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Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 4

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SUPPLEMENTI E CORREZIONI AL DIZIONARIO

Adami (Giuseppe), nato in Torino verso la metà dello scorso secolo, si distingue molto oggigiorno per la sua singolar maniera di sonare il Clarinetto, che tira a se l'ammirazion degli ascoltanti. Benchè sia addetto alla Real Cappella e Teatro di Torino, la sua gran fama il fè chiamare in Milano per il cel. teatro della Scala, ove attualmente soggiorna.

Afranio, o Afanio come lo chiama Zacc. Tevo, fu canonico di Ferrara, e vien riguardato come inventor del fagotto. Ambrogio Albonesi di Pavia, canonico di Laterano nella sua Opera intitolata: Introductio ad linguam Chaldaicam, impressa a Pavia nel 1539, e dedicata ad Afranio, dà la descrizione di questo strumento da lui nuovamente trovato, e ne rappresenta in un rame la forma primitiva.

Agnesi (M. Teresa), di Milano, sorella della celebre Gaetana Agnesi morta nel 1799 in Bologna, dove coltivate avea con onore le matematiche, si è fatto gran nome nella letteratura e nella musica. Ella ha posto in note molte Cantate e tre drammi serj, che ebbero del successo, la Sofonisba, Ciro in Armenia e la Nittocri. Morì in Bologna nel 1808.

Alghisi (Franc.), da Brescia, compositore rinomatissimo e maestro di cappella di quella cattedrale soggiornò per alcun tempo in Venezia, ove scrisse due opere per quel teatro, che piacquero al segno di essere replicate l'anno di appresso, distinzione molto rara in Italia. Tornato in Brescia diessi tutto alla pietà e al ritiro, e quivi terminò con grande edificazione i suoi giorni nel 1733. (V. Gazzetta music. di Lipsia).

Amato (Vincenzo), di cui si è parlato nel tom. 1, p. 28: era prete e dottore in teologia. A' suoi funerali nella chiesa di S. Ninfa de' padri crociferi di Palermo, in dimostrazione della stima, che si aveva del di lui merito, assister vollero non che tutt'i musici della città, ma il clero ancora ed il capitolo della cattedrale, di cui era maestro di cappella. Egli sorpassava appena i 40 anni di sua età.

Andrioli di Torino, egregio suonatore di contrabbasso al servigio della R. Cappella del re di Sardegna, e non meno commendevole sull'arpa, per la pienezza e sonorità della sua corda, e per l'agilità con cui maneggia il contrabbasso: vien oggidì riputato pel più bravo virtuoso su questo strumento.

Angeloni, di Frosinone in Italia è autore di una interessante Dissertazione sulla vita e le opere di Guido d'Arezzo, 1809, ove molte dotte notizie rinvengonsi utili alla storia, ed alla letteratura della musica, e l'analisi di tutti i libri musicali di quel monaco ristoratore dell'arte.

Antigenide, musico di Tebe, fu uno de' pubblici maestri di quest'arte quattro secoli innanzi G. C. Egli accrebbe i fori nel flauto, per facilitare l'accompagnamento nella musica a più parti (Plin. Hist. l. 16), onde rendesi incredibile il racconto di Aulo Gellio, il quale nel lib. 15 delle sue Notti Attiche dice, che per essere Antigenide bello assai di persona, vedutosi egli un giorno deforme nel suonare il flauto innanzi ad uno specchio, screditò l'uso di questo stromento fra' Tebani. Ma chi darassi a credere, ch'egli facesse maggior conto della bellezza, che della singolar gloria d'inventore? della passeggiera deformità, con cui compariva nell'orchestra, che della durevol lode di abile suonatore? (V. Requen. t. 1).

Babbi (Cristoforo), nato a Cesena nel 1748 studiò il violino sotto Paolo Alberghi scolare di Tartini, e nel 1780, entrò al servigio dell'Elettor di Sassonia a Dresda come maestro di concerto. Eranvi in quella corte i primi virtuosi di Europa: Naumann, Schuster, e Seydelmann erano i direttori della musica. Babbi ha composto dei concerti per violino, sinfonie per chiesa e per camera, quartetti e duo per flauto, e una cantata per cembalo, Dresda 1789.

Bambini (Felice), nato a Bologna, venne assai ragazzo portato in Francia da suo padre direttore di una compagnia di musici italiani, che rappresentarono sul teatro della Real Accademia in Parigi i belli intermedj di Pergolesi di Jommelli, di Rinaldo ec. Questa musica italiana fu che circa il 1760 diè occasione alla prima guerra musicale in Francia. Bambini in età allora di dieci anni, era accompagnatore al cembalo, e mostrovvi tale intelligenza, che Rousseau fecene l'elogio nella sua cel. Lettera sulla musica francese. “Risovvengavi, dic'egli, di avere inteso negl'intermedj datici in quest'anno il figlio dell'impresario italiano, ragazzo al più di dieci anni, accompagnare all'opera. Noi fummo dal primo giorno sorpresi dell'effetto dalle sue piccole dita prodotto; e tutt'i spettatori si avvidero al suo suono preciso e brillante ch'egli non era il solito cembalista. Io cercai ben tosto le ragioni di tal differenza, benchè non dubitassi che M. Noblet non fosse un buon armonista, e non accompagnasse molto esattamente: ma qual fu la mia sorpresa nell'osservare le mani di quel bravo ragazzo, vedendo ch'egli non riempiva quasi mai gli accordi, sopprimeva molti suoni, e non impiegava assai volte che due sole dita, di cui l'uno suonava quasi sempre l'ottava del basso. E che! diceva in me stesso, l'armonia compita fa meno effetto della mancante, e i nostri cembalisti con rendere tutti gli accordi pieni, non fanno che un confuso romore, mentre costui con meno suoni fa più d'armonia, od almeno rende il suo accompagnamento più sensibile, più grato! Io ne compresi ancora più tutta l'importanza, allorchè osservai che tutti gl'italiani, accompagnavano della stessa maniera che il piccol Bambini, ec.” Suo padre divenuto console di Venezia a Pesaro lasciollo in Francia, ed egli continuò i suoi studj di canto, e di composizione sotto Bordenave e Rigade, ch'era stato scolare di Piccini. Le sue composizioni per teatro gli han fatto molto onore in Francia: vi sono inoltre di lui otto opere di sonate per forte-piano, ed alcuni trio per violino, viola e basso.

Bannieri (Antonio), nato in Roma, e fornito di bella voce e di buona scuola di canto venne assai giovane in Francia, ed ebbe l'onore di cantare dinanzi la regina Anna d'Austria, che l'ebbe in grande stima, e lo colmò di favori. Per prevenire la perdita della voce, impegnò un chirurgo a fargli la crudele operazione. Non vi consentì costui che a condizione della più forte promessa di custodire il secreto. Ma come la voce del Bannieri di giorno in giorno diveniva più bella, si venne a scoprir finalmente che non ne era naturale la cagione. Il re Luigi XIV ne l'interrogò; e voleva sapere chi fosse il chirurgo che prestato aveagli quel buon ufficio. Sire, diss'egli, io ho dato la mia parola d'onore, di non dirne mai il nome. – Tu fai bene, perchè io lo farei appiccar per la gola, e così tratterò il primo che si arrischierà di commettere un sì abominevole misfatto. Voleva allora il re bandir eziandio lui stesso: ma lo rimise poi in grazia, nè gli accordò la sua dimissione che dopo aver compiti i 70 anni. Bannieri morì assai vecchio nel 1740.

Barbella (Emmanuele) cominciò a studiar di violino dall'età di un pò più di sei anni, e quindi ebbe lezioni da Pasquale Binni allievo del Tartini. Il cel. Leo fu suo maestro nel contrappunto, che celiando diceva di lui: Non per questo Barbella è un vero asino, che non sa niente. Questo abile violinista, seguace de' principj di Tartini, morì in Napoli sua patria nel 1773. Tra' suoi allievi singolarmente si distinsero il Sig. Girolamo Blasco primo violino del teatro, e della R. Cappella di Palermo, morto nel 1795; ed il cel. Ignazio Raimondi, autore eziandio di molta musica strumentale impressa a Amsterdam, dove erasi stabilito. Le sonate di Barbella per violino trovansi pubblicate in Parigi, e a Londra.

Barbici (Michele), nato in Palermo di assai civile famiglia, mostrò sin da' primi suoi anni molta inclinazione alla musica, e studiolla profondamente sino a divenire un abile compositore. Egli può dirsi altresì l'inventore dell'Arpone, che si fabbricò da se stesso, e che senza l'ajuto di alcun maestro giunse a suonare perfettissimamente. Questo strumento è fornito di corde di budello, e può chiamarsi un forte-piano verticale, ma non avendo de' tasti, si suona pizzicando a punta delle dita. Il Sig. Barbici intraprese un viaggio per l'Italia per farsi intendere su quel nuovo istromento, ed in Napoli, e particolarmente in Firenze fu sommamente applaudito in ambe le corti, e in tutte le più scelte compagnie, ma siccome non volle far mai la figura che di un semplice amatore, e non già di un virtuoso che metteva a profitto l'arte sua, gli fu d'uopo ritornare alla patria pieno di debiti, e per colmo di disavventura perdette eziandio l'onesto impiego, ch'egli aveva lasciato pe' suoi viaggi. Quindi gli convenne soffrire delle ristrettezze, e vivere di que' pochi beni di sua famiglia, e de' scarsi profitti che ritrar potè dalla professione di notaro ch'egli esercitava. Proseguì tuttavia ad amar passionatamente la musica, a comporre pel suo strumento, ed allorchè veniva invitato a suonarlo sì in chiesa, che in camera, occorreva egli ben volentieri a farlo senza generosamente pretenderne veruna paga. Egli aveva scritto de' concerti pel suo Arpone a piena orchestra; delle suonate pel medesimo a solo, o con accompagnamento di due violini e basso, e molta musica vocale, ove l'Arpone produceva grandissimo effetto accompagnando la voce, mentre il resto degli istrumenti sentivasi appena: le di lui composizioni, e la sua esecuzione riuniron sempre tutti i suffragj non che de' semplici amatori, ma eziandio de' virtuosi. Questo strumento riesce moltissimo con ispezialità negli adagio: tenero, e assai dolce ne è il suono; e di una espressione atta a muover gli affetti ne' cuori eziandio meno sensibili. Assai volte avveniva, che suonando egli cadeva in isvenimenti alcuno de' suoi uditori, e quel ch'è più da rimarcarsi, siffatta convulsione verificavasi più su gli uomini che sulle donne. Il Giornalista di Modena, nel riferire un simil successo dietro la testimonianza del nostro P. Catalisano che vi era presente, ci sembrerebbe, ei dice più degno di maraviglia il siciliano arpone, se in vece di scompaginare la macchina corporea, racchiudesse la virtù di rinfrancarla. (V. Grammat. armon. c. 3). Osservazione ridicola! come se l'unico effetto che produce l'arpone fosse costantemente quello di far isvenire gli astanti, e come se non mettesse il più delle volte, secondo la qualità dei tuoni e del modo, e secondo la disposizione morale e fisica delle persone, lo spirito in allegrìa ed in brio. Il Sig. Barbici terminò i suoi giorni verso il 1790. Non sappiamo aver egli fatto degli allievi su quel suo stromento; fuvvi bensì un altro bravo suonatore di arpone in quel tempo, di lui più giovine, per nome il Sig. Cristoforo Baisi palermitano. Egli avendolo sentito suonare al Barbici, fecesene costruire un simile, e come fornito egli era di grande ingegno, e di somma abilità nella musica, giunse senza alcun maestro a suonarlo così perfettamente, che sorpassò di gran lunga lo stesso Barbici sì per l'agilità, che per il gusto. Egli eseguiva sull'arpone qualunque difficile sonata di clavicembalo, e vi adattava qualsivoglia pezzo di musica scritta per altri stromenti: molta ne compose egli stesso, e dopo aver fatto l'ammirazione, e la delizia de' suoi concittadini, fecesi ne' suoi viaggi ammirare ancora in Italia, in Francia, e finalmente formò la sua fortuna in Moscovia, dove attualmente si trova.

 

Barni (Camillo), nato a Como nel 1762, cominciò dall'età di 14 anni lo studio del violoncello sotto la direzione del suo avolo Davide Ronchetti, e quindi per alcun tempo del dilettante Giuseppe Gaggi, canonico della cattedrale di Como. Di 26 anni venne egli in Milano come secondo violoncello di quel gran teatro, e vi soggiornò per otto anni presso il conte Imbonati, protettore illuminato degli artisti. Nel 1791 divenne egli il primo violoncello, e sonò gli a solo nel teatro della Scala. Nel 1799 studiò la composizione sotto il cel. Minoja: scrisse alcuni quartetti in Italia, e portossi a Parigi, dove si è stabilito sin dal 1802. L'anno di poi diè egli al teatro Olimpico un concerto di violoncello di sua composizione, e sino al 1809 ha pubblicata molta musica strumentale.

Barthez (Paolo-Gius.), celebre medico, morto nel 1806; nella sua Théorie des beaux-arts ha scritto un capitolo molto erudito, che ha per titolo: Nouvelles recherches sur la déclamation théâtrale des anciens Grecs et Romains (V. Millin, Mag. encyclop. t. V)

Beccaria (il conte), cel. in Italia e in tutta l'Europa nello scorso sec. per il suo trattato dei delitti e delle pene, come per altre dotte sue opere, è autore eziandio di una Dissertazione sulla musica piena di eccellenti riflessioni sul poco effetto della moderna per rapporto agli affetti. “Oh quante volte, egli dice, accade di dover dire ad alcune arie, quel che soleva l'ingegnosissimo autore dei mondi, Musica, che vuoi tu? S'ascoltano delle arie eccellentemente intonate, dette con una prodigiosa agilità, con una perfetta eguaglianza di corde nella voce, con esattissimo rigore di tempo, con trilli, con lunghezza mirabile di cadenze senza prender fiato: Musica che vuoi tu? Ancora non lo so, se non mi desti nel cuore verun sentimento. Io ho ascoltato delle voci, alle quali non si poteva rimproverare alcun difetto, ma il mio animo faceva loro il rimprovero massimo poichè non sentiva nulla. I ballerini da corda si pagano perchè ci faccian maraviglia, i musici si pagano perchè ci movano; eppure la massima parte de' musici vuol fare da ballerini da corda”, ec.

Belolli (Luigi), da Parma, celebre suonatore di corno di caccia stabilito in Milano nel R. teatro della Scala. I suoi concerti sì pel gusto, che per la sodezza delle regole lo han messo al rango di un de' più celebri compositori d'oggigiorno. Non puossi esprimere l'effetto che produce lo strumento da lui maneggiato: l'illusione è arrivata al segno di aver creduto alcuni ch'egli pronunzii insin le parole. I quartetti, ch'egli ha composto per quattro corni di caccia, fanno un eccellente effetto, dice il dottor Lichtenthal: noi ne abbiam fatto un cenno nel suo articolo (t. 3. p. 25). Belolli ha formato un grand'allievo nella persona di un certo Balezar Milanese, che attualmente dimora in Napoli.

Benda (Francesco) merita un distinto luogo nella storia dell'arte qual fondatore di una scuola di violino nell'Alemagna. Egli era della Boemia, ma dopo di avere appreso il canto e la musica a Praga, applicossi allo studio del violino a Dresda, ove era stato accolto come uno de' membri della real cappella. Tornato dopo alcun tempo a Praga, ebbe lezione da Konyezek bravo violinista del paese, e quindi dal cel. Francischello in Vienna. Sulla raccomandazione di Quanz entrò egli nel 1732 al servigio del principe real di Prussia, indi Federico II. Benda intento sempre alla perfezion di sua arte fecesi istruire nell'esecuzione degli adagio da Graun maestro de' concerti del Re, nell'armonìa dal di lui fratello maestro di cappella della corte, e dallo stesso Quanz nella composizione. Nel 1772 fu sostituito a Graun nel posto di maestro de' concerti, e morì di apoplesia a Potsdam nel 1786 in età di 77 anni. Il Dottor Burney dice che “la sua maniera non era nè quella di Tartini, nè quella di Somis o Veracini, nè quella di alcun altro caposcuola di violino, ch'ella era tutta sua propria, da lui formatasi su i modelli de' gran maestri.” (Travels 3º vol. p. 101). Hiller nel 1º vol. delle sue biografie dice: “ch'egli rendeva col suo violino i più belli, i più nitidi, i più gradevoli suoni, che sentir si potessero. Niuno uguagliavalo nella celerità e nell'esecuzion degli acuti. Egli conosceva a fondo tutte le difficoltà, e tutte le risorse del suo instromento, delle quali giudiziosamente sapeva far uso. Egli inclinava maggiormente ad una nobile melodia.” Pregevolissimi sono i suoi concerti; il Benda, dice Carpani, è pennelleggiatore fiero e profondo. (Lett. 4). Tra' suoi allievi pel violino si fecero gran nome suo fratello Giuseppe Benda e due suoi figli; Koerbitz, Bodino, Pittcher, Ramnitz, Rust e Matthes; per il canto formò egli le sue due figliuole, che sposarono i maestri di cappella Wolff, e Reichardt, ed il soprano Paolino. Giorgio Benda, il terzo de' suoi fratelli si rese celebre come maestro di cappella del duca di Saxe-Gotha: le sue composizioni sì per chiesa che per teatro furono molto applaudite in Germania e nella Francia. Egli aveva viaggiato in Italia per apprendervi la lingua, e il buon gusto nel canto, il che acquistar fece alle sue produzioni la singolar maniera che le rende superiori a quelle de' suoi contemporanei. Egli viveva ancora nel 1794.

Bernard, musico tedesco viveva in Venezia nel 1470. A lui deesi l'invenzion de' pedali negli organi. (Fabric. bibl. lat. med. ætat.).

Bernardi (Franc.), detto il Senesino, eccellente mezzo soprano, nato in Siena, fu ricercato dal cel. Hendel per condurlo seco in Londra come prim'uomo nel teatro italiano, collo stipendio di 1500 lire sterline, che fu in appresso accresciuto sino a 3 mila ghinee; ma essendosi disgustati fra loro, Hendel lo mandò via dal suo teatro, malgrado il discapito che gliene avveniva, e le premure de' più gran signori di Londra, cui dispiaceva il perderlo. Nel 1739 egli si era stabilito in Firenze, e tuttochè vecchio vi cantò un duetto insieme con l'imperatrice M. Teresa, allora arciduchessa d'Austria. Era in gran pregio la di lui voce penetrante, chiara, uguale e flessibile: aveva egli in oltre un'abilità poco comune nell'esecuzion de' passaggi, pura l'intonazione, ed il trillo perfetto. Ottimo attore nel tempo stesso primeggiava fra tutti ne' recitativi.

Berrettari (Gaetano), membro della Società delle scienze ed arti dell'Italia, è autore delle Osservazioni sul suono, che trovansi negli Annali di Chimica e Storia Naturale di Brugnatelli, a Pavia, tom. 18, 1800.

Bertinotti (Teresa), da Savigliano nel Piemonte, cantatrice rinomatissima su i primi teatri d'Europa, come di Londra, Milano, Napoli e Palermo, dove sommamente si distinse nell'oratorio la Zaira scritto dal Federici per la sua voce nel 1800. La sua singolar maniera di cantare, e la sua bellissima voce penetra il cuore: la sua espressione è ammirabile. Alle doti di avvenenza e di grazia, di cui è stata assai favorita dalla natura, unisce ella una decenza, un contegno, una virtù che trovansi di raro nelle persone del suo rango. Ella sposò finalmente il Sig. Radicati famoso professor di violino. Attualmente soggiorna in Bologna, e canta da prima donna in quel teatro, dopo di essere stata in Lisbona.

Biante di Priene, uno dei Saggi della Grecia fiorì sei secoli innanzi G. C. Dopo essersi istruito in ogni genere di scienza, e dopo avere imparata con eccellenza la musica, prese a cantar con la lira in diverse occasioni i mezzi di render felice la patria, e di preservare da' mali la poco accorta gioventù. I sentenziosi detti sparsi ne' canti di questo valentuomo si celebrarono tanto da' Greci, che dell'età sua si videro scolpiti nel tempio di Apollo, quali sentenze del Dio della musica. La Grecia dichiarollo per uno de' suoi Savj (V. Laert. l. 1, 35, et Plutarch. de Monarch.)

Blangini (Mad.), sorella del bravo maestro Giuseppe Blangini (V. il suo art. nel t. 1, p. 123), nacque in Torino nel 1780. Ebbe dapprima lezioni di violino dal col. Pugnani, e poscia da Puppo, e da Boucher. Il Sig. Barni da Como l'ha diretta nello studio della composizione. Essa ha suonati de' concerti di violino nelle pubbliche accademie a Torino, a Milano, a Vienna e a Parigi: una sola delle sue opere si è pubblicata sinora, cioè un trio per due violini e violoncello. Ella è attualmente nella corte di Baviera in qualità di maestra di canto della principessa.

Bura (Antonio), da Savigliano in Piemonte, attualmente uno de' primi suonatori di violino, fu scolare del Pugnani.

Burgh (A.) nello scorso anno 1814 pubblicò in Londra Anecdotes historical and biographical of music in letters, cioè Lettere contenenti alcuni aneddoti storici e biografici della musica, 3 vol. in 8vo.

Catalani (Ottavio), dell'antica Enna, abate e canonico della cattedrale di Catania, acquistossi tal nome per la sua scienza e perizia nella musica, che divenne in Roma maestro della cappella pontificia sotto Paolo V. Fu poi maestro di cappella del duomo di Messina dove morì dopo il 1620. Le sue composizioni per chiesa furono stampate in Roma presso il Zannetti, e dedicate a quel Papa nel 1616 in 4º. (Mongit. Bibl. Sic.)

Cesarotti (l'abb. Melchiorre), illustre professore nell'università di Padova sua Patria, ed assai noto all'Europa letterata per l'eccellenti sue opere di diverso argomento, merita un distinto luogo fra gli scrittori sulla musica, comecchè protesti egli stesso di non aver avuta veruna intelligenza di quest'arte (Lett. a M. de Vogt). Trovansi non pertanto nelle sue opere molte notizie riguardanti la musica: tal si è quella sull'origine della medesima nel suo Ragionamento sopra l'origine e i progressi dell'arte poetica. Tali sono le due sue relazioni accademiche sulla nuova teoria musicale del P. Barca Scolopio; e tale è la relazione della musica dei Caledonj nel suo Ragionamento preliminare dell'inavanzabil traduzione de' poemi di Ossian. Tra questi vi ha il poema drammatico di Comala, ove come osserva lo stesso traduttor Cesarotti, la varietà della misura dei versi fa vedere che il poema fu originalmente messo in musica. Come il suo amico M. de Vogt scrivevagli da Vienna nel 1776, ch'egli non disperava d'indurre M. Gluck a porre in note l'eccellente traduzione ch'egli ne aveva fatta, “mi sarebbe al certo gratissimo, gli rescrisse il Cesarotti, di veder posto in musica da cotesto cel. professore il pezzo rimato del Celtico Bardo. Parmi che quella versificazione imitativa, spezzata e varia, sarebbe suscettibile di bellezze musicali straordinarie.” Ma, se pur non m'inganno, la varietà e l'inuguaglianza del metro, che usò il Cesarotti ne' versi di una medesima stanza, e la strada, com'ei dice, in gran parte nuova che gli convenne tentare nella lirica, la rendono meno adatta ad una buona musica: e fu forse questa la ragione, per cui non potè indursi il Gluck a metterla in note. Piacemi di qui rapportare il giudizio, che questo insigne letterato formavasi del Pacchiarotti, ch'egli soleva chiamare l'Orfeo dell'anima (Lett. al Gener. Miollis del 1808), con tanto più di ragione, quanto nel formare il di lui articolo non mi era occorso allora l'elogio così onorevole fattogli dal Cesarotti. Egli dunque scrivendo alla contessa Livia Dragoni nel 1785 dice così. “Il vortice amichevole mi trasse seco per alcuni giorni a Verona a render omaggio al nostro Orfeo. Tale è per me realmente il Pacchiarotti. Egli si fa tiranno dell'anime sensibili, ed è il solo che m'abbia fatto credere ai miracoli della musica Greca tanto magnificata dall'antichità.” (Epistolar, t. 2). Per la ragione medesima tralasciar qui non debbo le lodi, che dà il Cesarotti all'insigne poeta Angelo Mazza per la collezione de' suoi Sonetti sull'armonia. “È già molto tempo, dic'egli in una lettera del 1803, che l'Italia vi riguarda come il suo Pindaro. I vostri sonetti scuoterebbero il letargo stesso. Io ne sono incantato, trasportato, e non ho parole che bastino a spiegarvi quel ch'io ne sento. Voi meritate d'esser chiamato per eccellenza il Signor dell'altissimo canto. Non v'è fra tanti un solo sonetto che non porti l'impronta luminosa del grande; ma varj di essi sono d'una bellezza sorprendente, e senza esempio. S. Cecilia, il Genio, l'Entusiasmo, l'Armonia ideale, per tacer di altri, sono degni solo di Apollo se pur Apollo ne sapea tanto.” Morì Cesarotti il giorno 4 novembre 1808.

 

Chladni, di cui abbiamo parlato nel 2º tomo a carte 58, e nel cui nome vi è occorso errore. Chiamasi egli Ernesto-Florente-Federico, come lo abbiamo trovato scritto negli estratti della sua Acustica nel Journal de Physique a Paris, etc., tom. 48.

Colle (Francesco), accademico e storiografo dell'università di Padova, e socio dell'accademia letteraria e georgica di Belluno assai noto per le sue opere commendate dal Cesarotti, merita qui un distinto luogo per la sua Dissertazione presentata al concorso dell'anno 1774, e coronata dalla R. Accademia di Scienze e Belle-Lettere di Mantova, sopra il quesito: Dimostrare che cosa fosse, e quanta parte avesse la musica nell'educazione de' greci; qual era la forza di una siffatta istituzione, e qual vantaggio sperar si potesse se fosse introdotta nel piano della moderna educazione. Essa è scritta con uno stile coltissimo, e talora anche fiorito, sparsa di molta e punto non volgare erudizione, soprattutto giusta, ed esattissima nel proporre e nello sciogliere con tutta la soddisfazione desiderabile a parte a parte il quesito, che ne forma l'interessante argomento. Prova l'A. quanta efficacia aver dovesse nell'educazione della gioventù la musica dall'esser questa l'arte più adattabile anche alla più tenera età: a quell'età cioè, a cui le altre scienze di eloquenza, filosofia, matematica sarebbero troppo sproporzionate. Quindi è che nessuna professione conta tanti eccellenti professori suoi in fanciulli, quanto la musica; laonde è che in età di soli sei anni i Greci erano alla musica applicati. Essa oltre l'esser un innocente anzi virtuoso trattenimento, coltiva ulteriormente e arricchisce l'intelletto, e il cuore: e quindi mentre che ella si è uno scherzo e un diletto, ha insieme il merito delle più nobili scienze, cioè di esser fonte di sempre nuove cognizioni, e di nuovi affetti. Vero è che questo merito non è grande, quanto esser lo potrebbe, per colpa dell'avvilimento, in cui la lasciamo. E però prende da ciò motivo l'A. di deplorare con ogni ragione, che la musica si professi per lo più da persone mercenarie e venali che tanto sol la coltivano, quanto basta a proccurar loro danari in copia, onde sollevarsi da quella vile e stentata condizione di vita, a cui la nascita gli avea condannati. Due gran pregiudizj da ciò tornano alla musica. L'uno è di non poter ispirare tutta quella nobiltà di sentimenti, e di passioni di cui sarebbe suscettibile, perchè ne mancano quei che la professano. L'altro di non aver nessun ajuto dalle scienze, e dallo studio ragionato, perchè non son punto versate, nè nelle lettere, ne nelle scienze le persone a cui è affidata. Qual danno il non avere studiato a dovere la natura sì fisica che morale del cuore umano, onde dedurne quai moti fisici, e quali affetti si potrebbero con sicuro dominio svegliare in lui! Chi è chi ignori quanti avanzamenti non han portati alla musica que' pochi uomini dotti, che l'han professata, un Zarlino, un Salinas, un Galilei, un Doni, un Banchieri, un Rameau, e più recentemente un Tartini, e un Riccati! Quanti maggiori dunque non ne farebbe, se ella entrasse nell'educazione universale; sicchè a professarla venissero non pochi solamente, ma tutti i dotti che vantasser l'età venture! Professata così anche da' più ricchi e potenti avrebber questi campo di far nuovi sperimenti comecchè dispendiosi, onde acquistar nuovi lumi, e procurare alla musica nuovi avanzamenzi. E poi se ogni dì la vediamo acquistar qualche nuovo grado di perfezione, mentre è per lo più fra mani indotte e vili, quanti adunque più ne acquisterebbe ai dotti ed ai nobili affidata? Nè la perfezione, che essa allora otterrebbe non sarebbe di tal sorte, come lo è al presente, che tende a guastarla e farle perdere la sua nobiltà. Ecco un piccol Saggio di questa dotta ed erudita Dissertazione, che fassi leggere con piacere e con profitto.

Collier, inglese, grande amatore della musica, dopo avere viaggiato per la Francia, la Germania e l'Italia, ed aver osservato lo stato di quest'arte in tutti que' paesi, ne diè al pubblico una ben dettagliata notizia in un suo libro intitolato: Musical Travels, ossia Viaggi musicali, in 12º, Londra 1790 (V. Bent's the Lond. Cat.).

Conti, valente compositore italiano, e uno dei primi a porre in note i drammi del Metastasio, era al servigio dell'Imperatore Leopoldo grande amatore della musica italiana in Vienna. Mr. Suard nell'Encicl. metodica ci ha conservato di lui il seguente aneddoto. Nel 1730, questo virtuoso essendo stato insultato da un prete in Vienna, vendicossene tosto con dargli delle buone botte addosso. La contesa avendo avuto de' testimoni, gli si fece un processo criminale, ed in virtù di una sentenza ecclesiastica, Conti fu condannato ad essere esposto per tre giorni, pello spazio di un'ora, dinanzi alla porta della cattedrale chiesa di S. Stefano. L'imperatore, per la stima che facevane, mitigato aveva la sentenza, con ridurre ad una sola le tre umilianti stazioni. Ma poichè nella prima non comportò egli quella pena con rassegnazione e pazienza, venne condannato a subirla due altre volte; rivestito di un grosso sacco, e tenendo un cero alla mano. Dopocchè la giustizia ordinaria condannollo a pagar mille franchi al prete offeso, e tutte le altre spese; ad una prigione di quattro anni, o ad esser quindi perpetuamente bandito, da' dominj dell'Austria. (Art. Allemagne).

Cristofori (Bartolomeo), da Padova, costruttore di cembali dimorante in Firenze: a cui secondo la testimonianza del P. Sacchi, e del Conte Gianrinaldo Carli, ambi Milanesi, deesi l'invenzione del Piano-forte nella prima metà dello scorso secolo; benchè per l'usata trascuraggine degli Italiani nel non rivendicare sugli esteri i dritti alla propria gloria, si attribuisca cotale invenzione or a' Tedeschi, or a' Francesi anche in Italia. Noi riporteremo qui le parole stesse del Conte Carli, autore grave e rinomatissimo. “Bartolomeo Cristofori Padovano, egli dice, fu l'inventore del cimbalo a martelletti, della quale invenzione ci siamo scordati a segno, che l'abbiam creduto una nuova cosa, allorchè ci venne dalla Germania, e dall'Inghilterra accogliendolo come una singolare produzione di quelle felici regioni destinate ad illuminarci con i lumi presi dagl'Italiani, i quali hanno ritrovato tutto, inclusivamente un nuovo mondo, e non hanno saputo conservar mai cosa alcuna.” V. il vol. 14 delle sue opere, p. 405, Milano 1788, in 8º.

Crotch (William), musico inglese, nel 1813 pubblicò in sua lingua: Elementi di composizione musicale, opera che viene annunziata nel Giorn. Enciclopedico di Sicilia, Maggio n. 5, 1814.