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Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96

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III

A quanto precede si riducono le osservazioni da noi fatte sulle condizioni attuali dei ghiacciai del Gruppo del Gran Paradiso; ci rimane a dire di alcune altre osservazioni fatte in passato, ora molto preziose per ricostrurre la storia glaciale contemporanea della Valnontey, risalendo fino a più di 60 anni addietro.

Sopra un macigno sporgentesi presso il letto del torrente, ad un quarto d’ora di cammino circa sopra il ponticello da noi scelto per origine delle nostre coordinate, ritrovammo il segnale postovi nel 1833 dal curato Chamonin ad indicare l’estremo limite cui arrivava in allora il gran ghiacciaio di Valnontey, costituito dall’unione di quelli di Money, di Grand Croux, della Tribolazione e, secondo alcune informazioni, anche da quello dell’Herbetet.

Le coordinate di questo segnale riferite al sovraindicato sistema d’assi ortogonali, sono:

X = -717,42, Y = -387,80

Abbandonando questo segnale e raggiungendo la strada di caccia dell’Herbetet, dopo breve percorso si arriva al punto in cui questa è attraversata dal torrente che scende dall’Herbetet, dopo di che la strada s’arrampica con comode risvolte su alcune balze di roccie arrotondate e striate. Su una parete verticale di queste roccie sta scolpita la seguente iscrizione:


Questo è il segnale che nel 1866 l’egregio abate valdostano Giovanni Pietro Carrel e l’illustre esploratore genovese Enrico D’Albertis ponevano per segnalare il limite inferiore del ghiacciaio di Valnontey. Questa segnalazione è completata da altro segnale, posto pure nello stesso anno più in basso presso il torrente: la retta che univa questi due segnali rappresentava, in direzione trasversale all’asse della valle, il detto limite.

Come già per il segnale Chamonin, abbiamo con tutta cura collegato colla nostra poligonale topografica questi due punti, le cui coordinate sono le seguenti:

1º segnale (superiore) X = -1004,17, Y = -547,45

2º segnale (inferiore) X = -1035,05, Y = -530,50

La retta che li unisce quasi in direzione di N.NO.—S.SE. fa colla linea N-S un angolo di 28° 45´ 39″, e la distanza fra i due punti risulta di m. 35,25.

Abbiamo così tre limiti ben accertati nel ghiacciaio di Valnontey in epoche diverse: nel 1833, nel 1866, ed i limiti attuali dei singoli ghiacciai in cui quello si è suddiviso ritirandosi.

Prendendo in considerazione la bocca orientale del ghiacciaio della Tribolazione, di cui conosciamo le coordinate

X = -1082, Y = -1108,

deduciamo che il cammino percorso nel suo regresso dal ghiacciaio dal 1833 al 1866 è di metri 348,21 in 33 anni, cioè m. 10,55 all’anno in media, e che il cammino percorso dal 1866 al 1895 per arrivare all’attuale limite orientale della Tribolazione fu di m. 960,06 in 29 anni, con una velocità media annua di m. 33,10 dato che il cammino siasi sempre effettuato nel senso del ritiro.

La velocità così risultante appare nel secondo trentennio considerato tripla di quella del trentennio precedente; ma tale valore non è applicabile certamente a tutto il periodo 1866-1895, perchè in questo dobbiamo distinguere tre parti, cioè il primo periodo che va dal 1866 al momento in cui il ghiacciaio di Money si è staccato dagli altri due; il secondo che va da questo momento a noi ignoto all’altro pure ignoto in cui si separarono anche i due ghiacciai di Grand Croux e della Tribolazione; il terzo infine che dal momento di quest’ultima separazione arriva fino all’agosto 1895.

In queste tre parti la velocità di regresso dovette evidentemente essere assai differente: dal 1866 fino a quando i tre ghiacciai continuarono ad essere riuniti, una sola era la fronte, e la superficie d’ablazione piccola in confronto della massa glaciale; nella seconda parte la velocità di regresso deve essersi notevolmente accresciuta per l’accresciuta superficie frontale di ablazione; nella terza parte, infine, tale velocità deve essersi ancora aumentata grandemente per i due ultimi ghiacciai, essendosi anche per questi più che raddoppiata la superficie frontale d’ablazione.

Con questa considerazione si potrebbe dar ragione dell’enorme differenza nelle due sovrascritte velocità di ritiro, senza bisogno d’ammettere che sia avvenuto qualche brusco cambiamento nelle condizioni locali regolanti il regime glaciale.

Del resto, l’ultimo valore della velocità di ritiro di quei ghiacciai può essere assai lontano dal vero, anche perchè noi non conosciamo esattamente il momento in cui le fronti dei singoli ghiacciai si disposero nell’attuale loro posizione.

Vedremo in seguito come da altri dati si deduca per la velocità di ritiro subito dopo il 1866 un valore assai maggiore, e come verso il 1885 questa sia diminuita assai; manteniamo ciononostante le considerazioni poc’anzi svolte perchè, nella grande incertezza in cui ora ci troviamo riguardo alla legge del ritiro di quei ghiacciai; esse servono, se non ad altro, a sviscerare sempre meglio tutte le particolarità del fenomeno.

Che quei ghiacciai si siano ritirati oltre il limite attuale e quindi nuovamente avanzati, lo neghiamo, e lo neghiamo con certezza almeno fino a tutto il 1889, e non crediamo nemmeno che ciò abbia potuto succedere nei successivi 6 anni, se dobbiamo prestar fede alle informazioni locali.

Che alcuni di quei ghiacciai dopo essersi ritirati si siano nuovamente avanzati dopo il 1881, lo afferma il dott. Virgilio di cui riportiamo integralmente il seguente lungo brano78: «I tre maggiori ghiacciai del massiccio del Gran Paradiso, compresi appunto nel Vallone di Valmontey, quelli cioè della Tribolazione, di Grancrou e di Money, hanno subìto in questi ultimi venti anni una marcatissima diminuzione. Nel 1875 le loro estremità riunivansi in una fronte terminale unica; ma dopo il 1875 esse si erano ritirate e disgiunte. Tale periodo di ritiro continua tuttora (1885) per il solo ghiacciaio di Money, mentre per gli altri due si è già iniziato circa dal 1881 il periodo d’avanzamento, per cui questi sono di nuovo uniti per le loro fronti terminali».

«La ragione di questa differenza nelle variazioni periodiche di tre ghiacciai vicinissimi fra di loro, per cui uno trovasi in ritardo circa l’iniziarsi del suo periodo d’avanzamento, periodo già cominciato negli altri due, sta a parer mio, nella conformazione ed orientazione dei rispettivi bacini di raccoglimento delle masse di ghiaccio. Infatti, i bacini glaciali della Tribolazione e di Grancrou sono ampi, pochissimo accidentati e rivolti a nord, mentre quello di Money è molto accidentato, interrotto da speroni rocciosi e rivolto ad ovest. In conseguenza di ciò deve risultare una maggior ablazione per quest’ultimo ghiacciaio.»


Piede del ramo ovest del Ghiacciaio della Tribolazione

Da una fotografia dell’ing. A. Druetti.


Scarpa terminale del Ghiacciaio dell’Herbetet

Da una fotografia dell’ing. A. Druetti presa dalla parte destra della morena frontale.


Il Baretti, ricordato il fatto del constatato ritiro di quei ghiacciai dopo il 1865, è più prudente nel pronunciarsi circa un nuovo periodo d’avanzamento, ad ammettere il quale però è propenso. Ecco le sue parole: «Pei ghiacciai che scendono dal Gran Paradiso nel vallone di Valnontey abbiamo il seguente dato, da noi raccolto e consegnato in un lavoro, Per rupi e ghiacci, pubblicato nel 1875: i ghiacciai del bacino nel 1865 si fondevano assieme in una sola fiumana in basso: nel 1874 erano già disgiunti per ritiro di quasi 750 metri; il ritiro continuò fino al 1883. Non sappiamo quali varianti siano avvenute in questi ultimi nove anni; l’abate Carrel, studiosissimo di cose naturali ed abitante a Cogne, sarebbe la persona adatta in superior grado a tener nota delle variazioni che ora supponiamo nel senso di accrescimento.»79

Notiamo intanto che dalle osservazioni del Baretti si deduce una velocità di ritiro nel ghiacciaio di Valnontey di 83 metri all’anno in media nel periodo 1865-1874.

Per meglio conoscere le vicende del fenomeno glaciale in questione, noi ci serviamo appunto delle preziose osservazioni locali fatte dal 1871 al 1889 dall’ab. Carrel, circa la cui competenza in merito condividiamo pienamente l’opinione del Baretti.

L’abate Carrel addì 19 ottobre 1876 fece uno schizzo dei ghiacciai di Valnontey che porta, oltre la sua firma, l’indicazione: «Cette vue a été prise, en montant à l’Herbetet, au point culminant d’où la route royale redescend». In questo stesso punto si recò negli anni successivi a riprendere la stessa veduta e potè così raccogliere una serie di schizzi dai quali appariscono le condizioni di quei ghiacciai nelle epoche seguenti oltre la sovrascritta: 5 novembre 1877, 15 ottobre 1879, 23 settembre 1880, 22 agosto 1883, 2 settembre 1884, 1 ottobre 1886, nel 1888, e 6 settembre 188980.

 

Il cortese abate avendoci consegnati i suoi schizzi (del che vivamente lo ringraziamo) ce ne varremo fin d’ora per chiudere questo lavoro.

Dalla veduta presa il 19 ottobre 1876 il ghiacciaio di Money risulta completamente staccato dagli altri due e confinato nelle rupi scoscese sulle quali si distende attualmente la «zampa di leone»; la sua forma però non è così ristretta, ma presenta una larghezza assai maggiore. Vi si vede inoltre tracciata chiaramente la strada di caccia che, staccandosi da quella dell’Herbetet, attraversa su un ponticello il torrente e sale sul fianco destro della valle, dapprima con parecchi zig-zag e quindi, dopo una larga risvolta, rimonta le rupi sottostanti al ghiacciaio di Money con un’altra serie di fitti zig-zag fino ad un appostamento di caccia. Questa strada ci si disse costrutta nel 1872 o 1873; per cui già a quell’epoca il ghiacciaio di Money si era staccato dagli altri due. Questi costituenti un unico ghiacciaio, dal Carrel detto ora di Valnontey ora di Grand Croux, hanno il loro limite un poco a monte dei primi zig-zag sovraccennati, in un punto che ci pare di poter stabilire alla distanza di 500 metri dal limite del ghiacciaio nel 1866; ne risulterebbe pertanto una media velocità di regresso di 50 metri all’anno.

Dagli schizzi posteriori risulta che negli anni successivi il ghiacciaio di Valnontey andò gradatamente ritirando in alto il suo piede terminale, rimanendo pur sempre uniti i suoi due ghiacciai costituenti fino al 1884; nel 1886 apparisce la separazione dei due ghiacciai che andò sempre meglio accentuandosi negli schizzi relativi al 1888 e 1889.

Queste osservazioni contraddicono pertanto all’asserzione sovraricordata del dott. Virgilio, perchè, se dopo il 1881 quei due ghiacciai avevano la fronte comune, questo non era per causa d’un avanzamento, ma perchè ancora non s’erano separati, separazione avvenuta verso il 1886 ed esistente tuttora. E che nell’intervallo fra il 1884 ed il 1886 abbia continuato il ritiro in quei ghiacciai lo dimostra la seguente circostanziatissima affermazione scritta di pugno dell’abate Carrel a tergo dello schizzo che porta la data del 1º ottobre 1886 e che si riferisce al ghiacciaio di Grand Croux separato da quello della Tribolazione, ivi detto del Gran Paradiso: «Le 1r octobre 1886 je suis parti de Cogne a 6h ¼ du matin, et ayant passé par le sentier de l’Herbétet, je suis arrivé au point culminant d’observation a 9h ¼. Le jour n’était pas propice pour dessiner parce que la dernière neige tombée couvrait en partie les roches et ne permettait pas de distinguer d’une manière sûre la roche du glacier. Cependant j’ai pu vérifier que le glacier a reculé de 27 mètres depuis le 2 septembre 1884».

Aggiungeremo ancora che i punti in cui sono segnati i limiti inferiori dei ghiacciai di Grand Croux e della Tribolazione negli ultimi schizzi del 1888 e 1889 ci paiono approssimativamente quelli attuali, ciò che però verificheremo. Inoltre, in tutti 9 gli schizzi il ghiacciaio di Money appare stazionario sulle roccie sulle quali arriva tuttora il suo ramo sinistro.

In quanto poi all’attribuire le differenze nelle variazioni periodiche di ghiacciai, anche vicinissimi, alla conformazione ed orientazione dei rispettivi bacini di raccoglimento delle masse di ghiaccio, siamo in massima d’accordo col dottor Virgilio; ma, venendo al caso concreto, dobbiamo però fare qualche osservazione. Da quanto abbiamo detto precedentemente e che chiaramente risulta dalla semplice ispezione della carta del Paganini, il bacino glaciale del Money è meno accidentato ed interrotto di quelli di Grand Croux e della Tribolazione; e, riguardo all’esposizione, quello di Money, quello di Grand Croux e parte di quello della Tribolazione sono nelle identiche condizioni, cioè con esposizione a nord-ovest, mentre soltanto quello della Tribolazione (e non tutto) è esposto a nord-est.

Noi crediamo più conveniente, per spiegare il più rapido ritiro del ghiacciaio di Money in confronto degli altri due, ricorrere ad un’altra legge esattamente verificata per i ghiacciai della Valnontey, quella cioè per la quale la resistenza dei ghiacciai all’ablazione è tanto maggiore quanto maggiore è l’elevazione dei loro circhi terminali a parità della loro estensione, ed a parità d’elevazione e d’esposizione è tanto maggiore quanto più i ghiacciai sono vicini al centro del massiccio ricoperto di ghiacci. Si sa infatti che la temperatura dell’atmosfera va diminuendo coll’altezza, e, nei limiti delle massime altezze delle nostre montagne, ciò favorisce una maggior precipitazione di acqua allo stato di neve.

Una gran massa ghiacciata, qual è il massiccio del Gran Paradiso, non può a meno di far sentire la sua azione refrigerante intorno e sè, e l’effetto suo va diminuendo naturalmente colla distanza. Ecco infatti che, a parità d’esposizione e d’altre circostanze, noi vediamo nella Valnontey i ghiacciai rialzare la quota del loro limite inferiore di mano in mano che s’allontanano dalle eccelse altezze (Gran Paradiso, Becca di Moncorvè, Punta di Ceresole e Testa di Valnontey) che costituiscono il nocciolo di quella regione ghiacciata. Così noi vediamo i ghiacciai della Tribolazione, di Grand Croux ed il ramo sinistro del Money discendere colle loro fronti sotto i 2400 metri; quindi a destra vanno salendo le fronti del Money a 2600 m. circa, di Patrì a 2750 circa e di Valletta a 2850; e finalmente sulla sinistra le fronti risalgono oltre i 2900 pei ghiacciai di Dzasset e d’Herbetet, a 2950 circa per quello del Sertz ed a circa 3000 per quello di Lauzon.

Da quanto abbiamo esposto si può adunque concludere che i ghiacciai della Valnontey hanno in poche diecine d’anni subìto un rilevantissimo regresso, che se questo non continuò anche negli ultimi anni, in questi si sarà mantenuto uno stato stazionario, ma che tutto porta ad escludere qualsiasi avanzamento.

In relazione coi movimenti oscillatori dei ghiacciai sta evidentemente la piovosità e caduta di neve in un dato periodo di tempo. Le osservazioni fatte a Cogne, ad Aosta e in altre località della valle dall’abate Carrel e da altri fanno constatare una notevole diminuzione nella piovosità della Valle d’Aosta. Non abbiamo ancora i dati relativi a Cogne che il Carrel sta compilando; ma tuttavia non sarà del tutto fuor di luogo riprodurre il seguente quadro compilato e pubblicato81 da questo prete osservatore e studioso, e che porta la data del 1º luglio 1896. In esso sono comparate le quantità d’acqua caduta ad Aosta sotto forma di pioggia o di neve nel quinquennio 1841-1845 registrate dal canonico Georges Carrel, con quelle relative al quinquennio 1891-1895 notate da J. P. Carrel, esattamente cinquant’anni dopo.



È veramente notevole la diminuzione di più che un terzo fra l’acqua caduta nel primo quinquennio e quella caduta nel secondo.

Quando si potessero avere per tutta la regione alpina i dati pluviometrici per lunga serie d’anni, allora il problema glaciale entrerebbe nel suo vero campo: nel campo della meteorologia.

Prima di por fine a queste pagine registriamo una parola di encomio per la guida Giuseppe Barmaz di Pré-St-Didier che ci fu compagno per una ventina di giorni nelle nostre peregrinazioni. Quanto egli ci fu guida capace e sicura nei pericoli, altrettanto si addimostrò paziente ed intelligente nell’aiutarci nelle nostre disagevoli ricerche e segnalazioni le quali se pur riuscirono così modeste, lo sarebbero forse state ancor più senza l’opera sua.

Torino, luglio 1896.

F. Porro della Sezione di Cremona.
A. Druetti, Relatore.
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Escursioni e studi nelle Alpi Marittime

Felice colui che, avendo l’ordinario suo campo di lavoro in una grande città industriale, in mezzo ad un’interminabile pianura, trova pure il tempo e l’occasione di passare una parte dell’anno sulle Alpi! Così io, stanco della vita monotona e dei molteplici studi, facevo da 6 anni ogni estate il viaggio da Lipsia a Tenda, ove villeggiavano i miei genitori. E qui, fra quel clima stimolante, in mezzo a quei monti che m’invitavano a visitarli, non solo potei rinvigorire le mie forze e ritemprare i miei nervi, ma trovai anche una natura infinitamente degna d’attenzione e di studio; e fu per me, nei freddi e brumosi inverni di Lipsia, un conforto lo studiare quello che trovai scritto sulle Alpi e sui loro fenomeni, e riunire ciò che sui monti da me percorsi potevo dire, sia secondo le osservazioni da me raccolte coi miei poveri mezzi, sia secondo quelle che fecero altri visitatori. Ed ora presento un saggio dei miei studi, premessa una breve narrazione delle escursioni da me eseguite.

Il mio lavoro è certo pieno d’imperfezioni e di lacune; ma ad intraprenderlo mi spinse più che tutto l’amore di quelle Alpi, nelle quali ho passato i più bei giorni di mia vita.

I.
Escursioni

Dopo una salita alla Cima di Marguareis (m. 2649) che compii il 20 agosto 1892, il 12 settembre successivo, in compagnia del sig. P. Salvi, risalii con bellissimo tempo la Valle della Miniera, pernottando, dopo una breve gita al Lago di Fontanalba, nella bella casa del signor Pellegrino in Val Casterino, nella località segnata sulla carta col nome di S. Maria Maddalena.

Li 13 passammo per la Valmasca, il recesso lacustre dei laghi del Basto e la ripida Baissa di Valmasca (m. 2473), ove trovammo moltissima neve cadutavi una settimana prima, e scendemmo poi per l’orrido burrone delle Meraviglie, in cui a stento riuscimmo a scoprire taluna delle vantate incisioni. Alla sera, il sig. Salvi se ne tornò a Tenda, mentre io pernottai alle capanne di Tetto Nuovo, dal buon «Eumeo» Tribulla.

Il giorno dopo, fermatomi ai Laghi Lunghi per prendere un bagno nel rio, salii sul Passo del Trem, passando presso il Lago Carbone, benchè sia preferibile passare per i laghetti del Trem; sotto il passo v’è ancora un laghetto con pessima acqua, piena di bestioline rosse; però qui come altrove la sete mi vinse e, benchè con grave ripugnanza, dovetti bere tale liquido disgustoso. Verso le 14, mentre il cielo si copriva di nuvole, giunsi sulla Cima del Diavolo (m. 2687); tornato al Passo, misi circa un’ora per attraversare l’orrenda cassera che riempie il fondo del Vallone di Mairis; tale cassera è il più selvaggio ed il più caratteristico fra i numerosi campi di blocchi rocciosi che incontrai in quelle regioni, e non v’è, a quanto io sappia, altro mezzo di passarvi che scalando per diritto e per traverso quei grossi massi disposti in lunghe schiere in modo da formare un vero labirinto. Infine, vicino ad una fresca sorgente, trovai un sentieruzzo che rapidamente mi condusse, per l’angusto vallone disposto a scaglioni, sul terrazzo della Vastera Sottana, da cui una buona mulattiera scende per la Val Gordolasca; ivi pernottai alle Case Cluots (m. 1560).

Il giorno seguente rimontai la Gordolasca sino al Lago Lungo, la cui visita, che compiesi agevolmente per mezzo di facili sentieri da capre, raccomando caldamente ad ogni amatore di una natura veramente alpestre. Non sapendo che dal lago si può guadagnare direttamente il Passo di Monte Colomb, avevo lasciato parte dei miei bagagli alla Vastera Streit e dovetti tornarvi con molta perdita di tempo. Salii poscia ad un’insenatura della cresta ovest, più alta ed assai più a nord di quel passo; ma la cresta cominciando a velarsi dalle nebbie, fui costretto a discendere per una ripidissima frana che mi condusse sopra il laghetto di M. Colomb; ove non trovai nessuna traccia del sentiero che dovrebbe esservi, secondo la carta e la «Guida Martelli e Vaccarone»; il vallone facendosi impraticabile sotto il lago, feci un lungo giro per le roccie a nord, giungendo infine alla Vastera Sottana del Balour. Sorpreso poi dalla notte, a stento riuscii a guadagnare la Madonna delle Finestre, alle ore 20; l’albergo era chiuso, ma i pastori mi diedero un letto nell’antica trattoria.

 

Li 16, per la larga mulattiera che trovai in ottimo stato, attraversai il Colle delle Finestre, incontrando ancora molta neve. A San Giacomo fui accolto con squisita ospitalità dagli ufficiali della 13ª Compagnia Alpina, che conosceva fin da Tenda.

Nel 1893 feci a Tenda la conoscenza del sig. W. Symington, scozzese, il quale, avendo già visitato, come turista, tutte le Alpi Svizzere ed i paesi attorno al Mediterraneo, espresse il desiderio di conoscere anche le Alpi Marittime. Gli feci allora la proposta di accompagnarmi in una grande gita, a condizione che si conformasse ai miei disegni.

Li 17 agosto il predetto signore ed io partimmo da Tenda in compagnia di 4 altri signori e 10 signorine, passando la notte a Casterino, dopo una giornata molto allegra. Li 18, due giovani e le 6 più brave signorine ci accompagnarono sino al Lago inferiore di Valmasca; poi noi due rimanemmo soli a compire sino nella Val Gordolasca, lo stesso itinerario che avevo già seguìto nel 1892. Il giorno 19, dopo aver pernottato alle capanne del Tetto Nuovo, facemmo una gita alla Cima del Diavolo ove giungemmo assai tardi nel dopo pranzo. La cassera sotto il Passo del Trem fu pel sig. S. una cosa affatto nuova; qui ci rimase molto indietro, non essendo abituato a saltare da un masso all’altro o ad arrampicarsi su quei blocchi, di cui taluni hanno perfino da 3 a 5 metri di grossezza, giungendo infine senz’altro incidente alle case Cluots. Pernottato poi in un fienile, il giorno 20 non si fece altro che rimontare la valle fino alla Vastera Barma (m. 2160), dove il mandriano ci aveva detto esservi delle vacche; ma queste più non avendo trovate, fu fortuna che dopo parecchio passeggiare, fummo raggiunti verso sera da un capraio, che però scendeva più basso nella valle, il quale ci diede del latte.

Il ricovero del C. A. F. alla Vastera Barma, è a circa metri 50 sopra il rio, si compone di due stanze umide, con ingresso comune, munite di solide porte e chiudende di legno; la porta interna che conduce alla seconda stanza—più elevata—era chiusa a chiave82, mentre nella prima stanza il suolo era così fangoso che non era possibile passarvi la notte. Ci decidemmo dunque di installarci nella Vastera sita poco discosto, ed acceso un fuoco di rododendri, ci avvolgemmo bene, coprendo i piedi con erba secca; la notte fu bella e molto mite.

Li 21, alle 5 proseguimmo pel grandioso anfiteatro prativo della Fous, circondato da monti ertissimi, poi per un buonissimo sentiero fra i due laghetti del Clapier sino ad una specie di terrazzo a circa m. 2600 di altezza, poco sotto il Passo Pagarì. Il tempo essendo bellissimo (si vedeva il mare), proposi al sig. S. di fare l’ascensione del Clapier che, visto da quel lato, ha l’aria tutt’altro che minacciosa. Però, sebbene sia di facile accesso, devo consigliare di non trascurare gli avvisi che danno Martelli e Vaccarone nella loro «Guida», giudicando per questa escursione necessaria la guida, poichè non è tanto semplice di trovare i passaggi più comodi per la salita, e fuori di questi non mancano i brutti posti.

Attraversata una lunga petraia, giungemmo sul grande nevato che, in forma di una striscia orizzontale, facendosi però ripida più sopra (verso nord), fiancheggia il monte ad ovest. Volevamo guadagnare l’estremità sud del nevato, dalla quale la salita si presenta più facile, ma era molto incomodo il camminare su quella neve ancora dura, e così preferimmo di salire per un ripidissimo e franoso canalone, col rischio che il signor S. mettesse in moto dei sassi, i quali m’avrebbero toccato senza che io potessi evitarli. Infine, giungemmo sul pendìo superiore del monte, che non offre la menoma difficoltà; verso le 10 ½ eravamo sulla cima (m. 3046) con aria così calma che si sarebbe potuto accendere un fiammifero (temp. +7° all’ombra); però le nebbie accumulavansi sull’orizzonte, velando il mare e la pianura. Sul maggiore dei due segnali v’era un bastone con un fazzoletto, postovi dal sig. tenente Cornaro nell’ottobre 1892.

Ci fermammo ¾ d’ora, e presi tre fotografie. Voleva poi scendere direttamente al Passo Pagarì, potendosi, secondo la citata «Guida» da questo passo «volgersi alla vetta, piegando leggermente sul versante della montagna a sinistra verso il ghiacciaio nord del Clapier, e quindi salendo per facili detriti lungo il fianco ovest». Devo confessare che, dalla cresta ovest, non vidi verso nord che rupi scoscese e nevai ripidissimi, non trovando un luogo opportuno per scendere al colle (alto poco più di m. 2800) il quale si apre immediatamente al piede del Clapier, separato dal Passo Pagarì per mezzo di una cresta quotata m. 2940.

Mentre allora il sig. S., più prudente, avrebbe preferito di fare il lunghissimo giro per la cresta sud, decisi di scendere direttamente sul fianco ovest, attraversando la parte superiore di un nevato inclinato e guadagnandone poi, per detriti, la base, che ivi si restringe e cessa bruscamente sopra una parete a picco, cosicchè chi volesse attraversarlo, se sdrucciolasse farebbe un salto mortale nel senso vero della parola. Non volendo nè arrischiare tale salto, nè risalire ancora, decisi di tenermi sulle rocce a destra, ove scendemmo talvolta coll’aiuto delle mani, giungendo infine sull’orlo superiore del grande nevato ovest del Clapier, il quale, prima di farsi piano, forma ivi una china di circa 20 a 30 m. di altezza, con una pendenza media di forse 30 gradi.

Non avendo nè piccozza nè ramponi, neppure bastoni ferrati, non ci rimase altro a fare che di scivolare giù. Il signor S. era giunto ad un punto più favorevole, almeno 5 metri più basso di me, senza che io potessi raggiungerlo, causa la ripidezza delle rocce frapposte; a stento potei ritenere una risata, vedendolo rotolare giù, con gambe e braccia per aria; i suoi effetti svolazzarono di qua e di là, ed essendosi lui seduto sulla sua giacca di lana per stare meno sul duro, questa gli rimase trattenuta in alto. Dal mio lato, il pendìo era assai più ripido; saltata la stretta, ma profonda bergsrunde, mi sentii spinto giù con rapidità vertiginosa, poichè la neve era affatto dura e di superficie molto ineguale, così venni scosso e riscosso con salti, la cui velocità ed ampiezza aumentava sempre. Credo che se l’altezza del pendìo fosse stata soltanto doppia, mi sarei rotte le ossa, mentre non ebbi che la pelle delle dita lacerata nel tentare di fermarmi. Vidi poi il sig. S. che invano tentava di riconquistare la sua giacca. Tentai anch’io e vi riuscii dopo molto tempo impiegato a intagliare passi, prima colla punta del mio stativo, poi con un miserabile temperino: discesi rifacendo la scivolata.

Riguadagnammo la base del Passo Pagarì, sul quale, per un ripidissimo pendìo, giungemmo alle ore 14. Questo passo non offre la menoma difficoltà ed è abbastanza facile il trovare la buona via; però, se è coperto di neve fresca, deve essere assai meno facile. La vista sino al mare e sui monti circostanti (specialmente sul Clapier) è molto bella, però non si vede il Lago Lungo, separato dal passo per mezzo di uno sperone roccioso. A nord comincia immediatamente il ghiacciaio della Maledìa; secondo la carta e la citata «Guida» credevo di dover scendere lungo questo, ed attraversato la piccola bergsrunde, seguii la sua parte inferiore, poco inclinata, pensando che il sig. S. mi seguisse. Voltatomi però, non lo vidi, e neppure rispose alle mie grida, ciocchè mi mise in non poca ansia; ma, mentre colla massima cautela scalavo i blocchi della morena frontale, sovrapposti in condizioni d’equilibrio veramente artistiche, lo vidi scendere rapidamente una facile china ad oriente: fu la sola volta che si discostò da me, e non ebbe a lagnarsene. Per facilissimo pendìo guadagnammo allora la strada di caccia.

È da deplorare che dalla morte del Re Galantuomo, queste strade, così ben tracciate, non siano più in maggior parte mantenute, cosicchè sono rovinate in molti punti, specialmente dove varcano torrenti; però sono ancora molto preferibili a quasi tutti i sentieri del lato sud di queste Alpi.

Non avendo nè bisogno nè voglia di scendere per le ripidissime scorciatoie, seguimmo le numerose giravolte che offrono stupende vedute sul Lago Bianco, sui nevati e sui monti circostanti (specialmente sull’altissimo muraglione di Monte Carbonè). Verso le 17 eravamo al gias Murajon. Scendendo infine la valle per la strada carreggiabile sotto il gias Colomb, riuscimmo poco prima delle 21 a San Giacomo, dopo circa 15 ore di lavoro interrotto appena da due ore di sosta.

Il giorno 22 scendemmo con sole caldissimo, il bellissimo vallone della Barra ombreggiato di boscaglie di faggi e dominato da roccie assai pittoresche, che talvolta sembrano quasi sospese sopra la testa di chi passa. Lasciata la strada carrozzabile, ci inoltrammo nel Vallone della Ruina, nel cui rio prendemmo un bel bagno, ciò che del resto facevamo quasi ogni giorno in qualche torrente (e perfino a 2000 metri nella Gordolasca, la cui temperatura era di soli 8° C).

Poi rimontammo la valle, affatto priva di boschi, sino al gias Monighet inferiore. Ivi il sig. ing. B. Sacerdote, che alloggiava coi suoi aiutanti, occupato a rilevare topograficamente i dintorni, ci ricevette colla più squisita cortesia offrendoci una buonissima cena ed un quartiere per la notte.

Avendo preso congedo da questi signori alla mattina del 23, sulle sponde del Lago della Ruina, salimmo per la buona mulattiera al gias Soprano, visitando anche il Lago Brocan. Rimontammo poi la strada di caccia del Colle Chiapous, alla cui sommità (m. 2520) si gode di una vista assai interessante e v’è un bel ricovero.

78Virgilio F.: Di un antico lago glaciale presso Cagne, ecc., negli Atti della R. Acc. Sc. di Torino Vol. XXI 1885-86, pag. 294, nota in calce.
79Baretti M.: Geologia della Provincia di Torino. Torino, F. Casanova, pag. 375.
80Quando noi eravamo colla macchina fotografica nelle valli di Cogne ignoravamo questa circostanza, per cui non potemmo recarci nel punto sovrindacato della strada dell’Herbetet per ricavare colla fotografia la stessa veduta dall’abate Carrel stata schizzata in 9 anni diversi. Ci asteniamo pertanto dal pubblicare detti schizzi fino a quando (e sarà fra breve) avremo fotografata quella veduta, e potremo così su di essa riportare i disegni dell’abate Carrel, e ricostrurre nove diversi stati di quei ghiacciai in passato.
81Vedi: Echo des Agriculteurs Valdôtains. II Année, N.º 13: 1 juillet 1896.
82Il rifugio della Barma fu trovato da noi, l’anno scorso 1895, completamente devastato, la porta della camera riservata agli alpinisti aperta e mancante perfino di serratura.