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I Puritani di Scozia, vol. 3

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»Che cosa si vuole?» chies'ella con voce stridula e rauca.

»Bramo dir due parole alla Alison Wilson che abita qui.»

»Ella non è in casa (rispose la stessa mistress Wilson, persuasa forse dallo stato della sua acconciatura a dire questa bugia). Voi siete però un malcreato. Vi sareste fatto male alla lingua col nominarla Mistress Wilson di Milnwood

»Vi domando scusa (rispose Enrico sorridendo fra se stesso in accorgersi come la buona Alison non avea dimesse le sue pretensioni a que' rispettosi riguardi che a se credeva dovuti). Vi domando un'altra volta scusa ma arrivo da paese straniero, e vi sono rimasto sì lungo tempo che quasi ho dimenticata fin la lingua della mia patria.»

»Voi venite da paese straniero? Avreste a sorte inteso parlare d'un giovane di questi luoghi, il cui nome è Morton?»

»Ho udito pronunziare un tal nome nella Alemagna.»

»Aspettatemi un momento. Ma no. State ben attento a quel che vi dico. Girate attorno la casa. Troverete una porticella di dietro chiusa soltanto con un saliscendo. Apritela, ed entrate nel cortile delle galline, ma ponete mente di non cadere nella cisterna che è lì lì appresso a questa portella, perchè l'ingresso è assai buio. Voltatevi indi a man destra, e andate diritto un poco di tempo. Vi volgerete indi a destra una seconda volta, e vi troverete nel cortile nobile. Abbiate occhio di non isdrucciolar giù per la scala della cantina. Poco lontano da essa troverete la porta di cucina. Adesso non si viene nel castello per altra parte. Entratevi e mi troverete ivi, e direte a me quello che volevate dire a mistress Wilson.»

Ad onta della minuta spiegazione che di ogni particolarità locale avea fatta la nostra Alison, tutt'altro forestiere sarebbesi trovato nell'impaccio a dover superare un tal labirinto. Ma la nozione che Morton doveva avere della sua casa, giovò di filo al nostro secondo Teseo. Evitò con tutta franchezza i due scogli additati a lui dalla vecchia, e l'ostacolo più difficile a superare fu un cane di Spagna che abbaiava spietatamente contr'esso. Questa bestia però gli era anticamente appartenuta; ma diversa assai dal cane di Ulisse, non ravvisò il suo padrone comunque l'assenza di lui men che quella del re d'Itaca fosse durata.

»Nemmeno costui! sclamò Morton. Se lo dico! Non v'è anima che mi ravvisi!»

Entrò adunque in cucina, nè andò guari, che udì per le scale lo strepito concertato de' talloni alti che armavano le scarpe della vecchia, e del bastone col pomo a becco di civetta sul quale ella reggevasi.

Prima che questa giugnesse ebbe il tempo di dare un'occhiata intorno alla cucina. Comunque le vicinanze del paese non difettassero di carbone e si vendesse anche a buon mercato, ei non vide però ardere sulla ferrata del cammino che un fuoco economico di torba e di ramicelli di ginestra. Attaccato era alla catena un pensile ramino entro il quale stava cucinandosi il desinare per la Alison e per una fantesca, ragazza di dodici anni che avea per salario il sol nudrimento. Le esalazioni delle vivande poste sul fuoco davano a conoscere come questa vecchia non facesse pasti più sostanziosi di quelli cui avvezzata erasi col suo defunto padrone.

Al primo apparire di lei, Enrico ravvisò tostamente e quel tuono dignitoso di cui le piacea tanto sfoggiare, e que' lineamenti su i quali il mal umore, frutto della consuetudine, contendea colla bontà d'animo connaturale a questa donna; e riconobbe persino quel berrettone rotondo, quella vesta turchina, quel grembiule bianco che le avea veduti portar tante volte. Unicamente un nastro che ricigneale il capo, e qualche lieve giunta che avea fatto in fretta all'ordinario suo aggiustamento, indicavano qual differenza passasse tra la Alison, antica governante di sir David, e mistress Wilson di Milnwood.

»Qual cosa bramate da mistress Wilson? ella gli disse. Son io mistress Wilson» Perchè i cinque minuti impiegati nel farsi linda le sembrarono bastanti a ripigliare il suo nome d'onore, e a poter pretendere con più sicurezza il rispetto che a se credeva competere. Enrico non sapea troppo quel che gli convenisse rispondere a tale interrogazione, poichè avea pensato bensì a non farsi conoscere, ma non al pretesto da prendere per introdursi incognito in casa. Ma la nostra Alison nol lasciò gran fatto nell'imbarazzo, perchè senza aspettare ch'ei rispondesse alla prima inchiesta, attaccò sotto e con molta sollecitudine la successiva: »Voi dunque stando nell'Alemagna avete udito parlare del sig. Morton?»

»Sì, mia signora, del colonnello Silas Morton.»

Tutta la ilarità che leggeasi dianzi nella fisonomia della buona donna disparve all'udir questi accenti.

»È dunque il padre del Morton di cui vi chiedo che avete voi conosciuto, il fratello del fu sir David. Però… quello, voi non potete averlo conosciuto in paese straniero! l'apparenza de' vostri anni mi dice di no. Quando egli fece ritorno alla Scozia voi dovevate ancora essere nella mente di Dio. Io sperava che mi portaste notizie del figliuolo di questo Silas, del povero sig. Enrico.»

»Vi dirò, signora. Le nozioni sul colonnello Silas Morton, le ho avute da mio padre. Quanto al figlio, ho inteso dire che ei sia perito naufragando sulle coste di Olanda.»

»La cosa non è che troppo probabile, e ha costato ben molte lagrime ai miei poveri occhi. Sfortunato! suo zio me ne parlava ancora il giorno della sua morte, e fu dopo avermi comunicate le sue intenzioni sulla quantità di vino e d'acquavite da dispensarsi nel dì de' suoi funerali alle persone che vi assisterebbero, perchè, morto come vivo, è sempre stato un signore prudente, economo, e che antivedeva tutte le cose. – Alison, mi dicea, perchè mi chiamava sempre così. Figuratevi… la nostra conoscenza era di vecchia data! – Alison, dunque diceva, abbiate ben cura della casa; fate che vi regni il buon ordine come se fossi ancor vivo; se mai un giorno rivedeste il mio povero nipote, raccomandategli saviezza e soprattutto economia. Furono le sue ultime parole. Ah! aggiunse qualche altra cosa. Aveva un'avversione grandissima alle candele gettate a stampo, e la sfortuna lo portò ad accorgersi che in quel momento ne ardeva una di queste sopra la tavola, onde mi si volse: – Per un moribondo basta anche una candela foggiata sulla bacchetta.»

Intantochè mistress Wilson andava così ripetendo gli ultimi discorsi del vecchio avaro, un barbone, antico camerata d'Enrico era entrato in cucina, e avvicinatosi a lui, e dopo averlo fiutato un istante, non tardò a riconoscerlo, e a manifestargli in mille carezzevoli guise la gioia di rivederlo. Finalmente gli saltò sulle ginocchia.

»Abbasso Elphin, abbasso signorino!» gridò Enrico in tuon d'impazienza.

»Voi sapete il nome del nostro cane! la Alison sorpresa affatto esclamò. Per altro non è un nome tanto comune. – Ma egli pur vi conosce!» Allora mettendosi gli occhiali e avvicinandosi a lui: »Bontà divina! esclamò; è il mio povero figlio; è il sig. Enrico.»

E ciò dicendo la buona vecchia si strinse fra le sue scarne braccia il giovane amato, sel premè al cuore, e il colmò d'abbraciamenti sì teneri come se fosse stata sua vera madre: finalmente ai pianti della consolazione si abbandonò. Commosso Enrico da tante dimostrazioni d'amore, non ne risparmiò contraccambio alla vecchiarella affettuosa, nè pensò più a sostenere la sua finzione; che se l'avesse anche voluto non ne avrebbe avuta la forza.

»Sì, mia cara Alison; sì son io veramente. Vivo ancora per ringraziarvi di un affetto che non si è mai dismentito un istante; vivo per rallegrarmi di trovare nella mia patria un'amica almeno che mi rivede con giubbilo.»

»Oh! persone amiche non ve ne mancheranno, sig. Enrico. Chi ha denari trova sempre amici, e la Dio mercè voi ne avrete, e ne avrete molti. – Abbiate sol cura di farne buon uso e di non dissiparli. – Ma, mio Dio! (ella soggiunse lievemente rispignendolo a fine di contemplarlo ad una distanza più adatta alla sua vista) come siete cambiato, figliuol mio! non vedo più il vostro colore, vi trovo le guance incavate, gli occhi affossati, tutto dimagrato! Ah queste maladette guerre non hanno portato che malanni! – E quant'è che siete tornato? – Dove siete stato? – Che avete fatto finora? – Perchè non ci scrivere? – Com'è che v'hanno creduto morto? – Perchè venire in casa vostra a guisa di straniero e sorprendere così la povera Alison?»

Trascorse alcun tempo prima che Enrico potesse frenare la commozione del proprio animo quanto bastava per rispondere a tutta questa fila d'interrogazioni.

Se mai i nostri leggitori partecipassero alle moltiplici curiosità dalla buona vecchia esternate, noi siamo per appagarle nel successivo capitolo.

CAPITOLO XI

 
»Nomossi Aumerlo: in sostener pugnando
»Le parti di Riccardo, il nome ascose;
»Per prudenza or si fa nomar Rutlando.
 
D'un Anonimo.

Benchè la nostra Alison fosse impazientissima d'udire quai risposte avrebbe date Enrico alle molte e variate interrogazioni ch'ella gli mosse, non volle permettere che ei rimanesse più a lungo nella piccola cucina, e lo fece salire nel suo appartamento, ch'era il medesimo ove solea stanziare questa donna anche allorquando non era se non se la governante di sir David.

»È men soggetto al vento di tramontana che non quello posto a pian terreno, disse ella, e vi si gode calore con men bisogno di fuoco. Rispetto poi troppo la memoria del mio defunto padrone per volere alloggiare nel suo appartamento che adesso è vostro, sig. Enrico. Non parlo della grande sala apparata d'intarsi di quercia. Già sapete che quella non è mai stata adoperata fuorchè nelle solennità, nè l'ho aperta che qualche volta per darle aria, e lavarne il pavimento e spazzarne la polve.»

Si assisero pertanto nella stanza della ex-governante in mezzo ad una raccolta di legumi conservati e di frutta secche e giulebbate d'ogni genere, cose ch'ella continuava a preparare per antica consuetudine, e che finivano poi andando a male perchè non v'era chi le toccasse giammai.

 

Morton adattando il suo racconto all'intelligenza dell'ascoltatrice lo restrinse quanto gli fu possibile. Le narrò adunque come la nave ov'erasi imbarcato essendo stata assalita da una burrasca era perita con chi v'era dentro, tranne due marinai ed egli stesso, salvatisi in un palischermo e approdati felicemente al porto di Flessinga. Colà ebbe la buona sorte di scontrarsi in un antico ufiziale che avea militato insieme al padre di lui. Seguendone i consigli non si trasferì altrimenti all'Aia, e delle varie commendatizie che avea portate con sè, non inviò ad essere ricapitata se non se quella datagli da Claverhouse e indritta allo Statolder.

»Il nostro principe, dicea quel vecchio ufiziale, dee per motivi politici mantenersi in buon accordo col suo suocero e vostro re, Carlo II4. Commetterebbe quindi una imprudenza se si esternasse favorevole ad uno Scozzese appartenente alla fazione dei malcontenti. Aspettatene adunque gli ordini, senza far mostra di volerlo costringere a pensare a voi. Usate prudenza, vivete ritirato, cambiate nome, schivate la società degli esuli scozzesi, e, credetelo a me, non vi pentirete di esservi comportato in tal guisa.»

Il vecchio amico di Silas Morton non si ingannava. Non andò guari che il principe d'Orange facendo un giro per le Province Unite, venne a Flessinga, ove già Morton incominciava ad annoiarsi della propria inazione; ed ebbe un colloquio segreto con questo giovine, mostrandosi grandemente soddisfatto dell'intelligenza e prudenza che in lui ravvisò, e soprattutto dell'occhio imparziale onde considerava le varie sette che dilaniavano la sua patria, e della nitidezza colla quale chiarì al ragguardevole ascoltatore le mire e la condotta delle diverse fazioni.

»Vi darei di buon grado servigio presso di me, gli disse Guglielmo, ma non potrei senza dar ombra all'Inghilterra. Non mi crediate perciò men volonteroso di giovarvi, sia per riguardo vostro, sia per riguardo alla commendatizia di cui vi ha munito un ufiziale meritevole della mia stima. Eccovi una patente di servigio in un reggimento svizzero, stanziato in una delle province più lontane dalla mia capitale, e ove non troverete, credo io, alcuno Scozzese. Evitate qualunque corrispondenza col vostro paese, continuate ad essere il capitano Melville, e lasciate dormire il nome di Morton, finchè arrivino istanti più favorevoli.»

»In simil guisa, continuò Morton, ho incominciata la mia fortuna. Ho avuta la ventura di ben riuscire nelle diverse commissioni affidatemi, e di vedere i miei servigi riconosciuti e ricompensati da sua altezza reale sino all'istante che è stato chiamato in Inghilterra qual nostro liberatore e nostro re. La prescrizione ch'ei m'avea fatta deve essermi scusa valevole sul silenzio da me serbato col piccolo numero d'amici che ho lasciati nella Scozia. Quanto alla voce che si era diffusa della mia morte, non poteva accadere altrimenti dopo lo sgraziato naufragio della nave sulla quale partii, nè può che averle dato maggior fondamento il niun uso fatto da me, o delle cambiali che mi erano state rimesse, o delle commendatizie salvo quella al principe, che se raccomandò il silenzio a me, certamente avrà taciuto egli stesso.»

»Ma figliuol mio, come può essersi dato che in cinque anni non vi siate incontrato in un solo Scozzese quale v'abbia ravvisato? Io ho sempre creduto non esservi Scozzese che non vi conosca.»

»Ponete mente, mia buona Alison, che i tre prim'anni della mia lontananza si passarono in una rimota provincia, e che quando d'allora in poi passai alla corte del principe d'Orange, vi sarebbe voluto un affetto premuroso e sincero siccome il vostro per ravvisare l'esiliato Morton nel maggior generale Melville.»

»Melville! era il cognome di vostra madre; ma quello di Morton sona meglio alle mie vecchie orecchie. Nel tornare a possesso degli antichi fondi della vostra famiglia converrà bene che riassumiate ancora il primitivo cognome.»

»Non farò nè l'una ne l'altra di tali cose; ho fortissime ragioni per desiderare che la mia tornata nella Scozia e perfino la mia esistenza, rimangano ignote. Quanto al possedimento di Milnwood so che vi appartiene, e sta bene nelle mani fra le quali si trova.»

»Sta bene? Spero al certo, figliuol mio, che non parliate sul serio. E che volete voi ch'io mi faccia de' vostri beni e delle rendite vostre? Non è che un peso per me. Non vi nego esservi persone che troverebbero gradevole questo peso, e vecchia qual mi vedete, lo scrivano Mactrick si era offerto a sgravarmene in parte col portarlo in mia compagnia. Ma se son vecchia, non sono matta per ciò, nè mi scaldo al fuoco di questa legna. Non ho mai perduta la speranza di rivedervi, e di fatto ho sempre mantenuto il castello nell'ordine che era ai giorni della buon'anima di vostro zio. Non sarebbe bastante contento per me il vedervi governare saviamente le vostre sostanze? Voi dovreste avere imparata quest'abilità nell'Olanda, che è un paese masserizioso a quanto mi hanno detto. – Benchè però credo potete sfoggiare un pochino più che nol faceva il defunto. Per esempio, vorrei che aveste tutti i giorni, in vece di tre volte la settimana, un piatto di carne tolta alla beccheria, che beveste a quando a quando una tazza di vino, perchè ciò aiuta a discacciare i vapori ipocondriaci; che…»

»Parleremo di queste cose altra volta, mia Alison (la interruppe Morton stupefatto delle idee liberali esternate dalla vecchia governante, che accoppiava in bizzarro modo il disinteresse e l'amore dell'economia). Ora già non sono qui che per pochi giorni, e vel torno a dire, cara Alison, vi raccomando nessuno sappia che mi avete veduto.»

»Non temete su di ciò, figliuol mio. Son buona a custodire un segreto, il vecchio sir David, buon'anima, lo sapeva bene. Egli mi avea raccontato persino ove teneva nascosto il suo denaro, e vedete ch'era una grande prova di fidarsi nella mia segretezza. – Ma venite dunque meco affinchè vi faccia vedere la gran sala. Io sola mi prendo il pensiere giornaliero di tenerla di conto; è questa la mia ricreazione, benchè qualche volta nel curarla abbia detto a me stessa, e mi venivano le lagrime agli occhi. – Che giova fregar tanto l'inferrata del cammino, lustrare i candeglieri, spazzare i tappeti, sbattere i cuscini? Il padrone di tutte queste belle cose non tornerà forse mai più.»

E così parlando lo conducea in questo sancta sanctorum, ch'ella aggiustava ogni giorno: come se avesse aspettato visite, e inorgogliendosi di vederlo per sua opera sì ben tenuto. Morton entrandovi ebbe dalla vecchia un rabbuffo, perchè non s'era ripulite le scarpe, e si ricordò il rispetto pressochè religioso, da cui fanciullo era compreso, quando nelle occasioni di grande pompa, gli si permetteva mettere il piede per pochi istanti in quella sala, della quale allora non credea si trovasse neanco la simile ne' palagi de' principi e de' monarchi. Ognuno s'immaginerà facilmente che quei seggioloni da parata, nani di piedi e giganti di dorsiere, quegl'immensi alari di bronzo dorato, e quegli arazzi d'alto liccio, perdettero agli occhi di lui gran parte dell'antico merito, in guisa che in quella sala non ravvisava più nulla meglio d'un soggiorno dedicato alla tetraggine. Nondimeno due ritratti fermarono la sua attenzione e altamente ne commossero l'animo. L'un di questi rappresentava il padre di lui armato di tutto punto, e nell'atteggiamento più confacevole ad indicarne l'indole risoluta e guerriera. L'altro era quello dello zio, vestito d'un abito di velluto co' manichetti, e la guarnizione dello sparato, di pizzi, e che parea vergognarsi del suo abbigliamento, comunque nol dovesse che alla generosità del pittore.

»Fu un'idea stravagante, disse Alison, quella di mettere addosso a quella buona e cara creatura un abito sì bello che non ne ha mai portati de' simili. Oh! comparirebbe assai meglio col suo pastrano di panno grigio.»

Morton non potè starsi dal consentire nell'opinione della Alison, perchè per vero dire un abito di parata si affava tanto al portamento goffo e ridicolo del defunto, quanto l'avrebbero potuto i modi generosi ai suoi lineamenti triviali ed ignobili.

Ei si disgiunse allora dalla vecchia per andare a visitare il parco e i giardini, del quale intervallo essa profittò per far qualche picciola aggiunta alla mensa che stavasi apparecchiando. Circostanza che noi accenniamo unicamente perchè costò la vita ad un pollo, il quale forse, se non sopravveniva un avvenimento così rilevante come lo era l'arrivo del sig. Enrico, sarebbe giunto a lunga decrepitezza nel pollaio del castello di Milnwood.

Mistress Wilson non fe' cerimonie di sorte alcuna quanto al mettersi a un desco insieme con Morton, cosa sancita già da consuetudine antica. Ella andò condendo il banchetto, or col citare le ricordanze de' tempi andati, or col porre in campo divisamenti per l'avvenire, attribuendo sempre ad Enrico la parte di padrone del castello, a se quella di conservatrice del buon ordine e dell'economia legata dal defunto proprietario, nè risparmiandosi molti encomj sul proprio zelo e sulla propria abilità passata e presente in adempir tale incarico. Morton lasciò che la buona donna si divertisse fabbricando castelli in aria, e si riserbò ad altro momento il parteciparle la risoluzione allor ferma in lui di tornarsene sul continente e di colà terminare i suoi giorni.

Abbiamo dimenticato dire, che allorquando mistress Wilson riconobbe nel forestiero il suo caro Enrico, vedendolo tutto bagnato lo fece cambiare di vestito e di biancheria. Laonde egli mise l'abito verde che avea portato altre volte nel tempo del suo soggiorno a Milnwood, e che la buona Alison conservò come reliquia nel cassetto d'un armadio, senza però dimenticare a quando a quando di dargli aria e di spazzolarlo.

Finita la mensa gli offerse il suo uniforme dopo essersi data ogni cura a farlo asciugare. Ma Morton pensò più atto forse ad agevolargli la divisata ricerca di Burley l'abito che in quell'istante ei vestiva. Rispose adunque alla governante che avrebbe conservato il vestito cittadinesco, nè degli arredi che avea dianzi, prese altra cosa se non se la spada e le due pistole, armi senza le quali uom non viaggiava in que' tempi di turbolenza.

»Pensate ottimamente, diss'ella; il vostro abito verde vi sta benissimo, e dopo esservi or riposato vi comunica quella stessa buona cera, che avevate allorchè vi condussero via da Milnwood, tranne il non essere al certo ingrassato. Fate anche bene, che così risparmiate il vostro uniforme».

Ella si diffuse indi sul modo di trar buon partito dagli abiti usati, ed erasi già inoltrata nel tessere la storia di un vestito di panno scarlatto, appartenuto dianzi a sir David, poi divenuto fodera d'un abito turchino, in appresso trasformato in un paio di calzoni, e che a ciascuna di tali metamorfosi durava buono come se fosse nuovo; ma Morton interruppe il filo di tal racconto per congedarsi da lei, ed annunziarle la necessità in cui era di rimettersi in viaggio.

Fu questo un colpo difficile a sopportarsi per mistress Wilson.

»E perchè volete partire? – E ove ne andrete voi? E ove credete star meglio che in casa vostra dopo esservene allontanato per tanti anni?»

»Voi avete ragione, o Alison; ma non ne posso di meno. E fu per questa ragione che a voi non mi palesai all'atto medesimo del mio arrivo. Io ben sapea che avreste fatto di tutto per trattenermi.»

»Ma ditemi dove andate, ella ripetè nuovamente. Si è mai veduta una cosa simile? Appena giunto volar via a guisa di freccia!»

»Mi è duopo andare nella vicina città in cerca di Niel. – Credo bene ch'ei potrà darmi un letto.»

»Oh sì certamente! potrà darvi un letto, e saprà anche farvelo pagar bene. – Ma, figliuol mio, avete dunque lasciato il vostro giudizio ne' paesi dove avete girato? E vi par egli una bella cosa pagare un letto e una cena quando potete avere tutto questo senza spendere un soldo, ed essere ringraziato per soprappiù?»

»Vi assicuro, Alison, che mi guida colà un affare della massima importanza, e dal quale dipende ch'io guadagni o ch'io perda moltissimo.»

 

»Quand'è così, non vi trattengo più. – Però fate ben attenzione che questa gita sta per costarvi forse una dozzina di scellini di Scozia. Ma la gioventù non conosce il valor del denaro. – Il mio vecchio padrone, Dio l'abbia in gloria, quegli sì! era prudente; non toccava mai più il denaro, quando una volta lo aveva messo in riserbo.»

Persistendo Morton nella sua deliberazione, risalì a cavallo e si congedò da mistress Wilson, dopo averle fatto promettere nuovamente di non far motto con nessuno ch'ei fosse tornato, sintanto almeno ch'ella nol rivedea.

»Non sono prodigo, pensava egli nell'allontanarsi da Milnwood, ma se io rimanessi con questa donna, come ella lo desidera, il sarei quanto basta a giudizio di lei per farla sospirare più d'una volta.»

4»Mentre gl'Inglesi i più ragguardevoli si riparavano all'Aia, e mentre Guglielmo di Nassau mostrava prendere tenue parte ai disastri che questi sofferivano, facea di soppiatto preparamenti di guerra, e li faceva con tal'arte che il suocero non mai se ne accorse.» Muller. Stor. Un. L. XXII, cap. XIII. – N. del T.