Sala Operativa

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Hörbuch
Wird gelesen Federico Foglia
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Le giornate si stavano chiaramente accorciando. Anche se non erano neanche le diciannove, la luce del sole della sera filtrava dalle sue finestre. La giornata stava già finendo. Luke ripensò brevemente all’interazione avuta con Becca quando le aveva lasciato Gunner. Scacciò l’immagine. Era troppo a cui pensare.

Sedeva di fronte alla presidente, al tavolo da caffè. Kurt Kimball sedeva accanto a entrambi. Kat Lopez se ne stava in piedi, dietro e alla destra di Susan.

“Sì,” disse Susan. “Non esiste più lo Special Response Team. La maggior parte dell’ex staff è stato assorbito in altri ruoli all’interno dell’FBI. A questo punto sarebbe piuttosto difficile ricostruire ciò che lei considera il suo team.”

“Susan,” disse Luke. “Vorrei ricordarle che mi sta chiedendo di lasciare di nuovo il pensionamento. Lo sa che cosa ho fatto negli ultimi due mesi? Glielo dirò. Campeggio, pesca, camminate, vela. Un po’ di caccia. Un po’ di immersioni.” Si massaggiò la barba. “Dormire fino a tardi.”

“Quindi è in forma per il lavoro,” disse Kurt Kimball.

Luke scosse la testa. “Sono arrugginito. Mi serve la mia squadra. Mi fido di loro. Non posso proprio funzionare senza di loro.”

“Luke, se fosse rimasto in giro invece di sparire, magari saremmo riusciti a ritagliarle una piccola agenzia…”

“Stavo cercando di salvare il mio matrimonio,” disse.

Susan lo fissò. “Com’è andata?”

Lui scosse appena la testa. “Non benissimo, finora.”

“Mi dispiace sentirlo.”

“Dispiace anche a me.”

Susan si guardò oltre le spalle. “Kat, possiamo conoscere lo stato dei membri dell’ex squadra di Luke?”

Kat Lopez abbassò lo sguardo sul tablet che teneva in mano. “Certo. È abbastanza facile. Mark Swann ha lasciato l’FBI per un lavoro con la National Security Agency. Lavora al loro quartier generale qui, nella periferia di Washington DC. È qui da tre settimane e mezzo. Si sposta nel loro sistema di classificazione, e dovrebbe cominciare a lavorare sul progetto data mining PRISM nel giro di un altro mese.

“Edward Newsam è ancora nell’FBI. È stato in malattia per la maggior parte di giugno e luglio. La riabilitazione dell’anca è completa, ed è stato riassegnato all’Hostage Rescue Team. Attualmente è in addestramento a Quantico per un possibile lavoro di intelligence oltremare che dovrebbe iniziare nel corso di quest’anno. C’è un appunto sul suo file che dice che il suo stato di impiego verrà probabilmente secretato nelle settimane a venire, a quel punto sarà necessaria un’autorizzazione Top Secret per conoscere il suo status o sapere dove si trova.”

Luke annuì. Nessuno dei due era una sorpresa. Swann e Newsam erano tra i migliori in quello che facevano. “Possiamo prenderli in prestito?” disse.

Kat Lopez annuì. “Con ogni probabilità, se li richiediamo le agenzie onoreranno la nostra richiesta.”

“E Trudy?” disse Luke. “Mi serve anche lei.”

“Luke, Trudy Wellington è in prigione,” disse Susan.

Luke sentì lo stomaco crollare a quelle parole. Fissò il vuoto per cinque secondi buoni, cercando di assimilare le parole.

“Cosa?” disse alla fine.

Susan scosse la testa.

“Non ci credo che lei non lo sappia. Che ha fatto, si è nascosto sotto a una roccia? Non li legge i giornali?”

Lui si strinse nelle spalle. “Gliel’ho detto che cosa stavo facendo. Mi sono tenuto fuori dai radar. Non vendono giornali dov’ero, e ho lasciato il computer a casa.”

Kat Lopez lesse dal tablet. La sua voce era automatica, quasi robotica. Si era distaccata da quello che stava dicendo.

“Trudy Wellington, trent’anni, è stata l’amante di Don Morris per almeno un anno durante la pianificazione degli attentati del sei giugno. I tabulati di email, telefono, messaggi e computer indicano che fin da marzo era a conoscenza del fatto che esistesse un piano per assassinare sia il presidente che la vicepresidente degli Stati Uniti, e che era a conoscenza di chi erano i cospiratori, o almeno di alcuni di essi. È stata incriminata per tradimento, cospirazione per commettere tradimento, più di trecento capi d’accusa di cospirazione per commettere omicidio e di un mucchio di altri reati. È detenuta senza cauzione alla prigione femminile federale di Randal, Maryland. Se condannata per le accuse sporte contro di lei, rischierà di scontare, per cominciare, diverse sentenze a vita, fino ad arrivare alla pena di morte.”

Luke si passò una mano tra i capelli. La notizia lo colpì come un pugno alla testa. Pensò a Trudy, se la immaginò con addosso i suoi buffi occhiali rossi, gli occhi a sbirciare oltre il tablet. Pensò a com’era quella notte in cui era andato al suo appartamento alle tre del mattino, quando aveva aperto la porta con nulla addosso tranne una lunga e inconsistente t-shirt, una pistola in mano. Pensò a loro due, e ai loro corpi, insieme quella notte.

Era in prigione? Non poteva essere vero.

“Trudy Wellington rischia la pena di morte?” disse.

“In poche parole, sì.”

“Fondamentalmente perché non ha consegnato Don?”

Susan scosse la testa. “È tradimento, a prescindere da come lei voglia rigirarla. Sono morte molte persone, incluso Thomas Hayes, che era sia il presidente degli Stati Uniti che un mio amico personale. Wellington avrebbe probabilmente potuto evitarlo, e ha scelto di non farlo. Ha scelto di non provarci neanche. Praticamente l’unico modo in cui può salvarsi a questo punto è testimoniare contro i cospiratori.”

“Ho difficoltà a credere che lo sapesse,” disse Luke. “Ha confessato?”

“Nega tutto,” disse Kat Lopez.

“Tenderei a crederle,” disse Luke.

Kat allungò il tablet. “Ci sono sulle duecento pagine di prove. Abbiamo accesso alla maggior parte di esse, che può visionare. Potrebbe pensarla un pochino diversamente, dopo averlo fatto.”

Luke scosse la testa. Guardò Susan. “Allora così a che punto siamo?”

Si strinse nelle spalle. “Può avere Mark Swann e Ed Newsam per un paio di giorni, se le pare di averne bisogno. Ma non può avere Trudy Wellington.”

Lo guardò.

“E il suo elicottero parte tra meno di un’ora.”

CAPITOLO CINQUE

16 agosto

7:15

Diga di Black Rock, Great Smoky Mountains, Carolina del Nord

Dal finestrino di Luke nulla sembrava fuori dall’ordinario mentre l’elicottero nero lucido volava basso sulla diga. Avevano superato il lago Black Rock, che era lungo, ondulato e pittoresco, confinante su tutti i lati con i versanti verde intenso, selvaggi e scoscesi delle colline. Una stretta carreggiata attraversava la cima della diga. La superarono, e la diga stessa si perse cinquanta piani più giù verso la centrale elettrica e le saracinesche. Queste sembravano operare normalmente, ne usciva da sotto un piccolo gocciolio di acqua. Circa un quarto di miglio di trasformatori di elettricità, una ragnatela di torri di acciaio e cavi dell’alta tensione, si diramava dalla diga. Sembravano intatti.

“Non c’è granché da vedere,” disse nelle cuffie.

Alla sua sinistra c’era il grosso Ed Newsam, che fissava fuori dal finestrino sul lato opposto. L’anca rotta di Ed era stata aggiustata, e sembrava che si fosse dato da fare in sala pesi. Le sue braccia da pitone erano più gonfie di quanto ricordasse Luke, il petto e le spalle erano ancora più larghi, le gambe ancor più simili a querce. Indossava i jeans, stivali da lavoro e una semplice t-shirt azzurra.

Nella fila dietro di loro c’era Mark Swann. Era lungo e snello, le gambe fasciate dai blue jeans sporgevano nella corsia, le sneakers Chuck Taylor a motivo a scacchi si incrociavano all’altezza delle caviglie di fronte a Luke. I capelli biondo rossiccio erano più lunghi di prima, ora legati in una coda di cavallo, e aveva sostituito gli occhiali da aviatore con quelli rotondi alla John Lennon nel corso degli ultimi due mesi. Indossava una t-shirt nera con il logo del gruppo punk rock dei Ramones. Gli uffici dell’NSA dovevano dare un bello spettacolino di moda.

“Le acque escono dalle saracinesche proprio come dovrebbero fare,” disse il pilota dell’elicottero. Era un uomo di mezz’età che indossava una giacca nera di nylon con le lettere maiuscole FEMA scritte in bianco sulla schiena. “Non ci sono stati danni né alla diga né alle strutture della diga, e non ci sono state vittime tra il personale. L’unica cosa che è successa qui è che la strada di accesso è stata spazzata via. L’azione vera comincia circa tre miglia a sud.”

Avevano volato su un jet dei servizi segreti da Washington DC fino a un piccolo aeroporto municipale sull’orlo del parco nazionale. Erano arrivati appena prima dell’alba, e questo elicottero li stava aspettando. Non avevano parlato molto durante il viaggio. L’umore era tetro, date le circostanze, e normalmente avrebbe parlato più che altro Trudy Wellington, in quanto agente addetta alle informazioni. Susan aveva offerto a Luke un altro agente, ma Luke aveva rifiutato. Stavano andando lì per lavorarsi un prigioniero, comunque. Poteva darle lui, tutte le informazioni di cui avevano bisogno.

Luke percepì che sentivano tutti la mancanza di Trudy e una certa dose di shock per la sua situazione. Percepì anche, o così pensò, che entrambi i ragazzi fossero andati avanti con le loro vite. Nuovi compiti, nuovo addestramento, nuovi compagni di squadra e nuovi colleghi, nuove sfide a cui guardare. Molto poteva cambiare in due mesi.

Lo Special Response Team non c’era più. Luke avrebbe potuto scegliere di salvarlo in una forma o in un’altra – dopo il tentato colpo di stato e l’attentato col virus Ebola poteva dettare lui le regole e riprenderseli tutti con sé – ma invece aveva scelto di non farlo. Adesso l’SRT era roba vecchia, e così era Luke. Era andato in pensione, e quella era una cosa. Ma era anche scomparso, e non aveva fatto molti sforzi per mantenere i contatti. La coesione di squadra era una grossa parte del lavoro dell’intelligence e delle operazioni speciali. Senza contatto non c’era coesione.

 

Il che significava che, in quel momento, non c’era squadra.

L’elicottero si inclinò e puntò a sud. Quasi immediatamente la devastazione fu chiara. L’intera area sotto la diga era inondata. Grossi alberi erano stati sradicati dappertutto ed erano stati sbattuti qua e là come stecchi di fiammiferi. In pochi minuti raggiunsero il sito dell’ex resort Black Rock. Parti del piano superiore dell’edificio principale erano ancora intatte, a ergersi sopra le acque. Delle automobili erano accatastate contro l’hotel distrutto, insieme ad altri alberi, alcuni dei quali si allungavano al di sopra dell’acqua in braccia puntate al cielo, come religiosi convertiti che implorano Dio di un miracolo.

L’effetto delle auto e degli alberi e delle varie pile di detriti galleggianti era la costruzione di una mini diga, dietro la quale si era formato un ampio lago. C’erano circa una dozzina di Zodiac parcheggiate sul lago, con squadre di sommozzatori in piena mise da immersione che si preparavano a tuffarsi o a scavalcare, a seconda della barca.

“Hanno trovato sopravvissuti qui?” disse Luke.

Il pilota scosse la testa. “Neanche uno. Almeno così hanno detto stamattina. Hanno trovato un centinaio di corpi nella caffetteria del resort, però. Li stanno portando su uno a uno. Penso che non abbiano ancora cominciato l’ispezione stanza per stanza. Potrebbero addirittura aspettare che l’acqua si ritiri prima di farlo. Spostarsi tra i corridoi sott’acqua è un lavoro pericoloso, e probabilmente inutile. Non c’è nessuno di vivo là sotto.”

Ed Newsam, che se n’era rimasto spaparanzato col suo solito modo spensierato, si mosse sul sedile e si mise appena un po’ più dritto. “Come lo sai, bello? Potrebbero esserci delle sacche d’aria sotto quell’acqua. Laggiù potrebbe esserci della gente che tiene duro per i soccorsi.”

“Hanno un equipaggiamento per l’ascolto subacqueo su quelle barche,” disse il pilota. “Se c’è qualcuno di vivo sotto a quell’acqua, non ha fiatato per tutto ieri e per tutta stanotte.”

“Anche così, se a capo ci sono io faccio passare ai miei migliori sommozzatori stanza per stanza subito. Sappiamo già che la gente della caffetteria è morta. E i sommozzatori ci hanno messo una firma, sul pericolo. I civili no.”

Il pilota fece spallucce. “Be’, figliolo, lavorano più veloce che possono.”

L’elicottero andò ancora più a sud. L’inondazione si era ritagliata un passaggio attraverso la valle, scavando un sentiero attraverso il bosco. Sembrava che un gigante si fosse aperto a forza una via. C’era acqua ovunque. Ovunque fosse il letto originale del fiume, era perso sotto tutta quell’acqua.

Superarono la città di Sargent, ancora più di un metro sotto l’acqua. La devastazione lì non era totale come prima. C’erano un sacco di punti vuoti dove Luke presunse dovessero esserci state delle case, ma altre case, edifici e insegne di fast food spuntavano dall’acqua come dita. L’elicottero sorvolò un edificio in calcestruzzo con una catasta di macchine e SUV impilata contro di esso. AUTO DI SECONDA MANO DI ABE L’ONESTO, diceva un’insegna ficcata per metà nell’acqua. Una delle travi di supporto era collassata.

“Quanti morti qui?” disse Luke.

“Cinquecento,” disse il pilota. “Più gli spiccioli. Altri cento o più i dispersi. Era mattina presto, e non c’è stato un gran preavviso. Molta gente è stata spazzata via in casa. Dormi nel tuo letto e l’allarme antiaereo della guerra fredda parte e tu che fai? Alcuni pare che siano andati di sotto nei seminterrati. Non c’è nessun posto dove andare quando arriva un’inondazione.”

“Nessuno si aspettava che la diga si rompesse?” disse Swann. Era la prima cosa che diceva da quando erano saliti in elicottero.

Il pilota era impegnato con i controlli. “Perché avrebbero dovuto? La diga non si è rotta. Quella diga è stata costruita per durare mille anni.”

“Okay,” disse Luke. “Ho visto abbastanza. Andiamo a parlare col prigioniero.”

*

8:30

Foresta nazionale di Chattahoochee, Georgia

Il campo apparve fuori dalla profonda foresta come una specie di strano miraggio.

“Carino, eh,” disse Ed Newsam.

Si trovava su una perfetta piazzola, un miglio per un miglio, un quadrato marrone e grigio tra tutto il verde scuro. Mentre l’elicottero si avvicinava Luke riuscì a scorgere decine di baracche, file e file di esse, e un’ampia cisterna quadrata di acqua al centro del campo. Dei fabbricati annessi circondavano la cisterna, e una passerella d’acciaio la attraversava.

L’elicottero cominciò la discesa, e Luke vide l’eliporto avvicinarsi. Si trovava in una zona nell’angolo occidentale del campo, con alcuni grossi edifici dell’amministrazione, una piscina e un paio di parcheggi. Adesso riuscì a vedere chiaramente i cortili di cemento, una strada d’accesso, delle vie all’interno dell’accampamento, e un muro sovrastato da filo spinato e torrette di guardia attorno al perimetro. Quel luogo era una ferita aperta nel mezzo della foresta circostante.

“Cos’è questo posto?” disse Luke nelle cuffie.

Il pilota dell’elicottero era impegnato ai comandi, ma non tanto da non parlare. “Ho sentito dire che lo chiamano Campo Enduring Freedom,” disse. “La gente di qui tende a chiamarlo Campo Nulla. È uno dei nostri. Ente federale per la gestione delle emergenze. Non si trova su nessuna mappa. Immagino che non abbia un nome ufficiale.”

“Esiste?” disse Luke.

L’elicottero adesso volava basso, i foschi edifici grigi del campo si innalzavano attorno a loro. Luke notò del vetro rinforzato da cavi d’acciaio sugli edifici più vicini.

Il pilota scosse la testa. “Che cosa esiste? Questa è una landa selvaggia e disabitata. Non c’è niente qua fuori per quanto ne so.”

Un segnalatore con una canotta gialla addosso e una bacchetta arancione brillante in mano era a lato dell’eliporto e guidava il pilota nell’atterraggio. Il pilota posò quell’uccellaccio perfettamente nel mezzo dell’eliporto. Spense il motore e le pale cominciarono subito a rallentare. Ci fu un gemito quando si spensero.

“Quando vedete quel cinese,” disse il pilota, “dategli un paio di colpi da parte mia.”

“Non facciamo queste cose,” disse Luke.

Il pilota si voltò e sorrise. “Certo che no. Figliolo, trasporto gente dentro e fuori da posti così continuamente. Capisco chi fa cosa solo con un’occhiata, credimi. Un’occhiatina a voialtri e so che hanno deciso di alzare il riscaldamento di un paio di tacche.”

Lui, Swann e Ed uscirono dall’elicottero a teste chine. Un uomo li stava già aspettando sulla pista per accoglierli. Indossava un completo grigio e una cravatta azzurra. Aveva i capelli scompigliati dalle lente pale dell’elicottero. Il tessuto del vestito increspato. Le scarpe nere erano lucidate fino a scintillare. Sembrava che fosse appena sceso da un treno per pendolari di Manhattan. Era più fuori posto lì di quanto un uomo avrebbe mai potuto essere.

A mano a mano che Luke si avvicinava, il viso dell’uomo prese forma. Sembrava senza età – non vecchio, non giovane, nel mezzo da qualche parte. Allungò una mano. Luke gliela strinse.

“Agente Stone? Io sono Pete Winn. Mi hanno detto che l’ha mandata la presidente. Grazie di essere venuto a trovarci.”

“Grazie, Pete. Chiamami Luke, per favore.”

Luke, Ed e Swann seguirono Pete Winn lontano dall’elicottero verso un riparo di lamiera ondulata di alluminio sul margine dell’eliporto. Persino l’eliporto era circondato da una recinzione spinata. L’unico modo per entrarne o uscirne era passare attraverso quell’edificio. Le porte erano azionate da fotocellule. Si aprirono automaticamente quando gli uomini vi si avvicinarono.

“Che cos’è questo posto?” disse Luke.

“Questo?” disse Winn. “Vuoi dire il campo?”

“Sì.”

“Ah, be’, ti dirò la versione veloce. Fondamentalmente è un campo di detenzione. Abbiamo appena superato i duecentocinquanta detenuti al momento, inclusi più di settanta bambini. Per la maggior parte si tratta di stranieri illegali arrivati dal Messico e dall’America centrale le cui vite sarebbero a rischio per via dei cartelli della droga o delle gang se venissero rimandati a casa. Non è stato concesso loro l’asilo, perciò se ne restano qui con le loro famiglie fino a che l’Immigration and Naturalization Service non riesce a decidere che cosa farne. Il loro status è ufficialmente indeterminato. Nel frattempo, dato che questo posto è invisibile, le gang non hanno idea di dove siano.”

Attraversarono l’edificio rapidamente. Fondamentalmente era un ritrovo di controllori di volo, segnalatori per elicotteri e piloti. C’era qualche scrivania con sedie, un po’ di attrezzatura di monitoraggio radio e video, uno schermo radar, una macchinetta del caffè e una vecchia scatola di ciambelle stantie su una tavola.

“Quindi se ne stanno qui illimitatamente?” disse Swann.

“Be’, illimitatamente è molto tempo,” disse Winn. “La famiglia che ha trascorso più tempo con noi è qui da sette anni.”

Winn doveva aver visto gli sguardi sui loro visi.

“Non è male come sembra. Davvero. Tutti i bambini vanno a scuola cinque giorni la settimana. La scuola è proprio lì, sulla proprietà. Ci sono attività di arricchimento, inclusi due film in prima visione ogni weekend, trasmessi sia in inglese che in spagnolo. Ci sono il calcio e il basket, e gli adulti possono seguire corsi di lingua e formazione al lavoro, inclusa una formazione con carpentieri specialisti che portiamo qui.”

“Sembra fantastico,” disse Swann. “A voi dispiace se vengo a fare le vacanze qui?”

“Potresti rimanere sorpreso,” disse Winn. “Alla gente piace stare qui. È molto meglio che andare a casa a farsi uccidere.”

Un SUV nero li aspettava fuori dal rifugio. Mentre l’auto attraversava il campo, superarono un’altra recinzione sormontata da filo spinato. Una manciata di uomini sedeva su panchine dall’altra parte della recinzione. Quattro o cinque di loro erano bianchi. Un paio neri. Indossavano tutti tute giallo brillante. Fissarono attraverso la recinzione la macchina passare.

“Quelli lì non sembrano messicani,” disse Ed Newsam.

Il viso di Pete Winn cambiò. Prima era stato amichevole, magari persino un pochino nervoso di incontrare Luke e la sua squadra. Adesso sembrava più che altro sprezzante.

“No, non sono messicani,” disse. “Abbiamo anche dei nativi qui.”

“Si nascondono dai cartelli della droga?” disse Swann.

Winn fissava dritto avanti a sé. “Signori, sono sicuro che ci sono aspetti del vostro lavoro che non siete liberi di discutere. Lo stesso vale per me.”

Dopo qualche minuto avevano raggiunto il lato più lontano del campo rispetto all’eliporto e agli edifici amministrativi. La macchina si fermò. Non c’era nessuno in giro – nessun prigioniero, nessun operaio, proprio nessuno. Su uno sporadico spiazzo di terra se ne stava una piccola cabina.

Gli uomini uscirono. Lo spiazzo era un pezzo brullo di terra compatta. Qualsiasi senso dell’attività del campo, e della vita stessa, era lontanissimo da qui.

Pete Winn porse a Luke un mazzo di chiavi. C’era su solo una chiave. Winn adesso aveva un viso serio. Aveva gli occhi duri e freddi. I suoi modi avevano portato a termine il cambiamento drastico da quelli dell’incerto funzionario che li aveva accolti all’eliporto a qualsiasi cosa fosse adesso.

“L’esistenza di questa cabina è secretata. Ufficialmente non esiste, né esiste il prigioniero. La vostra visita qui non esiste. Il governo cinese non ha fatto indagini, ufficiali o clandestine, su dove si trovi l’uomo chiamato Li Quiangguo. Io ritengo che i cinesi abbiano agito come se non avessero nulla da nascondere né di cui preoccuparsi, e che abbiano anche offerto assistenza per trovare la fonte della violazione del sistema operativo della diga.”

Fece un cenno con la testa in direzione della cabina.

“Le pareti della cabina sono insonorizzate. La chiave apre un armadio con l’attrezzatura nella stanza sul retro. Se sentite di aver bisogno di un po’ di attrezzatura per facilitare l’interrogatorio, potete trovare ciò che vi serve là dentro.”

Luke annuì, ma non disse niente. Non gli piaceva l’insinuazione che tutte quelle persone parevano fare che fosse stato chiamato lì per torturare il prigioniero.

 

Aveva torturato della gente in passato? Immaginava di sì, a seconda della definizione della parola. Ma nessuno lo aveva mai chiamato in una situazione con l’idea che torturasse un sospetto. Se l’avessero fatto sarebbero stati piuttosto cretini – c’erano persone molto più esperte nella cosa di Luke. Quando l’aveva fatto in passato, era stato al volo e aveva improvvisato, quasi sempre perché il soggetto possedeva delle informazioni critiche che Luke doveva ottenere subito.

Pete Winn proseguì, ma adesso i suoi modi erano più rilassati, e le sue parole banali.

“Se vi serve qualcosa, pranzo, birra, cena, o se volete che la macchina vi riporti all’eliporto, prendete il telefono della cabina e premete zero. Vi manderemo quello che vi serve. Possiamo sistemarvi sulla base per la notte se volete, e fornirvi ogni genere di articoli per l’igiene personale o altro. Sapone, shampoo, rasoi elettrici – abbiamo tutto quanto. Possiamo anche fornirvi un cambio di vestiti, nei limiti del ragionevole.”

“Grazie,” disse Luke.

“Adesso vi lascio fare,” disse Winn. “Buona fortuna.”

Quando se ne fu andato, Luke si fermò fuori dalla cabina a parlare coi suoi. Montagne verdi torreggiavano attorno a loro oltre la recinzione del campo. Il campo sembrava costruito dentro a un bacino.

“Swann, quanti anni sei stato in Cina?”

“Sei.”

“In quale zona?”

“Dappertutto. Ho vissuto a Pechino più che altro, ma ho trascorso molto tempo a Shanghai e Chongqing, anche un pochino al sud, a Canton e Hong Kong.”

“Okay, voglio che guardi questo tipo con attenzione, che scorgi qualsiasi indicazione che puoi da lui. Tutto quanto. Di dove pensi che sia. Quanti anni ha. Il suo livello di istruzione. Il suo livello di conoscenza dei computer. È poi davvero cinese? La gente di Susan Hopkins mi ha detto che il tipo parla perfettamente inglese. Quante probabilità ci sono che sia nato qui negli Stati Uniti, o in Canada, o a Hong Kong? O da qualsiasi altra parte, in realtà. Ci sono cinesi dappertutto.”

Swann scosse la testa. “Se è un agente operativo, questa roba non la capirò. Sarà troppo bravo a nascondere le proprie origini.”

“Tira a indovinare,” disse Luke. “Non è un problema di matematica. Non ci sono risposte giuste o sbagliate. Voglio solo sapere la tua impressione.”

Swann annuì. “Ricevuto.”

Adesso Luke lo guardò fisso. “Quanto sei schizzinoso?”

Non si era mai preoccupato prima della personalità di Swann, ma adesso gli era venuto in mente che Swann potesse essere un po’ l’anello debole, in materia.

“Schizzinoso? In che senso?”

“Io e Ed potremmo dover lavorare seriamente lì dentro.”

“Be’, datemi un segnale e andrò a farmi una passeggiata per questi bellissimi territori.”

“In questo caso, assicurati di fare ciao ai cecchini,” disse Ed Newsam.

A un centinaio di metri di distanza c’era una torre di guardia alta tre piani. Luke e Swann la guardarono. Nella torre c’era un uomo con un fucile che apparentemente li teneva sotto tiro. Da quella distanza sembrava che avesse il fucile puntato proprio su di loro, e che stesse guardando nel mirino.

“Può prenderci da lì?” disse Swann.

“Con gli occhi chiusi,” disse Luke.

“Si sta solo allenando, però,” disse Ed. “Allevia un po’ la noia.”

Entrarono.

*

L’uomo indossava una tuta giallo brillante. Sedeva su una sedia pieghevole di metallo nel mezzo di una stanza vuota. Era grande, con spalle ampie, braccia e gambe grosse e uno stomaco prominente.

Aveva un cappuccio nero sulla testa. Aveva i polsi ammanettati dietro la schiena. Le gambe ammanettate insieme all’altezza delle caviglie. Era chino in avanti, come se dormisse. Con il cappuccio sulla testa, era impossibile a dirsi.

Luke gli levò il cappuccio dalla testa. L’uomo si riscosse in apparente sorpresa, e si mise seduto dritto. Aveva i capelli nero lucido scompigliati – in alcuni punti se ne stavano alti a ciuffi, in altri appiattiti. Persino senza il cappuccio indossava ancora una mascherina – una di quelle che la gente si mette sul viso per dormire durante i lunghi viaggi aerei.

Sbadigliò, come risvegliandosi da un sonnellino pomeridiano.

“Li Quiangguo,” disse Luke. “Ni hui shuo yingyu ma?”

In cinese mandarino, le suo parole tradotte erano Parli inglese?

L’uomo fece un gran sorriso. “Chiamami Johnny,” disse. “Per favore. È il nome che uso qui in Occidente. E parliamo inglese. Rende le cose più facili per tutti, soprattutto per me.”

L’inglese dell’uomo era la versione americana, sicuramente, ma senza accento né intonazione regionale di qualsiasi tipo. Luke avrebbe potuto dire che sembrava che venisse dal Midwest. Ma in realtà sembrava che non venisse da nessuna parte. Poteva anche essere stato sparato giù da un’astronave con un raggio laser.

“Perché ti è più facile?” disse Luke.

“Mi è più facile nelle orecchie. Vuol dire che così non sono costretto a sentire persone come te massacrare la bellissima lingua cinese.”

Adesso sorrise Luke. “Dimmi, Li. Perché non ti sei ucciso quando ne hai avuto l’opportunità?”

Li fece una faccia di sorpresa esagerata, persino di disgusto. “Perché avrei dovuto? L’America mi piace. E finora sono stato trattato piuttosto bene.”

Era una cosa interessante da dire, considerando che veniva da un uomo che era rimasto ammanettato a una sedia di metallo tutta la notte, con un cappuccio nero e una benda sugli occhi, in un centro di detenzione che non esisteva, e con nessun modo di contattare il mondo esterno. Tecnicamente non era in arresto, e non aveva visto un avvocato. Molte persone avrebbero potuto non essere d’accordo sul fatto che la sua disposizione costituisse un buon trattamento. Alcune avrebbero potuto dire che era scomparso. Sì, non era stato torturato, ma per la maggior parte delle persone la mancanza di tortura era un limite bassino.

Li sembrò quasi leggere nella mente di Luke. “Stamattina ho sentito gli uccellini cinguettare, fuori. È stato così che ho capito che era un nuovo giorno.”

Luke allungò una mano e gli levò la mascherina per gli occhi. “Uccellini all’alba. Molto carino. Sono contento di sentire che finora ti sei divertito. Purtroppo le cose stanno per cambiare.”

“Ah.” Gli occhi dell’uomo si strizzarono all’improvvisa luce. Scrutò la stanza, esaminò Swann e Ed Newsam. Gli occhi gli si fermarono su Ed.

Ed era appoggiato a una parete. Sembrava molto rilassato, e allo stesso tempo minaccioso. Il suo corpo si muoveva appena. C’era così tanta energia potenziale immagazzinata dentro di esso che Ed era come una tempesta sul punto di abbattersi. I suoi occhi non lasciarono mai gli occhi del cinese.

“Vedo,” disse Li.

Luke annuì. “Sì. Vedi.”

Li indurì il volto. “Sono un turista. È tutta una questione di scambio di identità.”

“Se sei un turista,” disse Ed, “magari ti andrebbe di darci i nomi e le informazioni di contatto della tua famiglia, in modo che possiamo farle sapere dove sei. Sai, per dirle che stai bene.”

Li scosse la testa. “Vorrei contattare l’ambasciata cinese.”

“I nostri superiori l’hanno già fatto per te,” disse Luke. Non era vero, per quanto ne sapesse. Aveva cominciato a sbilanciarsi di un centimetro, ma di un centimetro che sapeva avrebbe retto il suo peso.

“È stata una conversazione non ufficiale, come puoi immaginare, data la sensibilità della situazione,” disse. “Potrebbe turbarti sapere che il governo cinese dice che tu non sei reale. Non ci sono registri scolastici, lavorativi, nessuna città natale né storia familiare. Hanno visto una scansione del tuo passaporto, e hanno determinato che si tratta di una furba contraffazione.”

Li fissava dritto avanti a sé. Non rispose.

Luke estese il momento. Non c’era ragione di riempirlo con altre chiacchiere. Aveva visto soggetti spezzarsi non appena compreso che i loro responsabili li avevano disconosciuti. Spezzarsi non era neanche la parola giusta. A volte, quando si scoprivano improvvisamente privi di Paese, cambiavano semplicemente bandiera.