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Un Trono per due Sorelle

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Aus der Reihe: Un Trono per due Sorelle #1
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“No, ti ho appena detto…

Vera… e pericolosa.

“Geoffrey,” ripeté Kate con tono spazientito. “Non mi dai mai una mano quando ne ho bisogno. Me lo devi però. Dimmi la verità.”

Geoffrey sembrò titubare e abbassò lo sguardo.

“Argent era uno spadaccino quando io ero giovane,” disse. “Non era molto bravo. Poi se ne andò dalla città. Non per molto. Certo non per così tanto tempo da poter diventare tanto bravo come quando tornò. Sconfisse D’Aquisto e Newman uno dopo l’altro in scontri di allenamento! Quando la gente gli chiese come avesse fatto, parlò di una fontana a sud della città, e fu tutto ciò che disse al riguardo.”

“Mi stai dicendo che è vero?” chiese Kate. “Stai dicendo che potrei…”

“No, Kate,” insistette il bibliotecario. “Non puoi. Perché sai cos’è successo ad Argent? È scomparso, proprio all’apice del suo talento. Ha sconfitto tutti coloro che c’erano da sconfiggere, ha scritto il suo libro, e poi è svanito. C’è chi dice che i sacerdoti della Dea Mascherata l’abbiano preso, ma ci sono altri... altri che dicono che è stato qualcuno, qualcosa, di diverso.”

Kate percepì allora la paura traspirare da Geoffrey. Era serio al riguardo, ma quella serietà non le fece condividere il suo timore. Invece la eccitava, perché significava che era reale. Quella fontana poteva esistere.

“Promettimi, Kate,” le disse. “Promettimi che non andrai a cercarla. È pericolosa.”

“Prometto,” disse Kate alzando una mano come a voler fare un giuramento. Allo stesso tempo si trovò a pensare alla mappa che aveva visto nel libro, cercando di ricordarne i dettagli.

Sembrò essere sufficiente per Geoffrey. Kate lo sentì emettere un sospiro di sollievo e tornare ai suoi libri mentre Kate contemplava la sua prossima mossa.

Era probabilmente un bene che fosse lei quella capace di leggere nella mente del bibliotecario, e non il contrario. Ciò significava che lui non poteva vedere ciò che lei aveva realmente intenzione di fare.

Significava che non poteva vedere la sua bugia.

CAPITOLO VENTI

Sofia tornò al palazzo, scivolando dentro il più silenziosamente possibile, ma incapace di evitare le occhiate di alcune delle persone lì presenti. Vide servitori scansarsi di corsa vedendola, e si chiese chi stessero correndo ad avvisare. Vide Angelica guardare da un balcone con un’espressione molto simile a un tuono.

C’era qualcosa che stava accadendo, e la gente si stava muovendo troppo rapidamente perché Sofia potesse fermare qualcuno e scoprire di cosa si trattasse. Ebbe una vaga sensazione di violenza e tensione, di uomini che si preparavano per un conflitto, ma perché allora Angelica sarebbe dovuta essere irritata? Non aveva senso.

Per un momento l’incertezza fu tale da farle venire voglia di girarsi e tornare in città, perché doveva esserci qualcosa che non andava, e in quel momento l’unica cosa che Sofia poteva pensare era che potessero aver scoperto di lei. Se sapevano tutto, doveva scappare, e scappare adesso.

Se fosse stato il caso, però, Angelica non sarebbe stata trionfante? Perché non era tutta compiaciuta nel vedere Sofia che cadeva in basso? Quel pensiero fu sufficiente a portare Sofia a proseguire, entrando nel palazzo e cercando delle risposte. Cercando Sebastian.

Non dovette cercare lontano per trovarlo. La stava aspettando all’ingresso della sua stanza, con un aspetto sorprendentemente soldatesco con un soprabito blu e una spada che gli pendeva dalla cintura. Tese una mano guantata verso Sofia e lei la prese.

“Sebastian? Sta succedendo qualcosa?”

Sebastian annuì. “Un sacco di cose. Per iniziare, ho un giorno pianificato per noi.”

Sorrise mentre lo diceva, e non aggiunse altro. Nella sua mente Sofia colse un mucchio di pensieri alla rinfusa. C’era… una barca?

C’era effettivamente una barca. Sebastian camminò con Sofia fino a un piccolo affluente del fiume che scorreva in città, circondato dai giardini del palazzo, con pescherecci che stavano ancorati in uno dei rari posti d’acqua liberi ad Ashton. Lì c’era una piccola imbarcazione intagliata con disegni di draghi e tanto dorata da brillare, con un quartetto di uomini in livrea blu che sedevano ai remi, e un divanetto su un piccolo pontile sopraelevato.

Sebastian la aiutò a salirvi, e la barca si allontanò dai suoi ormeggi con lenti colpi di remo. Sull’erba della riva c’erano un paio di fagiani che camminavano, mentre a Sofia parve di scorgere un cervo in lontananza.

“È bellissimo qui,” disse. “Molto più bello del resto del fiume.”

“Siamo piuttosto in alto a monte,” le disse Sebastian. “Qui la città non ha avuto ancora molto il suo effetto.”

Sofia immaginava che Ashton potesse prendere ogni cosa e trasformarla in qualcosa di brutto. Molto lo spesso lo faceva di certo con la gente, indurendo le persone e trasformandole in individui che volevano portare via tutto agli altri. In qualche modo, però, nel mezzo di tutto questo, Sebastian era diverso. Era gentile, e generoso, e perfetto.

Remarono attraversando la città fino a un’altra distesa di verde, dove i salici si inarcavano al di sopra dell’acqua, e una piccola banchina portava a un giardino pieno di boccioli colorati che a loro volta attiravano api ronzanti e farfalle dai colori accesi. C’era anche una coperta lì distesa, con l’occorrente per un pic-nic su di essa.

“Hai programmato tutto questo per me?” chiese Sofia.

“Tutto questo e anche di più,” la rassicurò Sebastian. Fece un gesto verso un punto dove si trovava un cavalletto sistemato subito dietro alla coperta da picnic, e una donna vestita da pittrice vi stava seduta accanto, già al lavoro per riprodurre lo sfondo della scena del giardino.

“Chi è?” chiese Sofia.

“Quella è Lauretta van Klet,” disse Sebastian. “Diventerà una delle principali artiste, ancora migliore di Hollenbroek, non appena i nobili vedranno le sue opere. Non mi è venuto in mente nessuno di migliore per farti un ritratto.”

“Fare un ritratto a me?” chiese Sofia. Anche solo l’idea la colse un po’ di sorpresa. L’idea che qualcuno potesse desiderare di farle un ritratto le pareva qualcosa di irreale, qualcosa di impossibile. I dipinti che aveva visto al palazzo erano stati di principi e re, regine e nobildonne. C’erano state anche delle figure allegoriche, scene mitologiche e donne dalla bellezza immensa. Sofia non ci aveva potuto vedere nessuna orfana.

“Non lasciate che la mia presenza vi distragga,” disse la donna. “Non mi piace la formalità compassata dei ritratti degli altri. Continuate a essere voi stessi.”

Era una strana sensazione, avere l’ordine di divertirsi nel modo in cui in generale si danno gli ordini alle truppe in battaglia. Lo stesso Sofia ci provò, sdraiandosi sulla coperta mentre Sebastian le si metteva accanto e le offriva un uovo di quaglia.

Era così bello, stare lì stesi al sole, spiluccando tra carni dolci e pastine, baciando Sebastian, godendosi questo spazio nascosto che sembrava non lasciarsi toccare dal resto del mondo. Sofia stava vicina a Sebastian, ed era facile perdersi in sua presenza, tanto che nonostante l’artista poco distante da loro, e nonostante i rematori che li avevano portati lì’, le pareva di essere da sola con lui.

Poi i rematori portarono degli strumenti dalla barca e iniziarono a suonare: un’arpa e un flauto, un tamburo e un liuto. L’incongruenza di tutta quella scena fece ridere Sofia.

“Ecco!” esclamò Lauretta. Voglio cogliere il tuo volto così.”

Con sorpresa di Sofia, però, non le chiese di mantenere la posa. Si mise solo le punte delle dita sulle tempie, come a voler imprimere il momento nel suo cervello.

“È il suo dono,” disse Sebastian. “Può ricordare un momento e dipingerlo perfettamente.”

“Perché dipingerlo in modo completamente diverso?” chiese l’artista, apparendo sorpresa dalla sola idea.

Sofia la vide intenta a osservarla da capo a piedi, dal modo in cui stava coricata sul fianco al modo in cui il vestito si era increspato salendo un po’ lungo il polpaccio. Secondo gli standard dei soliti ritratti che aveva visto al palazzo, questo sarebbe stato probabilmente rivoluzionario, o almeno scioccante.

Sofia rimase lì, ed era ora una strana sensazione, sapere che qualcuno stava guardando ogni suo movimento. Cosa avrebbe fatto la madre di Sebastian del ritratto? Avrebbe iniziato a pensare che lei fosse una compagna ancora meno probabile per suo figlio, rispetto a quello che aveva pensato dopo la cena dell’altra sera?

“Tutto questo,” disse Sofia. “Ho la sensazione che tu ti stia sforzando di impressionarmi, Sebastian.”

“Non dovrei?” le rispose. “Ti darei il mondo se tu me lo permettessi.”

Era una di quelle cose che suonavano fin troppo romantiche per essere reali, ma Sofia poteva vedere che Sebastian diceva sul serio, proprio alla lettera. Le avrebbe davvero dato tutto, voleva darle tutto.

Pareva aver iniziato con le prelibatezze più delicate che le cucine del palazzo potessero produrre. C’erano fette di cervo arrosto su pane nero, tartine dolci che contenevano bacche del giardino del palazzo, ricoperte di zafferano che doveva essere arrivato con una nave mercantile. C’era addirittura una torta ripiena d’oca, anatra e quaglia, tutte in diversi strati.

“Tutto questo.” Sofia scosse la testa. “A me basta che tu sia qui con me.” Fu ancora più sorpresa nel pensare che lo intendeva sul serio. Era venuta al palazzo con l’intenzione di assicurarsi una vita migliore, ma in quel momento non le sarebbe importato di trovarsi in una capanna, fintanto che Sebastian era con lei. “Non devi uscire dai tuoi modi per fare nient’altro.”

 

“È una cosa carina da dire,” le disse Sebastian. “Ma io voglio che tutto sia perfetto per te.”

Era perfetto. Da quando era arrivata al palazzo, era come se stesse camminando in un sogno, e non uno di quei sogni che la tormentavano di notte, con le immagini dei mezzi ricordi della casa in fiamme, mentre correva con sua sorella tra i corridoi. Quello era invece il genere di sogno che appariva impossibile nella sua bellezza, offrendo cose che Sofia aveva pensato che sarebbero svanite con la luce del giorno.

E invece eccola qui, con il principe del regno, a mangiare il migliore cibo, ad ascoltare una serenata suonata da abili musicisti, e con un’artista che le faceva il ritratto. Se qualche settimana fa qualcuno le avesse detto che sarebbe successo, Sofia l’avrebbe preso per uno scherzo, e anche piuttosto crudele. Avrebbe dato per scontato che fosse solo un modo per rendere il suo vincolo peggiore, con la promessa che mai si sarebbe verificata una cosa del genere.

“C’è qualcosa che non va?” le chiese Sebastian accarezzandola.

Sofia prese le sue mani e le baciò entrambe. “Solo ricordi del passato.”

“Non voglio che niente vada storto oggi. Voglio almeno un giorno perfetto prima…”

Sofia piegò la testa di lato. “Prima di cosa, Sebastian?”

Vide la risposta a quella domanda prima che lui la pronunciasse, e già stava impallidendo per le parole che colse nella sua mente prima che gliele dicesse.

“Hai sentito che le guerre stanno peggiorando?” disse Sebastian. Scosse la testa. “Cosa sto dicendo? Tu stessa hai visto come sono degenerate le cose, con tutte le diverse fazioni e le guerre insensate.”

“Ma non sono qui,” sottolineò Sofia. Avrebbe voluto poter fare di più. Avrebbe voluto scacciare da Sebastian tutte le guerre, le minacce e le preoccupazioni.

“Non ancora,” disse Sebastian, “ma le guerre sono come piccoli torrenti che si immettono all’interno di un fiume, e quel fiume sta scorrendo verso di noi. Quando c’erano una dozzina di fazioni che si facevano la guerra a vicenda, erano facili da ignorare, ed essere un’isola è stato un aiuto per un po’, ma ora, con tutto qui… c’è chi pensa che siamo deboli.”

“E quindi intendi andare a fargli vedere che non è così?” chiese Sofia. “Sperando che non contrattacchino.”

C’era più amarezza di quanta avrebbe voluto esprimerne nel suo tono. Aveva visto di prima persona cosa potesse fare la violenza, anche se non era stata in guerra. E poi si trovava a preoccuparsi per Sebastian. Non voleva rischiare che venisse fatto del male.

“È una cosa necessaria,” disse Sebastian. “e più di tutto, non è qualcosa in cui abbia poi tanta scelta. Mia madre ha deciso che devo fare più il principe.”

Sofia avrebbe riso di questo, se la situazione non fosse stata tanto seria. Sebastian sarebbe partito per la guerra, dove non c’erano garanzie di sicurezza. Dove qualsiasi cosa poteva succedere.

“Più simile a Rupert, intendi dire? Fidati di me, confronto a lui, confronto a chiunque altro, tu sei il principe perfetto.”

“Vorrei che fossi tu a prendere le decisioni,” disse Sebastian. “Allora potrei stare qui con te. Ma come stanno le cose, mia madre dice che devo apparire come un principe all’Assemblea dei Nobili. Ecco perché mi è stata affidata una commissione. Sarò un ufficiale nella cavalleria della casa reale.”

“Sforzandoti di essere il più elegante possibile?” chiese Sofia, ma anche mentre lo chiedeva, sentiva il cuore che le si spezzava.

E più di questo si trovò a iniziare a provare un crescente sospetto. C’erano guerre sul continente che duravano da tempo immemorabile, ma era solo adesso che la madre di Sebastian lo mandava a prenderne parte? Riguardava davvero una crescita della violenza, o la vedova stava solo cercando un modo per separare suo figlio dalla ragazza che aveva appena conosciuto? Sofia sapeva che la madre di Sebastian non si fidava di lei.

O forse era stato Rupert. Forse il fratello più vecchio aveva sussurrato le cose giuste all’orecchio di sua madre sul fatto di rendere Sebastian un uomo, o sul bisogno che si facesse vedere come attivo nelle guerre. Sofia aveva visto la gelosia quando i due erano stati insieme. Aveva anche visto cosa lui volesse da lei. Era solo un modo per isolarla?

Sofia non voleva pensare oltre a ciò che questo poteva significare. C’era il rischio per Sebastian, il pericolo di una guerra in arrivo… ma anche il problema più pratico che lui non sarebbe stato qui. Al meglio poteva restare nel palazzo ad aspettare il suo ritorno. Al peggio potevano chiederle di andarsene dal momento in cui la sua protezione non sussisteva più. Avrebbero potuto cacciarla in un modo che sarebbe stato un futile insulto per un nobile reale, ma che sarebbe stato qualcosa di devastante per lei.

“Non avere paura, Sofia,” disse Sebastian. “Sono certo che non correrò nessun pericolo, e non lascerò neanche che niente accada a te. Questo è parte del motivo per cui ho fatto tutto questo. Voglio essere sicuro.”

Sofia aggrottò leggermente la fronte. “Sicuro di cosa?”

“Che dirai di sì.”

Sofia aveva il cuore in gola quando Sebastian si alzò in piedi, tornando al punto dove era ormeggiata la loro barca. Aveva qualcosa in mano, e quando Sofia vide la scatolina, quasi non osò respirare. Poteva pensare ad almeno una cosa che Sebastian poteva avere in mente e che potesse spiegare quello che stava accadendo oggi. Qualcosa che avrebbe fatto anche molto per spiegare l’aspetto furioso di Angelica al palazzo.

Quando Sebastian si mise in ginocchio, Sofia si alzò sorpresa, ma questo gli rese solo più facile prenderle la mano tenendola nella sua mentre apriva la scatolina che aveva nell’altra.

L’anello all’interno brillava d’oro e diamanti che dovevano venire dall’altra parte del mondo, e zaffiri di un profondo colore viola che erano altrettanto rari. La fascetta era un intreccio di fili, disposti in un effetto delicato ed elegante. Era il genere di anello a cui un maestro gioielliere aveva per certo lavorato qualche giorno, e aveva un senso di età che lasciava pensare che fosse un cimelio di famiglia fin da prima delle guerre civili.

“Sofia,” disse Sebastian. “Avrei voluto fare con calma, ma la verità è che so già cosa voglio quando si tratta di te, e io… voglio fare questa cosa prima di andarmene. Voglio che tu sia mia moglie.”

“Mi stai chiedendo di sposarti?” gli chiese Sofia.

Sebastian annuì.

C’era solo una risposta a quella domanda. Schiacciava ogni obiezione Sofia avesse potuto pensare, qualsiasi preoccupazione avesse potuto nutrire su come altra gente avrebbe reagito. Sollevò Sebastian stringendolo tra le braccia, tenendolo stretto mentre lo baciava.

“Sì, Sebastian! Sì, ti sposo.”

CAPITOLO VENTUNO

Kate quasi si colpì la mano tre volte il giorno dopo, tanto era distratta. Continuava a guardare il punto dove il suo cavallo rubato era stato rinchiuso e dove beatamente mangiava erba e vecchio orzo. La prima volta che accadde, Thomas rise e le disse di stare attenta. La seconda volta si accigliò.

Questa volta si fermò nel mezzo della forgiatura di un paio di ferri di cavallo, lasciando che le fiamme calassero e tornassero al loro bagliore arancione.

“No, non fermarti a causa mia,” gli disse Kate. “Se smetti di lavorare il metallo, allora…”

“So cosa succede,” le disse Thomas, “ma preferisco sprecare la fatica che vederti spaccarti le nocche mentre batti il martello alla cieca.”

Kate non voleva neanche quello, ma era pronta a correre il rischio se l’alternativa era abbandonare il fabbro. Non aveva intenzione di rovinare il suo lavoro solo perché era intenta a sognare le fontane che potevano garantirle l’abilità con la spada.

“Cosa c’è?” chiese Thomas. “C’è Will là fuori a distrarti?” Andò alla finestra. “Il cavallo? Stai pensando di andartene, Kate?”

C’era una nota di delusione in questo, e Kate poteva capirlo. Thomas le aveva dato così tanto, ed ora eccola qui, a non fare attenzione al lavoro che lui aveva per lei.

“Non è questo,” disse Kate. “È solo che… hai sentito cos’è successo al campo da allenamento?”

Vide Thomas annuire e immaginò che avesse sentito i dettagli da Will. Oppure uno dei soldati aveva parlato del fatto quando era venuto a farsi sistemare un’ammaccatura su una gambiera o su un elmo.

“C’è un posto dove potrei imparare a combattere,” disse Kate.

“Te ne andresti lì e non torneresti?” chiese Thomas.

“Tornerei,” insistette Kate. “Non voglio smetterla di stare qui.”

Era sorpresa di scoprire che era vero. Questa era la prima volta che aveva avuto qualcosa come una vera casa. La prima volta che aveva della gente che sembrava volerle bene. Addirittura Winifred sembrava curarsi di lei in un certo senso. Era solo tremendamente preoccupata che suo figlio e suo marito stessero bene. Questo era il primo posto dove Kate si era sentita capace di fare qualcosa di utile.

Poi c’era Will. Kate non era certa di cosa ci fosse con Will, non ancora. Non aveva mai avuto occasione di vedere i ragazzi non come bulli e minacce, eppure adesso ce n’era uno che le piaceva. Le piaceva un sacco.

“Allora pare che tu debba andare,” disse Thomas. “Prima che la tua distrazione ti porti a farti male.”

“Ma…” iniziò Kate. Intendeva finire il lavoro della giornata, almeno.

Thomas scosse la testa. “Me la caverò un altro giorno senza un apprendista. O anche due, se ne hai bisogno. Vai avanti. Io cerco di salvare questi ferri di cavallo.”

Kate non ebbe bisogno di un secondo invito. Corse fuori dal cavallo che aveva rubato, cercando in giro fino a che trovò la bardatura, che subito si affrettò a sistemargli addosso. Era a metà del lavoro quando vide Will che usciva di casa.

“Kate, non te ne stai andando, vero?”

Sembrava preoccupato che potesse essere così, magari preoccupato che volesse andarsene dopo quello che era successo al suo reggimento.

“Non me ne sto andando per sempre,” disse Kate, e sorrise al pensiero che fosse il genere di cosa che un ragazzo potesse dire quando partiva per la guerra. “È solo che… ci sono delle cose che devo fare. Devo diventare più forte.”

“Perché?” chiese Will. “Sei al sicuro qui. Potrei proteggerti.”

Kate scosse la testa. Non bastava. Non voleva essere al sicuro solo quando Will le stava attorno pronto a proteggerla. Non voleva doversi affidare a qualcun altro per essere al sicuro, neanche a lui. Voleva essere forte da sola, e ora c’era un modo.

“Potrei venire con te,” suggerì Will.

“Penso sia una cosa che devo fare da sola,” disse Kate, perché qualsiasi altra cosa avrebbe significato spiegare esattamente quello che intendeva fare. Anche dopo tutto quello che Geoffrey le aveva detto, faceva ancora fatica a credere che ci potesse essere una fontana magica che potesse renderla imbattibile. Cercare di spiegarlo a Will sarebbe stato ancora peggio.

“Almeno tenterai di stare al sicuro?” disse Will, portandosi vicino a lei. Tanto vicino che per un momento Kate pensò che stesse per baciarla. Non lo fece però, e Kate si trovò a provare un pizzico di delusione per questo.

Magari al suo ritorno.

“Sì,” gli disse. “E tornerò presto, vedrai.”

L’avrebbe fatto. Con la forza presa dalla fontana, sarebbe stata capace di fare tutte le cose che voleva.

***

La cavalcata fino alla foresta richiese più tempo di quanto Kate si fosse aspettata. Il suo cavallo era forte e veloce, ma Kate non era un gran cavaliere da poterlo mandare a tutta velocità al galoppo. Avanzava invece a passo regolare, mantenendosi nelle larghe strade lastricate, e poi seguendo i sentieri in terra battuta quando gli alberi apparvero alla vista.

Cercava di ricordare la mappa dal libro. Il punto segnato su di essa era stato piuttosto specifico, ma Kate non aveva potuto osservare la mappa a lungo. C’era stato qualcosa su dei segnali, e una scala. Kate sperava solo che fossero evidenti.

Lo erano. Trovò il primo segnale prima di raggiungere la foresta. Era un blocco di pietra con dei disegni sopra quasi consumati e lisciati dal tempo e dagli eventi atmosferici. Le dita di Kate tracciarono un disegno che poteva essere una fontana, o le fauci di una grossa bestia. C’era una freccia intagliata nella pietra, che indicava un piccolo sentiero. Kate lo imboccò.

Presto il fogliame iniziò a circondare Kate, premendo contro di lei fino a costringerla a smontare da cavallo e condurlo a mano. Non voleva lasciarlo, ma il sentiero si stava facendo tanto stretto che forse avrebbe dovuto se continuava così.

 

Colse per un attimo della pietra lavorata lungo il sentiero, e le apparve come un tale contrasto nel groviglio di rami, che si fermò per guardare più attentamente. Spazzò via con il piede un pezzo di edera, e vide che sotto ad essa si trovava il blocco di pietra di un gradino. Un altro si trovava sopra ad esso, e poi un altro, in un insieme di gradini che era stato del tutto perduto in mezzo al tempo e al muschio.

Kate decise di legare il cavallo, prendendo un coltello dalla borsa appesa alla sella e la spada di legno che aveva fatto come modello. Usò la spada di legno per spazzare via parte della vegetazione che aveva davanti, tagliando con il coltello laddove era necessaria una vera lama affilata.

La sua opera di pulizia portò alla luce un’altra pietra sotto forma di segnale, questa alta quasi quanto lei. C’erano dei simboli intagliati su di essa, linee e spirali di una lingua che non aveva niente a che vedere con quella del regno. C’era anche dell’altro: l’immagine di una fontana.

Kate rimase senza fiato e salì di corsa il resto dei gradini, osando sperare che potesse essere tutto vero. Era stata certa che si trattasse di una storia, e che quindi non sarebbe stata in grado di trovare nessuna fontana, anche se questa fosse davvero esistita. Ora pareva invece che potesse trovarsi addirittura a poca distanza da lei.

I piedi di Kate scivolarono e inciamparono mentre saliva i gradini di pietra, con il muschio che cedeva sotto di lei, mentre rovi che sembravano solidi quando li afferrava si rivelavano completamente cedevoli. Si trovò ad appoggiarsi alla sua spada di legno come fosse un bastone da passeggio, usandola per testare il terreno davanti a sé mentre risaliva i gradini. Ciascuno di essi sembrava fatto apposta per metterla in difficoltà mentre avanzava.

“Spero che ne valga la pena per la fontana,” disse Kate mentre saliva.

Anche se non era tanto distante, la salita era abbastanza difficile da richiederle parecchi minuti per arrivare in cima. Una volta giunta, trovò un altro breve sentiero in mezzo ad alberi ancora più fitti, che sembravano oscurare la luce e trasformare il mondo in qualcosa di strano e sconosciuto. Si aggrovigliavano tra loro formando una sorta di arco di foglie, e Kate vi passò attraverso trovandosi in uno spazio aperto dall’altra parte.

Qui non c’erano alberi, solo altre antiche pietre come quelle su cui si era arrampicata per arrivare lì. Si trovava nelle rovine di qualcosa che sembrava molto più vecchio, con frammenti di muro che sporgevano dal manto erboso come denti, e colonne rotte che sembravano dita che si allungavano tra l’erba. Tutto questo faceva parte delle rovine cadenti di un tempo molto lontano, ben prima delle guerre civili, probabilmente addirittura prima del regno.

La fontana era al centro, e un’occhiata fece sprofondare il cuore di Kate.

In un altro tempo era stata probabilmente impressionante. Era larga e scura, prodotta in pietra locale in modo così raffinato che sembrava un prodotto naturale del paesaggio piuttosto che una struttura creata dall’uomo. Aveva un’ampia forma a conchiglia, che si alzava con una statua in piedi al centro che poteva essere stata un tempo una donna, ma che era ora tanto ricoperta di muschio che era difficile a dirsi.

Nella fontana non c’era più acqua.

Quel fatto più di tutto il resto diceva a Kate quanto inutile fosse stato il suo viaggio. La pietra cadente non era promettente, e in definitiva non significava nulla. Era venuta a cercare una fontana, però. Aveva dato per scontato che dovesse esserci qualcosa di speciale nella sua acqua, qualcosa di magico. Ora che non c’era acqua, pareva come se si fosse lasciata trascinare da quello che Geoffrey le aveva detto. Le pareva stupido, passare il tempo qui piuttosto che alla forgia a modellare la spada che ora possedeva solo in legno.

Kate si sedette appoggiata alla fontana, chiudendo gli occhi per cacciare indietro le lacrime. Era stata una stupida a venire qui. Stupida a pensare di poter mai diventare forte come i ragazzi del reggimento di Will. Era stato un sogno vuoto.

“Perché una fontana dovrebbe rendere forte qualcuno?” chiese Kate alla foresta che la circondava.

“Le fontane non possono,” disse la voce di una donna. “Ma se la gente cerca una fontana, per me è più facile trovare loro.”

Kate aprì gli occhi di scatto e si alzò in piedi, brandendo la spada di legno davanti a sé. Di fronte a lei c’era una donna con addosso una tunica con cappuccio color verde scuro, come la foresta. Aveva capelli scuri che parevano essere intrecciati con dell’edera, e occhi verdi che parevano essere dello stesso colore delle piante che la circondavano. Era più grande di Kate, aveva forse trent’anni, ma con uno sguardo che diceva che poteva essere anche più vecchia.

“Sono stata minacciata da molte cose prima d’ora,” disse la donna. Spinse da parte con gentilezza la spada da allenamento di Kate. “Mai con un bastone.”

“Io…” Kate abbassò l’arma. “Mi spiace, mi hai preso alla sprovvista.”

“Ma sei stata tu a venire in questo posto,” le disse. “Sei venuta a cercare aiuto, altrimenti non saresti qui.”

“Solo non mi aspettavo…” iniziò Kate. Si rese conto che doveva sembrare un’idiota. “Chi sei?”

Istintivamente Kate usò il suo talento per tentare di leggere i pensieri della donna, ma tutto quello che trovò fu qualcosa che sembrava solido come un muro. Il suo tentativo di passarci attraverso semplicemente scivolò via, e Kate fissò la donna scioccata.

“Sono una che non si fa leggere facilmente da un dono come il tuo,” rispose, anche se non sembrava arrabbiata per l’intrusione. Se non altro ne pareva contenta, il che era una reazione che Kate non si era aspettata. “E ora ti stai chiedendo se siamo uguali. Non siamo uguali, ragazza. La mia è una versione molto più oscura dei tuoi poteri. E molto più contorta. Una in cui sarà meglio che non ti metti a spiare troppo.”

Kate percepì un lampo della mente di questa donna, come se fosse lei a mandarlo, e sollevò involontariamente le mani portandosele alle orecchie e gridando. Era così oscuro, così orrendo, un caos di immagini orribili, tutte che si muovevano troppo rapidamente per potersi distinguere, ma che le lasciavano un’impressione di incredibile orrore.

Alla fine si fermò.

Kate si levò le mani dalle orecchie, respirando affannosamente e con gli occhi sgranati. Nessuno le aveva mai invaso la mente a quel modo in vita sua. In tutto questo tempo aveva dato per scontato che fosse inaccessibile. Che nessuno avesse una mente potente come la sua.

Guardò la donna – se davvero era una donna – con nuova paura, e nuovo rispetto. Forse dopotutto non sarebbe dovuta venire qui.

La donna sorrise in risposta, un ghigno brutto e invadente.

“Chi sei?” le chiese Kate di nuovo.

La donna rimase in silenzio a lungo. Alla fine parlò.

“Alcuni mi chiamano Siobhan,” disse. “Ma i nomi sono solo etichette per i deboli. Tu sei venuta qui per un motivo. Chiedi quello che vuoi, e io ti dirò il prezzo.”

Kate sbatté le palpebre.

“Non capisco,” le disse.

La donna si accigliò, e Kate poté percepire il suo disappunto.

“Non farmi perdere tempo, ragazzina. Sei venuta qui per una ragione. Stavi cercando qualcosa. Di cosa si tratta?”

Kate deglutì, ma rifiutò di permettere a se stesse di essere dominata dal tono di Siobhan. Sarebbe stata forte.

“Voglio essere capace di combattere,” disse. “Voglio avere abbastanza potere che non dovermi più trovare indifesa.”

La donna rimase in silenzio per qualche secondo. Kate poteva sentire ogni attimo batterle dentro al petto. Cos’avrebbe fatto se la donna le avesse detto di no?

“Hai un talento e potrei insegnarti a costruirti attorno a esso. Potrei insegnarti a combattere in modi che non hanno niente a che vedere con la cruda forza degli uomini. Potrei insegnarti a gestire dei poteri che vanno oltre ogni cosa tu abbia mai visto.”