Buch lesen: «Un’esca per Zero»
UN'ESCA PER ZERO
(UNO SPY THRILLER DELLA SERIE AGENTE ZERO – LIBRO 8)
JACK MARS
Jack Mars
Jack Mars è l’autore bestseller di USA Today della serie di thriller LUKE STONE, che include sette libri. È anche autore della nuova serie prequel LE ORIGINI DI LUKE STONE, che al momento comprende tre libri, e della serie thriller AGENTE ZERO, che al momento include sette libri.
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I LIBRI DI JACK MARS
SERIE THRILLER DI LUKE STONE
A OGNI COSTO (Libro 1)
IL GIURAMENTO (Libro 2)
SALA OPERATIVA (Libro 3)
CONTRO OGNI NEMICO (Libro 4)
OPERAZIONE PRESIDENTE (Libro 5)
IL NOSTRO SACRO ONORE (Libro 6)
REGNO DIVISO (Libro 7)
SERIE PREQUEL CREAZIONE DI LUKE STONE
OBIETTIVO PRIMARIO (Libro 1)
COMANDO PRIMARIO (Libro 2)
MINACCIA PRIMARIA (Libro 3)
SERIE DI SPIONAGGIO DI AGENTE ZERO
AGENTE ZERO (Libro 1)
OBIETTIVO ZERO (Libro 2)
LA CACCIA DI ZERO (Libro 3)
UNA TRAPPOLA PER ZERO (Libro 4)
DOSSIER ZERO (Libro 5)
IL RITORNO DI ZERO (Libro 6)
ASSASSINO ZERO (Libro 7)
UN'ESCA PER ZERO (Libro 8)
UN RACCONTO DELLA SERIE AGENTE ZERO
Agente Zero – Riepilogo libro 7
Dopo essere stato costretto a tornare in servizio presso l'agenzia, l'agente della CIA Kent Steele viene incaricato di inseguire una misteriosa arma ad ultrasuoni nelle mani di un gruppo di terroristi di cui non si conoscono i piani. Il gruppo possiede una macchina tanto silenziosa quanto mortale, quasi impossibile da individuare. Tuttavia Zero è afflitto da nuovi ricordi che gli riportano alla mente vecchi segreti. Benché tormentato dal suo oscuro passato, la priorità dell'Agente Zero è quella di mettere in sicurezza milioni di persone, anche se potrebbe essere troppo tardi per salvare sé stesso.
L’Agente Zero: durante l'inseguimento del gruppo di ribelli responsabile degli attacchi ad ultrasuoni negli Stati Uniti, i ricordi di un passato oscuro riemergono nella mente dell'Agente Zero facendo riaffiorare il ricordo di omicidi compiuti all'inizio della sua carriera presso la CIA. Non potendo dire con certezza se avesse compiuto davvero questi omicidi, Zero chiede aiuto al neurologo svizzero, il Dottor Guyer, che gli presenta una triste diagnosi: il cervello di Zero mostra un evidente deterioramento, e nonostante non sia chiaro con che velocità possa procedere, la convinzione del medico è che prima o poi questo decadimento cerebrale lo porterà alla morte. Zero tiene segreta la notizia e decide di continuare a vivere la sua vita appieno, con le sue figlie e nel rapporto riacceso con Maria.
Maria Johansson: dopo aver sfidato gli ordini sia della CIA che del Presidente, Maria si è dimessa dalla carica di vicedirettore ed è tornata a svolgere l’attività di agente speciale. Zero l'ha messa al corrente dei suoi recenti problemi di memoria così come del suo passato di possibile assassino.
Maya Lawson: dopo un tentativo di aggressione da parte di tre ragazzi in uno spogliatoio di West Point, Maya lascia l'accademia militare, non prima di apprendere che sua sorella minore Sara è scomparsa dall'istituto di riabilitazione nel quale era stata accolta. Maya la salva, nelle vicinanze di una spiaggia, pochi attimi prima del tentativo di un rapimento, e la riporta a casa. Maya combatte per entrare a patti con il buio interiore che si è impadronito di lei e si chiede se il percorso che si è scelta sia davvero il migliore per lei.
Sara Lawson: ancora alle prese con la tossicodipendenza, Sara viene portata in un istituto di riabilitazione a Virginia Beach. Una notte la ragazza riesce a fuggire mandando all'aria ogni cautela e ormai in preda alla propria dipendenza. Dopo uno straziante incidente che la stava portando vicina a un rapimento, Sara viene salvata da Maya e Alan Reidigger e riportata a casa.
Mischa: l'unica sopravvissuta del gruppo di ribelli responsabile degli attacchi ad ultrasuoni, Mischa, è una ragazza russa di dodici anni che è stata indottrinata fin da piccola e addestrata per diventare una spia e un'assassina. Zero e Maria la fanno arrestare e la consegnano alla CIA.
Il Presidente Jonathan Rutledge: l'ex Presidente della camera è entrato nello Studio Ovale come Presidente degli Stati Uniti dopo l'impeachment dei suoi predecessori. Sul punto di dimettersi, viene convinto dalla perseveranza di Zero a non abbandonare la carica e a offrire tutto l'aiuto possibile.
PROLOGO
Quella nave era una vera e propria opera d'arte.
Era lunga sedici metri da prua a poppa e poteva accogliere con agio quattordici persone, ciò nonostante bastavano solamente tre persone per guidarla. Era dotata di un doppio motore a calibrazione complessiva di potenza pari a millequattrocento cavalli ed era in grado di viaggiare a una velocità massima di duecentoquaranta chilometri orari. La tecnologia con cui era stata progettata la rendeva praticamente invisibile a radar, sonar, infrarossi e a quasi tutte le forme di rilevamento elettromagnetico. Il suo scafo era completamente avvolto da un rivestimento riflettente in modo tale che, se la si guardava da vicino, era in grado di riprodurre i movimenti dell'acqua circostante. Ma da una distanza di circa trecento metri o più, appariva poco più che una macchia sfocata e poteva essere scambiata facilmente per un effetto del calore, un riflesso dell'oceano o un'illusione ottica.
Per questo motivo era stata soprannominata Banjjag-Im o Glimmer, che non è altro che la traduzione in inglese del suo nome coreano, dato che l’inglese era la lingua nella quale il variegato equipaggio comunicava a bordo.
Nonostante la tecnologia avanzata che poteva vantare, la Glimmer era comunque una semplice nave, non solo in senso marittimo, ma anche per il fatto che non era altro che un contenitore che celava e consentiva il trasporto di un tesoro ben più grande. Ciò che la Glimmer nascondeva al suo interno, tra le nervature curve dello scafo, sotto un portello automatizzato di alluminio e montata su un ascensore idraulico, quello era il vero capolavoro, la grande opera creata dalle stesse persone che la custodivano segretamente.
Park Eun-ho si considerava incredibilmente fortunato ad essere uno tra queste. All'età di ventinove anni, era il più giovane dell'equipaggio, ma il suo lavoro teorico sulla balistica del plasma era stato indispensabile per lo sviluppo del progetto e, da quel giorno, quella teoria sarebbe stata messa in pratica. Il pensiero lo faceva tremare dallo stupore, sebbene facesse del suo meglio per nasconderlo e mantenere la fredda solennità dei suoi colleghi. Doveva ammettere tra sé e sé che il suo interesse per il campo era stato inizialmente stimolato dai videogiochi. Aveva sostenuto per anni l'influenza della fantascienza sui più importanti traguardi della tecnologia moderna: i telefoni cellulari, i touch screen, la realtà virtuale, l'intelligenza artificiale, persino le bevande energetiche, prima di diventare realtà, erano oggetti che facevano parte di sogni apparentemente irrealizzabili.
Era stato raccomandato dal suo mentore, il dottor Lee dell'Università di Seoul, e per i primi mesi Eun-ho non aveva quasi idea di cosa di quale fosse l’obbiettivo del suo lavoro: gli era stato dato semplicemente il valore del carico e poteva immaginare, per la natura stessa della sua ricerca, che si trattasse di un'arma. Alla fine il suo progetto dovette essere messo in atto e furono convocati i vari ingegneri che compongono i vertici top-secret.
In seguito Eun-ho avrebbe scoperto che solo due uomini erano stati messi al corrente dei dettagli fin dall'inizio: un generale del Ministero della Difesa Nazionale e un politico di alto rango vicino al Presidente della Corea del Sud. Eun-ho non aveva incontrato nessuno di questi uomini; non erano nemmeno tra i dodici uomini dell’equipaggio, di cui Eun-ho faceva parte, che si trovava a bordo della Glimmer durante il suo primo viaggio.
Una piccola parte di lui rimpiangeva il non aver potuto godere di tale privilegio.
Quasi tre ore prima erano partiti dalla costa sud-occidentale, in un orario che alcuni avrebbero definito tarda sera, altri primissima mattina. Finché si trovava nel porto, la Glimmer era stata custodita in un canale sotterraneo su un tratto di spiaggia rocciosa circondato da segnali di pericolo che avvertivano i viaggiatori che l'area era disseminata di mine inesplose dalla guerra (il che, ovviamente, non era vero). Durante la notte, i dodici erano saliti a bordo di quell'incredibile nave e l'avevano sapientemente pilotata nel cuore dell'Oceano Pacifico del Nord, mantenendo una velocità ridotta per i primi ottanta chilometri. La Glimmer era davvero impossibile da rilevare, ma non erano disposti a correre il rischio di destare sospetto alla sorveglianza satellitare degli Stati Uniti o delle spie dei loro vicini a nord, il paese che ancora si faceva chiamare Choson.
Eun-ho aveva anche un altro lieve rimpianto e non si trattava dell'ora o delle circostanze della partenza, ma piuttosto del periodo dell'anno; all'inizio di febbraio le temperature erano piuttosto basse, e trovarsi in mezzo all'oceano non aiutava. Il vento scivolava sullo scafo aerodinamico della nave e si abbatteva su di lui. Qualche spruzzo occasionale dell'acqua gelida dell'oceano gli faceva dolere le guance. I motori interni erano incredibilmente silenziosi, poco più che una vibrazione sotto i suoi piedi, sebbene il silenzio potesse essere parzialmente dovuto al cappuccio del suo parka lanuginoso, tirato su sopra la testa e avvolto strettamente intorno al suo viso.
E sebbene i motori fossero per lo più silenziosi, l'intero equipaggio era rimasto serio e in silenzio, come se l'escursione richiedesse una sorta di riverenza. Tra loro c'erano ricercatori, esperti, dottori di varie scienze che Eun-ho non riusciva nemmeno a immaginare e in merito a cui non era autorizzato a fare domande. I membri dell'equipaggio non erano nemmeno a conoscenza dell'identità degli altri; Eun-ho era conosciuto dai suoi undici compagni solo come "Park", la cui pronuncia anglicizzata lo faceva rabbrividire ogni volta. Nella sua lingua madre, il suo nome si pronunciava "Bahk".
Tuttavia, non si era mai preso la briga di correggerli.
Alla sua sinistra, sulla panca imbottita vicino alla poppa della Glimmer c'era un uomo a lui noto come Sun, un collega ricercatore coreano che Eun-ho avrebbe facilmente scambiato per un falegname o un altro tipo di artigiano per via delle sue mani dalle nocche callose. Alla sua destra c'era un europeo con una mascella quadrata ben rasata e capelli biondi perfettamente pettinati e così pregni di gel che nemmeno il vento gelido riusciva a spettinarli. Era difficile immaginare l'età dell'europeo, ma poteva aggirarsi tra i trenta e i quarant'anni. Parlava molto raramente e sempre a voce bassa. Eun-ho avrebbe detto che fosse olandese.
Ma la cosa più notevole dell'aspetto europeo era la pistola angolare che gli pendeva al fianco, nera opaca e stretta in una fondina di nylon dello stesso colore. Nonostante fosse seduto quasi letteralmente su una delle armi più potenti e rivoluzionarie del mondo, la vista della pistola addosso a quell'uomo era in qualche modo ancora più inquietante.
"Scusi," chiese Eun-ho cercando di sovrastare il ruggito del vento. Il suo inglese era eccellente; lo studiava da quando aveva sette anni. "A cosa serve?"
L'europeo lo guardò senza far trapelare emozioni. "Sicurezza".
Ah. Allora non era olandese. Nel parlare a voce alta, come era necessario per via del vento, stressava particolarmente le consonanti e a Eun-ho parve di riconoscere un accento tedesco.
Tuttavia, la risposta non era stata particolarmente soddisfacente. Che bisogno avevano di sicurezza in quel luogo, a quasi cinquecento chilometri a sud-est del Giappone? Nessuno sapeva che erano qui. Nessuno li stava cercando. La Glimmer era quasi invisibile.
Forse, pensò Eun-ho, la pistola sarebbe servita nel caso in cui qualcuno tra noi cambiasse idea in merito alla spedizione. Si guardò attorno con noncuranza cercando di osservare le facce rosse e screpolate dei suoi colleghi. Qualcuno di loro avrebbe potuto cambiare idea dopo aver conosciuto il potere distruttivo dell'arma?
Quasi come in risposta, il lamento dei motori si arrestò e la nave rallentò. Eun-ho sentì un brivido, questa volta non dovuto all'acqua gelida o al vento pungente. Il sole stava sorgendo, trasformando in azzurro l'acqua scura e riempiendo il cielo di riflessi rosati.
"Signori". L'uomo che rispondeva al nome di Kim, solo Kim, in piedi vicino alla prua, si rivolse a tutti prima in coreano e poi in inglese, per coloro che non conoscevano la lingua. I suoi occhiali dalla montatura circolare e la stempiatura dei capelli lo rendevano particolarmente simile al classico stereotipo degli scienziati dei romanzi di fantascienza, quelli che costruivano. “Oggi è un giorno importante. È il culmine di due anni di duro lavoro collettivo. È un peccato che così poche persone possano essere presenti a questo evento. Ma state tranquilli, amici miei, il mondo ricorderà i vostri nomi".
"Sempre che questa diavoleria funzioni", borbottò Sun sottovoce.
Eun-ho trattenne a stento una risatina.
"Cominciamo", disse Kim. Fece un cenno a un altro, che si trovava davanti a un complicato pannello di controllo per tre persone proprio dietro il timone della Glimmer, separato dal resto della nave da uno spesso scudo che Eun-ho sapeva essere a prova di proiettile. L'uomo spinse una chiave in una fessura, la girò e inserì una combinazione di quattro cifre sulla tastiera.
Le porte di alluminio al centro della nave si sollevarono con un forte ronzio, aprendosi verso l'esterno come una coppia di porte Bilco. Il ronzio si fece ancora più forte quando venne attivato l'ascensore idraulico. In pochi istanti, l'arma si erse dalle viscere della Glimmer come una presenza angelica che si disvela. Era uno spettacolo bellissimo da vedere.
Perfino i più istruiti sulla questione avrebbero sostenuto che un’arma al plasma non poteva essere altro che una congettura teorica, ai limiti della fantascienza, eppure loro ne avevano costruita una. Due anni di lavoro, giorno e notte, relazioni interpersonali sacrificate, vite e carriere dimenticate, alcune delle menti più brillanti del mondo orientale e occidentale e un investimento di denaro a dir poco esagerato avevano permesso di arrivare alla costruzione di un'arma che fino a poco tempo prima si pensava non sarebbe mai esistita.
L'ascensore idraulico aveva portato l'arma tre metri più in alto rispetto allo scafo della Glimmer. Le due rotaie parallele, essenzialmente la "canna" dell'arma, erano lunghe sei metri e consistevano in una coppia di elettrodi ultra robusti lungo i quali un'armatura di particelle ionizzate simili a gas scivolava a una velocità pari a sette volte la velocità del suono. La distanza di tiro effettiva, secondo il modello, poteva andare dai duecentoquaranta ai trecentoventi chilometri.
Le parole di Sun echeggiarono nella testa di Eun-ho. Sempre che questa diavoleria funzioni. Ovviamente, tutte le componenti dell'arma erano importanti, ma gli piaceva pensare che il suo lavoro sull'arma fosse probabilmente il più importante; dopo tutto, se l'arma non fosse riuscita a sparare il suo proiettile al plasma, sarebbe stata completamente inutile.
Non era superstizioso, ma incrociò comunque le dita.
"Tieni", borbottò Sun mentre gli porgeva un paio di spessi binocoli neri.
Eun-ho li prese con un cenno del capo. “Dove?”
Sun indicò ed Eun-ho guardò in quella direzione. Riusciva a scorgere a malapena una forma vaga di fronte al sole che sorgeva. La chiatta per il trasporto di rifiuti era lunga settanta metri e proveniva da Seoul. Era priva di equipaggio, dotata esclusivamente di luci fioche per impedire che qualcuno vi si scontrasse nella notte. La chiatta era stata ancorata lì tre settimane prima, proprio in quel punto, con uno scopo ben preciso.
Si trovava a soli diciotto chilometri. Il test di oggi non era altro che un viaggio inaugurale, per così dire, non volta a testare il range massimo di azione, ma l'efficacia, la precisione, la potenza e, come Sun aveva argutamente sottolineato, che quella diavoleria funzionasse.
"Pronto?", chiese Kim.
L'arma venne azionata. Eun-ho sapeva che, negli otto secondi necessari affinché l'arma si caricasse era necessario inserire le coordinate dell'obiettivo e, istantaneamente, l'arma avrebbe corretto la sua traiettoria.
“È pronta", rispose l'uomo alla cabina di comando.
Kim diede una rapida occhiata ai suoi colleghi. Quindi con un cenno secco della testa disse: "Fuoco".
Successe tutto così in fretta che Eun-ho non ebbe nemmeno il tempo di realizzare completamente quello che vide. In un istante, o anche meno, una scintilla blu di plasma percorse gli elettrodi dell'arma. Altrettanto velocemente, li abbandonò. Non ci fu alcun suono assordante, nessuno scoppio, nessun suono acuto risuonò nelle sue orecchie. Si sentì semplicemente uno strano rumore, come un tonfo, e si vide un luccichio di plasma blu. Poco più che una scintilla, un bagliore.
Un istante dopo, a diciotto chilometri di distanza, la chiatta esplose. Anche da quella distanza la potenza di quell'esplosione lo fece rabbrividire. Un momento prima la chiatta si vedeva all'orizzonte, con l'aiuto di un binocolo, e un istante successivo un'esplosione di fuoco fece volare pezzi della nave per varie centinaia di metri e illuminò le prime ore del mattino.
Pochi secondi dopo, ciò che rimaneva dell'obiettivo affondò nelle gelide acque dell'Oceano Pacifico del Nord.
In momenti come questo, molti grandi uomini avevano pronunciato una frase o una dichiarazione, preparata con lungimiranza nella speranza che le loro parole potessero essere riportate in futuro in un testo di storia, o citate su internet, o almeno notate dai presenti. Ma Eun-ho non aveva preparato alcuna dichiarazione e in quel momento riuscì a proferire una sola sillaba.
“Uh!".
La prova era andata straordinariamente bene. Quella diavoleria funzionava perfettamente. Dove poco prima c'era una chiatta, ora non c'era altro che acque schiumose. La forza distruttiva dell'arma era immensa, non si avvicinava nemmeno lontanamente a quella di un missile, ma superava di gran lunga quella di qualsiasi altra arma esplosiva. Era un'arma tattica, un'arma precisa; i suoi bersagli potevano essere piccoli, strategici e persino mobili. Poteva affondare navi, abbattere aerei o persino difendersi dai missili. La sua capacità di correggere la rotta quasi istantaneamente e la velocità del proiettile al plasma avrebbero vanificato qualsiasi tentativo di difesa. Il suo unico svantaggio erano gli otto secondi necessari per caricare prima di sparare, e anche quello era un tempo irrisorio in confronto a quello impiegato dai missili a lungo raggio, dai siluri o dai cannoni da battaglia. Le sue dimensioni relativamente ridotte rendevano semplice il trasporto e la sua tecnologia avanzata la rendeva praticamente invisibile a qualsiasi nemico, anche nelle immediate vicinanze.
Quell'arma al plasma avrebbe potuto rivoluzionare le guerre moderne. Ma non era quella l'intenzione con cui era stata costruita, almeno questo era stato detto a Eun-ho e ai suoi colleghi. Nonostante i molti miliardi investiti nella creazione dell'arma (la Corea del Sud era al decimo posto nella lista dei paesi con il budget militare più alto del mondo), ne avrebbero prodotte altre cinque e tutte insieme quelle armi avrebbe protetto non solo il confine tra loro e la Corea del Nord, ma avrebbero anche scongiurato gli attacchi di qualsiasi potenziale nemico o invasore. Il loro intento non era quello di diventare una potenza militare più forte o di distruggere chiunque non fosse un aggressore; volevano semplicemente proteggere e salvaguardare il loro popolo, niente più.
E lui, Eun-ho Park, era tra i responsabili del benessere della sua gente. Aveva contribuito a rendere possibile un progetto del genere. Anche il vento pungente di febbraio sull'oceano non poteva smorzare l'immensa sensazione di orgoglio che pulsava sotto il suo parka…
“Dottor Kim!” l'uomo dietro la console urlò all'improvviso. "Una barca!"
Eun-ho si girò rapidamente e i suoi occhi si spalancarono quando vide che l'uomo non stava guardando il display radar della sua console, ma stava indicando oltre la prua. Una barca si stava avvicinando a loro, a non più di un chilometro e mezzo di distanza, e si faceva sempre più vicina.
Il test dell'arma li aveva distratti e avevano abbassato la guardia. Pensavano di essere al sicuro, in mezzo all'oceano.
"Ma che diavolo…?" Sbottò il dottor Kim. "Chi sono?"
Eun-ho si rese conto di avere ancora il binocolo di Sun tra le mani. Lo portò al viso e mise a fuoco. Non sapeva molto di barche, ma ciò che sapeva era sufficiente per poter capire che la nave in avvicinamento non era militare e non era certo nuova come la Glimmer. Lo scafo scheggiato e sbiadito suggeriva che questa barca avesse subito un po' di usura… e si potevano vedere fori di proiettile sui lati.
Guardò il ponte e per poco non si fece sfuggire un sussulto. Gli uomini a bordo indossavano vestiti pesanti per il freddo, ma riusciva comunque a scorgere la pelle scura: erano africani. Avevano delle pistole tra le mani.
Eun-ho non era un esperto di navi, ma conosceva bene le armi e riconobbe un'AK-47.
"Signore", disse timidamente a Kim. "Non so come spiegarlo, ma credo che siano… pirati".
"Dammi qua". Kim quasi strappò il binocolo dalle mani di Eun-ho. Mentre guardava nel binocolo, il dottore quasi rimase a bocca aperta dallo stupore.
Ovviamente tutti avevano sentito parlare dei pirati moderni, in particolare di quelli che provenivano dalla Somalia. Ma quel che si sapeva di loro è che fossero molto legati al loro territorio e che le loro prede fossero le imbarcazioni in rotta nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico. Certamente non nel Nord del Pacifico. Erano a migliaia di chilometri di distanza dai loro territori.
Il tedesco si alzò in piedi, fissando la prua, socchiudendo gli occhi per vedere meglio. Si slacciò la fondina di nylon in vita ed estrasse la pistola nera opaca con un movimento così fluido che sembrò che l'arma fosse magicamente apparsa dal nulla tra le sue mani.
Poi Sun parlò.
"Puntate l'arma su di loro".
Il dottor Kim lo guardò con un'espressione di assoluta incredulità. "Sei pazzo? Vuoi semplicemente ucciderli?”
"Sono armati," mormorò il tedesco. "Fucili d'assalto".
"Hanno visto tutto", insistette Sun. “Ci hanno visto sparare con l'arma e stanno venendo verso di noi. Non è il caso di esitare. Puntala su di loro".
Eun-ho si sentì stringere lo stomaco dal panico. Era strano pensare come, in tutti quegli anni di ricerche, non avesse mai considerato nemmeno una volta che quell'arma avrebbe potuto essere utilizzata per strappare delle vite. Lui sarebbe stato in parte responsabile di quelle uccisioni. Aveva realizzato personalmente i proiettili. Eppure eccoli lì, di fronte a una vera e propria minaccia.
"Hai circa quindici secondi per decidere", annunciò il tedesco con il suo accento aspro, più forte di tutte le parole che Eun-ho gli aveva sentito pronunciare prima.
"No", disse Kim con fermezza. “Possiamo seminarli facilmente. Accendi i motori!”
"Prima dobbiamo ritirare l'arma…" balbettò l'uomo alla console.
"Allora fallo!" Strillò Kim. "Subito, veloce!"
"Ma hanno visto tutto!" Insistette nuovamente Sun.
"Dieci secondi", intervenne il tedesco.
Una raffica di spari automatici squarciò l'aria, così forte e improvvisa che Eun-ho istintivamente si mise le mani sopra la testa. Sentì il trambusto dell'ascensore idraulico che riportava il cannone al plasma all'interno dello scafo della Glimmer. Udì le grida, quelle in preda al panico, quelle polemiche dei suoi colleghi, e poi altre, gutturali, concitate e incomprensibili al suo orecchio, in una lingua che non era né coreano, né inglese e nemmeno mandarino, lingue che Eun-ho parlava fluentemente, ma che suonavano infuriate, minacciose e pericolose allo stesso tempo.
Quando ebbe il coraggio di guardare di nuovo, la barca pirata, poiché ormai si era convinto che fossero davvero dei pirati, si era avvicinata ancora di più e aveva rallentato, posizionandosi perpendicolarmente alla prua della Glimmer e rendendole impossibile avanzare.
"Inversione, adesso!" Kim urlò non appena le porte si richiusero sopra l'arma.
L'uomo alla console mise una mano sull'acceleratore e, quasi contemporaneamente, un singolo, forte sparo fece sobbalzare Eun-ho. La testa del pilota scattò a destra mentre una nuvola di nebbia rossa si posava sul mare alle sue spalle.
Il tedesco abbassò la pistola. Il silenzio e l'incredulità del momento che seguì fu schiacciante; l'uomo alla console cadde sul pontile. I pirati guardavano. I colleghi di Eun-ho rimasero assolutamente immobili. Le loro gambe si erano improvvisamente fatte di pietra.
E in quel momento, il tedesco si voltò e sparò immediatamente un secondo colpo sulla fronte di Kim.
Questo scosse tutto l'equipaggio. In molti gridarono. Due si precipitarono in avanti, Sun e un altro uomo, Bong, se Eun-ho ricordava correttamente il suo nome. Raggiunsero il tedesco ma lui si limitò a torcere il corpo e, senza nemmeno puntare la pistola, alzò il gomito. Questo colpì il naso di Sun con uno scricchiolio nauseante, sollevando spruzzi di sangue che raggiunsero il viso di Eun-ho. Con la stessa morbidezza con cui aveva sfoderato l'arma, il tedesco si girò la pistola nel palmo, facendola roteare e colpendo Bong con l’impugnatura della pistola proprio dietro la mascella.
Le gambe di Eun-ho si trasformarono in gelatina e le sue ginocchia si piegarono, facendolo cadere sul pontile. Risuonarono altri due colpi in rapida successione, e sebbene avesse già chiuso gli occhi, sentì distintamente il suono di due corpi che cadevano.
Si sentì un fragore d’acqua, e poi un altro: colleghi che avevano scelto di lanciarsi dal ponte. Eun-ho, scosso dal terrore, sapeva che anche quella scelta li avrebbe portati alla morte. Nel freddo Pacifico sarebbero morti in meno di un minuto.
Questi non erano gli scoppi acuti delle armi automatiche; erano singoli colpi sparati della pistola nera. I pirati non stavano sparando; stavano aspettando. Stavano aspettando che finisse per poter prendere possesso dell'arma. Il tedesco li aveva traditi. L'uomo che era stato responsabile della loro incolumità era stato la loro rovina.
Quando finalmente Eun-ho raccolse il coraggio e riaprì gli occhi, il pontile della Glimmer era pieno di sangue. Quattro dei pirati africani si trovavano ora a bordo, e gettarono da una parte i corpi dei suoi compagni.
Il tedesco era in piedi accanto a lui, teneva la pistola nella mano sinistra, come se fosse un semplice accessorio.
"Perché?" Chiese Eun-ho, o almeno ci provò. Ma tutto ciò che gli uscì alla gola non fu altro che un sibilo.
"Sei solo un ragazzo," mormorò il tedesco a bassa voce, con l'accento che Eun-ho aveva erroneamente supposto olandese. "Ma spesso i ragazzi sono quelli che soffrono di più in queste situazioni".
Eun-ho non poté fare a meno di sussultare leggermente quando l'uomo premette la canna della pistola contro la sua tempia. Chiuse di nuovo gli occhi. L'aria era fredda, ma il sole del mattino scaldava gli scaldava piacevolmente il viso.