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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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CAPITOLO III

Nozze tra Ferdinando Duca di Calabria con Isabella di Chiaramonte nipote del Principe di Taranto. Morte di Papa Eugenio, ed elezione in suo luogo del Cardinal di Bologna chiamato Niccolò V, che conferma ad Alfonso quanto gli aveva conceduto il suo predecessore Eugenio

Re Alfonso dopo aver stabilita la pace col Pontefice Eugenio, fu tutto inteso non meno ad assicurare la successione del Regno nella persona del Duca di Calabria, che a soddisfare il Papa di quanto ne' capitoli della pace erasi convenuto. In adempimento del primo capitolo fece prestargli ubbidienza da tutti i Sudditi e Prelati; e poichè il famoso Canonista Panormitano avea assistito al Concilio di Basilea, ed avea avuta gran parte a quanto ivi fu fatto contro il Pontefice Eugenio, in ricompensa di che era stato nominato Cardinale da Felice V Antipapa, lo fece richiamare e l'obbligò a cedere il Cardinalato, e a ritornare nel suo Arcivescovado di Palermo, dove morì di peste l'anno 1445. Ma vedendo che D. Ferdinando non era molto amato da' suoi vassalli, per essere di natura dissimile a lui, siccome colui che s'era scoverto superbo, avaro, doppio e poco osservatore della fede, cominciò a dubitare non il Regno dopo la sua morte venisse in mano aliena; onde trovandosi averlo destinato per successore, cercò di fortificarlo di parentadi, ed inteso che il Principe di Taranto teneva in Lecce una figlia della Contessa di Copertina sua sorella carnale, giovane di molta virtù e da lui amata come figlia, mandò a dimandarla per moglie del Duca di Calabria; ed il Principe ne fu contentissimo, e la condusse molto splendidamente in Napoli. Parve al Re di avergli con ciò acquistato l'ajuto del Principe di Taranto; e per maggiormente fortificarlo, cercò di stringerlo anche di parentado col Duca di Sessa che era pari di potenza al Principe: e diede a Martino di Marzano, unico figliuolo del Duca, D. Lionora sua figlia naturale, assegnandogli per dote il Principato di Rossano con una parte di Calabria.

Ma mentre Alfonso è tutto inteso a stabilire la successione del Regno per suo figliuolo, a soddisfare il Papa di quanto ne' capitoli della pace erasi convenuto: ecco che Eugenio, infermatosi gravemente, venne a morte il dì 23 di febbraio di quest'anno 1447. Per questa morte si levarono in Roma grandi tumulti, perchè gli Orsini dall'una banda ed i Colonnesi dall'altra, sforzavano i Cardinali che avessero creato Papa a volontà loro; ma ritrovandosi il Re a Tivoli, spedì tosto suoi Ambasciadori al Collegio de' Cardinali ad esortargli che nell'elezione non s'usasse alcun maneggio, perch'egli non avrebbe fatta usare alcuna violenza, ma che procedessero a farla con tutta la libertà senza passione o timore. Assicurati i Cardinali da Alfonso, tosto con gran conformità elessero il dì 6 marzo il Cardinal di Bologna uomo mite e pacifico, il quale si può porre per uno de' rari esempj della fortuna, perch'essendo figliuolo d'un povero medico di Sarzana, castello piccolo posto ne' confini di Toscana e di Lunigiana, in un anno fu fatto Vescovo, Cardinale e Papa che nomossi Niccolò V. Il Re di questa elezione restò molto contento, e mandò quattro Ambasciadori che si trovassero alla coronazione, e gli dassero da parte di lui ubbidienza.

Mutossi in un tratto lo stato delle cose d'Italia; poichè ad un Papa di spiriti bellicosi essendone succeduto un altro tutto amante di quiete e di pace, in breve tempo si vide il riposo d'Italia e della Chiesa di Roma; poichè subito cominciò a trattare la pace tra' Veneziani, Fiorentini ed il Duca di Milano. Estinse tosto ogni reliquia di Scisma, che eravi rimasa, poichè ascoltò volentieri le proposizioni d'accordo che gli furono fatte da' Principi cristiani. L'Antipapa Felice ed i suoi aderenti, trovandosi parimenti disposti alla pace, facilitarono l'accordo, il qual fu fatto con condizioni vantaggiose per amendue i partiti, cioè che Felice avrebbe rinunziato alla pontifical dignità; ma che sarebbe il primo fra i Cardinali, e Legato perpetuo della Santa Sede in Alemagna: che sarebbero rivocate dall'una e dall'altra parte tutte le scomuniche e l'altre pene fulminate da' Concilj o dai Papi contendenti contro quelli del partito opposto: che i Cardinali, i Vescovi, gli Abati, i Beneficiati e gli Ufficiali delle due ubbidienze, sarebbero mantenuti ne' loro posti: che le dispense, indulgenze e l'altre grazie concesse da' Concilj, ovvero da' Papi delle due ubbidienze, come pure i decreti, le disposizioni ed i regolamenti che avessero fatti, avrebbero sussistenza: in fine che Niccolò V adunerebbe un Concilio generale in Francia sette mesi dopo l'accordo: e tutte queste condizioni, alla riserva dell'ultima, furono eseguite. Felice rinunziò il Pontificato, e Niccolò fu da tutti riconosciuto per Papa, il quale impiegò il rimanente del suo Pontificato ad acquietare le turbulenze d'Italia, e da questo tempo, fino alla fine del secolo, si vide in pace la Chiesa di Roma.

Col Re Alfonso fu tutto mite e pacifico; non pur confermò quanto erasi pattuito col suo predecessore, ma per le molte spese che il Re avea sofferte nella guerra della Marca, e per altri soccorsi somministratigli pochi giorni dopo il suo ingresso al Pontificato, a' 22 marzo di quest'istesso anno gli spedì Bolla, colla quale gli restituì le Terre d'Acumulo, Cività Ducale e Lionessa nella Montagna dell'Amatrice334, date da Alfonso ad Eugenio in iscambio della città di Benevento e di Terracina, con rimanere le suddette città ad Alfonso e suoi successori nel Regno (toltone il tributo di due sparvieri l'anno) senza pagamento di censo alcuno; assolvendolo anche nell'anno 1452 con altra particolar Bolla dal suddetto tributo di due sparvieri, che detto Re dovea alla Sede Appostolica in quell'anno, e per tutto il tempo passato, per le città suddette di Benevento e Terracina.

Confermò poi a' 14 gennajo dell'anno 1448 con altra Bolla tutte le grazie e concessioni che tanto ad Alfonso, quanto a Ferdinando suo figliuolo erano state da Eugenio concedute; ed a' 27 aprile del seguente anno con altra Bolla confermò, e di nuovo concedè la legittimazione e successione del Regno di Napoli fatta dal detto Papa Eugenio a Ferdinando Duca di Calabria, con ampliarla di più che detto D. Ferdinando potesse succedere negli altri Regni d'Alfonso suo padre.

(Oltre i suddetti privilegj e concessioni, Niccolò V spedì da Assisi nell'anno 1454 Bolla ad Alfonso, per la quale gli concede il dominio d'un'isola nell'Arcipelago, vicina all'isola di Rodi, con un castello diruto che s'apparteneva alla religione de' Cavalieri di S. Giovanni, affinchè potesse fortificarlo, empir d'abitatori l'isola e valersi del suo porto, per far argine alle incursioni de' Greci e de' Saraceni. Leggesi la Bolla presso Lunig335).

Così Alfonso, secondandolo la fortuna in ogni cosa, disbrigato da tutte le cure della guerra, e riposando in una placida e tranquilla pace, dopo avere scorsa la Toscana, ritornò in Napoli, dove giunto trovò che la Duchessa di Calabria sua nuora avea partorito un figliuolo che poi fu Re Alfonso II, che nel tempo del parto apparve in aria sopra il Castel Nuovo un trave di fuoco, che fu presagio della terribilità che avea da essere in lui. I Napolitani fecero molti segni d'allegrezza per lo ritorno del Re, il quale fermatosi in questa città, quivi lungamente si stette, attendendo parte a' piaceri, parte a fabbriche e parte a riordinare i Tribunali di giustizia.

CAPITOLO IV

Origine ed istituzione del Tribunale del S. C. di S. Chiara, ora detto di Capuana

Fra i molti fregi che adornarono la persona del Re Alfonso, il più celebrato sopra ogni altro fu quello d'avere avuto in somma stima, non meno gli uomini d'arme, che quelli di lettere e di consiglio. Egli ammiratore della grandezza de' Romani, delle loro magnanime imprese e della loro saviezza e prudenza non meno civile che militare, non avea altro diletto che leggere le loro istorie; e la sua ordinaria lezione era sopra Livio, di cui fu tanto adoratore che da Padova, ove giaceano le sue ossa, proccurò da' Veneziani che in memoria di sì grande Istorico gli dassero un osso del suo braccio, il qual fece con gran religione trasferire in Napoli. Conferiva ciò che vi leggeva con uomini dottissimi, che tenne sempre appresso di se, favorendogli con molti segni di stima e di onore.

Essendo a' suoi dì caduta Costantinopoli sotto il giogo de' Turchi, ed estinto l'Imperio greco, molti grand'uomini, che fiorirono in quella città, per iscampare dalla loro barbarie, fuggirono in Italia dove portarono le lettere e la greca erudizione. Si videro perciò fiorire Gaza, Argiropilo, Fletone, Filelfo, Lascari, Poggio, Valla, Sipontino, Campano, Bessarione e tanti altri336: tanto che alla caduta di Costantinopoli si deve, essersi in Italia restituite l'erudizione e le lettere più culte e tolta la barbarie. Alfonso nella sua Corte n'accolse molti, in guisa che quella fioriva non meno d'eccellenti professori Latini che Greci. Tenne presso di se il famoso Trapezunzio, Crisolora, Lascari e dei Latini il celebre Lorenzo Valla, Bartolommeo Facio, Antonio da Bologna detto il Panormita, Paris de Puteo e tanti altri. Ebbe pur anche presso di se uomini di fina prudenza e consiglio, e fra gli altri il famoso Alfonso Borgia Vescovo di Valenza: questi nato in Xativa nella diocesi di Valenza, coltivò nell'Università di Lerida i suoi studj, dove avendo fatti mirabili progressi, prese il Dottorato e ne divenne eccellente Cattedratico. Fu poi eletto Canonico di quella città, e per la fama della sua dottrina entrato in somma grazia del Re Alfonso, fu da costui creato suo intimo Consigliere e Cappellano; non molto da poi fu eletto Vescovo di Valenza; e mentre reggeva questa chiesa, avendo Alfonso intrapresa l'espedizione del Regno di Napoli, lo condusse seco, della di cui opera, come si è detto, molto giovossi, quando mandato in Roma, fu impiegato nel gravissimo affare della pace col Pontefice Eugenio, la quale felicemente condusse a fine.

 

Quando Alfonso, dopo tanti travagli si rese pacifico possessore del Regno, e voltò i suoi pensieri a ristabilirlo, ad introdurvi miglior forma di governo e a riordinare i nostri tribunali, il suo principal Ministro e Consigliere era il Vescovo di Valenza: costui nelle deliberazioni più gravi v'avea la maggior parte, ed il Re da' suoi consigli pendea più che da qualunque altro. Diedero occasione all'erezione di questo Tribunale del S. C. gli abusi, che si vedeano introdotti in Napoli per cagion de' ricorsi, che dalle determinazioni del Tribunale della Gran Corte della Vicaria si facevano al Re. Questo Tribunale composto, come s'è detto, di quello della Gran Corte e dell'altro del Vicario, era in Napoli e nel Regno il Tribunal supremo, ed i suoi Giudici che lo componevano, erano i Magistrati ordinarj: dalle determinazioni di quello non vi era appellazione, poichè sopra di lui non si riconosceva altro Tribunale superiore ove potesse ricorrersi per via d'appellazione. Non avea la retrattazione, che ora appelliamo reclamazione, e la quale presso i Romani era solamente del Prefetto Pretorio; onde per riparare alle gravezze non vi restava che un rimedio, fuori dell'ordine de' giudizj ordinarj, e questo era ricorrere al Re per via di preghiere e di memoriali. Il Re soleva alle volte destinar certe persone, alle quali rimetteva i memoriali ad esso portati, perchè gli riconoscessero, e fattogliene informo, di sua autorità emendassero le gravezze; e queste persone erano chiamate Giudici d'appellazioni della Gran Corte, ond'è, che prima dell'erezione di questo Tribunale, nelle scritture di quei tempi spesso di questi Giudici fassi memoria. Più frequentemente però i Re, senza legarsi a certa persona, mandavano i memoriali ora ad uno ora ad un altro Giureconsulto per sapere il lor parere, i quali da poi ch'aveano inteso il lor consiglio e letto il voto, determinavano essi, e la decisione usciva sotto il nome regio337. Questo costume portava degli abusi e de' disordini; poichè sovente affari importantissimi erano risoluti secondo il parere d'un solo. Crescevano ancora i ricorsi, venendo non pur da' Tribunali della città di Napoli, ma ancora dalle province del Regno; onde si vedea gran disordine, che senza una particolar ragunanza di più savj, avessero da emendarsi le tante gravezze per voti di particolari Giureconsulti.

In altra guisa praticavasi nel Regno di Valenza, dove vi era particolar Consiglio assistente presso il Re, di cui egli era capo, dove i ricorsi che da tutti i Tribunali ordinarj di quel Regno erano al Re portati, s'esaminavano in quel Consiglio, da cui procedevano le ammende e le retrattazioni. A somiglianza dunque del Consiglio di Valenza, il Re Alfonso, guidando ogni cosa il Vescovo Borgia, pensò stabilirne un consimile in Napoli, il quale si componesse di più insigni Giureconsulti e di più gravi e savj uomini, che assistendo presso la sua regal persona conoscessero sopra tali ricorsi, e volle dichiararsene egli capo, siccome ne fu autore.

Il Cardinal di Luca338 portò opinione, che il Vescovo Borgia, poi Cardinale e Papa, formasse questo Consiglio non pure secondo l'idea di quello di Valenza, ma anche essendo egli dimorato lungo tempo in Roma, molti istituti e modelli prendesse dal Tribunale della Ruota romana, che allora era in fiore e che alla formazione di questo Senato vi ebbe parte, non meno il Consiglio di Valenza, che la Ruota di Roma; ed in effetto, siccome questo Tribunale da quello di Valenza prese il nome di Consiglio, così ancora il luogo ove si tenne, prese da Roma il nome di Ruota; e siccome nella Ruota romana non v'è uso di libelli, o come ora diciamo d'istanze, ch'è de' Magistrati ordinarj, ma di preci o suppliche o memoriali, che si drizzano al Papa, il quale per mezzo del Prefetto della Signatura di giustizia, le segna e commette; così ancora in questo Tribunale non vi han luogo libelli, siccome negli altri Tribunali inferiori della città e del Regno, ma le suppliche che si drizzano al Re, il quale per mezzo del Presidente del Consiglio, le segna e commette.

Fu adunque questo Tribunale del Consiglio eretto in Napoli principalmente per li ricorsi, che al Re portavansi dalle determinazioni della Gran Corte della Vicaria e delle altre Corti inferiori, non meno della città che delle province del Regno. Fu detto perciò il Tribunale delle appellazioni; poichè costituito supremo a tutti gli altri, poteva in conseguenza da questi a lui appellarsi. Questo Tribunale riconoscendo per suo capo il Re istesso, e le sue membra essendo di persone per nobiltà e dottrina illustri, venne ad acquistare le maggiori prerogative e preminenze sopra tutti gli altri. Quindi, come s'è detto, non cominciano in esso le cause per via di libelli, ma di suppliche che bisogna indirizzare al Re, le quali poi segnate e commesse acquistano forza di libelli. Quindi nasce, che dalle sue determinazioni non si dà appellazione, ma solamente retrattazione, ovvero come chiamiamo reclamazione, a somiglianza del Prefetto Pretorio. Quindi acquistò il nome di Sacro per la sacrata persona del Re, che se ne dichiarò capo, e per esser suo proprio e particolar Consiglio presso la sua regal persona assistente: onde avvenne, che per consimil cagione all'Audienza d'Otranto si diè anche il nome di Sacra Audienza, perchè un tempo presedè a quella il Re Alfonso II d'Aragona339; e perocchè questa provincia fu poi divisa in due, cioè d'Otranto e di Bari, quindi anche quella di Bari si disse Sacra340. Quindi le sentenze si promulgano sotto il nome del Re, e si veggono ancora molte sentenze sottoscritte dall'istesso Re Alfonso; onde se accade in quelle nominarsi il Vicerè e alta persona illustre, non altro titolo se gli dà, se non quello con cui dal Re vien chiamata341. Quindi in questo sacro Auditorio non è permesso, nè tampoco a' Nobili entrare cinti di spada o d'altre arme, nemmeno a coloro, che possono portarle sin dentro il gabinetto del Re. Quindi egli solo tien la campana, e conosce delle cause di tutti i Tribunali della città e del Regno; le sue sentenze s'eseguono manu forti et armata; e vien adornato di tante altre prerogative e preminenze, di cui il Tassoni342 ed il Toppi343 ne tesserono lunghi cataloghi: e a' dì nostri il Dottor Romano344 ne compose un ben grosso volume.

Ma infra l'altre sue prerogative, la maggior fu quella di conoscere per via d'appellazione delle cause di tutti i Tribunali della città e del Regno, ed in questi principj a quello s'appellava, anche de' decreti interposti dalla Regia Camera della Summaria, siccome testificano Marino Freccia345, e Giovan Battista Bolvito in un breve discorso latino, che compose sopra questo Tribunale, che M. S. si conservava nella Biblioteca de' SS. Appostoli di questa città, il qual fu dal Summonte trascritto nella sua Istoria346; ed apparisce ancora da una lettera347 del Re Alfonso rapportata dal Toppi, il quale Autore fa vedere ancora, che qualora nel Tribunale della Summaria dovea decidersi qualche articolo di ragione, s'avea ricorso al Consiglio di S. Chiara, che vi giudicava per via d'appellazione348.

Ma ciò, che deve riputarsi degno d'ammirazione, si è il vedere, che questo inclito Re pose in tanta eminenza questo Tribunale, che ordinò, che anche le cause degli altri suoi numerosi Regni e province, potessero riportarsi a quello per via d'appellazione. Ecco ciò, ch'egli dice in una sua regal carta de' 13 agosto del 1440 rapportata dal Toppi349, parlando di questo Consiglio e de' suoi Ministri: Quibus decrevimus omnes causas Regnorum nostrorum Occiduorum et Regni nostri Siciliae ultra Pharum, esse remittendas. E siccome si è veduto, possedeva questo gran Re in quel tempo i Regni d'Aragona, di Valenza, di Majorica e di Sardegna, possedeva la Corsica, il Contado di Barzellona, e 'l Rossiglione e la Sicilia di là dal Faro; e finch'egli visse, avendo fermata la sua sede regia in Napoli, insino da sì remote parti si portavano per via d'appellazione le cause in questo Consiglio; e ci restano ancora i vestigj di molti processi, donde appare questo Tribunale essere stato in quel tempo Giudice d'appellazione di tutti que' Regni e Signorie. Donde si convince quanto sia vano il credere, che questo Regno sin da' tempi d'Alfonso fossesi reso dipendente dalla Corona d'Aragona. Si perdè poi questa prerogativa, quando succeduto Ferdinando figliuolo d'Alfonso nel solo Regno di Napoli, non ebbe più che impacciarsi negli altri Regni di Spagna, ne' quali succedè Giovanni d'Aragona fratello d'Alfonso.

 

Teniamo l'origine, il nome e l'occasione per cui fu questo Tribunale istituito; teniamo ancora il tempo e l'Autore; ma intorno a quest'ultimo, pare, che la prammatica 2 collocata sotto il titolo de Ufficio S. R. C. ce ne metta in dubbio. Il Surgente350 su tal appoggio credette, che non già Alfonso ne fosse stato l'autore, ma Ferdinando I suo figliuolo: ma questa prammatica o è apocrifa o scorretta; ripugnando ciò alla testimonianza degli Autori contemporanei e ai pubblici documenti.

Michiel Riccio351 celebre Giureconsulto ed Istorico, Autor prossimo ad Alfonso, che fiorì nel Regno di Ferdinando I, e fu Presidente e Viceprotonotario di quest'istesso Tribunale, lo testifica nella sua grave e dotta Istoria, che compose de' Re di Napoli e di Sicilia; ecco le sue parole: Alphonsus, etc. reddendi juris adeo studiosus, ut Consilium constituerit, quod omnes appellarent ex toto suo Regno; cui praefecit Episcopum Valentiae (qui postea Nicolao V successit, et Calistus est appellatus) cum prius ad Vicariae Tribunal, aliosque minores Regni Judices confugere cogerentur, et inde jus petere.

Il nostro famoso Matteo d'Afflitto352 che fiorì nei medesimi tempi, e che sotto l'istesso Ferdinando fu Consigliere di questo Consiglio pur dice: Sic fuit sententiatum in Sac. Consilio tempore immortalis memoriae Regis Alfonsi I de Aragonia, tempore quo praesidebat Episcopus Valentiae, qui postea fuit Papa Calistus III. Marino Freccia353 colle stesse parole di Michiel Riccio rapporta il medesimo: e così tennero i più appurati Scrittori delle nostre memorie, il Summonte354, il Chioccarello355, il Reggente Tappia356, il Tassone357 e tutti gli altri insino al Toppi358, che fu l'ultimo, che scrisse dell'istituzione di questo Tribunale.

I diplomi d'Alfonso I inseriti nelle loro opere da questi Autori, ne' quali questo Re fa menzione di questo Tribunale da lui instituito, convincono il medesimo: il Chioccarello359 ne rapporta tre, due in novembre e dicembre dell'anno 1449, l'altro in febbrajo del 1450; il Summonte360 due altri, uno de' 23 novembre del 1450, l'altro de' 2 agosto dell'anno 1454, e molti altri possono vedersi presso Toppi ne' luoghi allegati.

La prammatica, che s'attribuisce a Ferdinando I, Toppi361 credette che fosse apogrifa e supposta; poichè in niuno degli antichi volumi impressi delle Prammatiche si vede, e sol si legge senza giorno ed anno nell'ultime edizioni; testificando in oltre quest'Autore, che per esatta diligenza ch'egli avesse fatta in Cancellaria, ove sono notate tutte le prammatiche del Regno, non la ritrovò mai. Comunque ciò sia, egli è più tosto da credere, che questa prammatica per errore de' compilatori o degl'impressori, in vece di portar in fronte il nome d'Alfonso, se gli fosse dato quello di Ferdinando. E veramente chiunque considera le parole di quella, non possono a patto veruno convenire a Ferdinando, ma sì bene tutte acconciamente si adattano ad Alfonso. Questo Re poteva nominare i Re d'Aragona suoi predecessori, non già Ferdinando, il quale non fu mai Re d'Aragona, nè succedè ne' Regni paterni di Spagna, ma solo nel Regno di Napoli per ragion d'investitura, della legittimazione fattagli dal padre e per l'acclamazione de' Napoletani. Molto meno possono a lui convenire quelle parole: Igitur cum Neapolis Siciliae Regnum, jure quodam legitimo, et haereditario nobis debitum nostrae nuper ditioni restitutum sit, idque non armis tantum nostris, quantum immortalis Dei beneficio, etc. Ciò che s'avvera d'Alfonso, che più per le arme, che per lo titolo d'adozione se ne rese padrone. Ferdinando ebbe a guerreggiare co' suoi Baroni più tosto che con nemici stranieri, e mal si godette il Regno acquistato colle armi e sudori di suo padre. Non è dunque da dubitare, che Alfonso fosse stato l'Autore di sì illustre Tribunale, e che tutta la sua disposizione e forma si debba al Vescovo di Valenza, a cui meritamente Alfonso ne diede la cura e sopraintendenza.

334Chioc. l. 1. M. S. giurisd.
335Tom. 2 pag. 1254.
336V. Giovio negl'Elogj degl'uom. illustr.
337V. Tappia Jus Regni, in rubr. de Off. S. R. C. num. 6.
338Card. de Luca Relat. Cur. Rom. lib. 13 disc. 32 n. 13.
339Tappia loc. cit. n. 10.
340Tasson. de Antef. vers. 3 obs. 7 p. 111.
341Tasson. l. c. n. 75 et vers. 7 obs. 3 n. 70.
342Tasson. de Antefato loc. cit.
343Toppi de Orig. S. R. C. lib. 1 cap. 4.
344Roman. de praeem. S. R. C.
345Freccia lib. 1 de Subfeud. de Offic. M. Camerar. n. 15 et 16.
346Summon. tom. 3 pag. 99.
347Litera R. Al. apud Toppi, pag. 442 tom. 2 de Orig. Tribunal.
348Toppi tom. 2 de Orig. Trib. lib. 1 cap. 4 n. 34 et 35 ivi: in quibus de jure disceptabitur, etc.
349Toppi tom. 2 p. 442 et 496.
350M. A. Surg. de Neap. illust. cap. 17 n. 45.
351Ricc. lib. 4 de Reg. Neap. et Sicil.
352Afflict. decis. 291 n. 3.
353Freccia de Subfeud. lib. 1. cap. de Antiq. Statu. Regni n. 38.
354Summonte tom. 3 lib. 5 p. 69.
355Chiocc. de Episc. Neap. in Gaspare de Diano p. 277.
356Tappia in rub. de Offic. S. R. C. in Jur. Reg.
357Tasson. de Antef. loc. cit.
358Topp. tom. 2 de Orig. Trib. lib. 1 cap. 1.
359Chiocc. loc. cit.
360Summ. loc. cit.
361Toppi loc. cit. cap. 2.