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Il re del mare

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14. Il demonio della guerra

Il Re del Mare, imbarcata rapidamente la scialuppa, aveva subito virato di bordo lanciandosi verso il nord, onde non impegnarsi fra le scogliere che si prolungavano verso occidente.

La squadra degli alleati accorreva a tutto vapore, sperando di tagliargli il passo e forzava le macchine per giungere in tempo.

Nessuna però di quelle navi, tutte di tipo antiquato, logorate nelle stazioni d’oltre mare, poteva competere col velocissimo incrociatore, il quale marciava già a tiraggio forzato, nè poteva competere colle sue formidabili artiglierie, che erano le più moderne di quell’epoca.

I proiettili cadevano fitti sul ponte dell’incrociatore e battevano anche furiosamente i suoi fianchi e le granate scoppiavano in buon numero sulle torrette con un fracasso assordante ed alzando lunghe fiammate, senza però riuscire a spaccare le lastre metalliche.

La nave delle tigri di Mompracem rispondeva con pari energia. I suoi grossi pezzi da caccia tuonavano senza posa, danneggiando gravemente gli avversari, troppo deboli per misurarsi con lui.

Yanez, colla eterna sigaretta in bocca, e Sandokan assistevano tranquillamente a quell’orribile spettacolo, senza che un muscolo del loro viso trasalisse. Solamente quando qualche proiettile colpiva in pieno le navi avversarie, manifestavano la loro compiacenza con una fumata più vigorosa il primo e con una semplice mossa del capo il secondo.

A bordo il rimbombo era assordante, spaventevole.

Getti di fuoco scattavano dalle feritoie delle torricelle e dai sabordi delle batterie e nembi di fumo avvolgevano i fianchi della poderosa nave.

Il Re del Mare fuggiva rapidissimo, sottraendosi al minaccioso accerchiamento della squadra, lasciandosi dietro turbini di fumo e di scintille.

Passò come un proiettile fra due navi che cercavano di stringerlo, scaricando addosso a loro due tremende bordate e proteggendosi con due pezzi di poppa.

La squadra degli alleati, impotente a dargli una caccia vigorosa per deficienza di velocità, rimaneva indietro, nonostante marciasse pure a tiraggio forzato. Le sue palle non giungevano più sul ponte dell’incrociatore.

Già le tigri di Mompracem si credevano oramai salve, quando dietro un’altra scogliera videro uscire a tutto vapore quattro superbi incrociatori, grossi quanto il Re del Mare.

– Saccaroa! – esclamò Sandokan. – Da dove sono sorte quelle navi, Yanez?… Fa’ mettere la prora al nord!

I quattro incrociatori si erano slanciati sulla via del Re del Mare, ma disgraziatamente eran comparsi troppo tardi per prendere parte attiva al combattimento.

– Un momento prima e non so come ce la saremmo cavata, – disse Yanez, che li osservava attraverso la feritoia di comando.

– Ma ora, signor Yanez, ci rimarranno sempre a poppa, – disse l’ingegnere americano che li osservava attentamente. – Forse per armamento potranno competere con noi; non certo per forza di macchine. Guardate: guadagniamo visibilmente via e fra sei ore non li vedremo più.

– E di chi saranno quelle belle navi? – chiese Tremal-Naik. – Non vedo alcuna bandiera ondeggiare sulle loro alberature.

– Suppongo che siano inglesi, – rispose Yanez. – Apparterranno forse alla squadra anglo-indiana. Prima a Labuan, non si vedevano navi così moderne.

– E pare che non ci vogliano lasciare così facilmente, – disse Sandokan, che era rientrato in quel momento nella torre. – Fortunatamente siamo fuori di portata ormai dalle loro artiglierie. Aspetteremo la notte per fare falsa rotta e piegare verso occidente. Risaliremo dalle coste di Labuan.

– Che credano che noi cerchiamo di tentare un colpo di testa su quell’isola? – chiese Yanez.

– O su Mompracem, – rispose Sandokan. – Peccato di dover consumare tanto carbone per mantenere una simile velocità.

– Ne abbiamo ancora abbastanza da farli correre e poi, ci riforniremo più tardi a spese dei piroscafi mercantili.

Il Re del Mare continuava intanto la sua corsa rapidissima a tiraggio forzato. La squadra degli alleati, che aveva tentato di circondarlo presso la scogliera, era ormai quasi fuori di vista, mentre i quattro incrociatori, pur perdendo via, continuavano vigorosamente la caccia.

Dovevano possedere nondimeno anche essi delle macchine poderose, poichè, quando l’alba sorse, il Re del Mare non era riuscito a guadagnare che un miglio e divorando immense quantità di carbone. Avendo però quattro miglia di vantaggio fino da prima, si teneva benissimo fuori di portata dalle artiglierie che in quell’epoca non potevano tirare a simile distanza.

A mezzodì la caccia non era cessata, ma un altro miglio era stato raggiunto.

Yanez, che non aveva lasciato un solo istante la coperta, stava per scendere nella sala da pranzo, quando fu avvicinato da Darma.

La fanciulla appariva imbarazzata e molto triste.

– Signor Yanez, – disse fermandolo. – L’avete veduto?…

– Chi? – chiese il portoghese, quantunque avesse compreso che cosa desiderava sapere.

– sir Moreland.

– No Darma. Non l’ho scorto su nessun ponte di comando della squadra degli alleati.

La fanciulla era diventata pallida.

– Che sia morto? – chiese poi.

– Lui?… E perchè?… Non si è misurato con noi e quando io gli ho danneggiata la sua scialuppa a vapore era vivo quanto me.

– Che sia su una di quelle quattro navi?

– Non l’ho veduto nemmeno su quelle, Darma. Ho osservato attentamente i ponti col cannocchiale, senza scorgerlo.

– Eppure il mio cuore mi dice che egli deve essere su uno di quegli incrociatori.

Yanez sorrise senza rispondere e offertole il braccio la condusse nella sala da pranzo.

Alla sera i quattro incrociatori erano ancora in vista, ad una distanza di dodici miglia. I loro camini vomitavano torrenti di fumo, tuttavia perdevano continuamente strada.

A mezzanotte, il Re del Mare, che non aveva accesi i suoi fanali, virava bruscamente di bordo dirigendosi verso ponente, in direzione del capo Tanjong-Datu per gettarsi nel mare della Sonda.

Il bisogno di rifornirsi di carbone s’imponeva e, privi come erano di porti amici, senza più l’aiuto della Marianna, non avevano altra speranza che di prenderne alle navi inglesi, le quali non dovevano certamente avere interrotto i loro viaggi.

Sandokan, dopo essersi assicurato che gli incrociatori non erano più visibili, aveva ordinato di ridurre la velocità dell’incrociatore onde economizzare il combustibile, non sapendo quando avrebbe potuto rinnovare le sue provviste di già nuovamente molto scarse.

Avvistato due giorni dopo il capo Tanjong-Datu, il Re del Mare aveva proseguita la corsa verso il nord-ovest, sperando di sorprendere in quella direzione qualche nave proveniente da Singapore o dai porti di Giava o di Sumatra, tuttavia nei primi giorni che si seguirono nessun fumo fu segnalato all’orizzonte.

Certo, la voce che un corsaro batteva quei paraggi si era sparsa su tutte le isola della Sonda ed i piroscafi inglesi non avevano osato abbandonare i loro ancoraggi ed attendevano che la squadra di Labuan lo catturasse o lo affondasse.

Sandokan e Yanez, quantunque molto preoccupati, dipendendo dall’abbondanza del carbone la loro salvezza, non erano però uomini da disperarsi.

Potevano ancora percorrere, a velocità ridotta, tre o quattrocento miglia e spingersi quindi fino nei mari della Cina meridionale e, se lo avessero desiderato, tentare ancora qualche buon colpo.

Non avevano però, almeno pel momento, alcun desiderio di allontanarsi troppo dalle coste del Borneo. Forse anche la flotta inglese dell’estremo Oriente doveva già essersi messa in moto per catturarli e non desideravano affrontarla con una così scarsa dotazione di carbone.

– Aspettiamo, – aveva detto Sandokan a Tremal-Naik che lo interrogava sui suoi progetti. – Non ci conviene pel momento lasciare questi paraggi ed oltrepassare le isole Natuna e Bunguran.

So bene che lassù le navi da predare non mi mancherebbero, se lo volessi; però anche qui il lavoro non ci mancherà.

– Che cosa aspetti qui? Si direbbe che tu attenda qualche cosa?

– Infatti, aspetto, – rispose Sandokan con un sorriso misterioso. – Desidero raccogliere, ad un tempo i due piccioni ed anche la fava.

– Sono già quattro giorni che abbiamo lasciato le acque di Sarawak.

– Il tempo per noi non ha valore. Aspettiamo dunque.

– E quegli incrociatori che continuano l’inseguimento?

– Certo, – rispose Sandokan, – ma dietro a chi? Io sono ormai convinto di averli ingannati e dubito molto di ritrovarli per ora sulla mia via.

Per quarantott’ore il Re del Mare continuò a navigare verso il nord-ovest, spingendosi assai lontano dalle coste bornesi, poi, avendo nuovamente avvistate le isole Natuna e Bunguran, ripiegò verso levante, desiderando i due comandanti fare una punta a Bruni, la capitale del sultanato del Borneo, sapendo che era di quando in quando frequentato da piroscafi inglesi.

Non dovevano ingannarsi. Avevano lasciate le isole da una quindicina di ore, quando una grossa nave si profilò sull’orizzonte limpidissimo. Era uno steamer a due ciminiere e tambure, che filava in direzione di Bruni, forse per far scalo colà prima di risalire verso i mari della Cina.

La bandiera rossa che si vedeva ondeggiare a poppa, aveva confermato le speranze di Yanez e di Sandokan, i quali pareva che fiutassero da lontano le navi avversarie.

Lo steamer, accortosi della presenza dell’incrociatore e anche dei suoi colori, dapprima aveva continuata la sua corsa verso il nordest, poi aveva bruscamente virato di bordo lanciandosi verso levante, onde cercare un rifugio in qualche baia del Borneo.

Il suo comandante, prima della sua partenza dai porti dell’India, doveva aver ricevuto avviso della presenza d’un corsaro malese nelle acque dei mari della Sonda e si era subito dato alla fuga, non potendo impegnare la lotta.

 

Il Re del Mare però, quantunque lo steamer corresse velocissimo e vomitasse torrenti di fumo dalle sue due ciminiere, segno certo che forzava le sue macchine, con un’abilissima manovra lo raggiunse, sparando dapprima una cannonata a polvere, poi a palla, per fargli meglio comprendere che era risoluto ad affrontarlo.

Vedendo che non obbediva, e che anzi aumentava la velocità, con una seconda cannonata tirata da uno dei suoi pezzi da caccia gli sconquassò il cassero.

Un momento dopo la bandiera bianca s’alzava sulle cime del trinchetto, mentre la velocità scemava.

– Ha del fegato quel comandante, – disse Yanez, mentre si mettevano in acqua le scialuppe. – Disgraziatamente non possiamo essere generosi e quel superbo piroscafo andrà a raggiungere gli altri in fondo al mare della Malesia.

Discese nella lancia a vapore e si diresse verso lo steamer seguìto da cinque scialuppe montate da settanta uomini, fra malesi e dayaki.

Il piroscafo si era arrestato a dieci gomene dal Re del Mare. Era una magnifica nave, montata da numerosi passeggeri, i quali, muti, atterriti, aspettavano ansiosamente l’abbordaggio dei corsari. Il comandante, attorniato dai suoi ufficiali, non aveva abbandonato il ponte.

Yanez fu il primo a salire a bordo. Attraversò la folla e si fece sotto il ponte di comando, dicendo al capitano dello steamer, che non si era mosso per incontrarlo:

– Non siete troppo cortese, signore, verso un uomo che avrebbe potuto cannoneggiarvi.

– Fatelo, se così vi piace, – rispose freddamente il comandante. – Io non mi oppongo. Pensate però che a bordo della mia nave vi sono cinquecento e più donne, molti fanciulli e molti uomini che non sono inglesi.

– Avete scialuppe sufficienti per contenerli tutti, compreso l’equipaggio?

– Sì.

– La costa bornese non è lontana e il mare per ora non ha alcuna intenzione di guastarsi. Fate imbarcare tutti e andatevene, perchè il piroscafo non appartiene ora che a me.

– I miei marinai ed i passeggeri sono liberi di abbandonare la nave, io resterò qui, qualunque cosa debba accadere, – disse l’inglese. – Io non cedo ai pirati di Mompracem.

– Ah!… Sapete chi noi siamo? Bravissimo: vi affonderò colla vostra nave.

– Voi l’affonderete?…

– Ci appartiene per diritto di guerra e, non avendo alcun interesse per conservarla, la offriremo ai pesci. Vi accordo due ore e aspetto coll’orologio alla mano.

– Vi ripeto che io non lascerò la nave, – rispose l’inglese con ostinazione. – Desidero affondare insieme ad essa.

– Se non vi strapperemo colla forza dal ponte di comando, – rispose Yanez, impazientito.

Il portoghese stava per ritornare verso i suoi uomini che aiutavano i marinai del piroscafo a mettere in acqua le scialuppe, quando si vide venire incontro un uomo piccolo, tozzo, col mento accuratamente rasato e che celava gli occhi sotto due occhiali affumicati.

– Comandante, – gli disse lo sconosciuto, levandosi vivacemente il cappello e sbottonandosi una lunga zimarra di panno oscuro che pareva non gli desse alcun fastidio, nonostante il caldo intenso. – Voi siete uno di quei famosi pirati della Malesia?

– Uno dei capi, – rispose Yanez, guardando con curiosità quell’omiciattolo panciuto e paffuto.

– Allora mi prenderete con voi, perchè io stavo appunto cercando una nave che mi sbarcasse a Mompracem.

– Noi non andammo in quell’isola, che d’altronde non è più in nostro possesso e non imbarchiamo altro che uomini di mare e di guerra.

– Io volevo venire con voi per combattere gli inglesi, signore. Io conosco tutte le vostre meravigliose imprese.

– Voi! – esclamò Yanez, con accento beffardo.

– Voi non sapete chi sono io.

– No di certo.

– Il demonio della guerra, o meglio, se vi piace, il dottor Paddy O’Brien di Filadelfia, infine un uomo che potrà causare danni immensi agli inglesi. Ecco perchè, signore, voi non rifiuterete d’imbarcarmi sulla vostra nave assieme ai miei bagagli. Vi renderò dei preziosi servigi, tali da far stupire e anche tremare il mondo!…

15. Le ultime crociere

Yanez aveva ascoltato pazientemente, guardando con curiosità, non esente da una certa ironia, quel piccolo uomo che promettevasi quasi di sconvolgere il mondo, chiedendosi se aveva dinanzi qualche formidabile invenzione o un pazzo.

Lo sconosciuto, vedendo che il portoghese non si decideva a rispondere ed indovinando di certo i pensieri che gli passavano pel capo, disse:

– Voi credete che il dottor Paddy O’Brien abbia il cervello esaltato, è vero signore? O per lo meno che abbia voglia di scherzare? Ebbene, no, comandante, perchè io sono riuscito a fare una scoperta prodigiosa, che otterrà dei risultati terribili.

– Continuate, – disse flemmaticamente Yanez, che cominciava a divertirsi.

– Sapete che si è ora trovato il mezzo di accendere le lampade elettriche senza bisogno di filo? A Chicago, nel mio stabilimento elettrico, ho fatto degli esperimenti straordinari e a delle distanze di quattromila metri.

– Poco interessanti per me quelle esperienze, mio caro signor Paddy O’Brien. A noi bastano i nostri cannoni per demolire i nostri avversari.

– E che cosa fareste, se io vi dicessi che ho anche trovato il mezzo di accendere a delle distanze notevoli dei barili di polvere?

– Ah!… – fece Yanez, levandosi da una tasca una sigaretta ed accendendola. – Una scoperta davvero stupefacente, mirabile.

– Che vi sembra inverosimile, è vero, comandante? – disse lo scienziato.

– Io non l’ho ancora esperimentata, quindi non devo nè crederla vera, nè deriderla.

– Acconsentite ora ad imbarcarmi? Se vi rifiuterete sbarcherò a Bruni ed andrò ad offrire il mio segreto agli inglesi.

– Giacchè desiderate fare una corsa attraverso i mari della Malesia a bordo del Re del Mare, non mi oppongo affatto. Vi avverto inoltre che vi faremo ben guardare da uomini fedeli, incorruttibili, fino al momento in cui si presenterà l’occasione di esperimentare la vostra stupefacente, meravigliosa, terribile scoperta. Non si sa mai!… Potreste in un momento di malumore, provarla contro di noi e fare scoppiare il nostro Re del Mare.

– Fate pure.

– E che i vostri bagagli, che devono di certo contenere il segreto di quella diavoleria spaventosa, si terranno sotto sequestro sotto la mia personale vigilanza.

– Non mi oppongo.

– E aggiungo ancora che farò intrecciare appositamente un buon canapo per appiccarvi senza misericordia, se vi saltasse il ticchio di tentare qualche cosa contro di noi. Mi avete ben compreso signor demonio della guerra?

– Perfettamente, – rispose l’americano.

– E così?

– Accetto, comandante.

– Non dite però a nessuno che voi siete un parente di messer Belzebù; i nostri uomini sono gente risoluta e coraggiosa, ma potrebbero spaventarsi sapendo d’aver io imbarcato il demonio della guerra. Dottore fate cercare i vostri bagagli.

Durante quello strano colloquio, i passeggeri avevano sgombrato lo steamer, affollandosi confusamente nelle scialuppe, dove erano già imbarcati i viveri sufficienti per poter raggiungere la costa bornese, senza correre il pericolo di soffrire la fame e la sete.

Non si erano però ancora allontanate, attendendo il loro comandante, il quale si era ancora recisamente rifiutato di lasciare la sua nave, nonostante le preghiere dei suoi ufficiali e le intimazioni di Yanez e dei suoi uomini.

Il valoroso marinaio anzi si era seduto tranquillamente su una sedia a dondolo, che aveva fatta portare sul ponte di comando e si era messo a fumare la sua pipa, con una calma che aveva stupito gli stessi malesi.

Alle minacce di Yanez di farlo imbarcare colla violenza, egli aveva risposto con una semplice scrollata di spalle.

Il portoghese ammirando quel coraggio, prima di risolversi a lanciare contro il comandante i suoi primi uomini, aveva fatto avvertire Sandokan.

– Ah!… Non vuole lasciare la sua nave? – aveva risposto la Tigre della Malesia, che era a portata di voce. – Che ci rimanga, giacchè così vuole.

Ordinò alle scialuppe di prendere subito il largo, sotto la minaccia di colarle a fondo, in caso di rifiuto, e non s’occupò più di quell’uomo.

– E lo lasceremo saltare colla sua nave? – chiese Yanez.

– Pensiamo a vuotare i depositi di carbone ora. Devono essere ben poco forniti giacchè questa nave stava per finire il suo viaggio. Ti mando un rinforzo di cento uomini onde non perdere troppo tempo. Siamo troppo vicini a Bruni e potremmo venire sorpresi.

Come Sandokan aveva già previsto, i pozzi dello steamer erano quasi tutti esauriti, dovendo esso rifornirsi di carbone a Bruni prima di proseguire pei mari della Cina.

Non erano rimaste che poche tonnellate di combustibile, quantità assolutamente insufficiente per completate le provviste del Re del Mare, il quale aveva molto consumato durante la sua precipitosa ritirata.

Nondimeno ci vollero non meno di quattro ore per trasbordarle sull’incrociatore, insieme ad una considerevole quantità di viveri e alla cassa di bordo, molto ben fornita.

Durante quel saccheggio, il comandante inglese non aveva nè lasciato il suo posto, nè mossa alcuna protesta.

Aveva continuato a fumare colla sua solita flemma ed aveva anche accettato un bicchiere di whisky che Yanez gli aveva offerto, sorseggiandolo con perfetta calma. Quando le ultime scialuppe, cariche di carbone, si furono allontanate, il portoghese s’avvicinò all’inglese e dopo d’averlo salutato cordialmente, gli disse:

– Signore, noi abbiamo finito.

– Allora tocca a me di finire la mia esistenza, – rispose il comandante dello steamer.

– Metto a vostra disposizione la mia jola ben fornita di viveri e anche d’una vela, che vi permetterà di raggiungere le scialuppe prima che giungano alla costa. Guardate, la brezza soffia dall’ovest e vi è favorevole.

– Vi ho detto che io non abbandonerò la mia nave e manterrò la parola. Questo steamer, che da sei anni guido attraverso l’oceano, lo amo troppo per lasciarlo e se deve andare a picco mi inabisserò con lui.

– Ditemi almeno quale morte preferite? Volevo farlo saltare in aria con una tonnellata di polvere, nondimeno se desiderate lo squarceremo invece con una palla dei nostri più grossi cannoni. Almeno lo vedrete sommergersi lentamente e forse potrete pentirvi, prima che scompaia tutto sotto le onde.

– Ciò non mi riguarda, signore; fate quello che credete.

– Addio, signore, siete un coraggioso.

– Addio comandante e buona fortuna, – rispose l’inglese, un po’ ironicamente. – Ah! vi pregherei di un favore.

– Dite pure.

– Di far avvertire i miei armatori di Bombay, se ne avrete l’occasione, che John Kopp è morto a bordo della sua nave, come un vero uomo di mare.

– Lo farò, ve lo prometto. Fra dieci minuti avrò l’onore di cannoneggiarvi.

– Per quel momento avrò terminata la mia pipata.

Si separarono, levandosi le berrette, poi Yanez scese nella baleniera che l’aspettava all’estremità della scala, mentre l’inglese sempre impassibile riprendeva il suo posto sul seggiolone, dopo d’aver issata la bandiera inglese.

– E dunque non si muove? – chiese Sandokan, quando Yanez fu sull’incrociatore.

– Ecco un ostinato degno d’ammirazione, – rispose il portoghese. – Vuole andare a picco colla sua nave. Lo farai tu?

– Non siamo ancora partiti, – disse Sandokan con un sorriso.

S’avvicinò a poppa dove il vecchio artigliere americano stava appoggiato a una delle torrette e gli sussurrò all’orecchio alcune parole.

Poco dopo l’incrociatore virava di bordo, avanzandosi verso lo steamer a piccolo vapore. L’inglese fumava sempre, in attesa del colpo di cannone che doveva sventrare la sua nave.

Sandokan si era portato a prora e lo guardava sorridendo.

Il Re del Mare, guidato da Sambigliong, passò a trenta passi dalla poppa del vapore, rallentando la marcia.

Allora Sandokan imboccando il porta-voce, gridò all’inglese:

– Signore, vorrei pregarvi di un favore. Se avrete l’occasione di rivedere i vostri armatori, dite loro che le tigri di Mompracem hanno risparmiata la loro nave perchè la comandava un coraggioso quale siete voi. Buona fortuna!

Poi mentre la bandiera di Mompracem salutava l’inglese, l’incrociatore s’allontanò velocemente verso il settentrione.

L’astuto e prudente Sandokan, non osando trattenersi troppo a lungo in quei paraggi così prossimi a Labuan, per timore di venire preso fra la squadra della colonia ed i quattro incrociatori che dovevano cercarlo accanitamente, aveva preso il partito di dirigersi verso le coste settentrionali di Borneo, per piombare sulle navi provenienti dall’Australia.

 

Era impossibile o per lo meno difficile che gli inglesi si immaginassero che egli potesse allontanarsi così tanto dal golfo di Sarawak.

Era quindi certo di sorprendere parecchie navi australiane prima che gli armatori, spaventati, pensassero a sospenderne la partenza.

Desiderando rimanere assolutamente incognito, si tenne lontano dalle vie tenute ordinariamente dalle navi, ed un bel giorno si trovò a sole quaranta miglia dalla punta settentrionale del Borneo.

Fu una crociera di soli sei giorni, eppure quali disastri dovette subite la marina mercantile inglese in così breve tempo! Due piroscafi e tre velieri caddero nelle mani delle implacabili tigri di Mompracem, subendo l’egual sorte toccata a quelle catturate nel mare della Malesia.

Equipaggi e passeggeri lasciati liberi di salvarsi sulle coste delle isole, le navi affondate senza misericordia coi loro carichi quasi completi.

Avendo però appreso da alcuni prahos che anche la squadra della Cina, allarmata da tante catture, stava per radunarsi, il Re del Mare, coi pozzi di carbone al completo, aveva un’altra volta preso subito il largo ridiscendendo verso il sud.

Sandokan e Yanez volevano andare a distruggere gli splendidi steamers che facevano il servizio fra l’India e la bassa Cocincina.

Una smania terribile di affondare aveva preso Sandokan, il quale pareva ritornato il sanguinario pirata d’altri tempi. Sapendo che presto o tardi si sarebbe trovato di fronte a qualcuna di quelle poderose squadre che l’Ammiragliato aveva lanciato sulle sue orme, prima di cadere vinto, voleva dare un colpo mortale al commercio inglese e fare stupire a sua volta il mondo colla sua audacia.

– I nostri giorni sono contati, – aveva detto a Yanez e a Tremal-Naik. – Fra qualche mese non troveremo più nessuna nave inglese che ci fornisca il combustibile. Finchè ne abbiamo, approfittiamone; poi accadrà quello che la sorte avrà decretato.

– Troveremo altre navi che ce ne forniranno, – aveva risposto Yanez. – Costringeremo quelle d’altre nazionalità a vendercene, dovessimo ricorrere alla violenza.

– E dopo?!…

– Non ci sono io forse dopo? – disse una voce chioccia dietro di loro. – La mia invenzione stupefacente distruggerà tutti quelli che cercheranno di assalirvi.

Era il dottor Paddy O’Brien di Filadelfia, il demonio della guerra del quale finora quasi nessuno si era più occupato.

– Ah! già, ci siete voi, – disse Yanez, con un sorriso un po’ beffardo. – Voi che al momento del pericolo fermerete i proiettili che verranno scagliati contro di noi.

– No, signore, v’ingannate, non arresterò i proiettili, io, – rispose l’omiciattolo con vivacità. – Farò invece saltare le polveriere delle navi che vi assalteranno. La mia macchina non fallirà.

– Ed anch’io ne ho la convinzione, – disse in quel momento l’ingegnere Horward. – Questo mio compatriota mi ha spiegato in che cosa consiste la sua macchina e, per quanto la cosa possa sembrarvi stupefacente, io credo che riuscirà a far saltare le navi che ci daranno la caccia.

– Lo vedremo alla prova, – disse Sandokan, con accento di dubbio. – Se continuiamo a scendere verso il sud, un giorno o l’altro incontreremo di certo i nostri avversarii. Tenete pur pronta la vostra macchina meravigliosa, signor Paddy.

Per due altri giorni il Re del Mare scese costantemente verso il sud, facendo delle punte molto al largo, senza scorgere alcuna nave a vapore in nessuna direzione.

Gli armatori dovevano aver dato gli ordini necessari per trattenere nei porti delle isole della Sonda le loro navi, onde non vederle sommergere dall’audace corsaro che fino allora, colle sue corse fulminee e coi suoi spostamenti, era sfuggito alla caccia delle squadre.

L’interruzione delle linee di navigazione doveva aver causato perdite immense agli inglesi.

Che cosa sarebbe avvenuto del Re del Mare quando l’ultima tonnellata di carbone fosse scomparsa nelle bocche ardenti dei suoi immensi forni?

– Non avevo pensato che l’arma che io adoperavo avesse un doppio taglio, – mormorò un giorno Sandokan. – Uno per gli inglesi ed uno per me.

Cinquecento miglia erano state percorse, avvicinandosi il Re del Mare alle coste di Malacca e ancora nessuna nave inglese si era mostrata. Alcune ne erano state vedute, tedesche, italiane, francesi ed olandesi, navi che costituivano piuttosto un pericolo perchè potevano dare avviso all’Ammiragliato delle rotte del corsaro, temendo che questi un giorno si rivolgesse anche contro di esse.

Sandokan e Yanez cominciavano a preoccuparsi. Sentivano per istinto che pel Re del Mare i giorni erano contati e che il cerchio di ferro stava per stringersi intorno alle ultimi tigri di Mompracem.

Tremal-Naik e Kammamuri li sorprendevano di frequente colla fronte pensierosa e cogli occhi torbidi. Talvolta invece li vedevano guardare a lungo Darma e Surama e scuotere la testa con tristezza, come se avessero un rimorso di averle imbarcate, per travolgerle in una tremenda catastrofe, che ormai pareva loro certa.

– Fanciulle, – disse un giorno Yanez, mentre Darma contemplava l’orizzonte infuocato dagli ultimi raggi del sole morente, come se sperasse di veder comparire già da quella parte l’uomo che amava, – avete paura della morte voi?

– Perchè ci fate questa domanda signor Yanez? – chiese l’anglo-indiana con un triste sorriso.

– Perchè forse l’ultima ora sta per suonare per noi tutti.

– Quando morrete, noi vi seguiremo negli abissi del mare, – rispose Darma.

– Sì, io non lascerò il sahib bianco, che mi ama, – disse Surama, guardando dolcemente il portoghese.

– Io vorrei però sottrarvi alla morte, prima che essa vi sfiori colle sue gelide ali e tale è anche il pensiero di Sandokan. Noi corriamo verso la Malacca e possiamo sacrificare le ultime provviste di carbone per deporvi su quelle spiagge.

Darma e Surama fecero col capo un energico segno negativo.

– No, – disse la prima, con voce recisa. – Io non lascerò nè mio padre, nè voi, checchè debba succedere.

– Nè io mi separerò da te, sahib bianco, a cui devo la vita e la libertà, – disse Surama.

– Pensa, Darma, che tu potresti un giorno diventare sposa felice e unirti ad un uomo, sia pure inglese, che t’ama immensamente e che io stimo.

– sir Moreland mi avrà a quest’ora dimenticata, – rispose la fanciulla con un sospiro.

– Pensa che da un momento all’altro la flotta degli alleati può piombarci addosso e stringerci in un cerchio di fuoco, e che tu sei donna.

– No, signor Yanez, – disse Darma, con maggior fierezza. – Noi non vi abbandoneremo, è vero Surama?

– Io sarò felice di morire a fianco del mio sahib bianco, – rispose l’indiana.

Yanez le accarezzò con una mano la lunga capigliatura nera, poi disse:

– Bah!… chissà!… Non siamo ancora vinti.