Vivere La Vita

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Vivere La Vita
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lionel c

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Indice dei contenuti

  Dove è cominciato il tutto

  I primi ricordi

  L'immenso mondo fuori casa

  Crescere senza volerlo

  L'inizio degli esami

  Gli anni più belli della vita

  Profondi cambiamenti

  Il grande viaggio

Dove è cominciato il tutto

La vita e la cosa più meravigliosa che ci sia mai capitata.

L'unica che non ha prezzo, perché impossibile quantificarla.

Un tesoro inestimabile.

Avendo ricevuto senza fare fatica oppure sacrifici, un tesoro così bello e delicato, cioè la vita, il minimo che possiamo fare è proteggerla, non disperderla, non sprecarla, non infangarla, non rovinarla.

Questo sarebbe il minimo, ma se la natura, sulla scala dell'evoluzione, avesse fatto il minimo, chissà se noi esseri umani saremo mai esistiti come specie.

Forse no.

Perciò, se la natura è stata cosi clemente nei nostri confronti facendoci nascere perché ha sempre dato il massimo di sé stessa, forse noi dovremo fare altrettanto nei confronti di noi stessi, per non sprecare il suo meraviglioso risultato raggiunto.

Dare sempre il massimo di sé stesso è impossibile per qualsiasi essere umano al mondo, ma essere attenti con le proprie vite, volersi bene, non sprecarsi, non abbandonarsi al nulla, non consegnarsi al miglior offerente per qualsiasi prezzo, non seguire ad occhi chiusi chi e cosa presenta bene, non andare subito sulla strada bella, tutta in discesa, non correre soltanto dietro alle comodità rifiutando tutto il resto, è un dovere fondamentale che abbiamo tutti noi, nei nostri confronti.

Dobbiamo essere giusti con noi stessi e grazie alla società dove abbiamo il privilegio di vivere, lo possiamo fare.

Fare molto bene.

Con uno sforzo, con un impegno neanche troppo grande, possiamo essere e possiamo avere tutto per le nostre vite.

Per fare tutto questo, ma soprattutto, per farlo nel modo giusto, bisogna mettere ogni cosa al suo posto, al posto che la spetta di diritto, in modo naturale.

Per poterlo fare e farlo bene, bisogna avere un’idea, un’immagine giusta e chiara di tutto ciò, così come ha sempre fatto e lo fa, la natura.

La natura che ha fatto tutto in modo perfetto, senza sbagliare mai nulla.

Così facendo e non fermandosi mai, ci ha lasciato in eredità, in modo naturale oltre i meravigliosi risultati che siamo e che abbiamo intorno a noi, anche "la mappa" del percorso che ha fatto nel suo grande viaggio di lavoro.

Ci ha lasciato la scala dell’evoluzione.

Nel grande viaggio che è la vita per ognuno di noi, sulla mappa da seguire, cioè la scala della propria evoluzione, sopra il primo gradino troviamo il verbo essere.

La scala continua e senza che noi ce ne accorgiamo, non fermandosi mai nella sua salita, oltre il verbo essere, compare dopo un po' di gradini, anche il verbo avere.

La salita sulla scala della propria evoluzione continua senza soste, ma da quel punto in poi, i due verbi fondamentali ed al centro di tutto nella vita "l’Essere" e "l’Avere", rimangono sempre a "braccetto", in un equilibrio perfetto.

Questi sono gli appunti presi dalla natura, mentre faceva con il suo massimo impegno il grande lavoro della nostra costruzione.

La costruzione dell’essere umano.

A lavoro finito, ci ha consegnato il risultato grandioso ed unico che ha raggiunto.

Noi!

Ci ha consegnato anche il percorso che ha fatto per arrivarci ad un risultato così importante, così complesso, così bello, cosi meravigliosamente perfetto.

Ci ha consegnato i suoi appunti, la mappa del suo viaggio, la scala della propria evoluzione ad ognuno di noi.

Tutto, in modo molto chiaro, semplice, ordinato e preciso, come soltanto la natura lo sa fare.

Una specie di libretto delle istruzioni.

Le istruzioni per "il buon uso dell’essere umano".

Su questa scala, in questo libretto delle istruzioni, prima di tutto siamo, e soltanto dopo che siamo, possiamo avere.

Posso avere, se sono.

Se il tutto capita al contrario, la buona funzione del 'essere umano è compromessa.

La vita stessa dell'essere umano è compromessa.

Oggi viviamo delle cose molto buffe che in alcune situazioni vanno a sfiorare il paradosso, tante volte finiscono nel dolore, e purtroppo, troppe volte nel dolore assoluto.

Presi dalla frenesia, dal andare sempre di corsa, dal vivere ormai sommersi in un mare di rumori di ogni tipo e dal non stare quasi mai in silenzio nei nostri confronti, in silenzio con noi stessi, purtroppo, riflettiamo sempre meno sul nostro essere, su di noi.

Non parliamo più con noi stessi.

Forse conosciamo sempre meno noi stessi.

Ci capita nel arco della vita di leggere tantissimi libretti delle istruzioni per le nostre proprietà materiali. Dal telefono cellulare, al' automobile, con in mezzo qualsiasi altra cosa tra elettro domestici e altri beni.

Ed è giusto che sia così.

Impegniamo tempo delle nostre vite per produrre tutte queste cose materiali, perciò è giusto che le rispettiamo, le curiamo, le trattiamo bene e facciamo in modo di ottenere per noi, sempre il massimo dal loro buon funzionamento.

Per vivere ed avere tutto ciò, rispettiamo le loro regole di funzionamento a noi dettate e spiegate da chi le ha prodotte, da chi le ha costruite e sa tutto sul loro conto.

Leggiamo il loro libretto delle istruzioni.

La cosa incomprensibile, il paradosso è che non trattiamo mai nello stesso modo e con la stessa cura noi stessi, non leggendo quasi mai il nostro "libretto delle istruzioni".

Quello per il nostro buon funzionamento che la natura ci ha consegnato e potrebbe generare il nostro vero stare bene ad ognuno il proprio benessere.

Sembra quasi che non ci interessa più, conoscere le regole del nostro buon funzionamento ed ancora meno metterle in pratica nel modo giusto, per poter ottenere sempre il massimo da noi stessi.

Per vivere bene.

Forse si arriva al dolore, quando senza aver letto il libretto delle istruzioni, senza conoscere e poter' mettere in pratica le regole giuste del nostro buon funzionamento, pretendiamo di funzionare bene lo stesso.

Si arriva al dolore assoluto, quando dopo qualche sconfitta nella vita, sconfitta che ci ferma dalla nostra corsa frenetica, ancora a terra dopo essere caduti, mettendoci a riflettere su come mai è stato possibile che fosse capitata proprio a noi quella cosa, in quei momenti, se abbiamo il coraggio di riflettere fino in fondo, la maturità e la lucidità di farlo e farlo nel modo giusto, con sangue freddo, forse ci rendiamo conto che vogliamo più bene alle nostre proprietà materiali, che a noi stessi.

Ci rendiamo conto che forse sappiamo molto di più sul conto dei nostri beni materiali, conoscendo forse ogni pezzo che li compone, la sua funzione e funzionalità finale ed ogni bisogno che hanno per farli rendere al massimo.

Purtroppo, la stessa cosa, forse non la possiamo dire sul nostro conto.

Su noi stessi.

Perché?

in momenti così, senza chiedersi niente altro, ma soltanto guardando i risultati di quello che abbiamo vissuto, viene fuori che forse in quasi tutte le situazioni il risultato è quello che è, forse perché nella nostra vita abbiamo dato la precedenza a quello che abbiamo e non a quello che siamo.

Al verbo avere.

Poi e soltanto poi...al verbo essere.

Esattamente il contrario di come la natura nel suo modo perfetto di lavorare, ci ha insegnato e continua ad insegnarci in ogni momento.

….....

Tutto è cominciato in un posto molto lontano.

Forse neanche troppo lontano in questione di spazi, di distanze, ma lontanissimo per i modi di vivere.

Il modello di vita di quel posto ed il modello di vita di questo posto, camminavano in due direzioni diverse. Due direzioni così diverse tra loro, che sarebbe stato impossibile incontrarsi e per chi non è mai entrato in contatto diretto con una realtà di quel tipo, è molto difficile riuscire ad immaginarla. Non perché la persona che provasse ad immaginare, non avesse le capacità giuste per farlo e farlo bene, ma perché i due modelli di vita, erano completamente diversi tra di loro.

Forse diametralmente opposti.

Quel modello di vita, si trovava al di là della "Cortina di Ferro" ed il posto dove è cominciato tutto, nei tempi della grande crisi economica del ventinove, era chiamato:

"La Valle del Pianto".

Una vallata abbastanza stretta nei Carpazi Meridionali.

 

Il posto dove per centinaia di anni e passato il confine tra la Transilvania e di conseguenza L'impero Austro Ungarico al nord e la Valahia, un principato rumeno, al sud.

Nella città dove sulle sue alture, lo scrittore francese Jules Verne aveva collocato ed ambientato il suo romanzo di avventura: "Castello di Carpazi".

Al interno della vallata non molto lunga, ce una catena di sette città di piccola media grandezza, quasi attaccate tra di loro ed alcuni piccoli paesini. Il motivo per quale erano sorte quelle città era anche "il motore" che faceva girare tutta la vita nella vallata.

Il carbone.

Già scoperto, estratto ed usato nel periodo del Impero Austro Ungarico.

Una bella vallata, circondata, o meglio incastonata al interno delle montagne.

Subito a prima vista, in quelle condizioni, potrebbe sembrare una cosa che toglie il fiato, opprime e che potrebbe addirittura togliere la vitalità e la voglia di vivere, soprattutto a chi è abituato ai grandi spazi.

In realtà, non è così.

Anche se aprendo le finestre di qualsiasi casa, la prima impressione è che le montagne sono così vicine da poterle quasi toccare, non opprimono, non schiacciano la gente dentro casa.

Anzi.

Sono montagne alte intorno ai duemila metri e sono quasi interamente coperte da una vegetazione molto ricca.

Aprendo le finestre, la prima impressione percepita è che un gigante tutto verde, vuole condividere la stessa casa con gli esseri umani. Poi, dandosi un po' di tempo per conoscersi e capirsi a vicenda, si scopre nei vari periodi dell'anno che ognuno rispetta l’altro, restando al proprio posto.

Vivendo insieme in grande sintonia.

Montagna e uomo.

Uomo e montagna.

Nelle giornate di autunno, ogni mattina si scopriva di avere d'avanti alle finestre un quadro diverso di natura viva, con tutti i colori possibili ed immaginabili, che forse il miglior pittore, non sarebbe mai riuscito a trovare e stendere così bene su una sua tela. Oltre il grande spettacolo di arte pura, c'era la possibilità, o forse il privilegio di vedere, vivere, essere partecipi ogni giorno alla vita della natura che dalla tinta unita di verde intenso, passava attraverso questa combinazione unica e molto ricca di colori, per arrivare al grigio povero delle piante spoglie, prima che la neve rivestisse il tutto, del suo manto bianco e compatto.

Quando questo accadeva sembrava che all'improvviso, niente e nessuno si muoveva più, ma che tutto il mondo si era fermato per non disturbare. Per dare la possibilità nel silenzio assoluto ai fiocchi di neve, all'inizio piccoli e poi sempre più grossi e fitti, di scendere lentissimi e leggeri fino a terra.

Per rivestire il tutto con tanta pazienza e delicatezza.

Il vestito, era quasi sempre molto spesso.

Cosi luccicante, morbido e delicato, che sembrava un vestito di velluto bianco della migliore qualità, creato dal migliore maestro sarto che rivestiva il tutto come se fosse una bella principessa siberiana venuta fuori da chissà quale favola.

Non si faceva in tempo a stupirsi di tanta bellezza, perché quasi sempre nel mattino successivo alla nevicata, andando subito alla finestra per guardare fuori lo splendido spettacolo, l'occhio restava impigliato in un'opera ancora più meravigliosa.

Sulla parte esterna dei doppi vetri delle finestre, il gelo aveva confezionato dei fiori di ghiaccio che la miglior artista dell'uncinetto, avrebbe fatto fatica ad immaginare.

Nel giorno in qui la raffinata bellezza dei fiori di ghiaccio cominciava a lasciare spazio a qualche goccia di acqua, si sapeva che da lì a poco, i primi pezzi di verde si facevano posto nel bianco assoluto.

Sulle finestre, le gocce di acqua diventavano sempre più numerose e quando scomparivano del tutto, guardando fuori, si vedeva che il colore predominante era il verde, con forse ancora qualche piccola macchia di bianco. Un verde umido e pesante, che però in poco tempo, diventava sempre molto intenso, fresco e leggero.

Insieme a lui arrivavano anche le vocine vivaci dei primi uccellini.

Quando i canti diventavano più forti, numerosi e diversi tra di loro, era il segnale di stare pronti ed attenti in vista di quello che sarebbe accaduto.

Un’esplosione di vita che avrebbe oscurato il verde fresco, con un numero illimitato di colori forti e vivi, donati dai fiori di ogni tipo.

Dal profondo dei prati, alle punte degli alberi.

Era la grande festa per il risveglio della vita.

Il lungo letargo era finito e si continuava a festeggiare senza sosta, finché il tutto diventava di un verde compatto, forte ed intenso. Così bello e vivo, che ogni mattina mentre si spalancavano le finestre per gustare la buona aria che inondava tutta la casa, veniva quasi sempre la voglia di invitare il gigante di granito finemente rivestito di seta verde, ad entrare, per far' parte integrante in ogni momento della propria vita.

Nella propria famiglia.

Era uno spettacolo unico, ed ogni giorno che si viveva da quando al mattino il sole grosso e luminoso iniziava a fare la sua comparsa sopra una montagna, e fino alla sera quando in silenzio e quasi di fretta scompariva dietro ad un'altra montagna, ci si rendeva conto del grande privilegio di poter assistere, vivere in prima fila ogni volta, in qualsiasi momento, lo spettacolo di tutte quelle splendori.

Uniche ed irripetibili.

Qualche volta, quando molto piccolo, iniziavo a farmi le prime domande, mi chiedevo perché tutti noi li, eravamo cosi fortunati.

Poter vivere tutte quelle meraviglie.

Avere tutte quelle ricchezze.

Crescendo ed avendo le prime risposte dalla vita, il perché mi e sembrato di capirlo.

Guardandosi attorno, osservando il tutto e vedendo la vita di tutti i giorni, così come si svolgeva, si arrivava quasi alla conclusione che la natura donava gratuitamente tutto ciò, per ammorbidire, per alleviare un po' la vita molto dura delle persone che popolavano quella vallata.

Quelle persone che se guardate, a prima vista e magari con un po' di superficialità, dicevano forse poco e niente.

Le stesse persone, osservate con un po' di attenzione ed in profondità, erano l'esempio migliore di come la natura, senza chiedere nulla all'essere umano, ma seguendo soltanto sé stessa e le sue regole perfette, andava, va avanti indisturbata nella creazione della sua opera.

La vita creata dal essere umano in base alle sue convinzioni ed alle sue regole, aveva avuto come risultato l'indurimento di quelle persone.

I maschi, gli uomini, quasi tutti lavoravano nella miniera.

Erano minatori.

Come lavoro, se non il più duro è di sicuro uno dei più duri che esistono.

Purtroppo per loro, il tutto diventava ancora più duro perché quelle miniere, erano le più pesanti e pericolose in quella parte del mondo. Ogni giorno quando andavano a lavorare, scendevano a circa settecento metri all'interno della terra, per poter portare a casa il pane per i loro cari.

Al lavoro finito, qualsiasi essere umano ha, avrebbe avuto bisogno di sfogare in qualche modo le tensioni accumulate, sciogliere un po' il tutto, ma non quei uomini.

Quei uomini no.

Non perché non avessero avuto bisogno, oppure non avessero voluto, ma perché la dittatura non lasciava loro questa possibilità.

Non avevano questo diritto.

Non potevano parlare mai apertamente delle loro fatiche.

Delle condizioni disumane in qui lavoravano.

Delle cose da migliorare.

Agire in qualche modo, ancora meno.

Non potevano fare nulla.

Anche se erano tutti come dei giganti.

Dei giganti buoni.

Uomini con dei fisici statuari, scolpiti dalla fatica e dal lavoro duro a tal punto ed in tal modo, che ognuno di loro era degno di fare il modello al più grande maestro per la sua opera migliore, scolpita nel marmo della più alta qualità.

Non era facile per gli uomini vivere questa condizione di vita e forse, lo era ancora meno per le donne che per la loro natura sono creature diverse.

Dolci e delicate.

Erano quasi tutte casalinghe.

La loro vita si svolgeva dentro casa per tutte le faccende domestiche. Poi, mercato, negozi e tutte le altre cose fuori casa.

Il progresso tecnico a disposizione, dal lavoro manovale effettivo e dalle fatiche domestiche, non toglieva tanto ed era per loro un gran daffare ogni giorno.

Come i loro mariti, anche le donne erano di costituzione fisica molto bella ed al primo sguardo, offrivano un piacevole vedere.

Guardando però con più attenzione, si vedeva che su delle creature dolci e delicate come le donne, quella vita aspra e dura, resa cosi dall’essere umano, lasciava molto di più il segno.

Colpiva in modo molto particolare e forte, vederle che anche se vivevano in quelle condizioni, quasi estreme, non avevano perso la loro natura di donne. Ancora di più colpiva il modo docile con qui compivano il proprio dovere e con qui riuscivano a trasmettere ai propri figli e figlie tutto.

La loro docilità.

La loro dolcezza.

I loro insegnamenti.

Erano donne e uomini di fatica.

Quasi di nient'altro.

La loro semplicità, naturalezza, genuinità, onesta, sensibilità, senso di solidarietà nei confronti del prossimo e soprattutto, il senso del dovere, faceva rimanere sempre fortemente stupiti a come quelle condizioni estreme create dall'essere umano, abbiano intaccato soltanto la parte esterna.

La carcassa.

La materia.

La natura nel suo cammino tranquillo ed indisturbato, seguendo soltanto le sue regole, ha protetto la parte interna di tutte quelle persone.

Uomini e donne.

Donne e uomini.

Il loro essere nel suo profondo, rendendolo tutti i momenti sempre più delicato, più sensibile e più forte.

L'apice di questa grande opera d'arte realizzata da "Madre Natura" nel suo più profondo, si vedeva quando verso sera, nei giorni luminosi e caldi di estate, nel loro tempo libero, uomini e donne sedevano insieme sulle panchine d'avanti agli ingressi di tutti i condomini e parlavano tra di loro.

Parlavano tanto, di nulla.

Ci si rendeva conto che è cosi, e che forse il motivo della loro presenza lì era un altro, perché si vedeva come ognuno di loro, chi di più e chi ancora di più, seguivano con molta attenzione, tutto l'insieme dello scenario che li circondava.

Soprattutto il sole.

Il sole nel suo cammino, mentre scendeva per nascondersi dietro alla montagna.

Il grande spettacolo che offriva.

Ci si aveva la certezza di tutto ciò, quando, appena scomparso il sole, il primo uomo, oppure la prima donna che si alzava per salire in casa, in pratica, senza dire nulla, dava il via a tutti quanti nel fare la stessa cosa.

In pochi attimi le panche erano totalmente vuote.

Scendeva il silenzio.

Lo stupendo spettacolo della natura era finito ed è stato un grande privilegio aver potuto partecipare.

Vederlo in prima fila.

I primi ricordi

Non saprei quando cominciano i primi ricordi del’ essere umano.

Non lo so quali sono i primi momenti di vita che ogni persona riesce a conservare e ricordare per sempre.

Forse tutto ciò è una cosa molto personale ed in questo senso, posso dire che i miei ricordi, cominciano molto, molto presto ed è ovvio che tutto succede all'interno della casa dove viveva la mia famiglia: padre, madre e due figli.

Ero il più piccolo tra i quattro.

Una casa non grande, ma neanche piccola.

Giusta per le necessità della nostra famiglia.

C'era un ingresso, la cucina, il ripostiglio, due camere ed un piccolo disimpegno prima dell'ingresso in bagno.

Le due camere, avevano la pavimentazione in legno e questo creava un senso di calore e di intimità.

Di accoglienza famigliare.

Appena ci si alzavano gli occhi dal caldo pavimento, era impossibile non notare la grandezza delle finestre, e soprattutto la tanta luce che riusciva ad entrare attraverso i loro vetri.

Erano tutte orientate verso l'est, e di fronte c'era il massiccio montuoso più imponente tra tutti quelli che si trovavano sui quattro lati della vallata.

 

Grande, forte, compatto e di un verde molto intenso per lungo periodo dell'anno.

In ogni momento, guardare fuori dalle finestre era una cosa bellissima, ma al mattino, quando il sole si innalzava da dietro la montagna, lo era ancora di più. Il sole, insieme alla montagna erano così vicine, che sembrava di poter toccare il tutto con la mano.

Il calore e soprattutto la luce che entrava in casa, dava una vitalità ed una forza che ogni mattina faceva venire la voglia di gridare:

< Vita dove sei? >

< Perché ho voglia di viverti in pieno quest'oggi! >

Allo stesso modo, quando di sera da dietro la stessa montagna compariva la luna, metteva una pace ed una serenità che aiutava moltissimo a capire se in quel giorno di vita si e riusciti a fare qualcosa di buono.

Non aver fatto passare inutilmente la giornata.

Poi si andava a dormire in tranquillità, serenità e pace, ringraziando per tutti i risultati avuti.

Il primo ricordo, come forse quello di ogni bambino, è un po’ birichino ed ogni volta che ci ripenso, sorrido partendo dal mio più profondo e finendo con i muscoli facciali.

Sempre.

Ricordo seduti: me e mia madre, attorno il tavolo nella cucina.

Dopo aver mangiato, quasi sempre da me, ma anche imboccato ogni tanto da mia mamma, mi portava al letto per farmi fare il pisolino pomeridiano.

Se avessi potuto, avrei prolungato all'infinito ogni volta quei momenti attorno al tavolo, perché andare a dormire di pomeriggio, per me era la cosa più spiacevole che mi poteva capitare in quel momento di vita.

Questo è il mio primo pensiero di vita vissuta.

Il primo che ricordo.

Purtroppo per me, andava a finire sempre allo stesso modo, cioè, io sdraiato sul letto che dovevo dormire.

Non piangevo e non ricordo di aver mai protestato, ma al mio modo agivo.

Una volta al letto, dopo un po' di momenti in qui stavo tranquillo, con gli occhi chiusi e senza la minima intenzione di dormire, quando credevo che il tempo era giusto, scendevo dal letto.

Ricordo che quasi sempre, andavo in silenzio dietro alla porta, per provare a capire dov'era mia madre.

Qualche volta la vedevo da dietro, lavando per terra nell’ingresso, o facendo altro. Qualche altra volta mi toccava uscire dalla camera, prima di riuscire a vederla.

In tutti i casi, mi ricordo la stessa fine.

Io, che sfregandomi gli occhi come uno che ha dormito per ore, le dicevo che ho già dormito, mentre lei, senza dirmi niente, prendendomi per mano, mi faceva fare dietro front e mi riaccompagnava al letto.

Al letto per la seconda volta, scattavano sempre le sue misure di sorveglianza.

Non saprei dire se era perché mi dovevo arrendere per forza, oppure ad altro, ma ritornato al letto, ricordo le mie prime domande, dubbi, perplessità.

La mia domanda più grossa che e rimasta lì fresca e presente nella mia mente per tanto tempo era:

< Ma se non era con me nella cameretta, come fa a sapere se sono stato nel letto, il tempo giusto o di meno? >.

Arrivavano poi di corsa le altre domande, sorelle della prima:

< Come può se ho dormito oppure no? >

< Come può sapere se devo ancora dormire? >

Queste sono le mie prime domande di vita vissuta.

Le prime che ricordo.

Tutto capitava quando ero appena un po' più alto di uno sgabello di quelli attorno alla tavola della cucina, e tutto in casa era molto grande.

Cosi come grande mi sembrava mio padre.

Molto grande e molto forte, quasi un gigante.

Un gigante buono.

Quando mi prendeva tra le sue braccia, oppure veniva a giocare con me.

Mi piaceva moltissimo, ma ogni tanto, mi chiudevo un po', perché le sue mani forti e ruvide, mi facevano male sulla pelle.

Questo non diminuiva il mio desiderio di stare con lui.

Anzi, il desiderio era sempre più forte ogni volta, perché mi sentivo sicuro, protetto, ma soprattutto, con la certezza di avere un aiuto forte vicino a me.

Sempre pronto.

Un aiuto sempre pronto, come quando non riuscivo a salire sullo sgabello per sedermi a tavola in cucina, e per me sembrava lo sforzo più grande del mondo, ma la sua mano sul mio sederino, quando meno me lo aspettavo, mi dava una spinta così dolcemente forte che mi sembrava di volare.

Volevo stare sempre con lui.

In qualsiasi momento.

Come quando si faceva la barba e li restavo vicino nel bagno.

In piedi, sul coperchio del wc e dalla prima pennellata di schiuma che si metteva sulla faccia, e fino all'ultimo passaggio della macchinetta in qui metteva la lametta, non mi muovevo e non toglievo mai lo sguardo dal suo viso.

Osservavo con la più grande attenzione ed in silenzio assoluto, ogni movimento della sua mano.

Quasi non respiravo.

Sarei rimasto sempre con mio padre.

Non capivo perché non era possibile, non capivo perché ogni giorno ci lasciava ed andava via. Capivo ancora meno quando questo succedeva di sera e appena lui usciva di casa, noi tre, mia mamma, mio fratello ed io, andavamo a dormire.

Da soli.

Non comprendevo perché non restava a dormire con noi ed ancora meno, comprendevo quello che succedeva ogni volta, prima che lui andava via.

Eravamo tutti lì, nel’ ingresso, d'avanti alla porta di casa mentre si preparava, e prima di uscire, baciava me, poi mio fratello ed alla fine, mia mamma. Era una cosa tutta strana che non capivo.

Come un rito.

Ogni volta mi dava quattro baci.

In fronte, sulla bocca, su una guancia e poi sull'altra guancia.

In quei momenti, mi sembrava che fosse meno gigante del solito e non sapevo, non capivo il perché.

Ho capito poi, crescendo, che ogni volta usciva per andare a lavorare ed ogni volta ci baciava a tutti con il segno della croce.

Come se fosse per l'ultima volta che ci vedeva.

Infatti capitava molto spesso, troppo spesso che mariti e padri uscivano di casa per andare a lavorare e non tornavano mai più.

Era il prezzo che la miniera si faceva pagare.

Mi sono sempre sentito fortunato, privilegiato, perché il mio papà e sempre ritornato a casa, fino al giorno in qui non e più andato via.

Era arrivato il giorno della pensione.

Soltanto da quel giorno in poi, ho vissuto finalmente in totale tranquillità.

Quella tranquillità che ho sempre respirato in casa, come quando con le mie macchinine giocavo sui tappeti che coprivano il pavimento e passando indisturbato da una camera all'altra, facevo dei grandissimi viaggi conosciuti soltanto a me. Ricordo più di una volta le persone grandi della mia famiglia oppure ospiti, che per spostarsi all'interno della casa passavano con tanta attenzione sopra me, che in quel momento, mi trovavo sul loro cammino.

Nessuno mi ha mai disturbato.

Nessuno mi ha mai detto che stavo disturbando.

A viaggio finito, portavo sempre tutte le macchinine nel loro garage, al proprio posto.

Non erano tante.

Semplici, ma belle.

Il giusto di qui avevo bisogno per stare bene, e che non mi è mai mancato.

Il necessario non è mai mancato, e la convivenza nella famiglia andava avanti in modo molto naturale. Non si parlava tantissimo e sempre, ma quando si faceva, era in modo semplice ed essenziale.

Molto naturale.

Ci si capiva molto bene ed i risultati erano subito visibili.

Invece, erano molto più presenti e forse anche più importanti i gesti, gli esempi.

Da molto piccoli e semplici, ai più grandi che toccavano dal più profondo del proprio essere fino alla parte esterna. Ogni volta, subito dopo aver vissuto qualcuno di questi gesti, di questi esempi, mi sentivo più grande, più ricco ed anche più responsabile nei confronti dei miei famigliari.

Quasi tutto si faceva con i fatti, con tanti fatti.

Ogni volta, il risultato si vedeva subito, ed ognuno riusciva a trovare sempre il proprio posto, fare le sue cose e soprattutto rispettare gli altri in tutto e per tutto. Dai propri spazi nella vita vissuta in casa, alle cose materiali, facendo nascere e crescere sempre di più una convivenza molto equilibrata e pacifica.

Quei gesti mi hanno aiutato molto a non sentirmi fuori luogo, estraneo ed impacciato, nel giorno in qui ricordo la mia prima uscita, quando tenendo la mano di mia mamma, sono sceso di casa.

Uscendo dal portoncino d'ingresso del condominio ed appena varcata la soglia, ricordo che fuori c'era tantissima luce e che sul viso mi ha colpito dolcemente forte, un piacevole calore. Nelle orecchie ho sentito un boato molto forte, ma bello.

Erano le grida dei tantissimi bambini che giocavano.

In casa mi sembrava tutto molto grande, ma lì fuori era tutto gigantesco.

Sui due lati del marciapiede, subito prima dell'ingresso c'erano, una di fronte all'altra, due panchine di legno. Abbastanza lunghe, molto ampie e comode, verniciate di un bel colore verde.

Erano quasi piene tutte due di persone.

Più donne che uomini, e subito ero rimasto impressionato che tutti si avvicinavano a me. Volevano toccarmi, e quasi ognuno di loro mi stava chiedendo qualcosa. Non ho capito quasi nulla, ma mi chiedevo come facevano a conoscermi tutti.