossero quelle stanze: erano ovviamente di Lauretta von Klet, l’artista che Sebastian aveva portata lì per fare il ritratto a Sofia. Gli schizzi di Sofia dicevano un sacco al riguardo. Anche l’inizio di un dipinto che si trovava esattamente al centro, fatto a olio. Era ben lontano dall’essere finito, ma era pur sempre più avanti di quanto avrebbe potuto pensare, e la mostrava nel giardino informale e più bella di quanto pensasse di essere nella vita reale.

“Ebbene?” chiese Sebastian.

“Beh, è bellissimo,” disse Sofia. “Ma non capisco…”

“Qui,” disse Sebastian indicando un punto del dipinto. Un punto in cui il vestito di Sofia si era sollevato nella casuale gioia della giornata, mostrando un pezzo del suo polpaccio, e il simbolo che stava lì come un’accusa.

L’aveva coperto con il trucco per il ballo. Lo aveva fatto di tanto in tanto da allora, ma non oggi. Se n’era dimenticata. E se n’era dimenticata anche nel giorno del loro viaggio sul fiume? La verità era che non lo sapeva, ma la prova era proprio davanti a lei. L’unica domanda era cosa avrebbe fatto adesso.

“Non capisco,” fu tutto ciò che le venne in mente di dire.

Sebastian scosse la testa. “Non mi mentire, Sofia. Lauretta dipinge ciò che vede. Solo ciò che vede.” Allungò allora una mano verso di lei, e anche se Sofia iniziò a indietreggiare, la prese per le spalle. “Anche alcune delle donne del palazzo stanno parlando, dicendo che c’è qualcosa che non va in te. Pensavo fossero solo gelose, ma se non fosse così?”

Sofia cercò di fermarlo mentre sollevava un lembo del suo vestito, sapendo che non appena l’avesse fatto, sarebbe finito tutto. Ma non c’era nulla che lei potesse fare, e nel giro di pochi istanti il simbolo del vincolo tatuato sul suo polpaccio fu in piena vista.

Sebastian lo fissò per diversi secondi, e poi fece un passo indietro. Sofia poté sentire lo shock venire da lui, i suoi pensieri sopraggiungere in una tale fretta che era difficile seguirli tutti. Lo vide sprofondare sul pavimento, in mezzo a tutti i cavalletti lì sistemati, con l’aspetto di chi avrebbe voluto gridare dal dolore.

 

“Sebastian,” iniziò a dire Sofia, volendo consolarlo, ma non avrebbe funzionato, no? Non dato che era lei a fargli del male.

Lui sollevò lo sguardo e lei vide il luccichio delle lacrime nei suoi occhi. Era una cosa che non si era aspettata, e una cosa che non avrebbe assolutamente mai voluto causare.

“Perché?” le chiese. “Perché mentirmi, Sofia? È il tuo vero nome, almeno?”

“Sì,” lo rassicurò. Per la prima volta da quando lo conosceva, permise che l’accento contraffatto cadesse. “Solo che non di Meinhalt.”

“Neanche la tua voce è reale?” disse Sebastian, e ora sembrava distrutto. “Ci conosciamo da… cosa? Qualche giorno al meglio. Non sappiamo niente l’uno dell’altra, no? Chi sei?”

Sofia deglutì davanti a quella domanda. Era una domanda che non era sicura di poter rispondere lei stessa. Aveva tentato di creare una risposta, ma non era quella vera. Si era posta la domanda più e più volte senza trovare una risposta. Però le faceva male sentirla da Sebastian.

Aveva una disperata voglia di dirgli tutto. Su se stessa, sul suo passato, e soprattutto su quanto genuinamente lo amasse. Su come, anche se tutto il resto era falso, il suo amore per lui fosse reale. Su come non avesse mai inteso fargli del male. Come il suo mentire, il suo comportarsi a quel modo, non fosse neanche parte di lei.

Ma nella confusione delle sue emozioni, le parole rimasero incastrate in gola. Tutto quello che riuscì a dire fu: “Non volevo che andasse così.”

Sebastian si alzò e andò verso una delle tele. Improvviso come una tempesta, la prese, la ruppe e la strappò.

“Mi hai ingannato!” gridò. “Ti sei approfittata di me! Tutto quello che volevi era il mio benessere! La mia posizione! Non mi hai mai voluto bene!”

Sentì un dolore al petto a quelle parole, per la loro improvvisa violenza, nel vedere la sua immagine lacerata a quel modo. Era l’immagine adatta di come si sentiva adesso, della sua vita, tutto strappato e fatto a pezzi.

Nonostante i suoi migliori sforzi, Sofia iniziò a piangere. Rimase lì a piangere come una bambina senza nessuno a consolarla.

Questo parve sorprendere Sebastian. Smise quello che stava facendo, e la sua rabbia cessò. La fissò, come se fosse dispiaciuto, come se si fosse reso conto di aver esagerato.

Ma non venne a consolarla.

Sofia avrebbe voluto così tanto leggere i suoi pensieri, ma erano un tale caos di emozioni al culmine, di sentimenti contradditori, che non era capace di interpretarli.

“Non ho un posto dove andare,” mormorò involontariamente Sofia.

Subito se ne pentì. Non voleva più la sua solidarietà, né il suo aiuto.

Ma lui era ancora lì, in silenzio. La sua rabbia e il suo shock sembravano essersi calmati, il suo volto pareva adattarsi a qualcosa di simile alla compassione, o alla pietà.

Sofia non voleva pietà. E meno che meno da lui.

Voleva amore. Amore vero. E si rese conto in quell’istante, anche se l’aveva trovato con Sebastian, di averlo perso per sempre.

Sofia fece un passo indietro.

Asciugandosi le copiose lacrime, si tolse l’anello che lui le aveva dato. Lo lasciò cadere sul tappeto, perché non osava toccare ancora Sebastian, e non poteva portarlo con sé.

Aveva una disperata voglia di dire: voglio che tu sappia che se tutto era una bugia, il mio amore non lo era.

Ma in quel momento i suoi singhiozzi le salirono in gola, forti, e annullarono ogni parola.

Tutto quello che riuscì a fare fu girarsi e scappare. Scappare dal castello, dall’uomo che amava, e da questa vita che le sfuggiva tra le dita.

CAPITOLO VENTITRÉ

Kate tornò ad Ashton frustrata, ma anche con una sorta di pace addosso. Frustrata perché non aveva ottenuto la forza che stava cercando. In pace perché questo rendeva le cose molto più semplici. Non poteva accettare l’offerta della strega, e quindi la sua vita sarebbe tornata al lavoro presso la forgia di Thomas come apprendista, nel tentativo di imparare qualcosa sulle spade e a come farle roteare in aria.

Non era quello che aveva voluto quando era partita andando in città, ma aveva il potenziale di essere una buona vita, in particolare con la presenza di Will lì. Si poteva anche non ottenere dalla vita ciò che si voleva, ma magari pure le alternative potevano essere buone. Il pensiero di Will che l’aspettava alla forgia fece sorridere Kate mentre arrivava ai confini della città. Ora non mancava molto, e presto sarebbe arrivata.

Smontò da cavallo e lo portò a mano per l’ultimo pezzo di strada verso la forgia. Aveva cavalcato quello che bastava per un giorno, e le gambe le facevano male per lo sforzo.

“Quando saremo tornati,” disse alla cavalla, “potrai riavere una vita tranquilla, e io sarò la migliore apprendista che Thomas potrebbe chiedere.”

Era decisamente un insegnante migliore dell’alternativa che le era stata offerta. Era gentile paziente e, cosa cruciale, essere l’apprendista di un fabbro non presentava il rischio di dovere un misterioso favore a una strega. C’erano delle cose che Kate non poteva fare, neanche per ottenere la forza che le serviva per la sua vendetta. Il rendersene conto portava con sé una sorta di pace, come se una fiamma che aveva minacciato di consumare tutto in lei si stesse ora affievolendo.

Forse questo era un bene. Forse era tutto un segno che lei doveva mettere da parte la violenza. Forse…

“Eccoti lì!” gridò una voce. “Io ti conosco!”

E Kate conosceva quella voce. L’ultima volta che l’aveva sentita, il suo proprietario la stava rincorrendo in riva al fiume, determinato a picchiarla a sangue prima di ritrascinarla all’orfanotrofio.

E infatti, quando guardò, vide che il più grande e grosso ragazzo del molo era lì, e avanzava verso di lei con la sicurezza di qualcuno che sapeva che per Kate non c’era nessun posto dove scappare. Si prese tempo, e Kate conosceva a sufficienza le tattiche dei bulli da sapere che le stava solo dando tempo per poter provare paura.

Riuscì a leggere dai suoi pensieri che stentava a credere alla sua fortuna nell’averla trovata dopo aver cercato così tanto.

Non aveva un bell’aspetto. Aveva ancora i lividi della rissa giù al molo, ma erano accompagnati da segni più recenti che sicuramente provenivano da botte ricevute. Se fosse stato qualcun altro, Kate avrebbe potuto provare anche compassione per lui. Ma dati i fatti, si ritrasse da lui chiedendosi se potesse riuscire a montare a cavallo e sparire.

“Non ha senso scappare,” le disse. “Sono giorni che ti cerco, piccola troia! Gli altri sono tornati strisciando all’orfanotrofio e hanno detto che preferivano essere venduti a una miniera che continuare a cercare. Io invece ho continuato.”

“Buon per te,” gli rispose Kate. Stava ancora pensando a come montare a cavallo. Se ci riusciva, poteva allontanarsi da quest’idiota più velocemente di quanto aveva fatto al fiume.

“Bene per me, male per te,” disse il ragazzo. “Non cercare di scappare. Pensi che non sappia che lavori per il fabbro? Ti ho cercata. Ho chiesto di te. E adesso…”

Kate smise di andare verso il cavallo, e rimase al suo posto mentre il ragazzo avanzava.

“E adesso cosa?” gli chiese. “Non hai due amici che ti aiutano adesso.”

“Pensi che abbia bisogno di loro? Per una ragazza? Ti ho dato la caccia, ho evitato i cacciatori io stesso, e ora intendo costringerti a implorarmi di riportarti indietro.”

Kate sfoderò la spada da allenamento. Era solo di legno, ma era pur sempre abbastanza lunga da poter essere minacciosa.

“Dovrai pensarci bene,” disse al ragazzo.

“Sto pensando,” rispose lui. “Sto pensando che quando ti porterò indietro, mi lasceranno entrare nei gruppi di cacciatori. Pagherò il mio vincolo con la prima preda. Potrò fare quello che voglio, poi.”

Kate sospirò per la stupidità di tutto il discorso. Sapeva tutto su come i progetti funzionavano nel mondo reale. “Puoi già fare tutto quello che vuoi. Guarda, come ti chiami?”

“Zaccaria,” disse il ragazzo sulla difensiva, come se si aspettasse un trucco.

“Bene, Zaccaria. Guarda dove sei. Non sei nell’orfanotrofio, no? Non sei nel mezzo di un contratto di vincolo. Puoi andartene e fare quello che vuoi. Hai evitato i cacciatori per un giorno o due, quindi perché non per sempre? Non ce ne sono poi così tanti nel paese, no? Puoi semplicemente girarti e andartene.”

Le pareva così ovvio. Nessuno di loro due era vincolato né in pericolo. Il ragazzo sarebbe andato per la sua strada, lei per la propria, e la Casa degli Indesiderati non avrebbe potuto avere alcuna pretesa su di loro. Lui si sarebbe potuto fare una vita là fuori, che fosse trovare una fattoria dove lavorare o, più probabilmente, intraprendere la carriera di ladro. Non era sufficiente?

“Potrei,” le disse. “Non voglio. Quello che voglio fare è pestarti a sangue, gridare per chiamare la vigilanza e poi ridere mentre ti trascinano via. Guardie!”

Gridò tanto forte che Kate fremette.

“Guardie! C’è una fuggitiva!” guardò Kate con un ghigno in faccia. “E quando ti prenderanno, ti faranno confessare dov’è tua sorella. Magari arriverò a…”

“Non parlare di mia sorella!” gridò Kate, facendo roteare la spada di legno sopra la testa. Il ragazzo rabbrividì e la spada gli colpì la spalla, rimbalzando indietro.

“Ti pesterò a sangue,” le promise, lanciandosi all’attacco. Andò a sbattere contro Kate, e in un istante i due erano a terra, dato che lo slancio li aveva fatti cadere e rotolare entrambi.

Kate lo colpì con la spada di legno, ma il ragazzo la afferrò e riuscì a levargliela dalle mani. La colpì con forza, e in quell’istante a Kate parve di trovarsi di nuovo nel campo da allenamento, o vicino al molo. Sentiva lo stesso sapore del sangue, la testa che le girava. Provava lo stesso senso di profonda incapacità, ed era una sensazione che odiava.

“Ti lascerò con un aspetto tale che sembrerà che ti sia presa un calcio da quel tuo cavallo,” le disse. “Poi troverò tua sorella, e vi porterò indietro tutte e due insieme.”

Kate allungò la mano per prendere la spada che le aveva fatto cadere. Lui la colpì di nuovo, poi la prese lui stesso e la sollevò.

“Oh, volevi questa?” le chiese.

“No,” rispose lei, e la sua voce parve strana a se stessa. “Voglio solo che tu abbia le mani occupate.”

Tirò fuori dal fodero il coltello per mangiare e lo affondò in un momento nel petto del giovane.

Fu più facile di quanto avesse immaginato. Il coltello era affilato, e la carne del ragazzo morbida, ma lo stesso non aveva creduto che fosse così facile uccidere qualcuno. Non avrebbe dovuto essere così facile far scivolare un coltello tra le costole di qualcuno, ascoltando il sussulto che emetteva quando la lama raggiungeva il cuore.

Zaccaria parve scioccato dall’improvviso dolore. Sembrava sul punto di dire qualcosa, magari chiamare ancora la guardia, ma le parole non vennero. C’era invece del sangue che gli gocciolava dall’angolo della bocca, e lui si accasciò, cadendo di peso addosso a Kate.

La cosa peggiore fu che il suo potere le permise di vedere il momento in cui morì, i suoi pensieri che andavano da dolore a panico a una sorta di totale vuoto mentre il suo spirito lo lasciava. Kate percepì l’istante della morte, e si sentì…

… beh, come si sentiva? Era una domanda più difficile di quanto Kate potesse credere. Più che altro che se lo meritava. Che doveva liberarsi dal peso morto del morto prima che la schiacciasse. Nessun rimorso. Non ancora. Non la paura che era certa di dover provare, dato che aveva appena ucciso qualcuno.

Si trovò invece a sentirsi quasi stranamente calma al riguardo. Eppure sempre al centro di una tempesta, come se il resto del mondo fosse qualcosa che non si stava realmente verificando. Kate si liberò dalla grossa stazza del ragazzo, pulendo il suo coltello e vedendo poi che c’era del sangue anche sulla sua camicia. Ma non ci poteva fare niente.

In lontananza fischi e grida segnalarono l’avvicinamento di guardie, o di gente del posto che si riuniva, dato che qualcuno aveva chiamato aiuto. Era questo quello che si faceva quando c’era del pericolo, no? Lanciavano il grido di allarme e tutti quelli che vivevano nei paraggi si univano per dare la caccia ai ladri o per mandare via i lupi. O per impiccare gli assassini. Kate li sentì avvicinarsi, e per un lungo momento non poté fare altro che restare lì a cercare di orientarsi e capire cosa fare.

 

Ora le emozioni iniziavano a insidiarsi in lei dopo lo shock iniziale. Aveva appena ucciso qualcuno, e il pieno orrore della cosa le cadde addosso come un enorme peso. Qualsiasi fosse il motivo, o la situazione, aveva appena pugnalato una persona. Se la sorveglianza fosse venuta qui a cercarla, o la più dura giustizia della folla, che differenza avrebbe fatto che lui la stesse picchiando fino quasi ad ammazzarla?

In qualche modo Kate dubitava che questo avrebbe cambiato le cose. Tornò dal suo cavallo, barcollante per un misto di emozioni e dolore dovuto al pestaggio. Le ci vollero tre tentativi per riuscire a montare in sella, tirandosi su goffamente e quasi cadendo a terra.

Non sapeva cosa fare del corpo di Zaccaria, non era certa di poter fare qualcosa, dato che il peso del cadavere era di certo impossibile da spostare per lei sola. Ad ogni momento il rumore di guai si stava avvicinando sempre più, e non c’era tempo. Quindi lo lasciò lì, in mezzo alla strada, dirigendosi verso la bottega del fabbro.

Mentre cavalcava, tutte le implicazioni di quello che aveva appena fatto iniziarono a rivelarsi in lei. Era una vincolata, che scappava dal suo destino e che aveva ucciso qualcuno che stava tentando di riportarla indietro. L’avrebbero uccisa per questo, e sarebbe stato un miracolo se l’avessero semplicemente impiccata, piuttosto che lasciarla alla gogna a morire di fame, o peggio ancora torturata su una ruota.

Era quasi tornata dal fabbro quando si rese conto della verità: non poteva tornare. Non sapeva se qualcuno l’avesse vista lottare con Zaccaria. Di certo qualcuno aveva sentito cosa il giovane aveva gridato. Non ci sarebbe voluto molto perché la gente capisse che era lei quella che lui aveva trovato, soprattutto se prima aveva fatto domande su di lei.

Se fosse tornata indietro avrebbe portato dei guai a Thomas e Winifred. E anche a Will. Qual era la pena per dare aiuto a un assassino? Solo il pensiero che potesse succedere qualcosa a Will fece venire la nausea a Kate.

Lui e Thomas erano fuori quando Kate tornò. Non smontò da cavallo. Non osò farlo, perché se fosse smontata a terra, avrebbero potuto convincerla a restare, o avrebbero potuto dirle che l’avrebbero protetta da qualsiasi cosa, anche se non potevano. Nessuno poteva farlo.

“Kate,” disse Will con un sorriso. “Sei tornata! Bene, giusto in tempo! Io e mio padre abbiamo una sorpresa per…”

“Will,” disse suo padre, interrompendolo. Thomas ovviamente vedeva più di quanto avesse osservato suo figlio. “Zitto un momento. C’è qualcosa che non va.”

Kate rimase a cavallo semplicemente fissandoli senza sapere cosa dire. Sembrava sbagliato dire qualsiasi cosa, perché nel momento in cui l’avesse fatto, avrebbe portato un sacco di dolore alle uniche persone che le avessero mai mostrato una qualche gentilezza.

“Kate?” disse Will. “Cosa sta succedendo? Perché c’è del sangue sulla tua camicia? Qualcuno ti ha aggredita?”

Kate annuì. “Un ragazzo della Casa degli Indesiderati. Voleva riportarmi indietro. Mi ha attaccato e…” Era difficile riuscire a dirlo. Non voleva che Will o Thomas pensassero che lei era una specie di mostro.

“E?” chiese Thomas.

“E l’ho ucciso,” disse Kate. “Non avevo altra scelta.”

Era vero? Le era parso di non avere nessun’altra opzione quando aveva piantato il coltello nel petto del giovane, ma la verità era che, in quel momento, lei aveva voluto la morte di Zaccaria. Se l’era meritata dopo tutto quello che le aveva fatto, e quello che aveva minacciato di farle.

“Entra,” disse Will. “Dovremo nasconderti.”

Ma Thomas capì meglio del figlio. “La troverebbero anche se la nascondessimo, Will. Verrebbero a sapere che ho una nuova apprendista. Non ci vorrà molto tempo.”

“E allora cosa facciamo?” chiese Will.

Fu Kate a rispondere. “C’è solo una cosa che posso fare. Devo andarmene. Se me ne vado dalla città, non mi cercheranno per sempre, ma se resto qui, faranno del male a voi come a me.”

“No,” disse Will. “Possiamo fermare questa cosa. Possiamo lottare contro di loro.”

Kate scosse la testa. “Non possiamo. Non contro tutti. Semplicemente ti ucciderebbero insieme a me, e non voglio che questo accada, Will. Devo andare.”

Kate poteva sentire il dolore e la delusione che ribollivano in Will come fumo. Era molto simile a quello che provava lei stessa in quel momento, ma sapeva che lui non capiva i pericoli che stavano per presentarsi.

“Non voglio che tu te ne vada,” le disse.

“E neanche io voglio andarmene,” rispose Kate. “Ma devo. Mi spiace, Will. Thomas, grazie, mi hai dato una casa, e mi sarebbe piaciuto imparare di più.”

“Saresti stata una brava apprendista,” disse Thomas. “Ho qualcosa per te. Doveva essere una sorpresa. Will?”

Will non rispose per un momento, ma poi annuì. Andò fino a un punto dove un pezzo di stoffa copriva qualcosa, e lo tolse. Kate vide il bagliore di una spada. E più di tutto, era un spada che lei conosceva, perché ne portava la versione in legno al fianco.

“Non c’era abbastanza tempo da forgiare la lama base,” disse Thomas. “Avrei voluto affilarla, preparare l’elsa e curare i dettagli, ma è forte e leggera.”

La prese e la porse a Kate. Non era finita, ma era pur sempre molto più di quanto si sarebbe aspettata. Era lunga e leggera, e le sarebbe stata in perfetto equilibrio in mano non appena ci avesse messo un’impugnatura. Era probabilmente la cosa più bella che avesse mai posseduto.

“Ci ho lavorato insieme a mio padre,” disse Will. “Volevamo darti il benvenuto al tuo ritorno. Ora… immagino che sarà una sorta di regalo.”

“Non so cosa dire,” disse Kate. “Grazie. Grazie a tutti e due.”

Kate prese la spada e la mise al suo posto accanto a quella di legno in modo che entrambe le pendessero dalla cintura. Aveva la sensazione di dover dire qualcos’altro oltre a un semplice grazie. C’erano così tante altre cose che avrebbe voluto dire, che avrebbe voluto fare, ma poteva già sentire le grida in lontananza, che salivano dato che avevano trovato il corpo che si era lasciata alle spalle. Questo rese chiaro che non c’era tempo per dire nient’altro.

Dovette piegarsi dalla sella per dare un bacio a Will, rapido e brusco, neanche certa che fosse la cosa giusta da fare. Non aveva avuto molto tempo per fare pratica nell’arte di dare baci. Si raddrizzò prima che lui potesse dire qualsiasi cosa, anche se non ci fu molta differenza dato che il suo talento le diceva tutte le cose che lui avrebbe voluto dire a lei. Sentirle così le faceva male, facendola sentire come se girarsi e andarsene potesse strapparle il cuore dal petto.

Ma Kate lo fece lo stesso. Spinse i talloni contro il costato del cavallo e se ne andò, ascoltando le grida che stavano salendo mentre più gente iniziava a darle la caccia. Non doveva pensare a dove andare. C’era solo un posto dove poteva andare, se voleva sopravvivere.

Sembrava che la donna alla fontana dopotutto avrebbe avuto quello che voleva.