Kostenlos

Colomba

Text
0
Kritiken
iOSAndroidWindows Phone
Wohin soll der Link zur App geschickt werden?
Schließen Sie dieses Fenster erst, wenn Sie den Code auf Ihrem Mobilgerät eingegeben haben
Erneut versuchenLink gesendet

Auf Wunsch des Urheberrechtsinhabers steht dieses Buch nicht als Datei zum Download zur Verfügung.

Sie können es jedoch in unseren mobilen Anwendungen (auch ohne Verbindung zum Internet) und online auf der LitRes-Website lesen.

Als gelesen kennzeichnen
Schriftart:Kleiner AaGrößer Aa

Grazia Deledda

Colomba

Antonio Azar e il suo antico amico Efes Mulas, ora farmacista e riccone, avevano deciso di passar una notte in campagna. Efes era cacciatore; Antonio letterato; entrambi figli di pastori, avevano trascorso l’infanzia sull’altipiano, fra i pascoli e le macchie, e serbavano un profondo sentimento della natura, un modo forte di sentire che nel Mulas confinava con la rozzezza.



Una sera d’agosto i due giovanotti s’avviarono verso l’ovile del padre di Azar: Efes vestiva la sua solita giacca da cacciatore, e aveva il fucile, sebbene la caccia fosse ancora proibita; Antonio indossava un vecchio abito nero che lo rendeva più piccolo e brutto del solito. Il suo volto era terreo, gli occhi cerchiati e foschi.



Oltrepassato un viottolo, stretto da due siepi di rovi verdi picchiettati di more ancora rosse, i due amici presero la via dell’altipiano. Il sole era tramontato, un vastissimo cerchio di purissimi orizzonti circondava il paesaggio; montagne violacee tagliavano coi loro nitidi profili l’occidente roseo: ad oriente la linea d’argento livido del mare lontano. Nella bassura, il villaggio moresco, coperto di noci e di pioppi, s’assopiva già nell’ombra, al mormorio del ruscello che lo attraversava; davanti stendevasi e dileguava la pianura alta, ondulata. Campi di stoppie gialle luccicavano come stagni d’oro nella luminosità del tramonto; e là in fondo, là in fondo, dietro quelle linee d’oro, si inoltrava il regno delle macchie, l’altipiano sconfinato, la brughiera solitaria, quel sogno di solitudine primitiva per il quale Antonio Azar era venuto, con la speranza di tuffarvisi come in un bagno, per dimenticare o per lenire il suo dolore.



– Finora non ti sei che annoiato – gli disse il Mulas quasi seguendo il segreto pensiero dell’amico.



Antonio roteò in aria il bastone, lo lanciò in alto e lo riprese a volo.



– Bravissimo – disse l’altro, seguendo con gli occhi il giuochetto. – Mi vien quasi voglia di farlo anch’io.



– E prova – rispose Antonio, porgendogli il bastone. Ma l’altro lo respinse.



– E via, io sono cacciatore.



– Che importa? Non vuoi provare perché non lo sai.



– Dammi! Uno, due, tre.



Il bastone cadde lontano: i due amici si slanciarono assieme per raccoglierlo, ridendo come bimbi. Ma l’Azar percepì tosto questo momento d’incoscienza infantile, e si rattristò ancora di più: il volto gli si fece quasi livido, e gli occhi corsero all’orizzonte, tetri e smarriti.



– Che triste visione egli vede? – pensò il Mulas, fissandolo. Ed ebbe il desiderio di dirgli qualche cosa che potesse distrarlo, ma non seppe trovar nulla, suggestionato dalla tristezza di Antonio. Per qualche momento tacque avvilito, poi ebbe l’infelice idea di ricordare l’infanzia.



– Ricordi questo? Ricordi quest’altro? – Antonio sorrideva a fior di labbro, un po’ ironico, e taceva.



– Vedi, io credo che tu abbi sbagliato carriera: medico dovevi farti, te l’ho già detto. Medico condotto; ed io farmacista! Figurati come saremmo stati bene felici assieme; e poi tu sindaco ed io assessore, o magari io sindaco e tu assessore: fa lo stesso.



– Per me, non dico, – rispose Antonio, – forse era meglio ritornar qui e seppellirmi, e incretinirmi; ma tu sei ricco, tu bello, tu simpatico, tu allegro. Il mondo era tuo, mentre…



– Mentre che cosa? Prego di credere! Io non mi sono seppellito né incretinito. Tutto, vedi, è relativo, e la gioia è dove la si sa pigliare. Cosa sei tu nel m