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Un’Impresa da Eroi

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Aus der Reihe: L’Anello Dello Stregone #1
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Un’Impresa da Eroi
Un’Impresa da Eroi
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Wird gelesen Edoardo Camponeschi
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Mentre gli altri ragazzi proseguivano dritti, Erec e Thor rimasero un po indietro, ed Erec lo guardò.

“Sei già riuscito a farti dei nemici potenti a Corte,” disse con un sorriso divertito in volto. “Tanti quanti sono i tuoi amici, a quanto pare.”

Thor arrossì imbarazzato.

“Non so come mai, signore. Non era mia intenzione.”

“I nemici non ce li si guadagna intenzionalmente. Spesso li genera l’invidia. Tu sei riuscito a suscitarne un bel po’. Non è per forza una brutta cosa. Sei al centro di molte conversazioni.”

Thor si grattò la testa, cercando di capire.

“Ma non capisco perché”.

Eric sembrava ancora divertito.

“La Regina stessa è la principale fra i tuoi avversari. Sei riuscito a far sì che ce l’abbia con te.”

“Mia madre?” chiese Reece voltandosi. “Perché?”

“È proprio la domanda alla quale sto cercando io stesso di dare una risposta,” disse Erec.

Thor si sentiva malissimo. La Regina? Una nemica? Cosa mai le aveva fatto? Non riusciva a capirlo. Come poteva lui essere così importante al punto di essere notato da lei? Stentava a capire cosa stesse succedendo attorno a lui.

Improvvisamente gli venne in mente qualcosa.

“È lei il motivo per cui sono stato mandato qui? Al Canyon?” chiese.

“Erec si voltò e guardò fisso davanti a sé, diventando serio.

“Potrebbe essere,” disse pensieroso. “Potrebbe essere.”

Thor si chiese quanti nemici si fosse fatto e quanto pericolosi questo fossero. Si era ritrovato in una corte della quale non sapeva nulla. Aveva solo voluto farne parte. Aveva solo seguito la sua passione e i suoi sogni ed aveva fatto tutto il possibile per ottenerli. Facendo così non aveva pensato di poter suscitare gelosia ed invidia. Questo pensiero gli girò e rigirò nella testa, come un indovinello del quale non riusciva a trovare la soluzione.

Mentre questi pensieri ronzavano nella mente di Thor, i cinque raggiunsero la cima di un’altura, e mentre il panorama si apriva davanti a loro, qualsiasi altra preoccupazione svanì. Thor rimase con il fiato mozzato, non solo a causa delle forti raffiche di vento.

Lì, allungato davanti a loro a perdita d’occhio, c’era il Canyon. Era la prima volta che Thor lo vedeva, e la vista lo scioccò a tal punto da rimanere pietrificato al suo posto, incapace di muoversi. Era la cosa più grande e maestosa che avesse mai visto. L’enorme spaccatura nel terreno sembrava allungarsi all’infinito ed era interrotta solo da un unico stretto ponte, fiancheggiato da soldati. Il ponte stesso sembrava condurre verso la fine della terra.

Il Canyon era ora illuminato dal verde e blu del secondo tramonto, i raggi di luce rimbalzavano contro le sue pareti, facendole luccicare. Quando riuscì a risentire le proprie gambe, Thor proseguì con agli altri, avvicinandosi sempre più al ponte, riuscendo a guardare in basso, nelle viscere del dirupo: sembrava che le mura di roccia precipitassero a piombo verso il centro della terra. Thor non riusciva neanche a vedere il fondo e non sapeva se fosse perché il fondo non c’era, o solo perché era ricoperto dalla foschia. Le rocce che costeggiavano il dirupo sembravano avere milioni di anni ed avevano forme che le tempeste dovevano aver levigato secoli prima. Era il luogo più ancestrale che Thor avesse mai visto. Non aveva idea che il suo pianeta fosse così vasto, vibrante, vivo.

Era come se fosse giunto all’inizio della creazione.

Thor sentiva che anche gli altri trattenevano il fiato vicino a lui.

L’idea di loro quattro a pattugliare questo Canyon sembrava una barzelletta. Erano annichiliti già solo dall’aspetto di quel luogo.

Mentre camminavano verso il ponte, i soldati si misero ritti in piedi su entrambi i lati, sull’attenti, facendo strada alla nuova pattuglia. Thor sentì che il suo cuore accelerava i battiti.

“Non vedo come noi quattro possiamo essere in grado di pattugliare questo luogo?” disse O’Connor.

Elden rise sotto i baffi.

“Ci sono molte pattuglie oltre a noi. Siamo solo un ingranaggio della macchina.”

Mentre attraversavano il ponte, l’unico rumore che si sentiva erano le sferzate del vento, i passi dei loro stivali e del cavallo di Erec che procedevano. Gli zoccoli producevano un suono sordo e rassicurante, l’unica cosa vera che Thor potesse riconoscere in quel posto surreale.

Nessuno dei soldati, tutti sull’attenti in presenza di Erec, disse una parola mentre stavano di guardia. Ne oltrepassarono sicuramente centinaia.

Mentre procedevano Thor non poteva fare a meno di notare che c’erano da entrambe le parti, infilzate su spuntoni disposti circa ogni metro lungo il sentiero, le teste di invasori barbari. Alcune ancora fresche, ancora gocciolanti di sangue.

Thor distolse lo sguardo. Tutto era ora reso così reale. Non sapeva se era pronto per tutto ciò. Cercò di non pensare alle molte rivolte che dovevano aver causato quelle teste, alle vite che erano andate perdute, a cosa lo aspettava dall’altra parte. Si chiese se ce l’avrebbero fatta a tornare. Era quello lo scopo dell’intera spedizione? Eliminarlo uccidendolo?

Guardò oltre l’orizzonte, lì dove il dirupo sembrava scomparire senza fine, e udì il grido acuto di un uccello in lontananza: era un suono che non aveva mai sentito prima. Si chiese che tipo di uccello fosse e quali altri animali esotici si trovassero dall’altra parte.

Ma non erano esattamente gli animali a preoccuparlo, neppure le teste sugli spuntoni. Più di tutto lo angosciava la sensazione che gli trasmetteva quel posto. Non era in grado di dire se fosse la foschia, o l’ululare del vento, o la vastità del cielo aperto, o la luce del sole al tramonto, ma c’era qualcosa di così surreale in quel luogo, e questo lo spingeva avanti. Lo avvolgeva. Sentiva una forte energia magica sospesa su di loro. Si chiese se si trattasse della protezione della Spada o di qualche altra antica forza. Non si sentiva come se stesse semplicemente attraversando un territorio, ma come se stesse accedendo a un'altra dimensione.

Stentava a crederlo: per la prima volta nella sua vita avrebbe trascorso la notte indifeso, dall’altra parte del Canyon.

CAPITOLO SEDICI

Mentre il sole iniziava a svanire nel cielo e un rosso scarlatto scuro mescolato a blu sembrava avvolgere l’universo, Thor avanzava con Reece, O’Connor ed Elden lungo il sentiero che conduceva alla foresta delle Terre Selvagge. Thor non si era mai spinto così lontano in vita sua. Ora erano solo loro quattro, dato che Erec era rimasto indietro al campo, e nonostante tutti i battibecchi tra di loro, Thor sentiva che ora avevano bisogno l’uno dell’altro come non mai. Dovevano stare uniti, senza Erec. Prima di lasciarli andare, Erec aveva detto loro di non preoccuparsi, che lui sarebbe rimasto alla base e avrebbe udito le loro grida, e ci sarebbe stato se avessero avuto bisogno di lui.

Questo dava a Thor ben poca sicurezza ora.

Mentre il bosco si stringeva su di loro, Thor si guardò attorno in quel luogo esotico, il terreno disseminato di spine e strani frutti. I rami dei numerosi alberi erano nodosi ed antichi, e quasi si toccavano tra loro, così fitti che talvolta Thor doveva abbassare la testa. Avevano spine che sporgevano ovunque al posto delle foglie. Grappoli gialli pendevano qua e là e Thor aveva fatto l’errore di allungare una mano per scansarne uno dalla faccia per realizzare che si trattava di un serpente. Aveva gridato ed era balzato di lato appena in tempo.

Si era aspettato che gli altri ridessero, ma anche loro erano atterriti dalla paura. Tutt’attorno a loro risuonavano i versi di animali esotici. Alcuni erano bassi e gutturali, altri acuti e stridenti. Alcuni echeggiavano da lontano, altri sembravano incredibilmente vicini. Il crepuscolo giunse troppo in fretta mentre loro si addentravano sempre di più nella foresta. Thor sentiva che da un momento all’altro sarebbero potuti capitare in un’imboscata. Il cielo diventava più scuro ed era sempre più difficile vedere anche solo i volti dei propri compagni. Thor stringeva l’elsa della sua spada così stretta che le nocche gli si erano sbiancate, mentre l’altra mano era pronta alla fionda. Anche gli altri tenevano ben salde le loro armi.

Thor voleva essere forte, fiducioso e coraggioso come un bravo cavaliere avrebbe dovuto. Come Erec gli aveva insegnato. Era meglio affrontare la morte ora che vivere per sempre con il terrore di incontrarla. Cercò di tenere il mento alto e camminare con sprezzo del pericolo, aumentando man mano il passo e andando avanti di qualche metro rispetto agli altri. Il cuore gli batteva forte, ma sentiva che stava affrontando le sue paure.

“Per cosa stiamo pattugliando, esattamente?” chiese Thor.

Non appena ebbe parlato, si rese conto che poteva essere una domanda sciocca, e si aspettò che Elden lo prendesse in giro.

Ma con sua sorpresa ricevette in risposta solo silenzio. Thor guardò i compagni, e vedendo il bianco degli occhi di Elden capì che aveva ancora più paura di lui. Thor si sentiva almeno un poco rincuorato: era più giovane e più piccolo di Elden, e non si stava arrendendo alla sua paura.

“Il nemico, immagino,” disse infine Reece.

“E chi è?” chiese Thor. “Che aspetto ha?”

“C’è ogni genere di nemico qua fuori,” disse Reece. “Siamo nelle Terre Selvagge ora. Ci sono tribù di barbari e ogni tipo e razza di creatura malvagia.”

“Ma che senso ha il nostro servizio di guardia?” chiese O’Connor. “Che differenza possiamo fare noi, pattugliando? Anche se ne uccidessimo uno o due, fermeremmo con questo i milioni al loro seguito?”

“Non siamo qui per distruggerli,” rispose Reece. “Siamo qui per far sentire loro la nostra presenza, a nome del nostro Re. Per far loro sapere che non devono avvicinarsi troppo al Canyon.”

 

“Credo che avrebbe più senso aspettare un loro tentativo di attraversarlo ed avere a che fare con loro a quel punto,” disse O’Connor.

“No,” disse Reece. “È meglio scoraggiarli addirittura dall’avvicinarsi. “È questo il motivo di queste pattuglie. Almeno questo è quello che dice il mio fratello maggiore.”

Il cuore di Thor stava martellando mentre si addentravano sempre più nella foresta.

“Quanto dovremmo allontanarci?” chiese Elden, parlando per la prima volta, con voce tremante.

“Non ricordi cosa ha detto Kolk? Dobbiamo recuperare l’insegna e riportarla indietro,” disse Reece. “Questa sarà la prova che siamo andati sufficientemente lontano con il nostro pattugliamento.”

“Non ho visto insegne da nessuna parte,” disse O’Connor. “In effetti, riesco a malapena a vedere qualcosa. Come faremo a tornare indietro?”

Nessuno rispose. Thor stava pensando la stessa cosa. Come potevano trovare un’insegna nel bel mezzo della notte? Iniziò a dubitare che fosse tutto un trucco, un’esercitazione, un altro di quei giochi psicologici con i quali la Legione metteva i ragazzi alla prova. Pensò ancora alle parole di Erec, ai suoi innumerevoli nemici a corte. Iniziò provare una sensazione orribile riguardo a quel pattugliamento. Sarebbero rimasti incastrati?

All’improvviso vi fu uno spaventoso suono stridulo seguito da un movimento tra i rami, e qualcosa di piuttosto grande attraversò il sentiero. Thor sguainò la spada e così fecero gli altri. Il suono di spade che uscivano dai foderi, metallo contro metallo, riempì l’aria, e tutti rimasero lì, tenendo le spade di fronte a loro, guardando nervosamente in ogni direzione.

“Cos’è stato?” gridò Elden, la voce rotta dalla paura.

L’animale attraversò il sentiero un’altra volta, zigazagando nella foresta, e questa volta poterono vederlo bene.

Le spalle di Thor si rilassarono quando lo riconobbe.

“È solo un cervo,” disse, con immenso sollievo. “Il cervo più strano che abbia mai visto, ma nientemeno che un cervo.”

Reece rise, un suono rassicurante, una risata troppo matura per la sua età. Quando Thor lo udì si rese conto che era la risata di un futuro Re. Si sentì meglio all’idea di avere l’amico accanto a lui. E poi rise anche lui. Tutta quella paura per niente.

“Non avevo mai saputo che la voce ti si incrina quando cedi alla paura,” disse Reece prendendo in giro Elden e ridendo di nuovo.

“Se ti potessi vedere ti prenderei a pugni,” disse Elden.

“Io ti vedo bene,” disse Reece. “Provaci.”

Elden lo guardò in cagnesco, ma non osò fare una sola mossa. Rimise invece la spada nel fodero, come gli altri. Thor provò ammirazione per Reece, che stuzzicava Elden senza riserbo. Elden prendeva sempre in giro gli altri e si meritava di ricevere qualche parola canzonatoria pure lui. Ammirò la totale mancanza di timore nel gesto di Reece: dopotutto Elden era il doppio di loro.

Thor sentì finalmente che un po’ della tensione stava abbandonando il suo corpo. Avevano fatto il primo incontro, avevano rotto il ghiaccio, ed erano ancora vivi. Si rilassò e rise anche lui, felice di essere vivo.

“Continua a ridere, straniero,” disse Elden. “Ride bene chi ride ultimo.”

Non sto ridendo di te come Reece, pensò Thor. Sono solo sollevato di essere vivo.

Ma non si prese la briga di dirlo a voce alta; sapeva che niente che avesse detto avrebbe potuto cambiare l’odio di Elden nei suoi confronti.

“Guardate!” gridò O’Connor. “Laggiù!”

Thor strizzò gli occhi ma non riuscì a vedere cosa stesse indicando O’Connor nella notte fitta. Poi la vide: l’insegna della Legione, appesa ad uno dei rami.

Si misero tutti a correre in quella direzione.

Elden li superò, spingendoli bruscamente di lato.

“Quella bandiera è mia!” gridò.

“L’ho vista prima io!” gridò O’Connor.

“Ma la prenderò prima io e sarò io a riportarla indietro!” gridò Elden.

Thor ribollì di rabbia: non poteva credere a ciò che Elden stava facendo. Ricordò le parole di Kolk, che chi avesse trovato l’insegna sarebbe stato ricompensato, e capì perché Elden stesse correndo così velocemente. Ma questo non lo giustificava: dovevano essere una squadra, un gruppo, non singoli uomini. La vera indole di Elden stava emergendo: nessuno degli altri si era messo a correr per afferrare l’insegna o aveve cercato di sopraffare gli altri. Questo fece provare a Thor ancora più odio nei confronti di Elden.

Elden scattò dando una gomitata a O’Connor, e prima che gli altri potessero reagire, guadagnò diversi metri su di loro ed afferrò l’insegna.

Appena lo fece una grande rete apparve dal nulla, sorgendo dal terreno e saltando in aria, intrappolando Elden e tenendolo sospeso in alto. Oscillava avanti e indietro davanti ai loro occhi, a qualche metro da loro, come un animale in trappola.

“Aiutatemi! Aiutatemi” gridò, terrorizzato.

Tutti rallentarono mentre di avvicinavano a lui e Reece iniziò a ridere.

“Bene, chi è il codardo adesso?” gridò Reece, divertito.

“Piccolo deficiente!” gridò. “Ti ucciderò appena riuscirò a venire giù da qui!”

“Oh, davvero?” rimbeccò Reece. “E quando succederà?”

“Mettetemi giù!” gridò Elden, girandosi e rotolando nella rete. “Ve lo ordino!”

“Oh, ci stai dando degli ordini, ho capito bene?” disse Reece, scoppiando a ridere.

Reece si voltò a guardare Thor.

“Cosa ne pensi?” chiese Reece.

“Penso che debba a tutti noi delle scuse,” disse O’Connor. “Soprattutto a Thor.”

“Sono d’accordo,” disse Reece. “Ti dico una cosa,” disse poi rivolto ad Elden. “Chiedi scusa – e fallo sinceramente – e prenderò in considerazione la possibilità di tagliare la rete per tirarti giù”.

“Chiedere scusa?” fece eco Elden, disgustato. “Neanche fra un milione di soli.”

Reece si voltò verso Thor.

“Magari potremmo lasciare questo fagotto qui per la notte. Sarà buon cibo per gli animali. Cosa ne pensi?”

Thor fece una grande sorriso.

“Penso che sia una bella idea,” disse O’Connor.

“Aspettate!” urlò Elden.

O’Connor allungò una mano e strappò l’insegna che penzolava dalla mano di Elden.

“Direi che dopo tutto non ci hai battuto nella corsa all’insegna,” disse O’Connor.

I tre si voltarono e ed iniziarono ad incamminarsi sulla via del ritorno.

“No, aspettate!” gridò Elden. “Non potete lasciarmi qui! Non dovete!”

I tre continuarono a camminare.

“Mi dispiace!” iniziò a piagnucolare Elden. “Per favore! Mi dispiace!”

Thor si fermò, ma Reece e O’Connor continuarono a camminare. Alla fine Reece si voltò.

“Cosa stai facendo?” chiese Reece a Thor.

“Non possiamo lasciarlo qui,” disse Thor. Per quanto Elden non gli piacesse, non pensava fosse giusto lasciarlo lì.

“Perché no?” chiese Reece. “Se l’è voluta lui.”

“Se le parti fossero invertite,” disse O’Connor, “sai benissimo che ti lascerebbe lì senza problemi. Perché dovresti preoccuparti per lui?”

“Capisco,” disse Thor. “Ma questo non significa che dobbiamo comportarci come lui.”

Reece si portò le mani ai fianchi e sospirò profondamente, poi si chinò verso Thor e sussurrò.

“Non avevo intenzione di lasciarlo lì tutta la notte. Magari solo qualche ora. Ma hai ragione. Non è fatto per una cosa come questa. Probabilmente si piscerebbe addosso e gli verrebbe un colpo. Sei troppo gentile. È questo il problema,” disse Reece posando una mano sulla spalla di Thor. “Ma è per questo che ti ho scelto come amico.”

“E lo stesso ho fatto io,” disse O’Connor mettendo la sua mano sull’altra spalla di Thor.

Thor si voltò, andò verso la rete, allungò un braccio e la tagliò.

Elden atterrò con un tonfo. Balzò in piedi, si tolse la rete di dosso e perlustrò freneticamente il terreno.

“La mia spada!” gridò. “Dov’è?”

Thor guardò in terra, ma era troppo buio per vedere.

“Deve essere stata scagliata tra gli alberi mentre ti dimenavi lassù,” rispose Thor.

“Ovunque essa sia, ora è andata,” disse Reece. “Non la troverai mai.”

“Ma non capite,” implorò Elden. “La Legione. C’è solo una regola. Non abbandonare mai la tua arma. Non posso tornare senza. Verrei espulso!”

Thor si voltò e guardò ancora a terra, cercò tra gli alberi, guardando ovunque. Ma non ne vide traccia. Reece e O’Connor se ne stavano fermi lì, senza preoccuparsi di dare una minima occhiata.

“Mi spiace,” disse Thor, “Non la vedo.”

Elden frugò dappertutto, finché si arrese.

“È colpa tua,” disse, puntando il dito contro Thor. “Sei tu che ci hai messo in questo casino!”

“Non è vero,” rispose Thor. “Sei stato tu! Tu hai corso per raggiugnere la bandiera per primo. Tu ci hai spinti tutti da parte. Non hai nessuno da biasimare se non te stesso.”

“Ti odio!” gridò Elden.

Attaccò Thor, afferrandolo per la camicia e sbattendolo a terra. Il suo peso colse Thor alla sprovvista. Thor riuscì a girare su se stesso, ma Elden gli fu sopra e lo bloccò a terra. Elden era troppo grande e troppo forte, ed era troppo difficile spingerlo indietro.

Ma all’improvviso Elden lasciò la presa e rotolò via. Thor udì il suono di una spada che veniva sguainata dal fodero, e guardando verso l’alto vide Reece al di sopra di Elden, la punta della spada puntata alla sua gola.

O’Connor allungò un braccio e diede una mano a Thor, tirandolo velocemente in piedi. Thor rimase in piedi insieme ai suoi due amici, guardando in basso verso Elden che era rimasto a terra con la spada di Reece alla gola.

“Tocca il mio amico un’altra vola,” disse Reece lentamente e con tono serio e grave, “e ti giuro che ti uccido.”

CAPITOLO DICIASSETTE

Thor, Reece, O’Connor, Elden ed Erec erano tutti seduti per terra in cerchio attorno ad un fuoco. Tutti e cinque sedevano seri e in silenzio e Thor era sorpreso che potesse fare tanto freddo in una notte d’estate. C’era qualcosa in quel Canyon, il freddo, venti mistici che soffiavano attorno a loro percorrendogli la schiena e mescolandosi con la nebbia, che sembravano non svanire mai e che lo raffreddavano fino alle ossa. Si chinò in avanti e si strofinò le mani vicino al fuoco, incapace di scaldarle.

Thor diese un morso al pezzo di carne essiccata che gli altri facevano passare attorno al cerchio; era dura e salata, ma in qualche modo gli dava sostentamento. Erec allungò una mano e gli porse qualcosa e Thor sentì la consistenza morbida di un otre con del liquido all’interno. Era sorprendentemente pesante quando se lo sollevò alle labbra, facendone scorrere il contenuto all’interno della bocca, con una sorsata troppo lunga. Sentì caldo per la prima volta in quella notte.

Tutti stavano in silenzio, fissando le fiamme. Thor era ancora in tensione all’idea di trovarsi da quella parte del Canyon, in territorio nemico; si sentiva ancora come se dovesse stare continuamente in guardia, e si meravigliava di quanto sembrasse invece essere tranquillo Erec, come se fosse seduto per caso nel cortile di casa sua. Thor si sentiva perlomeno sollevato di essere adesso fuori dalle Terre Selvagge, di nuovo insieme ad Erec, seduto accanto alla presenza rassicurante di un fuoco. Erec scrutava il limitare della foresta, attento ad ogni minimo rumore, ma comunque rilassato e sicuro. Thor sapeva che se ogni pericolo si fosse presentato, Erec li avrebbe protetti.

Thor si sentiva al sicuro accanto alle fiamme; si guardava attorno e vedeva che anche gli altri erano felici, eccetto ovviamente Elden, adombrato da quando erano tornati dalla foresta. Aveva perso la sua baldanza e sicurezza dell’inizio della giornata, e stava lì seduto, inacidito, senza la sua spada. I comandanti non avrebbero mai perdonato un tale errroe: Elden sarebbe stato cacciato dalla Legione al loro ritorno. Si chiese cosa avrebbe fatto Elden. Aveva la sensazione che non avrebbe lasciato perdere così facilmente, che avesse in mente qualche stratagemma, qualche piano di riserva, qualche asso nella manica pronto da giocare. Thor immaginava che, di qualsiasi cosa si trattasse, non fosse nulla di buono.

Thor si voltò a seguire lo sguardo di Erec, rivolto all’orizzonte lontano, verso sud. C’era un bagliore sfuocato, una linea interminabile che si perdeva a vista d’occhio e che illuminava la notte. Thor meditò.

 

“Che cos’è?” chiese infine ad Erec. “Quel bagliore? Quello che stai continuando a guardare?”

Erec rimase in silenzio a lungo, l’unico rumore era quello delle folate di vento. Alla fine, senza voltarsi, disse: “I Goralli.”

Thor guardò gli altri, che ricambiarono lo sguardo spaventati. Lo stomaco di Thor si contorse al pensiero. I Goralli. Così vicini. Non c’era nienta tra loro e lui a parte una semplice foresta e un’ampia pianura. Non c’era più il grande Canyon a separarli, tenedoli al sicuro. Per tutta la vita aveva sentito storie di questi violenti barbari delle Terre Selvagge, che non avevano altra ambizione se non quella di attaccare l’Anello. Ed ora non c’era nulla a separarli da loro. Non riusciva ad immaginare quanti ce ne potessero essere. Era un esercito grande e preparato.

“Non hai paura?” chiese Thor ad Erec.

Erec scosse la testa.

“I Goralli si muovono compatti. Il loro esercito si accampa lì ogni notte. Lo fanno da anni. Attaccherebbero il Canyon solo se mobilizzassero l’intero esercito e attaccassero all’unisono. E non oserebbero tentare. Il potere della Spada agisce da scudo. Sanno di non poterlo scalfire.”

“E allora perché si accampano lì?” chiese Thor.

“È il loro modo di intimidare. E di prepararsi. Ci sono state molte occasioni nel corso della storia, ai tempi dei nostri padri, in cui hanno attaccato tentando di fare breccia attraverso il Canyon. Ma non è mai accaduto nel mio tempo.”

Thor guardò in alto, verso il cielo nero, con le stele gialle, blu ed arancioni che luccicavano sopra di lui, e si mise a riflettere. Questo lato del Canyon era un luogo di incubi, e lo era stato da quando aveva imparato a camminare. Il solo pensiero lo spaventava, ma lo cacciò dalla mente. Ora era un membro della Legione e doveva comportarsi da tale.

“Non ti preoccupare,” disse Erec, come se avesse letto nella sua mente. “Non attaccheranno fino a che avremo la Spada del Destino.”

“L’hai mai tenuta in mano?” chiese Thor, con improvvisa curiosità. “La spada?”

“Certo che no,” ribatté Erec bruscamente. “A nessuno è permesso prenderla, eccetto i discendenti del Re.”

Thor lo guardò, confuso.

“Non capsico. Perché?”

Reece si schiarì la voce.

“Posso?” si intromise.

Erec annuì in risposta.

“C’è una leggenda sulla Spada. In realtà non è mai stata sollevata da nessuno. La leggenda dice che un uomo, il prescelto, sarà capace di brandirla. Solo al Re è concesso di provare, o ad uno dei discendenti del Re se eletto sovrano. E quindi sta lì, inviolata.”

“E il Re attuale? Tuo padre?” chiese Thor. “Lui può provare?”

Reece abbassò lo sguardo.

“Ci ha provato una volta. Quando è stato incoronato. Così ci dice. Non è riuscito a sollevarla. Quindi la spada giace lì come un oggetto di rimprovero, per lui. La odia. Pesa su di lui come una cosa viva.”

“Quando giungerà il prescelto,” aggiunse Reece, “libererà l’Anello dai suoi nemici e ci condurrà verso il più grande destino che noi tutti abbiamo mai conosciuto. Tutte le guerre finiranno.”

“Fiabe e scemenze,” si intromise Elden. “Quella spada non verrà sollevata da nessuno. È troppo pesante. Non è possibile. E non c’è nessun ‘prescelto’. Sono tutte fesserie. La leggenda è stata inventata solo per tenere tranquilli gli uomini comuni, per tenerci in attesa del cosiddetto ‘prescelto’. Per rafforzare la linea dei MacGil. È una leggenda molto conveniente per loro.”

“Tieni a freno la lingua, ragazzo,” disse bruscamente Erec. “Devi sempre parlare con rispetto del tuo Re.”

Elden abbassò lo sguardo, umiliato.

Thor rifletté su tutto ciò, cercando di capire. Erano così tante le cose da comprendere tutte in una volta. Per tutta la vita aveva sognato di poter vedere la Spada del Destino. Avevo sentito storie sulla sua forma perfetta. Si diceva che fosse stata fabbricata con un materiale che nessuno conosceva e si credeva fosse un’arma magica. Questo portò Thor a pensare cosa avrebbero fatto se non avessero avuto la spada a proteggerli. L’esercito del Re sarebbe stato sconfitto dall’Impero? Thor si voltò a guardare i fuochi baluginanti all’orizzonte. Sembravano estendersi all’infinito.

“Sei mai stato laggiù?” chiese Thor ad Erec. “Laggiù lontano? Oltre la foresta? Nelle Terre Selvagge?”

Tutti si voltarono a guardare Erec, mentre Thor aspettava con ansia la sua risposta. Nello spesso silenzio Erec rimase a fissare le fiamme per un lungo momento, così lungo che Thor dubitò che avrebbe mai risposto. Thor sperò di non essere stato troppo invadente: si sentiva così grato e in debito nei confronti di Erec e di sicuro non voleva dargli ai nervi. E inoltre non era certo di voler conoscere la risposta.

Proprio quando stava sperando di poter ritirare la domanda, Erec rispose:

“Sì,” disse solennemente.

Quella singola parola rimase sospesa in aria per troppo tempo e in essa Thor udì la gravità che gli comunicava tutto quello che aveva bisogno di sapere.

“E com’è laggiù?” chiese O’Connor.

Thor si sentì sollevato dal fatto di non essere l’unico a fare domande.

“È sotto il controllo di un impero spietato,” disse Erec. “Ma il territorio è vasto e vario. C’è la terra dei selvaggi. La terra degli schiavi. E la terra dei mostri. Mostri come non potete neanche immaginare. E ci sono deserti e montagne e colline che si dispiegano a perdita d’occhio. Ci sono le paludi e gli stagni e il grande oceano. C’è la terra dei Druidi. E la terra dei Draghi.”

Thor sgranò gli occhi udendo quest’ultima affermazione.

“Draghi?” chiese sorpreso. “Pensavo non esistessero.”

Erec lo guardò, estremamente serio.

“Ti assicuro che esistono. E che quello è un posto dove non vorresti mai andare. Un luogo temuto persino dai Goralli.”

Thor deglutì spaventato dal pensiero. Non riusciva a immaginare di avventurarsi così lontano nel mondo. Si chiese come Erec avesse potuto sopravvivere. Si ripropose di chiederglielo un’altra volta.

Erano talmente tante le domande che Thor avrebbe voluto chiedergli: sulla natura di quell’impero malvagio, su chi lo governava, perché volessero attaccare, quando Erec ci era andato e quando era tornato. Ma mentre Thor guardava le fiamme si stava facendo sempre più buio e più freddo, e mentre tutte quelle domande si rincorrevano nella sua testa, sentì che gli occhi gli si stavano facendo pesanti. Non era il momento giusto per fare altre domande.

Lasciò invece che il sonno prendesse il sopravvento. Sentì che gli occhi gli si chiudevano e appoggiò la testa a terra. Prima di chiudere gli occhi del tutto guardò verso il suolo straniero e si chiese quando – o se – sarebbe mai tornato a casa.

*

Thor aprì gli occhi, confuso, chiedendosi dove fosse e come vi fosse finito. Guardò verso il basso e vide una spessa nebbia che gli arrivava alla vita, talmente spessa da non riuscire a scorgere i propri piedi. Si voltò e vide che l’alba stava sorgendo al di sopra del Canyon, di fronte a lui. Lontano, dall’altra parte, c’era la sua terra natale. Si trovava ancora da questa parte, la parte sbagliata, lo spartiacque. Il cuore gli accelerò in petto.

Thor guardò il ponte, ma stranamente ora non c’era neanche un soldato. L’intero luogo, in effetti, aveva un aspetto desolato. Non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Mentre guardava il ponte, le sue assi di legno caddero una dopo l’altra, come tessere del domino. In pochi istanti il ponte crollò, andando a cadere nel precipizio. Il fondo era talmente in basso che non udì neanche il tonfo delle tavole.

Thor deglutì e si voltò, cercando gli altri, ma non erano da nessuna parte. Non aveva idea di cosa fare. Ora era incastrato. Lì, solo, dall’altra parte del Canyon, senza un mezzo per tornare indietro. Non riusciva a capire dove tutti fossero andati.

Udì un rumore e si voltò a guardare verso la foresta. Percepì del movimento. Si alzò in piedi e camminò verso quel suono, con i piedi che sprofondavano nel terreno mentre avanzava. Avvicinandosi notò una rete appesa ad un ramo basso. Lì, intrappolato, c’era Elden, che si girava a rigirava facendo scricchiolare i rami ad ogni movimento.