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I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1

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Dopo aver viaggiato così per parecchie leghe, cominciarono a scendere nel Rossiglione, e la scena che si svolse spiegava una bellezza meno aspra. I viaggiatori rammaricavano gli oggetti imponenti cui stavan per abbandonare. Benchè stancato da que' vasti aspetti, l'occhio riposava gradevolmente sul verde de' boschi e de' prati; il fiume che irrigavali la capanna sotto l'ombra de' faggi, i giulivi crocchi de' pastorelli, i fiori che adornavano i clivi, formavano insieme uno spettacolo incantevole.

Scendendo, riconobbero uno de' grandi varchi de' Pirenei in Ispagna: i fortilizi, le torri, le mura, ricevevano allora i raggi del sole all'occaso; le selve circostanti non avevano più se non un riflesso giallastro, mentre le punte de' dirupi tingeansi ancora di rosa.

Sant'Aubert guardava attento senza scoprire la piccola città indicatagli. Valancourt non poteva informarlo della distanza, non essendo mai ito tant'oltre; pur iscorgevano una strada, e doveano crederla diretta, giacchè dopo Beaujeu non avean potuto smarrirsi da alcuna parte.

Il sole era vicino al tramonto, e Sant'Aubert sollecitò il mulattiere; egli sentivasi assai debole, e desiderava vivamente il riposo; dopo una sì faticosa giornata la sua inquietudine non si calmò, osservando un gran treno d'uomini, di muli e di cavalli carichi, che sfilavano pei sentieri dell'opposto monte, e siccome i boschi ne celavano spesso il cammino, non si poteva precisarne il numero: qualcosa di brillante, come d'armi risplendeva agli ultimi raggi del sole e la divisa militare si distingueva sui primi, e su qualche individuo sparso fra la comitiva. Appena furono nella valle, un'altra banda uscì dai boschi, ed i timori di Sant'Aubert aumentarono, non dubitando non fossero tanti contrabbandieri arrestati nei Pirenei, e scortati dalla soldatesca.

I viaggiatori avevano errato tanto nelle montagne che s'ingannarono nei loro calcoli, e non poterono giungere a Montignì prima della notte. Traversarono la valle, e notarono sopra un rustico ponte che riuniva due coste, un crocchio di fanciulli i quali divertivansi a lanciar sassi nel torrente; le pietre nel cadere, facevano spruzzar colonne d'acqua mandando un sordo fragore ripercosso alla lontana dagli echi dei monti. Sotto il ponte scoprivasi tutta la valle in prospettiva, una cateratta in mezzo alle rupi, ed una capanna sopra una punta protetta da annosi abeti. Quell'abitazione parea dovesse esser vicina ad una piccola città. Sant'Aubert fece fermare: chiamò i ragazzi, e lor chiese se Montignì fosse molto lontano; ma la distanza, lo strepito delle acque non gli permisero di farsi udire, e la ripidezza delle montagne che sostenevano il ponte era troppa perchè tutt'altri fuor d'un alpigiano pratico potesse ascenderle. Sant'Aubert dunque dovette decidersi a continuare col favore del crepuscolo la strada, la quale era talmente disagiosa che parve miglior consiglio scendere di vettura. La luna cominciava a spuntare, ma tramandava troppo fioca luce; e' camminavano a caso in mezzo ai pericoli. In quel punto si udì la campana d'un convento; la fitta tenebria impediva la vista dell'edifizio, ma il suono pareva venire dai boschi che coprivano il monte di destra. Valancourt propose d'andarne in cerca. « Se non troviam ricovero in quel convento, » dicea egli, « almeno c'indicheranno la distanza o la posizione di Montignì. » E si mise a correre senza aspettar risposta; ma Sant'Aubert lo richiamò dicendogli: « Io sono orribilmente stanco, ho bisogno di pronto riposo; andiamo tutti al convento; il vostro robusto aspetto sventerebbe i nostri disegni; ma quando si vedrà il mio spossamento e la stanchezza d'Emilia, non ci si negherà ricetto. »

Sì dicendo, prese il braccio d'Emilia, e raccomandando a Michele d'aspettarlo, seguì il suono della campana e salì dalla parte dei boschi, ma a passi vacillanti. Valancourt gli offerse il braccio cui accettò. La luna venne a rischiarare il sentiero, e lor permise in breve di scorgere torri che sorgevano sul colle. La campana continuava a guidarli; entrarono nel bosco, ed il fioco chiarore della luna divenne più incerto per l'ombra ed il tremolio delle foglie. L'oscurità, il cupo silenzio, quando la campana non suonava, la specie d'orrore ispirato da un luogo sì selvaggio, tutto riempì Emilia d'uno spavento che la voce e la conversazione di Valancourt poteva solo diminuire. Dopo alcun tempo di salita, Sant'Aubert, si lamentò, e tutti sostarono sur un erboso poggio, dove gli alberi, più radi, lasciavan godere il chiaro della luna. Sant'Aubert sedette sull'erba tra i due giovani. La campana non suonava più, e la quiete notturna non era interrotta da strepito veruno, avvegnacchè il fragor sordo di qualche lontano torrente paresse accompagnare, anzichè turbare il silenzio.

Avevano allora sott'occhio la valle testè lasciata. La luce argentea che ne scopriva le fondure, riflettendo sulle rupi e le selve di sinistra, contrastava colle tenebre, onde i boschi a destra erano come avvolti. Le cime sole erano illuminate a sbalzi; il resto della valle perdeasi in seno ad una nebbia, di cui lo stesso chiaro di luna non serviva che a crescere la foltezza. I viaggiatori ristettero alcun tempo a contemplare quel bell'effetto.

« Simili scene, » disse Valancourt, « dilettano il cuore come i concenti di deliziosa musica; chiunque ha gustata una volta la melanconia ch'esse ispirano non vorrebbe mutarne l'impressione per quella dei più squisiti piaceri. Elleno destano i nostri più puri sentimenti; dispongono alla benevolenza, alla pietà, all'amicizia. Coloro ch'io amo, parvemi sempre d'amarli assai più in quest'ora solenne. » Tremogli la voce, e sostò.

Sant'Aubert nulla dicea. Emilia vide cadere una lagrima sulla mano cui stringeva tra le proprie. Indovinonne ben essa il pensiero; anche il suo era corso alla pietosa memoria della genitrice. Ma Sant'Aubert, rianimandola: « Oh sì, » disse reprimendo un sospiro, « la memoria di quelli che noi amiamo, di un tempo trascorso per sempre, gli è in questo istante che si posa sulle anime nostre! È come una melodia lontana in mezzo al silenzio delle notti, come le tinte raddolcite di questo paesaggio. » Poscia, dopo una pausa, continuò: « Io ho sempre creduto le idee più lucide a quest'ora che in qualunque altra, ed il cuore che non ne riconosce l'influenza, è di certo un cuore snaturato. Vi son tanti.... »

Valancourt sospirò.

« Ve ne sono dunque molti? » disse Emilia. – Fra alcuni anni forse, cara figlia, » rispose Sant'Aubert, « tu sorriderai ricordandoti tale domanda, se tuttavolta questa memoria non ti strapperà le lagrime. Ma vieni, mi sento un po' meglio. Andiamo innanzi. »

Uscirono finalmente dal bosco, e videro sopra un'eminenza il convento cui aveano tanto cercato. Un muro altissimo che lo circondava li condusse ad un'antica porta; bussarono, ed il laico che venne ad aprire li condusse in una sala vicina, pregandoli di aspettare fino a che fosse avvertito il superiore. Nell'intervallo, comparvero parecchi frati ad osservarli con curiosità; poco stante ritornò il laico e li scortò innanzi al superiore. Egli sedeva in un seggiolone; aveva un grosso libro davanti a sè, sostenuto da vasto leggìo. Ricevè garbatamente i viaggiatori senza alzarsi, fece loro poche interrogazioni, ed acconsentì alla loro domanda. Dopo una brevissima conferenza, fatti i debiti complimenti, furono condotti in una stanza, ove si preparava la cena, e Valancourt, accompagnato da un frate, andò a cercare Michele, la carrozza ed i muli. Appena ebbe scesa la metà della strada, udì la voce del mulattiere, il quale chiamava i nostri viaggiatori per nome. Convinto, non senza difficoltà, che tanto lui, quanto il suo padrone non avevano più nulla da temere, si lasciò condurre in una capanna vicino al bosco. Valancourt tornò in fretta a cenare cogli amici, ma Sant'Aubert soffriva troppo per mangiare con appetito. Emilia, assai inquieta per suo padre, non sapeva pensare a sè medesima, e Valancourt, mesto e pensieroso, ma sempre occupato di loro, non pensava ad altro se non a confortare ed incoraggire Sant'Aubert. Separatisi presto, si ritirarono nelle loro stanze. Emilia dormì in un gabinetto contiguo alla camera del padre; trista, pensierosa ed occupata soltanto dello stato di languore in cui lo vedeva, coricossi senza speranza di riposo.

Due ore dopo una campana squillò, e passi precipitosi percorsero i corridoi. Poco esperta degli usi claustrali, Emilia spaventossi; i suoi timori, sempre vivi pel padre, le fecero supporre che stesse più male; si alzò in fretta per correre da lui, ma essendosi fermata un momento all'uscio onde lasciar passare i frati, ebbe tempo di riaversi, di riordinare le idee, e comprendere che la campana aveva suonato mattutino. Questa campana non suonava più, tutto era quiete, ed essa non andò più oltre; ma, non potè dormire, ed allettata d'altra parte dal fulgore d'una splendida luna, aprì la finestra e si mise a rimirar il paese.

Placida era la notte e bella, il firmamento senza nubi, e lieve zeffiro agitava appena gli alberi della valle. Stava attenta, allorchè l'inno notturno dei religiosi sorse dolcemente dalla cappella, situata in luogo più basso, talchè il sacro cantico parea salire al cielo traverso il silenzio delle notti. I pensieri susseguironsi; dall'ammirazione delle opere, l'anima sua passò all'adorazione del loro onnipossente e buono autore. Penetrata d'una pietà pura e scevra da profani sentimenti, l'anima sua elevossi al disopra dell'universo; gli occhi versaron lagrime; ella adorò la Potenza infinita nelle sue opere, e la bontà sua ne' suoi benefizi.

Il cantico de' frati cesse di nuovo il posto al silenzio; ma Emilia non lasciò la finestra se non quando la luna, essendo tramontata l'oscurità parve invitarla al riposo.

CAPITOLO V

Sant'Aubert si trovò la mattina seguente bastantemente in forza per continuare il viaggio, e sperando arrivare lo stesso giorno nel Rossiglione, si mise in cammino di buonissim'ora. La strada che percorrevano allora i viaggiatori, offriva vedute selvagge e pittoresche come le precedenti; solo tratto tratto le scene, meno severe, spiegavano una bellezza più amena e ridente.

 

Quando Sant'Aubert parea occupato delle piante, contemplava con trasporto Emilia e Valancourt, i quali passeggiavano insieme; questi col contegno e l'emozione del piacere indicava una bella vista nella scena che lor s'offriva; quella ascoltava e guardava con un'espressione di sensibilità seria indicante l'elevatezza del suo spirito. Rassembravano a due amanti, i quali mai non avessero lasciati i monti natii, che la situazione loro avesse preservati dal contagio delle frivolezze; le cui idee, semplici e grandiose come il paesaggio che percorrevano, non comprendessero la felicità se non nella tenera unione de' cuori puri. Sant'Aubert sorrideva e sospirava a un tempo, pensando alla romanzesca felicità onde la sua imaginazione offerivagli il quadro; sospirava inoltre pensando quanto la natura e la semplicità fossero mai estranee al mondo, poichè i loro soavi diletti parevano un romanzo.

– Il mondo, » dicea egli seguendo il proprio pensiero, « il mondo mette in ridicolo una passione cui appena conosce; i suoi movimenti ed interessi distraggono lo spirito, depravano i gusti, corrompono il cuore; e l'amore non può esistere in un cuore quando non ha più la cara dignità dell'innocenza. La virtù e la simpatia son quasi la medesima cosa; la virtù è la simpatia messa in azione, e le più delicate affezioni di due cuori formano insieme il vero amore. Come mai potrebbesi cercar l'amore in seno alle grandi città? La frivolezza, l'interesse, la dissipazione, la falsità vi surrogano del continuo la semplicità, la tenerezza e la franchezza. —

Era quasi mezzodì quando i viaggiatori giunsero ad un passo sì pericoloso che lor fu d'uopo scendere di carrozza; la strada era contornata da boschi, e anzichè continuare innanzi, si misero a cercar l'ombra. Un umido rezzo era diffuso per l'aere; lo splendido smeraldo dell'erba, la bella miscea de' fiori, de' balsami, de' timi e delle lavande che la smaltavano; l'altezza de' pini, de' frassini e de' castagni che ne proteggevano l'esistenza, tutto concorrea a far di quello un luogo veramente delizioso. Talvolta il fogliame, più fitto, interdicea la vista del paesaggio; altrove, qualche misterioso varco lasciava traveder all'imaginazione quadri assai più leggiadri che fin allora non avesse osservati, ed i viaggiatori abbandonavansi volentieri a que' godimenti quasi ideali.

Le pause ed il silenzio che avevano già interrotto i colloqui di Valancourt e d'Emilia furono quel dì molto più frequenti. Il giovane, dalla vivacità più espressiva, cadeva in un accesso di languore, e la malinconia pingevasi senz'arte fin nel di lui sorriso. La fanciulla non poteva più ingannarsi: il suo proprio cuore partecipava il medesimo sentimento.

Quando Sant'Aubert fu ristorato, continuarono a camminare pel bosco, credendo sempre costeggiar la strada; ma s'accorsero alfine d'averla smarrita affatto. Avevano seguito il declivio ove la beltà de' luoghi li tratteneva, e la strada andava invece montando su per la ripida costa. Valancourt chiamò Michele, ma l'eco solo rispose alle sue grida, ed i suoi sforzi furono parimente vani per ritrovar la strada. In tale stato, scorsero fra gli alberi, a qualche distanza, la capanna d'un pastore. Valancourt vi corse per chiedere qualche indicazione; giuntovi, vi trovò soltanto due ragazzi che giocavan sull'erba. Guardò in casa, e non vide nessuno. Il maggiore de' fanciulli gli disse che suo padre trovavasi ne' campi, sua madre nella valle, nè tarderebbe a tornare. Il giovane pensava a quanto convenisse fare, allorchè la voce di Michele echeggiò d'improvviso su le rupi circostanti. Valancourt rispose tosto e cercò d'andare a raggiungerlo; dopo un faticoso lavoro tra le boscaglie ed i massi, lo raggiunse alfine ed a stento riescì a farlo tacere. La strada era lontanissima dal luogo ove riposavano il padre e la figlia. Era difficile di condur fin là la vettura; sarebbe stato troppo penoso per Sant'Aubert d'inerpicarsi pel bosco, com'egli stesso avea fatto, ed il giovane era angustiato molto per trovare un cammino più praticabile.

Intanto, Sant'Aubert ed Emilia eransi accostati alla capanna e riposavano sopra una panca campestre situata fra due pini ed ombreggiata dalle loro frondi; avean guardato a Valancourt, ed aspettavano che li raggiungesse.

Il maggiore de' ragazzi aveva lasciato il giuoco per rimirar i viaggiatori; ma il piccino continuava i suoi salti e tormentava il fratello perchè tornasse ad aiutarlo. Sant'Aubert considerava con piacere quella fanciullesca semplicità, quando d'improvviso tale spettacolo, rammentandogli i figli perduti in quella fresca età, ed in ispecie la loro diletta madre, lo fece ricadere nella mestizia. Emilia, accortasene, cominciò una di quelle ariette commoventi cui egli tanto prediligeva, e ch'ella sapeva cantar colla massima grazia ed espressione. Il padre le sorrise attraverso le lagrime, le prese la mano, la strinse teneramente e cercò bandire i malinconici pensieri. Essa cantava ancora, quando Valancourt tornò; egli non volle interromperla, e sostò ad ascoltare. Quand'ebbe finito, accostossi e narrò d'aver trovato Michele ed anche una strada per ascendere il dirupo. Sant'Aubert, a tai parole, ne misurò coll'occhio la tremenda altezza; sentivasi oppresso, e la salita pareagli spaventosa. Il partito però sembravagli preferibile ad una strada lunga e scabrosa affatto; risolse di tentarlo, ma Emilia, sempre premurosa, gli propose di pranzare in prima, onde ristorar alquanto le forze, e Valancourt tornò alla vettura a cercarvi provvigioni.

Al ritorno, propose di collocarsi un po' più in alto, essendovi la vista più bella ed estesa. Stavano per recarvisi, quando videro una giovane accostarsi ai ragazzi, accarezzarli, e piangere amaramente.

I viaggiatori, interessati dalla di lei sventura, sostarono a meglio osservarla. Essa prese in braccio il minore de' figli, e scorti i forestieri, si terse le lagrime in fretta ed accostossi alla capanna. Sant'Aubert le chiese la causa della di lei afflizione. Gli diss'ella che suo marito era un povero pastore, il quale tutti gli anni passava la state in quella capanna per condur a pascere un armento sui monti. La notte precedente aveva perduto tutto; una banda di zingari, i quali da qualche tempo infestavano la contrada, avean rapite tutte le pecore del suo padrone. « Jacopo, » aggiunse la donna, « avendo accumulato qualche peculio, avea comperato poche pecore per noi; ma adesso bisognerà darle per sostituire il gregge tolto al padrone; il peggio si è che quando questi saprà la cosa, non vorrà più affidarci i suoi montoni; è un uomo cattivo; ed allora, che cosa sarà de' nostri figliuoli? »

L'atteggiamento di quella donna, la semplicità del suo racconto ed il suo sincero dolore indussero Sant'Aubert a crederne la trista storia. Valancourt, convinto ch'era vera, chiese tosto quanto valesse il gregge rubato; allorchè lo seppe, rimase sconcertato. Sant'Aubert diè qualche moneta alla donna; Emilia vi contribuì col suo borsellino, e quindi avviaronsi al luogo convenuto. Valancourt restò di dietro parlando colla moglie del pastore, la quale allora piangeva per la gratitudine e la sorpresa; le chiese quanto le mancasse ancora per ripristinare il gregge rapito. Trovò che la somma era quasi la totalità di quanto portava seco. Stava egli incerto ed afflitto. – Tale somma, dicea tra sè, basterebbe alla felicità di questa povera famiglia; sta in poter mio il darla, e renderli lieti e contenti; ma come farò poi io? come tornerò a casa col poco che mi resterà? – Esitò alcun tempo; trovava una voluttà singolare a salvare una famiglia dalla rovina, ma sentiva la difficoltà di proseguir la sua strada col poco danaro che avrebbesi riservato.

Stava così perplesso, quando comparve lo stesso pastore. I figliuoli gli corsero incontro; egli ne prese uno in braccio, e coll'altro attaccato alla cintola, inoltrò a lenti passi. Il suo aspetto abbattuto, costernato, decise Valancourt; gettò tutto il danaro che avea, tranne pochi scudi, e corse dietro a Sant'Aubert, il quale, sorretto da Emilia, incamminavasi verso l'erta. Il giovane non erasi mai sentito l'animo sì leggero; il cuore balzavagli dalla gioia, e tutti gli oggetti a lui intorno parevano più belli ed interessanti. Sant'Aubert osservò i di lui trasporti, e gli disse:

« Che cos'avete che sì v'incanta?

– Oh! la bella giornata! » sclamava Valancourt; « come splende il sole, come pura è l'aura qual sito magico!

– E stupendo! » disse Sant'Aubert, la cui felice esperienza spiegava facilmente l'emozione di Valancourt; « peccato che tanti ricchi, i quali potrebbero procurarsi a piacimento uno splendido sole, lascino avvizzir i lor giorni nelle nebbie dell'egoismo! Per voi, mio giovine amico, possa sempre il sole sembrarvi bello quant'oggi; possiate voi, nell'attiva vostra beneficenza, riunir sempre la bontà e la saviezza! »

Valancourt, onorato di tal complimento, non potè rispondere se non con un sorriso, e fu quello della gratitudine.

Continuarono a traversare il bosco tra le fertili gole de' monti. Giunti appena nel sito ove volean recarsi, tutti insieme proruppero in un'esclamazione; dietro ad essi, la rupe perpendicolare sorgeva a prodigiosa altezza e spartivasi allora in due punte egualmente alte. Le loro grige tinte contrastavano collo smalto de' fiori sbuccianti tra i crepacci; i burroni sui quali l'occhio scorrea rapido per ispingersi giù nella valle, erano sparsi anch'essi d'arboscelli; più giù ancora, un verde tappeto indicava i castagneti, in mezzo a' quali scorgeasi la capanna del povero pastore. Da ogni parte, i Pirenei ergeano le maestose cime; talune, carche d'immensi massi di marmo, mutavan colore ed aspetto nel medesimo tempo del sole; altre, ancor più alte, mostravan soltanto le nevose punte, e le basi colossali, uniformemente tappezzate, coprivansi sin giù nella valle di pini, larici e verdi querce. Questa valle, benchè stretta, era quella che conduceva al Rossiglione; i freschi pascoli, la doviziosa coltura contrastavano stupendamente colla grandiosità delle masse circostanti. Fra le catene prolungate di monti scoprivasi il basso Rossiglione, e la grande lontananza, confondendo tutte le gradazioni, parea riunir la costa ai candidi flutti del Mediterraneo. Un promontorio su cui sorgeva un faro indicava solo la separazione ed il lido; stormi d'uccelli marini volavano intorno. Più lungi però distinguevansi alcune bianche vele; il sole ne aumentava il candore, e la lor distanza dal faro ne facea giudicar la celerità; ma eravene di sì lontane, che servivan soltanto a separare il cielo ed il mare.

Dall'altra parte della valle, proprio in faccia ai viaggiatori, eravi un passaggio fra le rocce, che guidava in Guascogna. Costà, nessun vestigio di coltura; gli scogli di granito ergevansi spontaneamente dalle basi, trapassando i cieli colle sterili aguglie; costà, nè foreste, nè cacciatori, nè tuguri: talvolta però un gigantesco larice gettava l'immensa sua ombra sopra un incommensurabile precipizio, e talfiata una croce sopra un dirupo accennava al viaggiatore il terribil destino di qualche imprudente. Il loco parea destinato a diventare un ricovero di banditi; Emilia ad ogni istante aspettavasi a vederli sbucare; poco dopo, un oggetto non meno terribile le colpì la vista. Una forca, eretta all'ingresso del passaggio, e proprio al disopra d'una croce, spiegava bastantemente qualche tragico fatto. Evitò essa di parlarne a Sant'Aubert, ma tal vista inquietolla; avrebbe voluto sollecitare il passo per giungere con certezza prima del tramonto. Ma il padre avea bisogno di rifocillarsi, e, sedendo sull'erba, i viaggiatori votarono il paniere.

Sant'Aubert fu rianimato dal riposo e dall'aria serena di quella spianata. Valancourt era talmente estatico, talmente bisognoso di conversare, che parea aver dimenticata tutta la strada che restava da fare. Finito il pasto, fecero un lungo addio a quel sito maraviglioso e tornarono ad inerpicarsi. Sant'Aubert ritrovò la carrozza con piacere; Emilia vi salì secolui: ma volendo conoscere più minutamente la deliziosa contrada dove stavano per discendere, Valancourt slegò i suoi cani e li seguì a piedi; egli soffermavasi talvolta sopra le alture che gli offrivano un bel punto di vista; il passo delle mule permettevagli siffatte distrazioni. Se qualche luogo spiegava una rara magnificenza, tornava alla carrozza, e Sant'Aubert, troppo stanco per andar a goderne in persona, vi mandava la figlia e stavasene ad aspettarla.

Era tardi quando calarono dalle belle alture che coronano il Rossiglione. Questa magnifica provincia è incassata nelle loro maestose barriere, non restando aperta che dalla parte del mare. L'aspetto della cultura abbelliva in fondo il paesaggio, ed il piano tingevasi de' più vividi colori, e quali il lussureggiante clima e l'industria degli abitanti potevano dovunque farli nascere. Boschetti d'aranci e di limoni imbalsamavan l'aere; i lor frutti già maturi dondolavano tra le frondi, e le coste dal facile declivio facevan pompa delle più belle uva. Più lungi, selve, pascoli, città, casali, il mare, sulla cui rifulgente superficie scorrevano molte vele sparse, un tramonto scintillante di porpora; questo passo, in mezzo ai monti che lo dominavano, formava la perfetta unione dell'ameno col sublime; era la bellezza dormente in seno all'orrore.

 

I viaggiatori, giunti al basso, inoltrarono fra siepi di mirti e di melagrani fioriti sino alla piccola città d'Arles, dove contavan passar la notte. Trovarono un alloggio semplice, ma pulito; avrebbero passata una deliziosa sera, dopo le fatiche ed i godimenti del dì, se il momento della separazione che accostavasi non avesse sparso una nube su' loro cuori. Sant'Aubert voleva partir la domane, costeggiare il Mediterraneo e giungere così in Linguadoca. Valancourt, guarito troppo presto, ormai senza pretesto per seguire i suoi nuovi amici, dovea separarsene in quel luogo stesso. Sant'Aubert, il quale l'amava, proposegli di andar più innanzi; ma non reiterò l'invito, e Valancourt ebbe il coraggio di non accettare, per mostrare d'esserne degno. E' dovevano dunque lasciarsi la domane: Sant'Aubert per partire alla volta della Linguadoca, e Valancourt per riprendere la via de' monti onde riedere a casa. Tutta la sera non proferì sillaba, e stette soprappensieri: Sant'Aubert fu con lui affettuoso, ma però grave; Emilia fu seria, benchè cercasse di comparir allegra; e dopo una delle più malinconiche sere che mai avessero passate insieme, separaronsi per la notte.