La cattiva strada

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Krista, a quel punto, commise un errore: non soddisfatta della sua vittoria, decise di voler stravincere, ed invece di levare l'arma di mano alla ragazza, si abbandonò ad una risata oscena, dicendo ad alta voce «lo sapevo, sei una puttanella senza palle, proprio come quel coglione di tuo pad…»

Non riuscì a finire: una proiettile, silenzioso in maniera stupefacente, le attraversò la testa. La grassona cadde all’indietro finendo in un canale, con un'espressione stupefatta sul volto; Jack fu certo che non avesse avuto paura neanche per un attimo. Terry, che evidentemente non era dura come voleva sembrare, guardò imbambolata la pistola fumante, e poi iniziò ad ondeggiare, come se stesse per cadere. Jack si riebbe dallo shock, e l'afferrò appena in tempo. Le tolse i guanti, li usò per prendere e metterle in tasca la pistola che era caduta a terra, e poi, aiutandola a camminare sostenendola per le spalle, la portò in albergo. Il portiere notturno, evidentemente ben addestrato, finse di non vederli passare mentre si dirigevano agli ascensori camminando come i reduci di una festa troppo alcolica.

Saliti nella suite, Jack fece sdraiare sul letto la ragazza che ancora non si era ripresa dallo shock; come aveva previsto, nell'armadietto del bagno trovò varie boccette di pillole di tutti i tipi: per dormire, per svegliarsi, per dimagrire e così via. Valutando che sarebbero bastate per garantire a Terry un bel sonno di almeno dodici ore, prese quattro pillole di sonnifero e gliele fece trangugiare, con l’aiuto di un bicchiere d’acqua. Appena fu sicuro che la ragazza dormiva, le mise la pistola nella mano destra, premendole bene le dita sull’arma perché vi restassero le impronte digitali. Poi lasciò cadere la pistola sul pavimento accanto al letto e si diresse alla cassaforte: si trattava di un vecchio modello degli anni '60 dotato di una semplice serratura a chiave. Tirò fuori il suo fidato set di grimaldelli e, grazie all'esperienza derivante dall'adolescenza passata a rubacchiare auto a Hell's Kitchen ed alle prove che aveva fatto il giorno prima su quella identica presente nella sua suite, la aprì in meno di cinque minuti. Come previsto, dentro c'era un astuccio dall'aria costosa con su scritto Cartier. Jack l'aprì: non che ne capisse molto di gioielli, ma la dimensione delle pietre incastonate gli fece pensare che quella collana potesse davvero valere tre milioni di dollari (altro che i cinquecentomila Euro che Terry aveva cercato di fargli credere valesse). Insieme alla collana, trovò il bigliettino da visita di un gioielliere di Milano. Dietro il bigliettino, era scritto a mano “i gatti sono distratti dalla luce negli occhi”. Jack mise il biglietto in tasca, ritornò nella sua suite, mise l'astuccio con la collana nella sua borsa e, verificato di non aver lasciato nessuna traccia, lasciò l'albergo.

Questa volta utilizzò un banale taxi d’acqua per arrivare alla stazione di Santa Lucia, da dove poi prese un treno interregionale per Milano e, per finire, un autobus che dalla stazione lo portò alla gioielleria indicata sul biglietto trovato nella cassaforte. Arrivò proprio mentre questa apriva i battenti.

Jack entrò, si avvicinò al tizio elegante dietro il bancone, e gli ripeté la frase scritta dietro il biglietto. Il gioielliere lo squadrò, sollevando un sopracciglio, e poi, senza dire una parola, gli fece cenno di seguirlo attraverso una porticina sul retro del negozio. Chiusa la porta, indossò un monocolo e disse in perfetto inglese: «bene, vediamo cosa mi porta.»

Jack tirò fuori l'astuccio dalla giacca e lo aprì sull'unico tavolo della stanzetta. Il gioielliere prese la collana, la esaminò per poco più di un minuto, e poi la ripose nell'astuccio. Poi aprì un cassetto e tirò fuori alcune mazzette di dollari americani. «Bene», disse soddisfatto «è proprio quello che aspettavo. Ecco trecentomila dollari. Grazie di tutto.»

Jack non aveva mai visto tanti soldi tutti insieme; ma non li toccò. «Amico» disse con aria arrogante «vuoi forse fregarmi? Questo coccio vale almeno tre milioni di dollari! Lo so io e lo sai tu.»

Il gioielliere sollevò di nuovo il sopracciglio. «Veramente, ne vale almeno cinque. Oggi aspettavo una persona che non è lei, e con quella persona avevo concordato il prezzo di tre milioni di dollari. Ma lei non è quella persona, ed a lei offro questi trecentomila dollari. Se non le bastano, porti pure via la collana. Ma le consiglio di stare molto attento a girare con questo ninnolo, soprattutto se deve prendere un aereo.»

Jack ci pensò su un attimo, ma questa volta fu il suo solito carattere a trionfare. «Ma che cazzo!» disse con un mezzo sorriso. «Meglio pochi, maledetti e subito, non è vero amico?»

Fregandosene dell'espressione quasi disgustata del gioielliere, prese le mazzette, le mise in tasca, e uscì dalla gioielleria con una straordinaria sensazione di libertà. Corse all'aeroporto per imbarcarsi sul primo volo disponibile per New York. Nell'attesa di imbarcarsi, diede un'occhiata alle ultime notizie che scorrevano sotto la pancia del giornalista di un canale all news in inglese trasmesso da uno dei televisori della sala d'imbarco. Lo colpì la notizia del ritrovamento del cadavere di una donna sconosciuta in un canale di Venezia; il caso pareva fosse già stato risolto con il fermo di una ragazza americana che dormiva nella suite di un noto albergo con accanto quella che sembrava l'arma del delitto.

Sprofondato nella comoda poltrona di prima classe, con un single malt invecchiato accanto a sé, Jack si addormentò pensando a come quei trecentomila gli avrebbero permesso di saldare i vecchi debiti, di portare fuori a cena la sua bionda e di avviare finalmente la sua agenzia di investigazioni; sorrise, dormendo il sonno dei giusti.

La Stries
di Deanna Morlupi

Il maresciallo Pino De Carolis finì con rammarico l’ultimo pezzetto di strudel.

«Squisito. Quindi, che lei sappia, i ragazzi non avevano nemici in Valle?»

Giovanni Soraperra prese il piattino e lo lavò. Sembrava stizzito. Che fosse infastidito da quelle domande? O voleva semplicemente chiudere il ristorante e andarsene a casa? Il ristoratore lanciò un’occhiata a suo suocero, un vecchio che sembrava il nonno di Heidi, che se ne stava seduto a un tavolo con una bottiglia di grappa, muto, poi rispose di malavoglia.

«Ma no. Erano ragazzi. Vivaci sì, come tutti alla loro età, ma a me non mi hanno mai dato problemi. Ci venivano spesso la sera, qui. In Valle non ci sono tanti passatempi, soprattutto in bassa stagione.»Ma va? De Carolis, da quando era stato trasferito in Val di Fassa quattro mesi prima, aveva pensato un giorno sì e uno no di morire di noia. Quando gli avevano comunicato che quella valle sperduta nelle Dolomiti di cui nemmeno conosceva l’esistenza sarebbe stata la sua prossima sede si era sentito come un condannato al 41bis. Cercò di tralasciare la sua personale amarezza e si riconcentrò sulle parole del montanaro. «In estate o in inverno, sapevano bene come divertirsi loro, erano sempre con qualche turista. Erano dei cecchini, non ne mancavano una!» rise compiaciuto «Beati loro, beata gioventù.» «Già.»

Il maresciallo gli fece un sorriso secco, molto simile a una smorfia. Lui nemmeno a vent’anni aveva potuto permettersi di cambiare una donna dopo l’altra.

«Però insomma, erano benvoluti in paese che io sappia» concluse con l’ultima passata di spugna al bancone.

«Meh, Soraperra, però qualcuno che non li poteva sopportare ci deve essere, sono morti uno dopo l’altro nel giro di un mese.»

Quello lo guardò infastidito, ma De Carolis intravide qualcos’altro oltre all’irritazione, forse l'essere stato contradetto da un terrone, perché cosa vuoi che ne sappia questo qui della nostra gente e che si facesse i cazzi suoi.

Ti è venuto il dubbio, eh biondo?

«Beh, ma sono stati incidenti... No?»

«Se vogliamo chiamarli così.»

Il maresciallo si godette per un momento lo smarrimento dell’uomo, poi guardandolo con un sorrisetto sollevò il pollice dalla mano destra stretta a pugno e prese a enumerare le morti improbabili di quei ragazzi.

«Uno: Giuseppe Bernard è caduto mentre arrampicava. Chi se ne intende mi ha detto che può capitare anche ai più esperti e vabbè. Due: Danilo Vasselai» proseguì tirando fuori l’indice «andava a funghi da quando era bambino. A me mi sembra un po’ strano che questo si fa fregare così da un’amanita. A lei no?» E senza lasciargli il tempo di rispondere tirò fuori il medio, assaporando la faccia disgustata e incerta di Soraperra. Gli sbruffoni bellocci non li poteva sopportare, lui.

«E tre: Martino Bertacco l’hanno trovato morto nella sua stalla calpestato dalle mucche. I risultati dell’autopsia devono ancora arrivare per carità, ma io di mucche assassine non ne ho mai sentito parlare. Esiste lo squalo assassino, l’orca assassina, ma la mucca assassina non direi. Poi io non sono di montagna e quindi non ci capisco niente, ma mi dica lei se sbaglio.»

Si sentì leggermente in colpa per essersi lasciato andare così. Stare in quel posto lo stava rendendo ancora più stronzo.

Il ristoratore lo interrogò con qualcosa di molto simile alla paura.

«Vuol dire quindi che non sono stati incidenti?»

La gente qua in montagna è sveglia proprio eh. Decise di ricambiare l’osservazione arguta con un sorrisetto. Quello non dovette gradire perché lanciò un urlo a sua figlia che stava spazzando ormai da mezz’ora in fondo al locale. O era lenta da morire o si stava impicciando. «Viviana, non hai ancora finito? Voglio andare casa, io!» Il maresciallo raccolse la giacca appoggiata sulla panca. Per quella sera poteva bastare. Il vecchio tracannò quel che restava del suo bicchiere di grappa. Lo appoggiò sul tavolo, si passò una mano sulla bocca e con lo sguardo fisso nel vuoto parlò a nessuno in particolare. «La stries no perdona.» Eh? Giovanni sbuffò. «Giuliano, è tutta roba da bec.» Il carabiniere lo guardò interrogativo. Se si degnavano di spiegare anche a lui. «Ma niente, mio suocero alla sua età crede ancora alle favole. Peggio di un bambino. Dice che sono state le streghe.» De Carolis fissò i tre per qualche secondo. Si alzò e tirò fuori il portafoglio. «Offre la casa.» Ringraziò e si diresse all’uscita. Passando di fianco alla ragazza si fermò, squadrandola. Era una bella biondina. «E tu? Sai per caso di qualcuno che potesse avercela con loro?» Lei continuò a spazzare. «No. Erano simpatici.» Il maresciallo annuì, uscì nella sera di inizio estate e si incamminò verso casa. Rabbrividì. Era metà giugno ma faceva ancora fresco. Comunque non gli dispiaceva fare due passi cullato dai rumori notturni del bosco e dal gorgoglío del Rio di San Nicolò. E poi in dieci minuti sarebbe arrivato in paese. A quell’ora in giro per Pozza di Fassa non ci sarebbe stata neanche un’anima.Mica come a Locorotondo. Lì alle dieci di sera non avevano nemmeno finito di cenare e si poteva stare nelle piazze a fare due chiacchiere fra vicini, mentre i bambini giocavano chiassosi, correndo come sciamannati per le stradine. Un’immagine gli apparve, non richiesta, davanti agli occhi. Sua figlia Caterina, a dieci anni, che gli correva incontro con le guance arrossate per il piacere e la foga del gioco. Sentì una mano pesante che gli si appoggiava sul cuore, per poi accartocciarglielo e gettarlo via.Inspirò profondamente e buttò fuori l’aria a lungo dalla bocca socchiusa. Non doveva pensarci, si faceva solo del male. Meglio tornare ai Soraperra. Qualcosa non gli tornava in quei tre. Anche senza mettere in mezzo le streghe. Sine, come no, le streghe ci mancavano! Ma davvero il vecchio credeva a queste cose? E davvero credevano alla casualità di quelle morti oppure... La ragazza gli era sembrata strana. Forse era timida, ma non aveva percepito né dispiacere, né simpatia vera per le vittime. Che avesse paura, forse? Possibile che qualcuno ce l’avesse con i giovani di Pozza e li stesse facendo fuori, uno a uno, mascherandoli da incidenti? Doveva smettere di guardare Dario Argento, un serial killer in Val di Fassa non era plausibile. Aveva bisogno di trovare un movente per far aprire ufficialmente un’indagine. Se lo sentiva che quelle non erano state disgrazie.

 

Entrato dentro al paese, fiancheggiò l’impianto della cabinovia, il lavatoio e imboccò la viuzza che portava a casa sua, quasi al limitare del bosco. In lontananza, una volpe attraversò la strada.

Meh, almeno qualcuno in giro c’è. Sbadigliando, entrò in casa. Domani avrebbe provato a parlare di nuovo con la ragazza.

Al mattino Pino si svegliò con un cattivo sapore in bocca. Aveva sognato male. Delle streghe lo facevano precipitare da una montagna. Irritato, si vestì e andò dal fornaio. Due bei krapfen avrebbero aiutato l’umore. Mentre addentava quello alla crema, imboccò la strada fatta la sera prima, in direzione Val San Nicolò. Sperava di trovare Viviana nei pressi del ristorante.

-

Viviana si liberò dalla presa di Franz e si allontanò di qualche passo.

«Non toccarmi mai più.» sibilò.

Sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime e il panico minacciò di prendere il sopravvento. Doveva respirare.

«Hai raccontato a qualcuno di Pian de Stries?» ripeté lui per l’ennesima volta riavvicinandosi a lei, rabbioso. Viviana aveva paura, i ricordi non volevano lasciarla in pace, ma cercò di non indietreggiare più. Lo guardò meglio. Ora anche lui aveva paura.

«Te la fai sotto, vero?» lo pungolò.

Il ragazzo si fece ancora più bianco.

«Sei proprio una troia!»

La prese per il collo. I suoi occhi erano pieni di furia, una furia ottusa e pericolosa.

Oddio, ti prego non un’altra volta. Se anche avesse urlato non l’avrebbe sentita nessuno, suo padre era in paese e suo nonno nel bosco. Tentò il tutto per tutto. «Vuoi fare anche tu la fine degli altri?» Il ragazzo strabuzzò gli occhi e la lasciò di scatto, come se si fosse scottato. «Sei stata tu? Cosa gli hai fatto? Sai qualcosa?» Franz si mise a piagnucolare.

Ora capisci cosa vuol dire avere paura.

Sentirono un rumore. Che suo nonno fosse già tornato?

«Non dire stronzate. Non so niente e non ho fatto niente. E ora vattene.»

Lui si morse il labbro e senza aggiungere altro se ne andò, infilandosi nel bosco. Viviana lasciò andare il fiato. Le gambe le tremavano.

«C’è nessuno?»

La voce del maresciallo. Che ci faceva ancora qui? Lo vide voltare l’angolo del ristorante. Sembrava un folletto, brutto e mingherlino com’era. Viviana si asciugò sui jeans le mani sudate.

«Buongiorno, maresciallo.»

Pino la guardò. Quello che aveva ascoltato non gli era piaciuto per niente, sapeva tanto di movente. Ma una ragazza così giovane, tre omicidi... che bestialità.

«Chi era quello che hai minacciato?»

Viviana deglutì.

«Franz Planchesteiner. Posso spiegarle. Volevo solo che mi lasciasse in pace. Non c’entro niente io con gli omicidi.»

«Quindi secondo te sono stati assassinati?»

«L’ha detto lei ieri» balbettò lei.

«E perché Franz crede che sei stata tu?»

Silenzio.

La signorina va persuasa. «Allora? Vuoi che ti arresti subito per minaccia aggravata, articolo seicentododici del Codice Penale?» Fu come se le avesse dato uno schiaffo. Gli rispose quasi con rabbia: «Si sente solo in colpa. Per quello che mi ha fatto. Hanno fatto.» Viviana iniziò a piangere. «Ma non voglio parlarne. Per favore, mio padre non sa niente, non voglio che lo venga a sapere, mi vergognerei troppo.»

Lui la scrutò. Aveva solo pochi anni meno della sua Caterina, ma sembrava ancora più giovane, con quello sguardo smarrito di chi non riesce a credere fino in fondo che le sia successa una cosa tanto brutta. Sicuramente quelle merde l’avevano violentata. Un fiotto di rabbia calda e violenta gli ribollì dentro. Se l’avessero fatto a sua figlia lui li avrebbe ammazzati. Ammazzati, sì cazzo.

«Perché non li hai denunciati?»

La ragazza scosse la testa, asciugandosi le guance.

«Metà della gente avrebbe creduto a loro e metà mi avrebbe compatito. Sarei stata marchiata a vita. In un modo o nell’altro.»

De Carolis annuì. Non aveva tutti i torti.

Che mondo di merda. Ma il punto ora era un altro. Viviana si era forse fatta giustizia da sola? Sentì un formicolio in mezzo alle scapole. Si voltò di scatto. Il vecchio Giuliano lo stava fissando, in silenzio. Nella mano destra, stesa lungo il fianco, un’accetta per spaccare la legna. Pino rabbrividì. «Buongiorno.» Il vecchio non rispose e avanzò di un passo, senza togliergli gli occhi di dosso. Forse dopotutto era meglio pensarci un po’ su e andarsene. Magari in fretta anche. «Se ti dovesse venire in mente qualcosa... Arrivederci.» Salutò e rischiando di inciampare sui propri piedi prese le distanze dal vecchio. Viviana sollevò il palmo, in saluto. Sul suo polso sinistro apparve una figura nera a cavallo di una scopa. Bel tatuaggio, Viviana. Si allontanò in direzione del paese, quasi correndo. Sentiva davvero il bisogno di qualcosa di dolce.

-

Il cadavere di Franz Planchesteiner fu ritrovato la mattina seguente nel lavatoio vicino alla provinciale.

Pino ne fu informato dall’appuntato che aveva preso la telefonata sconvolta della fornaia che aveva appena trovato il corpo. Si vestì di corsa e uscì di casa, maledicendo Planchesteiner, le streghe e tutti i montanari.

Arrivò sul posto che alcuni colleghi stavano ripescando il corpo dalla vasca di acqua gelata.

Abbiamo vinto un’altra bella autopsia!

Era fondamentale capire come era morto. Annegato o buttato lì post mortem? Fece qualche domanda in giro ma nessuno aveva visto nulla. La fornaia l’aveva trovato lì mentre tornava a casa dalla notte di lavoro. Si era spaventata a morte nel veder quella sagoma nell’acqua e aveva cercato di tirargli fuori la testa, nel caso fosse ancora vivo, ma si era resa conto subito che non c’era nulla da fare. Lo conosceva? Sì, lo conoscevo, era un compagno di scuola di mia figlia. Arrivederci, grazie e tante belle cose.

Tornò in ufficio di pessimo umore.

Mannaggia a me, mannaggia al giorno che ho deciso di venire in questo buco di culo di posto.

Il rumore di un fax in arrivo lo distolse dai suoi pensieri risentiti. Lo prese e lo guardò. L’autopsia sul cadavere di Bertacco. La lesse con avidità.

“Morte sopraggiunta per traumi multipli da schiacciamento”

Grazie, una mandria di mucche gli è passata sopra.

Polmoni, viso, bla bla bla... ecco! Trauma pre mortem da corpo contundente alla nuca.

Tombola!

Quindi ufficialmente non è stato un incidente. Qualcuno per lasciarlo lì steso nella stalla e ridurlo a tappetino per mucche l’aveva prima colpito per bene.

Magari con un’accetta? Si alzò e uscì dall’ufficio. Doveva parlare di nuovo con i Soraperra. Ma prima una puntatina al forno non gliela toglieva nessuno. Dopotutto non aveva ancora fatto colazione.

Si assicurò di non avere briciole agli angoli della bocca e suonò il campanello dell’appartamento dietro al ristorante. Si era appena sbafato un enorme biscotto con la marmellata e si sentiva leggermente meglio.

Tramestio dall’interno e poi Giovanni Soraperra gli aprì la porta.

«Cosa vuole a quest’ora?»

«Buongiorno anche a lei. Devo parlare con sua figlia.»

Senza tanti complimenti entrò in casa e fece capire che non era il caso di mettersi a fare storie, la situazione era seria. Nel giro di dieci minuti Viviana era davanti a lui. Aveva chiesto di lasciarli soli, così Giovanni e Giuliano, che nel frattempo si era alzato, si erano relegati nella cucina, dove di sicuro stavano a orecchie tese. Lui la aggiornò rapidamente sul ritrovamento di quella mattina e del risultato dell’autopsia. La ragazza sembrava morta, tanto era pallida.

«Capisci che con quello che mi hai raccontato ieri, mi suona un po’ strano che anche Franz sia morto. No?»

Lei strinse le labbra. Si vedeva che stava cercando di darsi un’aria da dura.

«È strano sì. Ma io non c’entro niente. E poi non so cos’abbia immaginato, ma io ieri non le ho detto niente di che.»

«Ah no?»

«No.»

«Lo sai che se collabori potresti avere delle attenuanti? Dopotutto avevi i tuoi motivi. Non che questo ti consenta di andare in giro ad ammazzare la gente, ma sicuramente gioca a tuo favore.»

«Non so di cosa sta parlando.»

Il maresciallo sospirò. Non sembrava disposta a facilitargli il lavoro.

«Viviana, sono venuto qui da te per una chiacchierata diciamo... informale, per ora. Speravo mi permettessi di aiutarti. Non mi costringere a fare lo stronzo. Se mi fai procedere ufficialmente con un mandato, eccetera eccetera è solo peggio, fidati. Sei giovane, se te la giochi bene, puoi cavartela con poco.»

Lei deglutì, per un attimo la sua certezza sembrò vacillare. I suoi occhi verdì schizzarono di qua e di là, posandosi su tutto e niente.

«Io... io non so niente.»

Pino si stropicciò gli occhi con la mano e sospirando annuì. Se era questo che voleva.

Si alzò, salutò i due uomini nell’altra stanza e si avviò alla porta.

«A presto.»

La sua voce suonava stanca, stanca e amareggiata. Desiderò per un attimo poter raccontare tutto a Caterina e svuotarsi di quella schifezza. Chissà cosa avrebbe detto lei di tutta quella storia. Se la rivide davanti, nella sua uniforme da Carabiniere nuova di zecca, raggiante.

Caterì, come le condurresti tu le indagini?

Col cuore pesante si incamminò verso il paese, accompagnato dalle prime gocce di pioggia di quello che prometteva essere un temporale coi fiocchi.

La mattina dopo venne a fargli visita in ufficio Giovanni.

«Maresciallo buongiorno.»

«Buongiorno, prego si accomodi.»

«Sono venuto perché ho saputo della morte di Franz.»

«Bene.»

Il ristoratore rimase zitto per un momento e Pino gli sorrise con fare incoraggiante.

«Ecco, vorrei capire perché è venuto a parlare con mia figlia. Lei non mi dice nulla, dice che le ha fatto domande di routine, ma insomma non capisco. Perché proprio a lei? Trova il... il... Franz, ecco, e poi viene a parlare con lei.»

Incredibile, il genio ha fatto due più due. «Sua figlia è l’unica che ad oggi ha un movente per i quattro omicidi.» Vide l’uomo sbiancare. Grande e grosso com’era, sembrava un pupazzone abbandonato a bocca aperta sulla sedia. Passato l’attimo di shock, sembrò rianimarsi. «Ma cosa dice? È impossibile.» «Non mi chiede quale movente?» Sembrò boccheggiare, rosso in volto. Che sappia già? «Beh sentiamo il movente.» Giovanni fingeva un autocontrollo che palesemente non aveva. Il maresciallo si ripromise di tenere a freno la lingua. Se quell’uomo fosse stato davvero all’oscuro di tutto, avrebbe ben presto avuto delle gran brutte sorprese. «Temo che Viviana abbia subito violenza dai quattro. E temo anche che abbia fatto il possibile per vendicarsi. O semplicemente per evitare che succedesse di nuovo.» L’uomo iniziò a fare no con la testa e istintivamente indietreggiò sulla sedia. «Ma non è possibile. Gliel’ha detto lei?» «Non esplicitamente, ma quasi.»

 

«Ma no, erano bravi ragazzi... e poi Viviana me l’avrebbe detto. Magari ci sarà andata insieme, questo sì. Magari sono stati un po’... bruschi, non so. Ma violenza, su andiamo, ma dove siamo? Non è mica possibile. Guardi che qui non succedono certe cose.»

Man mano che l’uomo parlava, il volume della voce si alzava. Era chiaramente spaventato, attaccava per difendersi. De Carolis inarcò un sopracciglio.

«Bruschi?»

Al diavolo l’empatia, questo non si meritava niente.

«Ma non lo so io, dico per dire, ma quello che ha detto lei, non è possibile dai!»

Viviana, avevi ragione, manco tuo padre ti crederebbe, sto coglione. Fece un respiro profondo per calmarsi e si sporse in avanti, parlando in tono pacato. «Guardi che non è un’offesa a lei o a sua figlia, sto solo dicendo che purtroppo questo sembra proprio un movente valido per un omicidio e che sarebbe meglio collaborare da subito, per evitare conseguenze peggiori. Signor Soraperra, domani con tutta probabilità avrò un mandato di perquisizione per casa vostra. Cosa crede, che non troveremo nulla? Mi creda che voglio aiutare Viviana, se no non le sarei venuto a parlare e non le starei dicendo queste cose.» Il padre si piegò in avanti verso di lui, sibilando furioso. «Mia figlia non ha ammazzato nessuno, quello che dice sono sue fantasie. Ma le giuro che se avesse ucciso lei quei ragazzi, la strozzerei con le mie mani.» Sbatté il palmo aperto sulla scrivania, si alzò di scatto e uscì senza salutare.

Viviana sistemò con cura forchette e coltelli sul tavolo vicino alla porta, poi passò a quello successivo. Aveva quasi terminato di preparare la sala per il servizio del pranzo, quando il campanello attaccato alla porta del ristorante suonò come impazzito. Si girò e vide suo padre scuro in volto arrivarle addosso e afferrarla per un braccio.

«Ahi, mi fai male! Ma papà...»

Lui non lasciò la presa e la trascinò fuori dal ristorante sul retro della casa, vicino alla legnaia.

«Sei stata tu?»

«Cosa?»

«Il terrone crede che sei stata tu ad ammazzarli. Rispondi!»

Oddio.

Con la bocca secca e le mani sudate, Viviana guardò suo padre ed ebbe paura.

«No, io no.»

L’uomo alzò il braccio col palmo aperto e teso e a lei sembrò che qualcosa le si rompesse dentro. In fondo aveva sperato che almeno questa volta sarebbe stato dalla sua parte.

Lo schiaffo le fece ruotare la testa, tanto arrivò forte. Il calore esplose, incendiandole la guancia.

«Viviana, dime la verità, se no te cope. Che cazzo hai fatto?» Sembrava spaventato a morte, la guardava come aspettandosi di essere salvato da lei. Che cosa vuoi che ti dica, papà? «Cosa succede?» La voce di suo nonno. Giovanni la lasciò andare e lei riprese a respirare. «Giuliano, stanne fuori.» Viviana guardò la faccia di suo padre e per un attimo temette per il nonno. Il vecchio, serafico, si avvicinò. «Non ti permettere di alzare le mani su di lei, mi hai capito bene?» «Non è tua figlia, è mia figlia e so io cosa fare.» La ragazza trattenne il fiato. I due non erano mai andati molto d’accordo ma i litigi veri e propri erano rari. Di quello avvenuto poco dopo la morte della mamma aveva ancora gli incubi ogni tanto. «Hai ragione, mia figlia l’ho persa anni fa. Ma ti giuro Giovanni che se ti vedo un’altra volta toccare mia nipote, ti ammazzo. E ora spriza!» Giovanni si allontanò furioso. Viviana sentì le lacrime salirle agli occhi, bollenti e liberatorie. Non avrebbe saputo dire per cosa stava piangendo. Per lei, per sua mamma, perché finalmente qualcuno prendeva le sue parti, per lo schiaffo di suo padre, per tutto quell’orrore. Forse per tutte le cose insieme. Si gettò fra le braccia del nonno e le lacrime iniziarono a rigarle le guance. Sentì la sua mano calda e ruvida accarezzarle la testa. «Piciola, ades vàtene a cèsa.»

La smetterà mai di piovere in questo maledetto posto?

Pino si infilò sotto la tettoia che costeggiava il perimetro della sua casetta e aprì e chiuse l’ombrello un paio di volte per scrollare le gocce di pioggia. Voleva metterlo in casa, non si azzardava a tenerlo fuori. Era terrorizzato all’idea di trovarci dentro una vipera. Un mese fa ne aveva vista una acciambellata al sole sul muretto lì vicino e da quel momento non era più riuscito a liberarsi di quel pensiero orrendo. Un altro motivo per cui avrebbe dovuto rimanere in Puglia.

Quel pomeriggio non aveva fatto altro che girare su e giù a interrogare familiari e conoscenti delle vittime sotto una pioggia ostinata e instancabile. Ed era giugno! Giugno, cazzo! Non voleva pensare cosa doveva essere vivere lì a novembre. Si tolse l’impermeabile e andò sul retro di casa, chiavi alla mano. Non vedeva l’ora di farsi una doccia, mangiare e piazzarsi sul divano. Alzò gli occhi per aprire la porta e il cuore gli si fermò. Giuliano era seduto nella panca di legno appoggiata al muro. In mano, un fucile. Cercò di ignorare il cuore che batteva talmente forte da sentirselo nelle orecchie e si sforzò di fare un sorriso.

«Buonasera.»

Il vecchio sembrava una statua. Poteva essere scolpito nel legno per quanto era immobile.

«Buonasera. Mi invita a entrare?»

Oh, Madonna. «Non si preoccupi, voglio solo scambiare due parole.» Annuì in modo un po’ isterico e con le mani che gli tremavano leggermente aprì la porta. Lo fece accomodare nel suo piccolo salottino. A pensarci bene, era il primo ospite a entrare in quella casa. Probabilmente, il primo e ultimo. Giuliano si tolse il cappello e sedette su una delle sedie attorno al tavolo. Pino, di conseguenza, scelse il divano. Si rese conto di avere ancora in mano impermeabile e ombrello e che una piccola pozza d’acqua si stava formando ai suoi piedi. Ebbe un senso di nausea improvviso. «Mi dica pure.» Gli devo offrire qualcosa da bere? «Mia nipote non ha ammazzato nessuno.» «Ah.» «Sono stato io.» «Ah.»

Per un attimo sentì la mente vuota, come se fosse andata in cortocircuito. Poi riprese lucidità.

Oh cazzo.

«Signor Giuliano, se è così, vuole raccontarmi come sono andati i fatti?»

«Li ho ammazzati.»

«Sì, ma intendo... Come? Perché?»

«Non le basta che le dica che sono stato io?»

Il vecchio sembrava scocciato e quasi... impreparato. Sì, impreparato.

«No, mi dispiace. Devo essere certo che sia stato lei, prima di... di fare qualsiasi cosa.»

Il maresciallo lo guardò. Era alto qualcosa come venti centimetri più di lui, grosso tre volte tanto. Ah sì, e aveva un fucile da caccia in mano.

Come ho fatto a essere così idiota da accettare di entrare in casa con lui? Morirò qui, in questo posto di merda e sarà tutta colpa mia. «Io... a uno gli ho manomesso i moschettoni da arrampicata. A un altro gli ho buttato un fungo velenoso nel cesto di quelli buoni, al terzo l’ho colpito e l’ho lasciato schiacciare dalle bestie e all’ultimo l’ho affogato.» «E come mai l’ha fatto?» «Avevano fatto male a mia nipote, quei porci.» Almeno uno in famiglia che non fa finta di niente. «Capisco.» «Sa che la devo arrestare ora?» «Sì, certo.» C’era qualcosa che non tornava nell’atteggiamento dell’uomo. Sembrava quasi uno scolaretto interrogato dalla maestra, non un omicida che si vanta delle sue prodezze. «E mi scusi, perché è venuto solo ora? Perché qui a casa mia e non in caserma, se voleva costituirsi?» Il vecchio si guardò intorno e si passò una mano sulla barba ispida. «Perché... perché ho visto che lei era sulla pista sbagliata. Voleva mettere dentro Viviana e lei non c’entra niente. E questo non potevo lasciarglielo fare.»

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