Jessica Ek

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Jessica Ek
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Il killer delle laureande

Il Killer delle laureande è un thriller soprannaturale. I temi portanti della storia sono la famiglia, le eredità particolari, il coraggio di cambiare cose che sembrano immutabili e gli scherzi del destino.

Un romanzo d'avventura per tutte le età che condurrà il lettore in un'indagine compiuta dai tre protagonisti con mezzi non tradizionali, a caccia di un serial killer sfuggente e geniale.

Giovanni HAAS

JESSICA EK


IL KILLER DELLE LAUREANDE


Prologo

22 novembre 2011

Sono le 06:58. Mancano due minuti prima che la radiosveglia si metta a suonare, ma Matteo è già sveglio.

Fra meno di un'ora arriverà Nico e non ha proprio voglia di vederlo, anche se è stato lui a chiedergli di passare. Deve esporgli i termini del contratto in prima persona; se lo lasciasse fare ai genitori di Francesca, si farebbero abbindolare da lui e dalle sue chiacchiere. Invece, se sarà chiaro e inflessibile, Nico rinuncerà all'incarico prima ancora di cominciare, e sarà un bene per tutti.

Scattano le 07:00 e Time dei Pink Floyd invade la camera. Matteo allunga la mano per zittire la sveglia ma quella gli sfugge, continuando a torturarlo. Così si gira per vedere dove si sia cacciata e, in quel momento, viene aggredito da una luce fortissima, bianca. Chiude gli occhi, ma l'intensità non diminuisce, anzi. È come se stesse fissando un faretto da 500 watt.

E poi una sagoma nera si frappone tra lui e la fonte di luce, creando un cono d'ombra: Matteo ha l’impressione di osservare un'eclissi di sole senza gli occhiali di protezione. Non riesce a mettere a fuoco, ma riconosce una siringa stretta in una mano che si allunga verso di lui. La sagoma lo raggiunge e gli passa attraverso. Qualcosa è cambiato: ora è sospeso a due metri da terra, e la stanza è diventata gelida; la luce torna ad accecarlo.

Fermo, cosa vuoi fare!

Vorrebbe gridare, ma non ci riesce.

La sagoma scura infila l'ago nel braccio di una ragazza che ha preso il suo posto nel letto. Lei non fa resistenza e pare addormentarsi. La porta della camera si chiude con un tonfo e tutto diventa buio. Matteo riacquista i suoi ottanta chili e cade sulla ragazza.

Conosce bene quella sensazione. Sa che nessuno è rimasto schiacciato sotto il suo peso.

Con un moto di rabbia colpisce la sveglia, zittendola. Rovista nel cassetto, prende due pasticche per il mal di testa e le ingoia senz'acqua.

Ti troverò, Francesca. Ti troverò.


Capitolo 1

Per una ragazza abituata alla segnaletica delle strade di Zurigo non è stato facile muoversi in auto nella campagna piemontese. Jessica ha faticato non poco per trovare quella casa sperduta nel verde.

Senza scendere dalla macchina controlla l'iscrizione sulla targa posta sopra la cassetta della posta.

MATTEO BALESTRA

Consulenze investigative e precognizioni

Eccoti, finalmente. Ti ho trovato.

I suoi sentimenti sono un misto di emozioni: orgoglio e soddisfazione perché le sue ricerche stanno rapidamente avendo successo, timore perché nella sua vita ora tutto è cambiato. Nel giro di una settimana ha perso le sue certezze, si è lasciata alle spalle ciò che ha fatto e costruito nella sua vita, ha abbandonato le persone che l'hanno aiutata a crescere e a diventare ciò che è oggi; ha rinnegato quello che prima credeva essere giusto, e ora sa essere sbagliato.

Ha preso una nuova strada, e non sa ancora se Matteo vorrà accompagnarla e sostenerla in questo viaggio.

Percorre i pochi metri che mancano per arrivare alla casa e spegne il motore della Twingo. Rimane alcuni minuti seduta, le mani strette sul volante e la tentazione di ritornare da dove è venuta.

Quando finalmente scende dall'auto, l’aria fresca le sposta i capelli castani lasciati sciolti sulle spalle e la spinge ad abbottonarsi la giacca di jeans. Indossa degli scarponcini di pelle, un paio di blue jeans e una camicetta di cotone bianca con dei ricami neri.

Certo, sarebbe stato meglio indossare qualcosa di più pesante quel giorno, magari un maglione o una giacca a vento, ma quando ha scelto come vestirsi si è preoccupata più dello specchio che del meteo.

Il vialetto che abbandona la strada sterrata e porta alla proprietà è in ghiaia rossa e taglia in due un prato ben curato, circondato da una staccionata in legno. Oltre quello steccato, il sottobosco è privo di sterpaglie, solo erba e foglie secche.

Tra i rami quasi spogli degli alberi filtra, senza difficoltà, la luce del sole ancora basso nel cielo. Non ci sono cancelli, e neppure cartelli che indicano una proprietà privata; al contrario, sopra la veranda della casa in pietra e legno è appesa una balestra ornamentale di un metro e mezzo con la scritta “Benvenuti”.

La leggera brezza porta alle sue narici un profumo di bosco e di natura selvaggia, cosa rara in città; per assaporarlo appieno, Jessica prende due respiri profondi per poi rilasciarli adagio adagio. Gira lentamente lo sguardo tutt'intorno per ammirare il paesaggio che l’autunno ha ridipinto sui toni del rosso e dell’arancio, del verde scuro, del viola e dell’oro. La rugiada, colpita dai raggi di sole, fa risplendere le foglie che dondolano alla brezza e crea in quell’angolo di bosco un caleidoscopio baluginante di vita segreta: un tripudio di emozioni la travolge, le sembra di non essere mai stata in un luogo tanto bello, e probabilmente è così.

Questo benessere, però, svanisce in fretta; qualcosa la mette a disagio, ha l'impressione di essere osservata. Un tramestio proveniente dal bosco alle sue spalle la sorprende col cuore in gola. Si volta di scatto. Uno scoiattolo si sta arrampicando su un albero: ha la pelliccia marrone, quasi rossiccia, e una coda lunga e folta. Sale rapido sino a metà del tronco e lì si ferma; per qualche istante pare guardare proprio lei, poi torna a salire veloce verso i rami più alti. La bestiola sparisce dalla sua vista e il buon umore torna a impadronirsi del suo animo. Tutta la preoccupazione e i timori che le occupavano i pensieri prima di scendere dall'auto, ora sembrano svaniti.

Jessica osserva il porticato: vorrebbe camminare a passo deciso e bussare alla porta, ma adesso che si trova lì davanti non è più così semplice come lo aveva immaginato. Getta sguardi furtivi attraverso le finestre coperte dalle tendine per cercare di capire se c'è qualcuno in casa. Sulla destra della casa c'è un capanno di legno con il portone aperto che lascia intravedere diversi attrezzi da lavoro; accanto al capanno è parcheggiato un Qashqai nero 4x4.

Uno sbuffo, quasi un lamento, sembra provenire dal capanno.

«C’è qualcuno?»

Non riceve risposta.

Ancora lo stesso suono, questa volta più deciso e forte. Jessica dà un’occhiata alla sua auto: non si è allontanata molto, tre o quattro metri al massimo. In quel momento un grosso cane, forse un San Bernardo viste le dimensioni, attraversa il portone con passo lento e annoiato. Si ferma a metà strada per stirare la muscolatura e si sdraia sull'erba come se fosse esausto per quella breve passeggiata.

«Ciao, bel cagnone.»

Jessica sorride, ha sempre amato gli animali e in particolare i cani. Quello non sembra avere brutte intenzioni, ma lei tiene sott’occhio la portiera della Renault, pronta a saltare in macchina se il pelosone dovesse dimostrarsi aggressivo.

Quasi si senta chiamato in causa, il cane abbaia un paio di volte con un timbro più acuto; Jessica fa un passo indietro, ma non può non notare che il San Bernardo sta muovendo la coda in modo chiaramente affettuoso.

«Vuoi delle coccole?»

Il cane abbaia ancora e si lascia cadere su un fianco, mostrando il lungo pelo bianco sotto la pancia. Con cautela, Jessica gli si avvicina; si abbassa piegando le ginocchia e gli accarezza dapprima la testa e poi l’addome. Il San Bernardo alza le zampe verso il cielo.

Mancavi solo tu per rendere questo posto perfetto. Una giornata iniziata così non può finire male. Pensa.

Dà un'ultima carezza al cane, si rialza e, con nuove energie, va alla porta. Non c'è un campanello; bussa, aspetta qualche secondo senza ricevere risposta e bussa in modo più deciso.

«È aperto, entra pure!»

Sorpresa dalla strana accoglienza, Jessica apre la porta; è di legno massiccio e molto pesante, deve fare più forza di quanto si aspettava. Fa due passi in silenzio, ma all'interno non vede nessuno; le ci vuole qualche istante perché la vista si abitui alla semioscurità. Si ferma a osservare la casa, un unico grande locale con le pareti in legno, arredato in stile country chic, molto carino e ben curato nonostante le dimensioni ridotte.

Sulla destra c’è la piccola cucina con tavolo da pranzo, una dispensa di noce, i fornelli e il lavandino di ceramica sotto la finestra con le tende ben chiuse; a sinistra si apre il soggiorno con un divano rosso rubino, un tavolinetto colmo di libri, una tv appesa al muro e il camino di pietra nell'angolo; un po' di brace arde ancora e il buon odore di legna avvolge la stanza.

Accanto alla porta d’ingresso ancora aperta, c'è una scrivania con una poltrona in pelle; al centro della parete un'altra finestra con le tende tirate. A prima vista sembra che chi ci vive ci tenga a tenere tutto in ordine. Nella parete in fondo, proprio di fronte all’ingresso, una porta socchiusa lascia filtrare un po' di luce; probabilmente dà sulla camera da letto e il bagno.

 

«La porta! Chiudi la porta che esce il caldo, e non lasciare entrare Obelix!» La stessa voce che l'ha invitata a entrare proviene da lì. Ora sembra leggermente scocciata.

Jessica percepisce in modo chiaro un pensiero, come se fosse suo: È appena arrivato e già mi dà fastidio.

Per riuscirci normalmente si deve concentrare, ma in questo caso è stato del tutto involontario. Mentre chiude la porta vorrebbe dire qualcosa, consapevole di essere vittima di un equivoco, ma la stanza diventa buia e lei resta con lo sguardo fisso verso quella voce, indecisa sul da farsi.

«A proposito, come mai sei già qui?» L’uomo apre la porta permettendo alla luce di invadere il locale. «Eravamo d'accordo di vederci tra…»

Fa un passo verso di lei e si blocca.

Indossa solo delle ciabatte da spiaggia e un asciugamano legato in vita; ha il viso quasi completamente coperto di schiuma da barba, la pelle è libera solo dove le lamette hanno già fatto il loro lavoro. Entrambi restano immobili a fissarsi.

«Mi scusi» balbetta lei.

«E lei chi è?»

«Mi chiamo Jessica Ek. Avrei bisogno di parlare con il signor Balestra.»

«Lo sta facendo.»

L’uomo si controlla l'asciugamano, fa un passo avanti e allunga la mano per salutare, ma la ritrae subito, perché imbrattata di schiuma.

Jessica non riesce a togliere lo sguardo da quel fisico allenato: spalle larghe, bicipiti e pettorali vigorosi, per non parlare degli addominali. La pelle è abbronzata abbastanza da capire che a lavorarci non è stato solo il sole di agosto, i capelli sono tenuti corti in modo da sembrare sempre in ordine.

Il suo ospite dimostra al massimo trent'anni, ma lei sa che ne ha trentaquattro, due meno di lei. Evidentemente è una persona che tiene al suo fisico, non c’è nulla di male in un po’ di sana vanità. «Mi scusi, aspettavo qualcuno. In ogni caso, vado a sistemarmi e sono da lei in un momento.»

Torna un po’ di fretta al di là della porta e la lascia socchiusa.

«Per favore, apra le tende e si accomodi pure, signorina… Ek, giusto?»

«Esatto, Ek, ma mi può chiamare Jessica.»

«E lei mi può chiamare Matteo.»

Ora che quella stanza è completamente illuminata, Jessica si sente più a suo agio, anche se mentre si sbottona la giacca e si siede al tavolo da pranzo, si sente sciocca per non essere riuscita a tenere lo sguardo fisso sul volto del padrone di casa e per aver permesso ai suoi occhi di perlustrarne la bellezza.

«Non mi pare di avere mai sentito questo cognome» s'informa lui.

«È svedese.»

«Ecco svelato il suo accento.»

Nel dire queste parole si riaffaccia alla porta dandole un'occhiata; lei percepisce che si è trattato di un controllo, ma non se la prende: in fondo è un'estranea e l'ha lasciata sola nel suo soggiorno.

«In realtà, sono di madrelingua tedesca.»

«Comunque non si nota quasi.»

A intervalli regolari si sente l'acqua scorrere e il rasoio che viene pulito con dei colpetti sul lavandino.

«Deve davvero scusarmi» riprende Matteo, «non immaginavo di trovare lei in soggiorno. Credevo fosse entrata un'altra persona che sto aspettando.»

«Forse non ho scelto il momento giusto per venire qui.»

«Si figuri, abbiamo una mezz'oretta. Inoltre, Nico è sempre in ritardo.»

Sempre che si faccia vedere. Jessica sente senza problemi anche questo pensiero.

Visto che il tempo a sua disposizione è poco, ne vuole sprecare il meno possibile e cerca di accelerare i preliminari.

«Possiamo darci del tu? Così mi riesce più facile parlare di certe cose.»

Forse, però, ha fatto uno sbaglio; anche se non riceve un pensiero chiaro, percepisce dello stupore giungere dall'altra stanza. D’altronde, si sono appena presentati. Con suo sollievo, la risposta è comunque positiva.

«Come preferisci, ma di cosa mi vuoi parlare?»

Jessica fissa lo scorcio di locale al di là della porta: vorrebbe continuare il suo discorso, ma non le escono le parole.

«Se non sai da dove iniziare, ti consiglio di partire dall'inizio.»

Matteo si affaccia di nuovo e sorride. Jessica, incrociando i suoi occhi, abbassa lo sguardo.

«Forse no, Matteo, forse è meglio partire dalla fine e dirti subito perché sono venuta; quando tornerai di qua, potrei non averne più il coraggio.»

«Così mi fai preoccupare» le risponde in tono quasi scherzoso e a voce alta, per farsi sentire sopra lo scroscio dell'acqua che è tornata a scorrere.

«Sono tua sorella.»

Quella frase suona come una deflagrazione nella stanza silenziosa.

Matteo riemerge da dietro la porta con il rasoio in mano: la parte destra del viso rasata e l'altra ancora coperta dalla schiuma.

«Come hai detto, scusa?»

Jessica lo guarda dritto negli occhi. «Hai sentito bene. Siamo fratelli.»

«Fratelli? Non è possibile! E poi, mi hai appena detto che sei svedese.»

«Anche io sono stata adottata.»

Ora lo ha colpito anche più duro. Lo vede nell’espressione stupefatta del ragazzo rasato a metà.

«Anche tu? Adottata? Ma… che significa, io non…»

«Torna di là, per favore, e ti racconto tutto.»

«Ma che scherzo è questo? Chi ti ha…»

«Ti prego, ti racconterò tutto. Torna di là che è più facile» Jessica vede un volto incredulo, forse arrabbiato. «Ti prego.»

Matteo continua a fissare la ragazza per qualche secondo, poi scuote la testa e se ne ritorna in bagno.

E dopo un attimo ancora di silenzio, lei comincia il suo racconto, questa volta dall'inizio e nel modo più conciso possibile, seguendo il discorso che si era preparata. L'acqua del lavandino ricomincia a scorrere.

«Sono cresciuta alla Pem di Zurigo, una scuola per ragazzi con delle doti più sviluppate della norma, sai cosa intendo… come le nostre, insomma.»

Una piccola pausa in attesa di una reazione; nulla, si sente solo il rasoio picchiettare sul lavandino.

«Ho sempre saputo che il dr. Magnus Ek era il mio padre adottivo, e credo che abbia sempre cercato di fare bene il suo lavoro. Comunque, non avevo idea di chi fossero i miei veri genitori, fino a qualche settimana fa, quando ho scoperto che mia madre… nostra madre, è una donna che ha lavorato alla Pem fino a quando avevo quasi diciotto anni.

Non è stato facile trovarla, ma ci sono riuscita e sono andata da lei. Mi ha raccontato molte cose sull'istituto dove sono cresciuta e dove ho lavorato fino alla scorsa settimana. Cose che inizialmente ho faticato a credere, ma che in realtà hanno dato una risposta a molte delle domande che mi sono sempre posta e a cui nessuno ha mai voluto dare una spiegazione in modo sincero.

«Non ho mai sentito parlare di questa Pem. Cosa significa esattamente?» La domanda di Matteo lascia trasparire scetticismo. Jessica immagina che lui stia pensando che voglia fregarlo o vendergli qualcosa.

«È un acronimo, il nome completo è PEMH School & ISR: significa Pre-Elementary-Middle-High School & Institute for Superior Research. Più semplicemente, Pem.»

«Caspita, bisogna essere superdotati solo per ricordarsi il nome.» Anche se non può vederlo, percepisce che Matteo non la sta prendendo sul serio. «E si trova a Zurigo questa Pem?»

«A Küsnacht, per essere precisi, un bellissimo paese sul lago di Zurigo; lì c'è la sede europea, mentre la direzione generale è in California. Non ci sono ragazzi più intelligenti, ma dotati di capacità che sono considerate molto speciali. Si calcola che una persona su centomila sviluppi in modo involontario delle capacità oltre la norma, ma solo l'uno per cento ne diventa consapevole, e di questi unicamente una minima parte metterà in pratica delle tecniche per perfezionare al meglio la propria “superdote”. Per questo motivo esiste la Pem, per trovare questi ragazzi speciali così da invitarli a sviluppare le loro capacità.»

«Invitarli?»

«Sì, esatto, non esiste la possibilità di iscriversi autonomamente, sono i professori e i ricercatori dell’istituto che cercano e contattano i genitori di possibili candidati a frequentare i corsi presso il centro. Più che ragazzi si tratta sempre più di bambini, anche molto piccoli; come saprai, questo tipo di capacità prima viene esercitata e più grandi sono i risultati che si possono raggiungere. Per questo motivo, l’istituto è dotato di tutti i gradi scolastici.»

Jessica attende un cenno, che però non arriva; riprende allora il discorso da dove è stata interrotta.

«Ovviamente, di tutto quello che mi ha raccontato nostra madre, la cosa che mi ha davvero sconvolta è stata sapere della tua esistenza. Tua e... del tuo gemello. Un vero shock, Matteo.»

L'acqua smette di scorrere.

«Gemello?» Il tono di Matteo è chiaramente irritato adesso. Si affaccia per guardarla bene: «Ma che stai dicendo?»

«Fammi finire, ti prego.»

Che stupida che sono. Aveva previsto un modo più delicato per rivelargli che aveva anche un gemello, ma quando le emozioni sono così forti è difficile seguire i piani. «Nostra madre è stata costretta a darci tutti in adozione. Fortunatamente, ha avuto la possibilità di conoscere me lavorando alla Pem, mentre di voi due non ha potuto tenere le tracce. Lei è una cartomante specializzata nella lettura del pendolino sai, per fare le ricerche e avere delle…»

Il suo racconto viene interrotto da un pensiero di Matteo più forte degli altri.

So cosa fa una cartomante.

Jessica percepisce anche una forte diffidenza nei suoi confronti.

«Scusa, è ovvio che lo sai.» dice. Poi alza lo sguardo dalla tovaglia e lo vede; Matteo è in piedi appena oltre la porta, e ha un'espressione esterrefatta. Indossa un vestito grigio con camicia azzurra e cravatta bordeaux scuro; così vestito non sembra lo stesso ragazzo di qualche minuto prima, eppure non ha perso nulla del suo fascino.

«È grazie al suo aiuto che è riuscita rintracciarti, e a scoprire cosa fai per vivere. Purtroppo, però, non ha trovato nulla su Ronaldo. Non sa neppure se il nome che aveva scelto per lui è stato cambiato.»

Jessica accenna un sorriso e solleva leggermente le mani dal tavolo, a indicare di aver finito.

«Scusami, Matteo. Mi rendo conto che tutto questo appaia sconvolgente, è stato così anche per me. Mi scuso anche per la mia incapacità di essere delicata ma… come vedi l’argomento non è dei più semplici da affrontare e noi due siamo praticamente degli estranei. Non mi stupirebbe se mi cacciassi via, sono sincera.»

Lui tace scuotendo la testa piano, quasi fatichi a prendere una decisione.

«Caspita, Jessica» dice infine, «il tuo racconto è incredibile e mi dispiace che tu stia vivendo tutto questo praticamente da sola.»

«Da sola fino a ora, ma adesso che ci siamo ritrovati potremmo riuscire dove non è riuscita nostra madre, e scoprire dove si trova nostro fratello.»

«Piano, piano. Nostra madre, nostro fratello… ascolta: io non credo tu stia parlando con la persona giusta.» Matteo usa un tono gentile, quasi parlasse con una bambina o con qualcuno molto disturbato. «Io non sono stato adottato e so di non avere sorelle o fratelli.»

Jessica resta seduta e accusa il colpo. Ovvio che dica così: è sconvolto. Non si era aspettata di vederlo correrle incontro e abbracciarla gridando “sorellina mia!”.

Matteo si siede di fronte a lei. Il suo sguardo è accomodante ora. «Mi spiace, ma credo che quella che chiami “nostra madre” ti abbia raccontato un sacco di frottole o, perlomeno, abbia letto male il suo pendolino e si sia sbagliata nel ritenere me uno dei suoi gemelli.»

«Matteo, so che è difficile da accettare, ma ti assicuro che non può essersi sbagliata. Come ti ho detto, è brava in quello che fa. La migliore.»

«Senti, io non ho idea quali siano le vostre capacità, ma so per certo…»

Lei allunga le braccia sul tavolo e prende le sue mani.

«Lo sento, ne sono certa. L'ho capito subito, da come è stato facile connettermi con i tuoi pensieri.»

Nello stesso istante, con una forza inaspettata, quasi violenta, Jessica viene invasa da una sensazione di angoscia e paura. Matteo sta fissando un punto indefinito ed è immobile, pare in stato di trance.

 

«Matteo? Mi stai ascoltando?»

Lui si riprende, rimette a fuoco la stanza e sfila le mani dalle sue.

«Senti, Jessica, ora devi proprio andartene. Sto aspettando una persona e non ho davvero tempo da dedicare a questa storia.»

«Ma cosa è successo?»

«Adesso non ho tempo. Per favore.» Matteo si alza e va verso la porta. «Torna da dove sei venuta, dimentica me e tutta questa questa strana storia che ti porti dietro. Non ha senso.»

Jessica sente una fitta di dolore percorrerle la mente. Il cuore le batte forte nel petto mentre asseconda la richiesta di Matteo e si alza. «Allora tornerò quando avrai un po' più di tempo e potremo…» non vuole arrendersi.

«No» fa lui, perentorio «lo dico per il tuo bene. Devi uscire da questa casa e non tornarci più.»

Jessica resta in silenzio a fissarlo.

«Ok, me ne vado, ma solo se mi dici cosa è successo. Ho letto delle tue capacità, so che vedi il futuro.»

«Cos’altro sai, sentiamo.»

«Che da queste parti sei piuttosto famoso, hai aiutato la polizia a risolvere un paio di importanti casi di ragazzi scomparsi. Hai una rubrica su una rivista settimanale e sei spesso ospite di talk show televisivi e radiofonici. Non è un caso, lo capisci?»

Matteo riflette un momento. «Va bene, ma poi te ne devi andare, chiaro?» Torna al tavolo, ma senza sedersi. Il suo tono non lascia spazio a repliche. Jessica annuisce.

«Ebbene, come sai ho la capacità di vedere avvenimenti non ancora accaduti. Quando mi hai preso le mani, ho visto chiaramente qualcuno che moriva; l'immagine è stata molto forte ed è sicuramente legata alla tua presenza qui. Quindi, anche se è probabile che io mi sia sbagliato, è meglio non correre rischi. Ora, per favore…» Matteo si dirige nuovamente alla porta.

«Chi hai visto morire?»

«Non lo so, non la conosco.»

«Allora era una donna. E come moriva?»

Eri tu, dannazione!

«Ora basta, vattene per favore!»

Il pensiero di Matteo è stato così forte da confondersi con le sue parole. Jessica sente chiaramente la sensazione di orrore che il giovane ha provato Ora è davvero spaventata.

«Va bene, vado. Ti chiamerò nei prossimi giorni, abbiamo entrambi bisogno di riflettere.»

«Ok, ok. Ma ora, per favore, lasciami solo.»

«Ti lascio il mio biglietto, chiamami appena ti sentirai pronto.»

Jessica gli lascia un biglietto con il numero corretto a penna e va alla porta, mette la mano sulla maniglia e si rigira verso Matteo.

«Hai mai avuto la visione di questo nostro incontro?»

«No.»

Lei vorrebbe aggiungere qualcosa, tipo "è stato un piacere" o "ci vediamo presto", ma non trova nulla di adatto.

«Ciao, Matteo.»

Lui accenna una risposta al suo saluto con un gesto del capo, ma non dice nulla.

Nell'uscire sotto il porticato, Jessica s’imbatte in un uomo sulla quarantina, con barba non curata, capelli troppo cresciuti e in disordine e un generale aspetto trasandato. Emana un puzzo di fumo misto a whisky o a qualche altro superalcolico, ma non pare ubriaco; probabilmente, è il suo vecchio cappotto alla tenente Colombo che si porta appresso i ricordi della notte precedente. È molto più alto di lei, e pur stando un gradino più in basso la potrebbe guardare dritta negli occhi, ma in realtà la sta esaminando dalla testa ai piedi.

Ma che bella topolina. «Buongiorno, signorina, si è persa?»

«Buongiorno. Cosa glielo fa credere?»

«Solo il fatto che non avevo mai visto una ragazza così graziosa da queste parti.»

«Forse non è mai stato qui nel momento giusto.»

E bravo, Matteo. I pensieri dell’uomo sono nettissimi.

Lui la saluta di nuovo ed entra senza bussare. Jessica gli risponde con un sorriso: essere definita “graziosa” l'ha divertita almeno quanto essere considerata una topolina. Incuriosita, si ferma a origliare, ma riesce unicamente a percepire alcuni pensieri: il nuovo arrivato è contento di essere lì, ma le cose cambiano dopo il primo scambio verbale che lei non può sentire, e i sentimenti dei due sono unicamente di contrasto; adesso entrambi paiono seccati di trovarsi insieme nella stessa stanza.

Quando non le arriva più nulla, scende i gradini del portico. Di fianco alla sua auto c'è una vecchia Mazda verde che, a giudicare dalla stato della carrozzeria, non pare passarsela bene; c'è anche Obelix sdraiato al sole che l'aspetta per ricevere una grattatina sulla pancia, e Jessica nonostante tutto sorride. Mentre si avvicina al cane dà un'occhiata nell'auto verde e, sui sedili posteriori, vede una scatola di cartone piena di libri, saranno almeno una ventina.

Incuriosita, prova a leggere qualche titolo; ci riesce solo con uno di quelli appoggiati più in alto che mostra la copertina. Und dann gabs keines mehr.

«Ma guarda, abbiamo gli stessi gusti in fatto di gialli.» dice piano, poi si accovaccia per accarezzare Obelix che uggiola di contentezza. E mentre è china sull’animale sente ancora quella sensazione strisciante di quando è arrivata: qualcuno la sta osservando dal bosco.

Si alza e osserva il paesaggio, poi, seguendo un istinto che conosce bene, chiude gli occhi. Un manto gelido l'avvolge, vede una ragazza intenta a proteggersi dal freddo con una coperta grigia, prova un brivido intenso di paura e solitudine e poi più nulla.

***

Nico appoggia la giacca sulla poltrona in pelle e osserva Matteo seduto al tavolo che si massaggia le tempie; è sorpreso di non vederlo come sempre in perfetta forma.

«E tu che ci fai qui?» gli chiede Matteo, che sembra accorgersi di lui solo in quel momento.

«Guarda che sei tu che mi hai fatto venire, visto che mettere piede nel mio ufficio sembra ti faccia venire l'orticaria.»

«Solo tu puoi chiamare ufficio uno sgabuzzino in un magazzino abbandonato.»

«Almeno io un ufficio ce l’ho.»

«Anch’io, ci sei dentro.»

«Ok, ok, lasciamo perdere. Piuttosto, dimmi, chi è la topolina che è appena uscita?»

Dalla finestra osserva Jessica fare le coccole a Obelix.

«Nulla che potrà mai avere a che fare con te.»

Nico continua a guardare la ragazza; lei si alza di scatto e si guarda intorno, fa qualche passo verso la staccionata e si ferma a osservare il bosco come stesse cercando qualcosa. Torna indietro, sale in macchina e lascia la proprietà. Lui si volta verso Matteo.

«Che ti è successo? Sei malato? Hai un aspetto che fa paura.»

«E tu hai usato il cognac invece del dopobarba?»

Matteo muove la mano davanti al naso, come per cambiare aria, e l'altro si annusa con fare indifferente il collo della pesante camicia da boscaiolo lasciata cadere sopra i jeans.

«Nico, dobbiamo parlare del caso Motta.»

«Cosa cosa? Vuoi parlare con me di Francesca Motta? Ma non mi avevi detto di starne alla larga, che avrei messo la polizia su false piste, in agitazione il rapitore, se non addirittura in pericolo la vita della ragazza?»

«E la penso ancora così; tu sei un problema e lo abbiamo già visto in passato con il caso Elia. Se esiste anche una sola possibilità di salvare questa ragazza, non voglio che la bruci.

Questo è un colpo basso; risveglia il rancore che accompagna i due, da quando i genitori di Elia avevano ingaggiato Nico per ritrovare il ragazzo. Lavoro che lo aveva portato a uno scontro frontale con Matteo, incaricato ufficialmente dalla polizia quale consulente.

«Allora, se è così che la pensi, credo che non abbiamo nulla da dirci. Ti saluto.»

«Aspetta, non sono io che ti voglio tra i piedi. Vuoi ascoltarmi?»

Nico lo osserva. «Vai avanti.»

«Edo e Silvia vogliono tentarle tutte per ritrovare la figlia; sono disposti a buttare via un po' del loro denaro per provare anche con te.»

«Ah, ora la situazione è più chiara. Temi che ti rubi il palcoscenico, vero?»

«Non ti montare la testa. Se accetterai il caso, sarò io a gestire tutte le informazioni: quelle che andranno alla polizia, quelle che saranno da comunicare ai genitori di Francesca e quelle da buttare. E solo la polizia potrà passare notizie alla stampa.»

«Ridicolo. E come farai a impedirmi di parlare con la polizia o con i genitori di Francesca? Scordatelo. Io non sono il tuo sottoposto» Gli occhi neri di Nico brillano di orgoglio ferito. Si passa una mano tra i capelli, anch’essi scuri, e aggiunge: «perché è sempre così maledettamente difficile avere a che fare con te, eh?»

«Queste sono le condizioni. Sono tutte in questo accordo tra te e i Motta.» Matteo gli mostra un foglio che ha appena preso dalla sua elegante cartella di pelle e lo appoggia sul tavolo, invitandolo a leggerlo, cosa che però Nico non fa.