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Un’Impresa da Eroi

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Aus der Reihe: L’Anello Dello Stregone #1
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Un’Impresa da Eroi
Un’Impresa da Eroi
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Wird gelesen Edoardo Camponeschi
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Thor tentò di affrettarsi, continuando il suo tragitto giù dalla montagna, ma in pochi attimi la nebbia era così densa che lui non riusciva a vedere davanti a sé. Allo stesso tempo sentiva che gli arti gli divenivano pesanti e, come per magia, il cielo devenne buio. Si sentiva sempre più esausto. Non era più in grado di fare un passo oltre. Si raggomitolò come una palla a terra, proprio dove si trovava, avvolto da quella fitta nebbia. Tentò di aprire gli occhi, ma non ci riuscì. In pochi attimi fu addormentato.

*

Thor vide se stesso in piedi in cima a una montagna, a guardare dall’alto l’intero regno dell’Anello. Di fronte a lui c’era la Corte del Re: il castello, i bastioni, i giardini, gli alberi e le colline che si allungavano a perdita d’occhio, tutto nella piena fioritura dell’estate. I campi erano pieni di frutti e fiori colorati e si udiva il suono di musica e festeggiamenti.

Ma mentre Thor si guardava attorno con calma, osservando tutto, l’erba iniziò a diventare nera. Tutti i fiori si seccarono e, con suo orrore, un edificio dopo l’altro crollò, fino a che l’intero regno non fu altro che desolazione: cumuli di macerie e pietra.

Thor guardò verso il basso e vide un enorme Dorsobianco che gli strisciava tra i piedi. Lui stava lì, incapace di agire, mentre il serpente gli si attorcigliava attorno alle gambe, poi alla vita e alle braccia. Si sentiva soffocare, come se la vita venisse pressata fuori da lui, mentre il serpente si attorcigliava tutt’attorno a lui e lo fissava in faccia, a pochi centimetri di distanza, sibilando, con la lunga lingua che quasi toccava la guancia di Thor. E poi aprì la bocca, mostrando i denti, si piegò in avanti e afferrò la faccia di Thor.

Thor gridò, poi si ritrovò all’interno del castello del Re. Era completamente vuoto, il trono non era al suo posto. La Spada del Destino giaceva a terra, intatta. Le finestre erano tutte oscurate, con le vetrate colorate ammucchiate sulla roccia. Sentiva una musica lontana, si voltò verso quel suono e attraversò una stanza vuota dopo l’altra. Alla fine raggiunse una grande porta doppia, alta un centinaio di piedi, e la aprì con tutta la sua forza.

Thor stava in piedi all’ingresso del salone delle feste. Di fronte a lui si trovavano due lunghe tavole imbandite che attraversavano la stanza, colme di cibo, ma senza uomini. All’estremità opposta della stanza c’era un uomo. Re MacGil. Era seduto sul suo trono e guardava dritto verso Thor. Sembrava così lontano.

Thor sentiva che doveva raggiungerlo. Iniziò a camminare attraversando la grande stanza, in direzione del Re, tra i due tavoli imbanditi. Mentre procedeva, tutto il cibo su entrambi i lati si deteriorava, diventando marcio ad ogni passo, annerendosi e ricoprendosi di mosche. Le mosche ronzavano e volavano tutt’attorno a lui, lacerando il cibo.

Thor allungò il passo. Il Re stava diventando più vicino ora, appena una decina di passi, quando da un lato della stanza apparve un servitore che portava un grande calice dorato, colmo di vino. Era un calice particolare, fatto di oro massiccio e ricoperto da file di rubini e zaffiri. Mentre il Re non guardava, Thor vide che il servitore versava della polvere bianca nel calice. Thor capì che si trattava di veleno.

Il servitore lo avvicinò e MacGil lo afferrò con entrambe le mani.

“No!” gridò Thor.

Thor scattò in avanti, cercando di buttare via il calice di vino dalle mani del Re.

Ma non fu abbastanza veloce. MacGil bevve a grandi sorsi. Il vino gli colava dalle guance e sul petto, mentre vuotava il calice.

MacGil si voltò a guardare Thor e strabuzzò gli occhi. Si portò le mani alla gola fino a che, annaspando, si piegò e cadde dal trono. Si riversò di lato, atterrando sul duro pavimento di pietra. La corona rotolò via, colpì il pavimento con un suono metallico andando a finire diversi piedi più in là.

Il re rimase lì ad occhi aperti, morto.

Estofele volò giù e atterrò sulla testa di MacGil. Rimase lì e guardò Thor, stridendo. Il suono fu così acuto da mandare un brivido lungo la schiena di Thor.

“No!” gridò Thor.

*

Thor si svegliò gridando.

Si tirò su a sedere, si guardò in giro, sudando e col fiato lungo, cercando di capire dove si trovava. Era ancora steso a terra, sulla montagna di Argon. Non riusciva a crederci: doveva essersi addormentato lì. La nebbia era svanita e guardando in alto vide che era l’alba. Un sole rosso sangue stava facendo irruzione all’orizzonte, illuminando il giorno. Accanto a lui, Krohn piagnucolava e gli saltò in grembo leccandogli la faccia.

Thor tenne Krohn stetto con una mano, mentre respirava forte e cercava di capire se era sveglio o stava ancora addormentato. Gli ci volle un bel po’ di tempo per capire che era stato solo un sogno. Gli era sembrato così reale.

Thor udì un suono stridulo e si voltò per vedere Estofele, appollaiata su una roccia ad un passo da lui. Lo guardava dritto negli occhi e strideva ripetutamente.

Il suono mandò un brivido lungo la schiena di Thor. Era lo stesso verso udito nel suo sogno, ed in quel momento capì, in ogni centimetro del suo corpo, che quel sogno era stato un messaggio.

Il Re stava per essere avvelenato.

Thor balzò in piedi e, nella luce dell’alba, corse giù dalla montagna, diretto alla Corte del Re. Doveva raggiungere il Re. Doveva avvisarlo. Il Re avrebbe probaiblmente pensato che era pazzo ma non aveva scelta: avrebbe fatto tutto il possibile per salvargli la vita.

*

Thor attraversò di corsa il ponte levatorio, correndo veloce verso il cancello esterno del castello e fortunatamente le due guardie lo riconobbero come un componente della Legione. Lo lasciarono passare senza fermarlo e lui continuò a correre, con Krohn al suo fianco.

Thor attraversò correndo il cortile reale, oltre le fontane, e si diresse direttamente verso il cancello interno del castello del Re. Lì stavano quattro guardie che gli sbarrarono il passaggio.

Thor si fermò ansimando.

“Che intenzioni hai, ragazzo?” chiese uno di loro.

“Non potete capire, dovete lesciarmi passare,” ansimò Thor. “Devo vedere il Re.”

Le guardie si guardarono, scettiche.

“Sono Thorgrin, della Legione del Re. Dovete lasciarmi passare.”

“So chi è,” disse una delle guardie all’altra. “È uno di noi.”

Ma la prima guardia venne avanti.

“Che affari hai con il Re?” insistette.

Thor lottò per recuperare il fiato.

“Affari molto urgenti. Devo vederlo immediatamente.”

“Beh, sicuramente non ti aspetta, perché sei male informato. Il nostro Re non è qui. È partito con la sua carrozza ore fa, per affari di corte. Non torneranno prima di sera, prima della festa reale.”

“Festa?” chiese Thor, con il cuore che gli martellava. Ricordò il suo sogno, le tavole imbandite, e tutto gli sembrò sinistramente prendere vita.

“Sì, la festa. Se sei della Legione sono certo che ci sarai anche tu. Ma ora se n’è andato e non c’è modo che tu possa vederlo. Torna stasera con gli altri.”

“Ma devo fargli avere un messaggio” insistette Thor. “Prima della festa!”

“Puoi lasciare il messaggio a me, se vuoi. Ma non posso consegnarlo prima di te.”

Thor non voleva lasciare un messaggio del genere a una guardia, si rese conto che sarebbe sembrato pazzo. Doveva portarlo di persona, quella sera, prima della festa. Pregò solo che non fosse troppo tardi.

CAPITOLO VENTISETTE

Thor si affrettò verso la caserma della Legione alle prime luci dell’alba, arrivando fortunatamente prima che l’allenamento del giorno avesse inizio. Quando arrivò era ansimante, con Krohn al suo fianco, e si imbatté negli altri ragazzi proprio quando si erano appena svegliati e iniziavano a disporsi in fila per gli incarichi del giorno. Rimase lì, col fiatone, più preoccupato che mai. Non aveva idea di come avrebbe potuto affrontare una giornata di allenamenti: avrebbe contato i minuti fino alla festa della sera, fino alla possibilità di avvisare il re. Era certo che il presagio si fosse presentato a lui perché potesse comunicare l’avvertimento. Il destino del regno pesava sulle sue spalle.

Thor, esausto, corse a mettersi accanto a Reece e O’Connor, mentre si facevano strada attraverso il campo, e si allineò con gli altri.

“Dove sei stato la notte scorsa?” chiese Reece.

Thor avrebbe volute sapere come rispondere, ma lui stesso non sapeva esattamente dove fosse stato. Cosa doveva dire? Che si era addormentato per terra, sulla montagna di Argon? Non aveva senso neanche per lui.

“Non lo so,” rispose, non sapendo quanto raccontare loro.

“Cosa significa che non lo sai?” chiese O’Connor.

“Mi sono perso,” disse Thor.

“Perso?”

“Beh, sei stato fortunato a tornare in tempo,” disse Reece.

“Se fossi arrivato in ritardo per i compiti del giorno, non ti avrebbero riammesso nella Legione,” aggiunse Elden, raggiungendoli e battendo una mano nerboruta sulla sua spalla. “Contento di vederti. Ieri ci sei mancato.”

Thor era ancora scioccato dal modo diverso in cui Elden lo trattava da quando erano stati dall’altra parte del Canyon.

“Com’è andata con mia sorella?” chiese Reece, in tono sommesso.

Thor arrossì, insicuro su come rispondere.

“L’hai vista?” lo punzecchiò Reece.

“Sì,” iniziò. “È andata bene. Anche se all’improvviso siamo dovuti andare via.”

“Bene,” continuò Reece, mentre si allineavano fianco a fianco di fronte a Kolk e agli uomini del Re, “la vedrai ancora questa sera. Vestiti bene. È la festa del Re.”

 

Lo stomaco di Thor sprofondò. Pensò al suo sogno e si sentì come se il destino stesse danzando davanti ai suoi occhi senza che lui potesse fare nulla, destinato a non poter intervenire ma solo a guardare gli eventi nel loro dispiegarsi.

“SILENZIO!” gridò Kolk, camminando davanti ai ragazzi.

Thor si strinse agli altri e tutti fecero silenzio.

Kolk camminava lentamente avanti e indietro lungo le righe, osservandoli tutti.

“Ieri vi siete divertiti. Ora dobbiamo tornare all’allenamento. E oggi imparerete l’antica arte dello scavo delle trincee.”

Un lamento collettivo sorse tra i ragazzi.

“SILENZIO!” gridò Kolk.

I ragazzi tacquero.

“Scavare una trincea è un lavoro duro,” continuò. “Ma è un lavoro importante. Un giorno vi troverete da soli là fuori, a proteggere il nostro regno in mezzo a lande selvagge, senza nessuno che vi aiuti. Farà freddo, così freddo che non vi sentirete le dita dei piedi, la notte nera, e farete qualsiasi cosa per riscaldarvi. O potreste trovarvi in battaglia e avere bisogno di ripararvi, salvarvi dalle frecce dei nemici. Ci sono probabilmente milioni di motivi per cui scavare una trincea. E una trincea può rivelarsi il vostro migliore amico.

“Oggi,” continuò schiarendosi la voce, “trascorrerete tutto il giorno a scavare, fino a che le vostre mani saranno rosse di calli; sentirete la schiena che vi si spezza e non sarete più in grado di andare avanti. Poi, nel giorno della battaglia, non vi sembrerà così male.

“SEGUITEMI!” gridò.

Si levò un altro lamenti di disapprovazione e i ragazzi si divisero in file di due e iniziarono a marciare attraverso il campo, seguendo Kolk.

“Fantastico,” disse Elden. “Scavare trincee. Proprio il modo in cui volevo trascorrere la giornata.”

“Poteva andare peggio,” disse O’Connor. “Poteva piovere.”

Guardarono il cielo e Thor scorse delle nubi minacciose sulle loro teste.

“Può sempre succedere,” disse Reece. “Non portare iella.”

“THOR!” gridò una voce.

Thor si voltò e vide Kolk che lo guardava con sguardo truce a lato del campo. Corse verso di lui, chiedendosi cosa avesse fatto di sbagliato.

“Sì, signore.”

“Il tuo cavaliere ti ha convocato,” disse sbrigativamente. “Presentati da Erec al castello. Sei fortunato: sei fuori servizio per oggi. Servirai invece il tuo cavaliere come dovrebbero fare tutti i bravi scudieri. Ma non pensare di aver scampato lo scavo di trincea: quando tornerai domani, scaverai trincee da solo. Ora vai!” gridò.

Thor si voltò e vide lo sguardo invidioso degli altri, poi lasciò il campo di corsa, diretto verso il castello. Cosa poteva volere Erec da lui? Aveva qualcosa a che vedere con il Re?

*

Thor attraversò di corsa la Corte del Re, girando lungo un vicolo che non aveva mai percorso prima, diretto verso le caserme dell’Argento. Le loro caserme erano molto più grandi di quelle della Legione, con edifici che erano il doppio della misura, rivestiti di rame e con vicoli lastricati di nuovo. Per arrivarvi Thor doveva passare attraverso un grande cancello ad arco con una dozzina di uomini del Re appostati di guardia. Il vicolo poi si allargava, allungandosi attraverso un enorme prato aperto e andando a terminare in un complesso di edifici di pietra, circondati da una siepe e sorvegliati da decine di altri cavalieri. Era una veduta imponente anche da lì.

Thor corse lungo il vicolo, ben visibile nel prato aperto, e i cavalieri subito si prepararono vedendolo avvicinarsi: anche se era ancora lontano avanzarono e incrociarono le lance, guardando dritto davanti a loro, ignorandolo mentre gli bloccavano il passaggio.

“Che affari hai qui?” chiese uno di loro.

“Mi devo presentare a servizio,” rispose Thor. “Sono lo scudiero di Erec.”

I cavalieri si scambiarono un’occhiata sospettosa, ma un altro cavaliere venne aventi e annuì. Loro si fecero indietro, risollevarono le armi e il cancello lentamente si aprì, con le sue lame di metallo che si sollevavano, cigolando. Il cancello era enorme, spesso almeno due piedi e Thor ebbe l’impressione che quel luogo fosse ancora più fortificato del Castello del Re.

“Il secondo edificio a destra,” gridò il cavaliere. “Lo troverai nelle scuderie.”

Thor si voltò e si affrettò lungo il sentiero che attraversava il cortile, passando oltre un blocco di edifici di pietra e osservando tutto attentamente. Era tutto scintillante lì, senza macchia, perfettamente curato. L’intero luogo emanava un’aura di forza.

Thor trovò l’edificio e rimase senza parole per ciò che gli stava davanti: decine dei più belli e grandi cavalli che avesse mai visto erano legati in file ordinate fuori dall’edificio, molti di loro rivestiti in armature. I cavalli brillavano. Lì tutto era più grande, più imponente.

Veri cavalieri trottavano in ogni direzione, portando armi di vario genere, attraversando il cortile entrando o uscendo da diversi cancelli. Era un posto trafficato e Thor poté percepirvi la presenza della battaglia. Quello non era un posto da allenamenti: era un luogo di guerra. Vita o morte.

Thor passò attraverso un piccolo passaggio ad arco, lungo un buio corridoio di pietra, e continuò ad affrettarsi correndo di scuderia in scuderia, alla ricerca di Erec. Thor raggiunse la fine dell’edificio senza averlo ancora trovato da nessuna parte.

“Stai cercando Erec, vero?” chiese una guardia.

Thor si voltò ed annuì.

“Sì, signore. Sono il suo scudiero.”

“Sei in ritardo. È già fuori che prepara il suo cavallo. Ti conviene muoverti.”

Thor corse lungo il corridodio e si trovò fuori dalle scuderie, in un campo aperto. Erec era lì, di fronte ad un immenso e valoroso stallone, un cavallo nero scintillante con il naso bianco. Il cavallo sbuffò all’arrivo di Thor ed Erec si voltò.

“Sucsa, mio signore,” disse Thor, senza fiato. “Sono venuto qui più veloce che ho potuto. Non era mia intenzione arrivare in ritardo.”

“Sei arrivato giusto in tempo,” disse Erec con un sorriso magnanimo. “Thor, questo è Lannin,” aggiunse, indicando il cavallo.

Lannin sbuffò e rampò, come a voler rispondere. Thor si avvicinò a gli carezzò il naso. La bestia nitrì sommessamente in risposta.

“È il mio cavallo da viaggio. Come imparerai un cavaliere di rango ha molti cavalli. Ce n’è uno per i tornei, uno per la battaglia e uno per il lungo viaggio in solitaria. È questo quello con cui costruisci l’amicizia più sincera. Gli piaci. È una buona cosa.”

Lannin chino la testa e strofinò il muso contro il palmo di Thor. Thor era impressionato dalla magnificenza di quella creatura. Poteva scorgere l’intelligenza brillargli negli occhi. Era inquietante: sembrava che capisse ogni cosa.

Ma qualcosa che Erec aveva detto colse l’attenzione di Thor.

“Hai detto un viaggio?” chiese sorpreso.

Erec, che stava stringendo i finimenti, si fermò e si voltò a guardarlo.

“Oggi è il giorno della mia nascita. Ho raggiunto il mio venticinquesimo anno. È un giorno speciale. Conosci il Giorno della Selezione?”

Thor scosse la testa. “Molto poco, signore; solo quello che gli altri raccontano.”

“Noi cavalieri dell’Anello dobbiamo sempre dare un seguito alla nostra stirpe, generazione dopo generazione,” iniziò Erec. “Abbiamo tempo fino ai venticinque anni per scegliere una sposa. Se uno non viene scelto entro quell’età, la legge ci detta di cercarne una. Abbiamo un anno di tempo per trovarla e riportarla indietro. Se torniamo senza, la sposa ci viene assegnata dal re, e perdiamo il diritto di scelta. Quindi oggi mi devo mettere in viaggio alla ricerca della mia sposa.”

Thor lo guardò senza parole.

“Ma signore, stai partendo? Per un anno?”

Lo stomaco di Thor sprofondò al solo pensiero. Sentiva che il suo mondo andava in frantumi attorno a lui. Fino a quel momento non si era reso conto di quanto si fosse affezionato ad Erec: in qualche modo era diventato per lui quasi un padre, certo più padre di quello che aveva avuto un tempo.

“Ma allora di chi sarò scudiero?” chiese Thor. “E dove andrai?”

Thor ricordò quanto Erec avesse preso le sue difese, come gli avesse salvato la vita. Il cuore gli si spezzò all’idea della sua partenza.

Erec rise, una risata spensierata.

“A quale domanda devo rispondere prima?” disse. “Non ti preoccupare. Ti è stato assegnato un altro cavaliere. Sarai il suo scudiero fino al mio ritorno. È Kendrick, il primogenito del re.”

Il cuore di Thor si risollevò a quella notizia: sentiva un uguale attaccamento a Kendrick che, dopotutto, era stato il primo a soccorrerlo ed assicuragli un posto nella Legione.

“Per quanto riguarda il mio viaggio…” continuò Erec, “… ancora non lo so. So che andrò verso sud, verso il regno dal quale provengo, e cercherò una sposa lungo quella direzione. Se non ne troverò una all’interno dell’Anello, potrei anche attraversare il mare verso la mia terra per cercarne una lì.”

“La tua terra?” chiese Thor.

Thor si rese conto di non sapere poi molto sul conto di Erec, da dove provenisse. Aveva sempre dato per scontato che venisse dall’interno dell’Anello.

Erec sorrise. “Sì, lontano da qui, al di là del mare. Ma questa storia te la racconterò un’altra volta. Sarà un lungo viaggio verso una destinazione lontana, quindi mi devo preparare. Aiutami, ora. C’è poco tempo. Sella il mio cavallo e caricalo con ogni genere di arma.”

A Thor girava la testa quando si mise in azione: corse verso l’armeria dei cavalli e recuperò la distinta armatura nera e argento che apparteneva a Lannin. Tornò indietro con un pezzo alla volta, mettendo prima la cotta di maglie sul dorso del cavallo, sollevandosi per ricoprire il corpo dell’enorme animale. Poi aggiunse il frontale, la sottile lamina di metallo per la testa del destriero.

Lannin nitrì, ma sembrava che gradisse. Era un cavallo nobile, un combattente avrebbe potuto dire Thor, e sembrava a suo agio con l’armatura, proprio come si conveniva alla cavalcatura di un cavaliere.

Thor tornò a recuperare gli speroni dorati di Erec e lo aiutò a fissarne uno ad ogni stivale, mentre Erec montava in sella.

“Di che armi hai bisogno, signore?” chiese Thor.

Erec guardò verso il basso, apparendo enorme da quella prospettiva.

“Non è facile prevedere quali battaglie potrei affrontare nel corso dell’anno. Ma ho bisogno di cacciare e difendermi. Quindi, ovviamente, mi serve la mia spada lunga. Dovrei portare anche quella corta, un arco, una faretra di frecce, una lancia corta, una mazza, un pugnale e il mio scudo. Penso che possa bastare.”

“Sì, signore,” disse Thor, e scattò in azione. Corse alla rastrelliera delle armi di Erec, accanto alla scuderia di Lannin, e si guardò attorno tra le decine di armi. C’era un arsenale impressionante nel quale scegliere.

Raccolse con cura tutte le armi che Erec aveva elencato, portandogliele una alla volta e passandole ad Erec oppure assicurandole ai finimenti.

Mentre Erec sedeva lì, stringendo i suoi guanti di cuoio e preparandosi a partire, Thor non poteva sopportare di guardarlo andare.

“Signore, sento che è mio dovere accompagnarti in questo viaggio,” disse Thor. “Del resto sono il tuo scudiero.”

Erec scosse la testa.

“È un viaggio che devo affrontare da solo.”

“Posso allora accompagnarti almeno fino al primo crocevia?” insistette Thor. “Se ti dirigerai a sud, quelle sono strade che conosco bene. Io vengo dal sud.”

Erec lo guardò, soppesando la possibilità.

“Se vuoi accompagnarmi al primo crocevia, non ci vedo niente di male. Ma è una dura cavalcata di una giornata, quindi dobbiamo partire subito. Prendi il cavallo da scudiero, nel retro della scuderia. Quello marrone con la criniera rossa.”

Thor corse di nuovo verso la scuderia e trovò il cavallo. Quando montò in sella, Krohn fece capolino con la testa fuori dalla sua camicia, guardò in alto e mugolò.

“Va tutto bene, Krohn,” lo rassicurò Thor.

Thor si sporse in avanti, spronò il cavallo e corse fuori dalla scuderia. Erec, che lo aveva aspettato, partì al galoppo con Lannin. Thor lo seguiva meglio che poteva.

Cavalcarono insieme uscendo dalla Corte del Re, attraverso il cancello: diversi guardiani aprirono e si tirarono da parte. Diversi membri dell’Argento erano allineati a guardare, in attesa, e quando Erec passò sollevarono i pugni in segno di saluto.

Thor era fiero di cavalcare accanto a lui, di essere il suo scudiero, ed eccitato di accompagnarlo, anche se solo fino al primo crocevia.

 

C’erano talmente tante cose che Thor aveva tralasciato di dire ad Erec, talmente tante cose che avrebbe voluto chiedergli, e tante delle quali voleva tanto ringraziarlo. Ma non c’era tempo, mentre i due galoppavano verso sud, attraversando veloci la pianura, con il terreno che mutava continuamente mentre i loro cavalli correvano lungo la strada del Re sotto il sole di tarda mattina. Quando oltrepassarono una collina, in lontananza Thor poté scorgere tutti i membri della Legione in un prato, a spaccarsi la schiena a forza di scavare. Thor era felice di non essere lì con loro. Mentre Thor li guardava, vide in lontananza che uno di loro si fermava e sollevava un braccio in aria, verso di lui. Era difficile vedere con quel sole, ma era certo che fosse Reece che lo salutava. Thor sollevò una mano in risposta, mentre procedevano.

Le strade ben lastricate lasciarono il passo a trascurate strade di campagna: più strette, più irregolari, e appena poco più che sentieri ben battuti che attraversano la campagna. Thor sapeva che per la gente comune era pericoloso attraversare da soli quelle strade, specialmente di notte, con tutti i ladri che stavano in agguato. Ma Thor aveva ben poche preoccupazioni al riguardo, soprattutto con Erec al suo fianco: infatti, se un ladro li avesse attaccati, Thor avrebbe temuto più per la vita del ladro stesso. Ovviamente sarebbe stata una follia per chiunque tentare di fermare un membro dell’Argento.

Cavalcarono tutto il giorno senza quasi mai fermarsi, fino a che Thor fu esausto e senza fiato. Stentava a credere all’energia di Erec, e non osava fargli capire che lui era stanco, per paura di sembrare debole.

Oltrepassarono un grande crocevia e Thor lo riconobbe. Sapeva che se avessero tenuto la destra sarebbero arrivati al suo villaggio. Per un attimo Thor si sentì pervadere dalla nostalgia e parte di lui avrebbe voluto prendere quella strada, per vedere suo padre, il suo villaggio. Si chiese cosa stesse facendo suo padre in quel momento, chi stesse a guardia delle pecore, quanto si fosse arrabbiato suo padre quando Thor non era tornato. Non che gli interessasse molto di lui. Solo che per un momento sentì la mancanza di ciò che gli era familiare. Era infatti felice di essere fuggito da quel piccolo villaggio e un’altra parte di lui non voleva tornare lì mai più.

Continuarono a galoppare sempre più lontano verso sud, verso territori che neanche Thor aveva mai visitato. Aveva sentito parlare del crocevia del sud, benché non avesse mai avuto motivo di recarsi lì. Era uno dei tre maggiori crocevia che conducevano all’estremità meridionale dell’Anello. Erano ora ad una buona mezza giornata di cammino dalla corte del Re e il sole si stava già alzando nel cielo. Thor, sudando e senza fiato, iniziava a chiedersi con trepidazione se ce l’avrebbe fatta a tornare in tempo per la festa del re quella sera. Aveva fatto un errore ad accompagnare Erec così distante?

Fecero il giro di una collina e finalmente Thor lo vide, lì all’orizzonte: l’inconfondibile segno del primo crocevia. Era segnato da una grande e smilza torre e la bandiera del Re la drappeggiava in tutte e quattro le direzioni; membri dell’Argento stavano a guardia sulla cima dei suoi parapetti. Alla vista di Erec il cavaliere in cima alla torre suonò la tromba. Lentamente il cancello si sollevò.

Erano ad un centinaio di metri di distanza ed Erec rallentò il cavallo mettendolo al passo. Thor aveva un nodo allo stomaco rendendosi conto che quelli erano i suoi ultimi minuti con Erec fino a chissà quando. Chi poteva sapere, effettivamente, se sarebbe mai tornato. Un anno è un periodo lungo e poteva accadere di tutto. Thor era contento di avere almeno avuto questa opportunità di accompagnarlo. Sentiva di aver compiuto il proprio dovere.

I due camminarono fianco a fianco, con i cavalli ansimanti come loro, avvicinandosi alla torre.

“Può darsi che non ti veda per molte lune,” disse Erec. “Quando tornerò avrò una sposa al seguito. Le cose potrebbero cambiare. Anche se non importa cosa succederà, sappi che sarai sempre il mio scudiero.”

Erec fece un respiro profondo.

“Mentre me ne vado, ci sono alcune cose che voglio che tu ricordi. Un cavaliere non è forgiato dalla forza, ma dall’intelligenza. Il coraggio da solo non fa un cavaliere, ma coraggio e onore e saggezza insieme. Devi sempre lavorare per migliorare il tuo spirito, la tua mente. La cavalleria non è passiva, ma attiva. Devi lavorarci sopra, migliorare te stesso, in ogni momento di ogni giorno. Nel corso di queste lune imparerai tutti i tipi di armi, tutte le abilità. Ma ricorda: c’è un’altra dimensione del nostro combattere. La dimensione dello stregone. Cerca Argon. Impara a sviluppare i tuoi poteri nascosti. Li ho percepiti in te. Tu hai un grande potenziale. Non è nulla di cui vergognarsi. Mi hai capito?”

“Sì, signore,” rispose Thor, sgorgante di gratitudine per la sua saggezza e comprensione.

“Ho scelto di prenderti sotto la mia ala per un motivo. Tu non sei come gli altri. Tu hai un grande destino. Più grande, forse, anche del mio. Ma rimane incompiuto. Non devi prenderlo per scontato. Devi lavorarci. Per essere un grande guerriero non devi essere solo temerario e abile. Devi anche avere uno spirito da guerriero e portarlo sempre nel tuo cuore e nella tua mente. Devi avere la volontà di offrire la tua vita per gli altri. Il cavaliere più grande non va a caccia di ricchezze, onore, fama o gloria. Il cavaliere più grande persegue l’impresa più difficile di tutte: l’impresa di fare di te una persona migliore. Ogni giorno devi batterti per essere migliore. Non solo migliore degli altri, ma migliore di te stesso. Devi cercare di assumerti la causa di coloro che sono inferiori a te. Devi difendere coloro che non sanno difendersi. Non è un’impresa semplice. È un’impresa da eroi.”

A Thor girava la testa mentre cercava di assimilare tutto, soppesando con attenzione le parole di Erec. Era sopraffatto dalla gratitudine nei suoi confronti e non sapeva proprio come rispondere. Sentiva che ci sarebbero volute molte lune perché l’intero messaggio portato da quelle parole si radicasse in lui.

Raggiunsero il cancello del primo crocevia e diversi membri dell’Argento uscirono per salutare Erec. Si avvicinarono a lui, con sorrisi smaglianti in volto, e quando scese da cavallo gli diedero forti pacche sulla schiena, come vecchi amici.

Thor saltò a terra, prese le redini di Lannin e lo condusse dal custode del cancello perché lo nutrisse e strigliasse. Thor rimase lì ed Erec si voltò a guardarlo un’ultima volta.

In quest’ultimo arrivederci c’erano troppe cose che Thor avrebbe voluto dire. Voleva ringraziarlo. Ma voleva anche raccontargli tutto. Del presagio. Del suo sogno. Delle sue paure per il Re. Probabilmente Erec avrebbe capito.

Ma non riuscì a farlo. Erec era già circondato da cavalieri e Thor temeva che lui – e tutti gli altri – avrebbero pensato che era pazzo. Quindi rimase lì, senza parole, mentre Erec gli stringeva la spalla un’ultima volta.

“Proteggi il nostro Re,” disse con fermezza.

Quelle parole fecero correre un brivido lungo la schiena di Thor, come se Erec gli avesse letto in mente.

Erec si voltò, attraversò il cancello insieme agli altri cavalieri, e quando furono passati le aste di metallo lentamente si abbassarono dietro di loro.

Ora Erec se n’era andato. Thor stentava a crederci e sentì un nodo nello stomaco. Sarebbe potuto passare un anno intero prima di rivederlo.

Thor rimontò a cavallo, afferrò le redini e lo spronò con forza. Era pomeriggio e lui aveva una buona mezza giornata di cammino per tornare in tempo per la festa. Sentiva che le ultime parole di Erec gli echeggiavano in testa, come un mantra.

Proteggi il nostro Re.

Proteggi il nostro Re.