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L’ascesa dei Draghi

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Aus der Reihe: Re e Stregoni #1
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Fecero arretrare gli uomini del Lord facendosi strada con forza brutale, mandando a terra uomini – e i loro cavalli – a destra e a manca. Ma dopo alcuni minuti di intenso combattimento quei guerrieri amatoriali iniziarono a cedere, l’aria si riempì delle loro grida mentre i soldati meglio armati e meglio allenati li mettevano al tappeto. Gli uomini del Lord li spinsero indietro e lo slancio passò dall’altra parte.

Il ponte si fece più affollato mentre altri rinforzi degli uomini del Lord arrivavano all’attacco. Gli uomini di Duncan, scivolando nella neve, si stavano affaticando e più di uno gridava e cadeva ucciso da un uomo del Lord. La spinta della battaglia si stava girando contro di loro e Kyra capì che doveva fare velocemente qualcosa.

Si diede un’occhiata attorno e le venne un’idea: saltò sul parapetto di pietra al bordo del ponte, ottenendo il punto di vista avvantaggiato di cui aveva bisogno. Era ben al di sopra degli altri, ben esposta, ma non le interessava. Era l’unica lì abbastanza agile da saltare da lì, quindi prese l’arco, mirò e tirò.

Con la sua posizione più elevata fu capace di atterrare un soldato dopo l’altro. Prese la mira contro un uomo del Lord che stava per colpire con un’accetta la schiena di suo padre, ignaro. Lo prese al collo, facendolo cadere un attimo prima che la lama si conficcasse nella schiena di suo padre. Poi tirò contro un altro soldato che stava facendo roteare un mazzafrusto e lo colpì alle costole appena prima che questi colpisse la testa di Anvin.

Scoccando una freccia dopo l’altra Kyra mise al tappeto una decina di uomini, fino a che la videro. Sentì il sibilo di una freccia vicino al viso e vide degli arcieri che le stavano tirando contro. Prima che potesse reagire sussultò di dolore mentre una freccia le graffiava il braccio facendolo sanguinare.

Kyra saltò giù dal parapetto e tornò nella mischia. Rotolò su mani e ginocchia e rimase inginocchiata, respirando affannosamente, con il braccio che le doleva da morire. Sollevando lo sguardo vide ulteriori rinforzi nemici che arrivavano sul ponte. Vide la sua gente che veniva spinta indietro e vide uno di essi, proprio accanto a lei, un uomo che conosceva e al quale voleva bene, che veniva pugnalato al ventre e cadeva oltre il parapetto, nel fossato, morto.

Mentre stava inginocchiata lì un brutale soldato sollevò la sua ascia sopra la testa e la calò su di lei. Sapeva che non poteva reagire in tempo e si preparò al colpo quando improvvisamente Leo balzò in avanti e affondò le zanne nello stomaco dell’uomo.

Kyra percepì del movimento con la coda dell’occhio e si voltò vedendo un altro soldato che sollevava l’alabarda per calarla sul suo collo. Incapace di reagire in tempo si preparò al colpo, pronta a morire.

Si udì un clangore e Kyra sollevò lo sguardo vedendo la lama che si fermava proprio sopra la sua testa, bloccata da una spada. Suo padre stava su di lei, brandendo la spada, salvandola da un colpo letale. Fece roteare la spada, spostando l’alabarda della sua traiettoria, quindi pugnalò il soldato al cuore.

La mossa lasciò però suo padre indifeso e Kyra vide, inorridita, un altro soldato che si faceva avanti e lo pugnalava al braccio. Duncan gridò e barcollò indietro mentre il soldato gli saltava addosso.

Mentre Kyra stava inginocchiata lì, si sentì pervadere da una sensazione poco familiare: era un calore che si sprigionava dal plesso solare e si irradiava da lì. Era una sensazione sconosciuta, ma che subito riconobbe sentendo che le dava una forza infinita che le si diffondeva nel corpo, un arto alla volta, scorrendole nelle vene. Più che forza era una sorta di concentrazione: guardandosi attorno era come se tutto stesse rallentando. Con una singola occhiata vide tutti i soldati nemici, vide tutti i loro punti deboli, vide come ucciderli tutti.

Kyra non capiva cosa le stesse accadendo, ma non le interessava. Accolse il nuovo potere che la stava pervadendo e si permise di assecondare quella dolce furia perché facesse di lei quello che voleva.

Kyra si alzò sentendosi invincibile, sentendosi come se qualsiasi altra persona si muovesse a rallentatore attorno a lei. Sollevò il suo bastone e balzò tra la folla.

Quello che accadde dopo fu un lampo, un caos accecante che poteva a malapena capire o ricordare. Sentì che il potere aveva il sopravvento sulle sue braccia, sentì che la istruiva su come colpire, su dove muoversi. Si ritrovò ad attaccare i soldati nemici in una sequenza fulminea di mosse facendosi strada tra la folla. Colpì un soldato alla tempia, poi un altro alla gola. Saltò in alto e con due mani calò il bastone sulle teste di altri due soldati. Ruotò, svitò il bastone e passò in mezzo alla gente come un vortice, atterrando soldati a destra e a sinistra, lasciando una scia al suo passaggio. Nessuno riusciva a prenderla, nessuno poteva fermarla.

Il clangore del suo bastone di metallo che colpiva le armature echeggiava in aria e tutto accadeva con incredibile rapidità. Per la prima volta in vita sua si sentiva tutt’uno con l’universo, si sentiva come se non stesse più cercando di controllare se stessa, ma stesse permettendo di essere controllata. Si sentiva come fuori da se stessa. Non capiva questo nuovo potere che la terrorizzava ed eccitava allo stesso tempo.

Nel giro di pochi istanti aveva fatto piazza pulita degli uomini del Lord sul ponte. Si ritrovò dalla parte opposta, a pugnalare l’ultimo di essi tra gli occhi.

Rimase ferma lì, respirando affannosamente, e improvvisamente tutto riprese la normale velocità. Si guardò attorno e vide il danno che aveva provocato, sentendosi più scioccata di chiunque altro.

La decina scarsa di soldati del Lord che restavano all’estremità del ponte la guardavano con il terrore negli occhi. Si voltarono e iniziarono a fuggire scivolando nella neve.

Si udì un grido e il padre di Kyra guidò la carica mentre i suoi uomini si lanciavano all’inseguimento. Li raggiunsero e uccisero fino a che non ne fu rimasto neppure uno.

Risuonò un corno. La battaglia era finita.

Tutti gli uomini di suo padre, tutti gli abitanti del villaggio, erano lì, stupefatti, rendendosi conto di aver ottenuto l’impossibile. Ma, stranamente, non c’era la giubilante atmosfera che normalmente avrebbe seguito una vittoria: non vi furono né esultanza né abbracci tra gli uomini. Niente grida di gioia. L’aria era invece stranamente silenziosa, l’umore cupo. Avevano perso molti cari fratelli quel giorno, i loro corpi erano disseminati davanti a loro, e forse questo tratteneva gli uomini dall’esultare.

Ma Kyra capì che c’era dell’altro. Non era questo a causare il silenzio. Quello che lo generava, ne era consapevole, era lei.

Tutti gli occhi sul campo di battaglia si voltarono verso di lei. Anche Leo la guardava con paura nello sguardo, come se non la riconoscesse più.

Kyra rimase lì, ancora con il fiatone, le guance arrossate, sentendo che tutti la fissavano. La guardavano con rispetto, ma anche con sospetto. La guardavano come se fosse una sconosciuta nel mucchio. Sapeva che tutti si stavano ponendo la stessa domanda. Era una domanda alla quale lei stessa voleva una risposta, una domanda che la terrorizzava più di ogni altra cosa:

Chi era lei?

CAPITOLO VENTUNO

Alec passava dal sonno alla veglia mentre stava in piedi in mezzo al carro, schiacciato nella massa di ragazzi, facendo veloci e turbolenti sogni. Si vedeva schiacciato a morte in una bara piena di ragazzi mentre il coperchio gli veniva sbattuto in faccia.

Si svegliò di soprassalto, respirando affannosamente e rendendosi conto che si trovava nel carro. Erano state fatte altre fermate e altri ragazzi si erano ammassati nel carro che continuava a percorrere la sua strada tra i sobbalzi per il secondo giorno, su e giù dalle colline, dentro e fuori dai boschi. Alec era stato in piedi dal momento della zuffa, sentendosi più al sicuro così ma la schiena gli faceva male da morire. Eppure non gli interessava. Trovava più facile appisolarsi mentre stava in piedi, soprattutto con Marco al suo fianco. I ragazzi che lo avevano aggredito si erano ritirati dalla parte opposta del carro, ma a quel punto non si fidava più di nessuno.

Gli scossoni del carro gli erano entrati dentro e si era dimenticato cosa significasse mettere piede su terreno stabile. Ripensò ad Ashton, sentendosi felice che almeno suo fratello non fosse lì adesso. Questo gli dava uno scopo, il coraggio di andare avanti.

Mentre le ombre si facevano lunghe, senza ancora una meta per quel viaggio, Alec iniziò a perdere la speranza, a sentire che non avrebbero mai raggiunto Le Fiamme.

Passò altro tempo e dopo essersi appisolato numerose volte, si sentì dare una gomitata alla cassa toracica. Aprì gli occhi e vide Marco che gli faceva cenno con la testa.

Alec provò un’ondata di eccitazione scorrere tra la folla di ragazzi e questa volta percepì che c’era qualcosa di diverso. Tutti i ragazzi guardavano fuori, attraverso le sbarre di ferro. Alec si voltò e cercò di sbirciare a sua volta, disorientato, ma non riuscì a vedere attraverso quella fitta massa di corpi.

“Devi vedere questa cosa,” disse Marco guardando fuori.

Marco si spostò dal suo posto così che Alec potesse vedere. I quel momento Alec vide una scena che mai avrebbe dimenticato: Le Fiamme.

Aveva sentito parlare de Le Fiamme per tutta la vita, ma non aveva mai immaginato che potessero realmente esistere. Erano una di quelle cose talmente difficili da visualizzare che, per quanto tentasse, non riusciva a figurarsi come potessero essere possibili. Come potevano delle fiamme raggiungere veramente il cielo? Come potevano ardere per sempre?

Ma ora, guardandole per la prima volta, si rese conto che era tutto vero. Gli mozzò il fiato in gola. Lì all’orizzonte si trovavano Le Fiamme che si levavano, come diceva la leggenda, fino alle nuvole, così spesse da non poter vedere dove terminavano. Poteva sentire il crepitio del fuoco, percepirne il calore anche da lì. Erano maestose e spaventose allo stesso tempo.

 

Da una parte e dall’altra de Le Fiamme Alec vide appostati centinaia di soldati – ragazzi e uomini – che stavano di guardia, disposti ogni trenta metri circa l’uno dall’altro. All’orizzonte, alla fine della strada, vide una torre di pietra nera attorno alla quale si trovavano numerosi altri fabbricati. Era il centro delle attività.

“Pare che questa sia la nostra nuova casa,” osservò Marco.

Alec vide le file di squallide baracche piene zeppe di ragazzi ricoperti di fuliggine. Provò una fitta allo stomaco rendendosi conto che quello era un pietoso scorcio del suo futuro, dell’inferno in cui la sua vita si sarebbe trasformata.

*

Alec si teneva stretto mentre i responsabili pandesiani lo spingevano giù dal carro insieme alla massa di ragazzi. Alcuni atterrarono sopra di lui e mentre Alec lottava per respirare rimase scioccato da quanto duro fosse il terreno, pure ricoperto di neve. Non era abituato a questo tempo nord-orientale e si rese subito conto che i suoi abiti da terre di mezzo erano troppo fini e sarebbero stati inutili lì. A Solis, sebbene si trovasse a pochi giorni di viaggio verso sud, il terreno era soffice, ricoperto di muschio verde; non nevicava mai e l’aria sapeva di fiori. Qui invece era freddo e duro, sterile, e l’aria odorava solo di fuoco.

Quando Alec si fu divincolato dalla massa di corpi e fu riuscito a mettersi in piedi, venne spinto indietro. Inciampò in avanti e si voltò vedendo un responsabile dietro di sé che radunava tutti i ragazzi come bestiame dirigendoli verso le baracche.

Dietro di sé Alec vide numerose decine di ragazzi emergere dal carro. Vide con stupore che più di uno cadde floscio a terra, morto. Si meravigliò di essere sopravvissuto a quel viaggio, ammassato là dentro a quel modo. Gli faceva male ogni osso del corpo, le giunture erano rigide e mentre camminava aveva la sensazione di essere sfinito. Gli sembrava di non dormire da mesi e aveva la sensazione di essere arrivato alla fine del mondo.

Il crepitio del fuoco riempiva l’aria e sollevando lo sguardo Alec vide, forse a cento metri da lui, Le Fiamme. Camminavano in quella direzione e quelle apparivano sempre più grandi. Erano davvero impressionanti così vicine. Ne apprezzò il caldo che si faceva più intenso a ogni passo che facevano. Temeva però pensando a quanto sarebbe stato caldo quando vi fosse stato vicinissimo, come gli altri soldati che si trovavano ad appena venti metri da esse. Notò che indossavano delle insolite armature protettive. Anche così alcuni giacevano flosci, chiaramente collassati.

“Vedi quelle fiamme, ragazzo?” chiese una voce sinistra.

Alec si voltò e vide il ragazzo con cui si era confrontato sul carro. Gli si avvicinò con l’amico accanto e ghignò.

“Quando metterò la tua faccia là dentro nessuno ti riconoscerà, neanche la tua mamma. Brucerò le tue mani fino a che non resteranno che dei moncherini. Apprezza ciò che hai, prima di perderlo.”

Rise, un suono oscuro e malvagio, come un colpo di tosse.

Alec lo guardò con espressione di sfida, anche Marco ora al suo fianco.

“Non sei riuscito a battermi nel carro,” rispose Alec. “Non riuscirai a farlo neanche adesso.”

Il ragazzo ridacchiò.

“Non c’è più nessun carro, ragazzo,” disse. “Dormirai con me stanotte. Quelle baracche sono tutte nostre. Una notte, un tetto. Io e te. E ho tutto il tempo al mondo. Potrebbe essere stanotte o magari domani, ma una di queste notti, quando meno te lo aspetti, mentre dormi ti prenderemo. Ti sveglierai con la faccia in quelle fiamme. Dormi bene,” concluse con una risata.

“Se sei così forte,” gli disse Marco, “cosa stai aspettando? Eccoci qui. Provaci.”

Alec vide il ragazzo esitare mentre guardava i responsabili pandesiani.

“Al momento giusto,” rispose.

Detto questo scomparve nella folla.

“Non preoccuparti,” disse Marco. “Starò sveglio quando dormi e tu farai lo stesso per me. Se quegli esseri spregevoli si avvicinano, desidereranno non averlo mai fatto.”

Alec annuì d’accordo con lui, riconoscente mentre guardava pensieroso le baracche. A pochi passi dall’affollata entrata poteva già sentire l’odore di corpi che esalava dall’interno. Ebbe un conato di vomito quando venne spinto dentro.

Cercò di abituare la vista al buio della baracca, illuminata solo dalla debole luce che entrava da poche finestre posizionate in alto. Abbassò lo sguardo verso il pavimento sporco e si rese subito conto che il carro, per quanto fosse una schifezza, era meglio che qui. Vide file di volti sospettosi e ostili, solo il bianco dei loro occhi era visibile e lo stavano scrutando. Iniziarono a fischiare e insultare, chiaramente con l’intento di intimidirli – i novellini – e di rivendicare il loro territorio. Le baracche si riempirono di voci alte.

“Carne fresca!” gridò uno.

“Cibo per Le Fiamme!” gridò un altro.

Alec provò un profondo senso di apprensione mentre venivano tutti spinti sempre più in fondo in quella grande stanza. Alla fine si fermò, Marco accanto a lui, di fronte a un ammasso di paglia buttato a terra. Immediatamente lo spinsero da dietro.

“Quello è il mio posto, ragazzo.”

Alec si voltò e vide una recluta più grande guardarlo in cagnesco, con un pugnale in mano.

“A meno che tu non voglia che ti tagli la gola,” lo avvisò.

Marco si fece avanti.

“Tieniti la tua paglia,” gli disse. “Tanto puzza.”

I due si voltarono e continuarono ad avventurarsi nella baracca fino a che, in una angolo distante, Alec trovò un piccolo mucchio di paglia nell’ombra. Vide che non c’era nessuno vicino e lui e Marco vi ci sedettero, qualche passo più in là rispetto agli altri, con la schiena contro la parete.

Alec fece subito un sospiro di sollievo: era così bello riposare le gambe doloranti, non essere più in movimento. Si sentiva la sicuro con la schiena addossata al muro, in un angolo, dove non potevano facilmente tendergli un’imboscata e da dove poteva vedere tutta la stanza. Vide centinaia di reclute che si muovevano di qua e di là, tutti impegnati in qualche sorta di discussione, e sempre più ne entravano. Vide anche che diversi venivano trascinati fuori per le caviglie, morti. Quel posto era una visione dell’inferno.

“Non preoccuparti, è anche peggio di così,” disse una voce accanto a lui.

Alec si voltò e vide una recluta distesa nell’ombra a pochi passi da lui; un ragazzo che non aveva notato prima. Era steso sulla schiena, le mani dietro alla testa, e guardava il soffitto. Masticava un filo di paglia e aveva una voce bassa e stanca.

“Probabilmente la fame ti ucciderà,” aggiunse con tono cupo. “Uccide più o meno la metà dei ragazzi che vengono qui. Le malattie uccidono il resto. Se non ti prende, lo farà un altro ragazzo. Probabilmente combatterete per un pezzo di pane, o magari per nessuno motivo. Magari non gli piacerà il modo in cui cammini o il tuo aspetto. Magari gli ricorderai qualcuno. O magari si tratterà solo di odio puro senza ragione. Ci sono un sacco di questi casi qui in giro.”

Sospirò.

“E se non ti capita niente di questo,” aggiunse, “sarai preso da quelle fiamme. Magari non durante il primo pattugliamento, né al secondo. Ma i troll fanno irruzione quando meno te l’aspetti, di solito infuocati, sempre in cerca di uccidere qualcuno. Non hanno niente da perdere e vengono fuori dal nulla. Ne ho visto uno la scorsa notte affondare i denti nella gola di un ragazzo prima che gli altri potessero fare qualcosa.”

Alec e Marco si scambiarono un’occhiata, entrambi chiedendosi che genere di vita li aspettasse.

“No,” aggiunse il ragazzo, “non ho visto nessun ragazzo sopravvivere a più di un ciclo lunare di servizio.”

Tu sei ancora qui,” osservò Marco.

Il ragazzo sorrise continuando a masticare il suo filo di paglia e a guardare il soffitto.

“Perché ho imparato come sopravvivere,” rispose.

“Da quanto sei qui?” chiese Alec.

“Due lune,” rispose. “Il periodo più lungo di tutti.”

Alec sussultò. Due lune, la sopravvivenza più lunga. Era veramente una fabbrica di morte. Iniziò a chiedersi se avesse fatto un errore a venire lì. Forse sarebbe stato meglio combattere contro i Pandesiani quando erano arrivati a Solis e morire velocemente: una morte pulita a casa propria. Si ritrovò a pensare alla fuga: dopotutto suo fratello era stato risparmiato: cosa aveva da guadagnare a restare lì adesso?

Si mise a scrutare le pareti, a controllare le finestre e le porte, a contare le guardie, a chiedersi se ci fosse un modo.

“È una buona cosa,” disse il ragazzo sempre guardando il soffitto, ma in qualche modo osservando anche lui. “Pensare alla fuga. Pensare a qualsiasi posto diverso da questo. È così che si sopravvive.”

Alec arrossì, imbarazzato per essere stato letto nel pensiero e stupito che il ragazzo potesse farlo senza neppure guardarlo.

“Ma non provarci sul serio,” disse. “Non posso dirti quanti di noi muoiono ogni notte provandoci. Meglio essere uccisi che morire a quel modo.”

“Morire in che modo?” chiese Marco. “Li torturano?”

Il ragazzo scosse la testa.

“Peggio,” rispose. “Li lasciano andare.”

Alec lo guardò confuso.

“Cosa intendi dire?” gli chiese.

“Hanno scelto bene questo posto,” spiegò. “Quei boschi sono pieni di morte. Cinghiali, bestie, troll: ogni cosa tu possa immaginare. Nessun ragazzo sopravvive mai.”

Il ragazzo sorrise e li guardò per la prima volta.

“Benvenuti, amici miei,” disse sorridendo, “a Le Fiamme.”

CAPITOLO VENTIDUE

Kyra camminava tra le intricate strade di Volis, con la neve che scricchiolava sotto i suoi stivali, ancora stordita dopo la sua prima battaglia. Era accaduto tutto così velocemente ed era stato più cruento e intenso di quanto avesse mai potuto immaginare. Erano morti degli uomini – buoni uomini – uomini che conosceva da una vita, in modo orribile e doloroso. Padri, fratelli e mariti ora giacevano morti nella neve, i corpi ammassati fuori dai cancelli del forte, il terreno troppo duro per seppellirli.

Chiuse gli occhi e cercò di cacciare le immagini.

Era stata una vittoria grandiosa, eppure ne era stata anche umiliata, aveva visto cosa significasse vera battaglia, quanto fragile potesse essere la vita. Le aveva mostrato quanto facilmente potessero morire gli uomini e quanto facilmente lei potesse prendere la vita di un essere umano, entrambe cose che trovava orribili.

Essere una grande guerriera era qualcosa che aveva sempre desiderato, ma ora vedeva che ciò costava un prezzo pesante. Lei mirava al valore, ma non c’era nulla di semplice, se ne stava rendendo conto, nel valore. Diversamente dai bottini di guerra, non era qualcosa che si poteva tenere in pugno, neppure qualcosa da appendere al muro. Eppure era quello che gli uomini volevano. Dove si trovava questa cosa chiamata valore? Ora che la battaglia era finita, dove era finito?

Più di tutto gli eventi del giorno avevano costretto Kyra a porsi domande su se stessa, sul suo misterioso potere che veniva dal nulla e sembrava scomparire con la medesima rapidità. Cercò di raccoglierlo ancora, ma non ne fu capace. Cos’era? Da dove veniva? A Kyra non piaceva ciò che non poteva capire né controllare. Avrebbe preferito essere meno potente e capire da dove venivano i suoi talenti.

Mentre Kyra camminava tra le strade era confusa dalla reazione del suo popolo. Dopo la battaglia si era aspettata che avrebbero avuto paura, che si sarebbero barricati in casa o si sarebbero preparati ad evacuare il forte. Del resto molti uomini del Lord erano morti e sicuramente avrebbero presto assaggiato l’ira di Pandesia. Un grandioso e terribile esercito sarebbe giunto per ucciderli: poteva essere il giorno successivo, o il giorno dopo ancora, o forse tra una settimana, ma sicuramente sarebbero venuti. Erano tutti dei morti viventi adesso. Come potevano non avere paura?

Ma mentre si mescolava alla sua gente, Kyra non percepiva alcuna paura. Al contrario vedeva gente giubilante, rinvigorita, ringiovanita; vedeva gente che si sentiva libera. Andavano in ogni direzione, si davano pacche sulle spalle, festeggiavano e si preparavano. Affilavano le armi, rinforzavano i cancelli, impilavano le rocce, immagazzinavano cibo e si davano da fare con grande motivazione. I Volisiani, seguendo l’esempio di suo padre, avevano una volontà di ferro. Erano un popolo che non si faceva scalzare facilmente e in effetti sembrava che non vedessero l’ora del proprio confronto, a qualsiasi costo e per quanto misere fossero le probabilità.

 

Kyra notò anche qualcos’altro mentre camminava tra le gente, qualcosa che la metteva a disagio: il nuovo modo in cui la guardavano. Si era chiaramente sparsa la voce di ciò che aveva fatto e poteva sentire i bisbigli alle sue spalle. La guardavano come se non fosse una di loro, anche se era gente che conosceva e amava da una vita. Questo la faceva sentire come un’estranea e si chiedeva quale fosse la sua vera casa. Soprattutto si poneva domande riguardo al segreto di suo padre.

Kyra camminò fino allo spesso muro dei bastioni e salì la scala di pietra, con Leo subito dietro, portandosi ai piani superiori. Passò vicino a tutti gli uomini di suo padre che stavano di guardia ogni sei o sette metri e vide che anche loro la guardavano in modo diverso ora, con un nuovo rispetto negli occhi. Quello sguardo la fece sentire come se ne fosse valsa la pena.

Kyra svoltò un angolo e in lontananza, davanti ai cancelli ad arco, intento a guardare la campagna, vide l’uomo che stava cercando: suo padre. Stava lì, con le mani sui fianchi, diversi dei suoi uomini attorno, a scrutare la neve che saliva. Sbatteva le palpebre al vento, imperturbato sia dalle folate che dalle ferite di guerra.

Si voltò vedendola avvicinare e fece cenno ai suoi uomini. Tutti si allontanarono, lasciandoli soli.

Leo gli si avvicinò e gli leccò la mano, ricevendo da lui una carezza sulla testa in cambio.

Kyra si fermò di fronte a suo padre da solo, senza sapere cosa dire. Lui la guardava impassibile e lei non capiva se fosse arrabbiato con lei, fiero di lei o entrambe le cose. Era un uomo complicato anche nei momenti più semplici, e questi certo non erano momenti semplici. Aveva il viso duro, come le montagne alle loro spalle, bianco come la neve che cadeva: assomigliava alla dura roccia di cui era stata costruita Volis. Non sapeva se lui appartenesse a quel posto o se quel posto appartenesse a lui.

Si voltò e guardò di nuovo verso la campagna e Kyra gli rimase accanto, scrutando anche lei il paesaggio. Condivisero il silenzio, intramezzato solo dal vento. Kyra aspettava che parlasse.

“Ho sempre pensato che la nostra salvezza, la nostra vita sicura qui, fosse più importante della libertà,” iniziò finalmente a dire con voce bassa e roca. “Oggi ho capito che sbagliavo. Mi hai insegnato ciò che ho dimenticato: che la libertà e l’onore valgono più di tutto.”

Sorrise e la guardò e lei fu sollevata di vedere il calore nei suoi occhi.

“Mi hai fatto un grande dono,” le disse. “Mi hai ricordato cosa significhi l’onore.”

Lei sorrise, commossa dalle sue parole, sollevata che non fosse arrabbiato con lei, sentendo che la lacerazione nel loro rapporto era stata ricucita.

“È dura veder morire degli uomini,” continuò, riflessivo, voltandosi di nuovo verso la campagna. “Anche per me.”

Seguì un lungo silenzio e Kyra si chiese se avrebbe parlato di ciò che era successo. Percepiva che lo desiderava. Avrebbe voluto iniziare lei, ma era insicura su come cominciare.

“Sono diversa, padre, vero?” chiese alla fine, sottovoce, timorosa nel porre la domanda.

Lui continuò a fissare l’orizzonte, imperscrutabile, fino a che finalmente annuì leggermente.

“Ha a che vedere con mia madre, vero?” insistette. “Chi era? Sono tua figlia?”

Lui si voltò a guardarla con la tristezza negli occhi, mescolata a un’espressione nostalgica che lei non comprese pienamente.

“Sono tutte domande per un altro momento,” disse. “Quando sarai pronta.”

“Io sono pronta adesso,” insistette Kyra.

Lui scosse la testa.

“Ci sono molte cose che devi prima imparare, Kyra. Molti segreti che ho dovuto nasconderti,” disse con voce carica di rimorso. “Mi ha ferito fare così, ma era per proteggerti. È vicino il momento in cui saprai tutto, che saprai chi sei veramente.”

Lei rimase lì, con il cuore che le martellava in petto, desiderando ardentemente sapere, ma spaventata allo stesso tempo.

“Pensavo di poterti crescere,” sospirò. “Mi avevano avvisto che questo momento sarebbe arrivato, ma io non ci credevo. Non fino ad oggi, non fino a quando ho visto le tue doti. I tuoi talenti… vanno oltre me stesso.”

Kyra aggrottò la fronte, confusa.

“Non capisco, padre,” disse. “Cosa stai dicendo?”

Il suo volto si indurì per la risoluzione.

“È tempo che ci lasci,” disse con voce piena di determinazione, assumendo il tono delle decisioni prese. “Devi lasciare Volis immediatamente e cercare tuo zio, il fratello di tua madre. Akis. Nella torre di Ur.”

“La torre di Ur?” ripeté scioccata. “Allora mio zio è un Sorvegliante?”

Suo padre scosse la testa.

“Molto di più. È quello che ti addestrerà ed è lui – solo lui – che può rivelarti il segreto sulla tua identità.”

Se venire a conoscenza del segreto la emozionava, Kyra era sopraffatta dall’idea di andarsene da Volis.

“Non voglio andare via,” disse. “Voglio stare qui, con te. Soprattutto adesso.”

Lui sospirò.

“Purtroppo ciò che tu e io vogliamo non conta più,” le disse. “Non si tratta più di te e me. Si tratta di Escalon, di tutta Escalon. Il destino delle nostre terre si trova nelle tue mani. Non vedi, Kyra?” disse voltandosi verso di lei. “Sei tu. Sei tu che condurrai questo popolo fuori dal buio.”

Lei sbatté le palpebre, scioccata, faticando a credere alle sue parole.

“Come?” gli chiese. “Com’è possibile?”

Ma lui rimase in silenzio, rifiutandosi di dire altro.

“Non posso lasciarti, padre,” lo implorò. “Non lo farò. Non adesso.”

Lui scrutò la campagna con occhi tristi.

“Nel giro di due settimane tutto ciò che vedi qui sarà distrutto. Non c’è speranza per noi. Puoi fuggire ora che puoi. Sei la nostra unica speranza: se morirai qui, con noi, non aiuterai nessuno.”

Kyra si sentiva ferita dalle sue parole. Non poteva costringersi ad andarsene mentre il suo popolo moriva.

“Torneranno, vero?” chiese.

Era più un’affermazione che una domanda.

“Sì, rispose lui. “Copriranno Volis come uno sciame di locuste. Tutto ciò che hai conosciuto e amato presto non ci sarà più.”

Kyra provò una fitta allo stomaco a quella risposta, ma sapeva che era la verità e gli fu riconoscente almeno per quello.

“E la capitale?” gli chiese. “E il vecchio re? Non potresti andare da Andros, rimettere insieme il vecchio esercito e mettere in piedi una difesa?”

Duncan scosse la testa.

“Il re si è arreso una volta,” disse in modo malinconico. “Il tempo di combattere è passato. Andros è governata dai politici ora, non dai soldati, e non ci si può fidare di nessuno.”

“Ma sicuramente insorgerebbero per Escalon, se non per Volis,” insistette.

“Volis è solo una fortezza,” disse, “una fortezza alla quale possono permettersi di voltare le spalle. La nostra vittoria di oggi, per quanto grandiosa, è stata troppo piccola perché loro rischino di allertare tutta Escalon.”

Fecero entrambi silenzio mentre scrutavano l’orizzonte e Kyra pensò alle sue parole.

“Hai paura?” gli chiese.

“Un buon capo deve sempre conoscere la paura,” rispose. “La paura affina i sensi e ti aiuta a prepararti. Non è della morte che ho paura, ma del non morire bene.”

Rimasero fermi a scrutare il cielo e Kyra si rese conto di quanto fossero vere le sue parole. Un lungo e piacevole silenzio calò su di loro.

Alla fine Duncan si voltò verso di lei.

“Dov’è il tuo drago adesso?” le chiese, poi improvvisamente si voltò e si allontanò, come a volte faceva.

Kyra rimase lì a scrutare l’orizzonte: stranamente si stava chiedendo la stessa cosa. Il cielo era vuoto, pieno di nuvole. Lei continuava a sperare, nella sua testa, di udire un ruggito, di vedere delle ali che sbucavano dalle nuvole.

Ma non c’era nulla. Nient’altro che vuoto e silenzio, e la domanda di suo padre che ancora riecheggiava: Dov’è il tuo drago adesso?