Solo Per Uno Schiavo

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CAPITOLO DIECI



Dalla stanza di Gene solo grida. Disumane, brutali, Animalesche.



Fino a che, il Padrone uscì. Le mani insanguinate, la fronte sudata. Vedendo tutti -Colleghi e Schiavi- che lo fissavano attoniti, roteò gli occhi e schioccò la lingua.



“Oh, ma bene, il cinema,” commentò, asciugandosi le mani e sedendosi al tavolo.



Stine, Aletta e Alon lo guardavano con più impazienza degli altri.



“Ce lo vuoi dire che cazzo combini o dobbiamo scoprirlo da soli?!” gridò Stine, dando voce ai pensieri dei presenti.



Gene alzò, silenziosamente, gli occhi al cielo. Poi, guardò Aletta. E sospirò.



“Vorrei cacciarvi via e farmi una scopata decente. Ma quel novellino sanguina,” spiegò Gene.



“Non ci provare nemmeno, a ucciderlo!” gracidò Amir, mentre stuprava una ragazzina palesemente minorenne.



“Oh,” protestò Gene. Dopo di che, guardò Stine. “Non avrai mica sborrato solo per delle urla, mi auguro?”



“No,” rispose quello, imbarazzato perché gli era mancato veramente ma veramente poco.



Gene si accese una sigaretta e lo guardò, come se si aspettasse che venisse lì e subito.



Alon fece palpitare l’ano più volte, come per costringere Stine a concludere. Non voleva farsi scappare l’occasione di umiliarlo. E sperava anche che assecondare Padron Gene potesse salvare Ad. E il Padrone venne, eccome. Ma Stine rimase, imperterrito, sepolto fra le sue natiche.



“E adesso? Hai sborrato?”



“Lasciami i coglioni in santa pace, va bene?!” sibilò il gioielliere.



“Al, dimmi, è venuto Padron Stine?” chiese, quindi, allo Schiavo.



“Sì, Padron Gene,” rispose Alon.



Ogni bravo Schiavo diceva sempre la verità. Poi, sapere che Stine moriva d’imbarazzo lo faceva volare alto. Certo, si aspettava di essere picchiato a sangue. Ma voleva assolutamente vedere Ad.



Gene si guardò attorno, alla ricerca di un posacenere. O di qualcosa da usare come tale. La Bestia, in modalità zerbino, abbandonò gli stivali di Aletta e tirò fuori la lingua per lui. Il Padrone non lo lasciò molto in attesa e ci spense il mozzicone sopra. Poi, lo afferrò per il collo e lo trascinò via da Stine.



Quel Gene così arrapato non si era mai visto. Il novellino doveva saperci fare, per aver provocato tale infoiatura. Perché non poteva certo essere stato il piccolo trucco con la lingua fatto da Alon, a crearlo.



Stine non si lamentò del furto. Non era così stupido da mettersi contro Gene, soprattutto in quello stato. Quindi, decise di scoparsi Amos. Non prima di avergli calpestato i testicoli col tallone, ovvio.



“Prepara il caffè, per tutti,” ordinò Aletta a Selena.



La ragazza, con una bruciatura sulla guancia lasciata da Stine il giorno prima, si alzò subito. Melinda nemmeno la guardò, tanto era impegnata a gossippare come se non ci fosse un domani.



Gene trascinò Alon nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle. E lì, la Bestia lo vide. Ad, bianco come un lenzuolo. Sdraiato sul letto. In una pozza di sangue.

Il suo sangue.

Il ragazzo si stringeva i genitali, in preda al dolore.



Gene sospirò, annoiato, e spinse Alon sullo stesso letto.



Lo Schiavo, con tutta la delicatezza di cui era capace, allontanò quelle manine dall’inguine. Non si capiva se fosse molto grave o irrimediabile. Quindi, si lasciò guidare dall’istinto. Si inginocchiò e iniziò a leccare la ferita. Dopotutto, era una Bestia. Poteva comportarsi come tale. Ad aprì gli occhi e vide il bellissimo viso di Alon tra le sue gambe. E pianse.



“Su, scopatelo dove c’è il taglio,” ordinò Gene.



La Bestia, di colpo, iniziò a sudare freddo. Come si poteva arrivare a concepire qualcosa di simile? Poi, si ricordò di chi era e di dove aveva vissuto negli ultimi trent’anni.



Perse tempo, arrampicandosi sul giovane e torreggiando su di lui. Dio, quanto era pallido! Ma Padron Gene fece schioccare la lingua un po’ troppe volte. Sarebbe finita molto peggio, se non l’avesse fatto. Quindi, scivolò dentro quella ferita. Ad, ovviamente, gridò. Poi, gridò ancora. La schiena si arcuò in maniera quasi pericolosa e Alon non poté far altro che abbracciarlo.



Non avrebbe mai e poi voluto fargli del male. Mai. Non così, soprattutto.



Gene osservava la coppia, in estasi. Poi, iniziò a toccarsi sopra i pantaloni. Ridacchiava, il Padrone.



“Fa male, cazzo!” piagnucolò il giovane.



“Più a fondo, da bravo,” ordinò Gene.



Alon ansimò, frenetico, ma obbedì. Ad gli si aggrappò alle spalle, mordendogli la pelle. Alon aveva iniziato a muoversi e lui, anche se ferito, aveva una dignità da mantenere. Non poteva certo gridare così per tutto il tempo! Ma quando le spinte si fecero più intense, il dolore fu così estremo da farlo svenire. Alon, dal canto suo, provò un piacere così forte che si sentì una merda.



Come poteva godere, quando il suo amore soffriva?!



Era così preso a commiserarsi, che non si accorse di Gene alle sue spalle. Quello lo spinse via, per poi scoparsi quel povero cucciolo. Poi, d’improvviso, si allontanò.



Alon ne approfittò per prendere il giovane tra le braccia. Respirava, grazie al cielo. Ma per quanto?



“Dobbiamo fermare il sangue,” disse, infine.



Gene annuì.



“Sto pensando.”



Alon, a quel punto, ebbe quello che potrebbe essere definito un lampo di genio. O un lampo di pura follia. Oppure un lampo e basta.



Pisciò sulla ferita. Così. Di botto. Ma era davvero così senza senso?



Gene, per la terza volta, rimase sbalordito da quello Schiavo.



Il novellino, una moto-trebbia impazzita con chiunque gli si avvicinasse, diventava morbida argilla nelle sue mani.



Li osservò insieme. Si guardavano, adoranti, negli occhi. Poi, si baciarono.



Dalla ferita fuoriuscirono sperma, sangue e piscio.



“Sì,” disse Gene. “È profondo. Ti avevo detto di non muoverti. Ma perché ti importa così tanto,

Alon

? E perché il pischello ti chiama così?”



“Ha bisogno del SalvaGente, Padrone,” affermò lui, ignorando le domande.



L'uomo fece una smorfia, irritato. Voleva quasi sbatterlo fuori dalla sua stanza. Come osava? Poi, capì. Cercava qualcosa per curare quel gattino ferito.



Gene lo guardò, incredulo.



“O infili un dildo arroventato nella ferita, o ti avvolgo una lamina di metallo attorno al pene. E lo arroventerò io, quello,” propose, infine. “Così condividerete il dolore, non è romantico?”



Alon annuì.



“Va bene, Signore. Condividerò il dolore. Dove si trova, la lamina?” chiese, calmo, Alon.



Ad piangeva, per il suo dolore e per il dolore che -presto- sarebbe stato di Alon.



Gene era sempre più sconvolto. Cosa stava prendendo, a quegli Schiavi? Ma di certo non avrebbe rischiato di mostrare un’emozione. Giammai. Quindi, armeggiò tra gli effetti personali di Aletta. Trovò un piatto d’oro. Sarebbe stato perfetto, attorno al cazzo di Al. Di solito, la donna lo usava per ustionare i genitali degli Schiavi. Lui l’avrebbe fuso fino a deformarlo. Poi, avrebbe decorato l’inguine di Alon. Sarebbe stato divino. E, infatti, lo fu. La cappella sbucava da quella corona d’oro come se fosse sempre stata lì. Mancava solo il tocco finale. Prese una candela, l’accese e la lasciò esattamente direttamente sotto il tubo d’oro.



“Ora puoi prenderti cura di lui,” disse.



Alon si inginocchiò, ma il Padrone aveva altre idee in testa.



“Ma prima,” aggiunse, poi, allontanando la fiamma, “fai assaggiare a questo bocconcino la tua nuova verga.”



La Bestia obbedì. Non aveva scelta. O quello o l’uccisione del suo Ad. Il suo Ad che aveva sentito tutto e attirò lo Schiavo a sé, pronto a tutto. Ingoiò quell’obbrobrio d’arte moderna fino in fondo. Poi, infilò la lingua nell’apertura da cui sbucava la cappella. E Al non provò mai nulla di simile.



Vedendo che quei due si stavano divertendo un po’ troppo, per i suoi gusti, Gene decise di cambiare il corso della serata. Aspettò che la Bestia venisse e, poi, diede l’ordine.



“Infilaci il piede.”



E si sentì un cazzo di premio Nobel, per averlo pensato.



Alon non fece in tempo a godersi le ultime ondate di piacere che si ritrovò a maledire, in silenzio, il Padrone. Ma non solo Gene. Tutti quanti. Con le loro manie, il loro sadismo, la loro

noia.

Lo sapevano pure loro, di essere monotoni. Ecco perché si facevano di ogni droga capitasse loro a tiro. Anche in quel momento, Gene era palesemente gonfio perso. Sicuro che si trattasse di Inko puro. La Droga Per Ricchi, colpiva i centri nervosi del piacere. Di quello, avevano bisogno. Poveri illusi. Nulla di sintetico poteva sostituire le endorfine. Ma in quel momento, per poter salvare Ad, anche Alon aveva bisogno di una droga. E avrebbe obbedito alle peggiori richieste, per ottenerla.



Quindi, guardò il giovane. Lui, tra le lacrime, gli sorrise. Aveva capito tutto. Si chinò a baciarlo e fu dolcissimo. La Bestia, dopo, si voltò verso Gene. Il Padrone aveva pronta la sua tortura. La candela venne posizionata, il disco di metallo venne arroventato. E lo Schiavo urlò. Urlò ancora di più quando penetrò, così conciato, la ferita di quel ragazzo bellissimo. Che svenne, di nuovo. Ma la ferita era stata cauterizzata. Era salvo.



“Oh, ma che bella coppia,” commentò Gene.



Alon scivolò fuori, molto attentamente. Era fatta.



Ma Gene era ancora su di giri. Normalmente morto dentro, faceva uso e abuso di droghe proprio per sentire qualcosa. E in quei momenti, era come se si svegliasse da un lungo sonno. Come se cominciasse a vivere. Sentiva persino il battito del suo cuore. Si sarebbe bloccato solo quando la sua stessa vita sarebbe terminata. Meraviglioso!

 



L’orgasmo di Alon era nell’aria, lo sentiva. Gli dava come un senso di attesa. Si sentiva come un cucciolo di coccodrillo. Il che era oltremodo ridicolo. I coccodrilli erano creature epiche, praticamente dei dinosauri! Lui?

Meh.

 Non particolarmente alto, ma nemmeno basso. Naturalmente bruno, cambiava colore di capelli ogni due settimane. Gli occhi scuri erano permanentemente truccati, come le labbra, di viola metallizzato. La sua pelle era pulita. Aveva rimosso nei, cicatrici, qualsiasi segno. Ma non aveva né piercing né tatuaggi. In poche parole, era del tutto anonimo. Sì, era conosciuto nel giro. Ma come un pessimista annoiato, non come sadico. Niente di che, insomma. Tranne quando era fatto.



Spinse via Alon e si mise sopra il ragazzo. Senza se e senza ma, lo penetrò. Ad aprì gli occhi. E lo guardò, con quegli occhi cremisi. Gene si sentì strano. Era come stesse possedendo un fratello. O un amico. Ma lui non aveva mai avuto né l’uno né l’altro.



Quel novellino, però, era delizioso. Soprattutto quando iniziò a muoversi, a tempo, sotto di lui. Non ci stava più capendo nulla.



“Grazie,” gli disse, poi.



Gene ansimò e venne, mentre il nuovo Schiavo era ancora duro.



“Se speri che -solo perché sono venuto prima- contraccambi il favore, ti sbagli di grosso,” disse, cercando di mascherare il suo imbarazzo con la cattiveria.



La vita ricominciò a ristagnare, lentamente, dentro di lui. L’effetto dell’Inko stava scemando. Si allontanò dal letto, disinteressato -di nuovo- a tutto.



Alon e Ad, subito, si abbracciarono. Furono baci e furono sorrisi. La stanza sparì. Si trovavano su una scogliera, in una casetta dal tetto verde, di fronte al Mare.



Era un’illusione e lo sapevano. Una volta che Gene fosse uscito dalla stanza, il resto della Compagnia si sarebbe riversato lì. E Ad sarebbe stato alla loro mercè.



Cosa fare? Come? E quando? Alon non lo sapeva. L’amarezza lo pervase.





CAPITOLO UNDICI



“Perché sei qui?” chiese Alon, disperato.



“Per te,” rispose Ad, la voce un sussurro di sofferenza.



All’improvviso, applausi. Provenivano dal salotto ed erano diretti a Gene.



“Non ti avevo detto di trovarti un Protettore?”



“L’ho trovato, infatti,” disse il giovane, allungando il collo per poterlo baciare.



“E dov’è? Perché non ti ha seguito?” domandò la Bestia, le sue labbra a malapena staccate dai petali dell’altro.



“Perché sono stato io a seguire lui,” fu la risposta del giovane.



“Dove? Dov’è che l’hai seguito?”



Alon era tanto bello quanto completamente ignaro. Se Ad non fosse stato in preda a orribili dolori, gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia. Quindi, si limitò a sorridergli.



“Non dirmi che stai parlando di me!” esclamò, finalmente, lo Schiavo.



Quando il ragazzo annuì, lui gemette.



“Ad! Ti ho detto di starmi lontano! Non appartieni a questo luogo!”



“Ma io non posso più vivere senza di te,” sospirò l’Efebo.



L'uomo, a quel puntò, gli accarezzò una guancia.



“Sono uno Schiavo, Ad. Non un Padrone.”



“Lo so che non sei un Padrone,” disse il ragazzo. “Tu sei un Dio!”



“Padron Gene non si limiterà a ucciderti,” disse Alon, tra le lacrime. “Ti spezzerà e sarai tu a implorarlo di ammazzarti!”



Perché la vita lo trattava così? Gli dava qualcosa di bello, solo per portarglielo via. Ogni singola volta. Come poteva permettersi il lusso di sognare? Di sperare? Uno Schiavo esisteva solo per il piacere dei Padroni. Così era e così sarebbe sempre stato. Vita natural durante.



“Mi sento vivo solo quando sono vicino a te.”



“Smettila! Non posso sopportare di vederti fatto a pezzi! Non hai idea di cosa ti succederà! Non puoi immaginarlo! Ti prego, è meglio se mi dai retta.”



“E perché mai sarebbe meglio?”



“Questa feccia disgustosa non ti sporcherebbe con le loro idee malsane!” scoppiò Alon. “Sono malati, non lo capisci?”



“Ma come? E io che pensavo ti piacesse vivere con loro!”



Una voce, all’improvviso, nella stanza. Amir era lì che fissava Alon.



“Vattene,” gli ordinò il Padrone.



Panico.



L'istinto di conservazione dello Schiavo stava urlando, da qualche parte, dentro di lui. Se si fosse rifiutato o se avesse opposto resistenza, non avrebbe potuto proteggere né Ad né se stesso. Ma se fosse scappato, come avrebbe potuto vivere? No, quell’impulso naturale poteva andare a farsi fottere. Lui non se ne sarebbe andato.



“Punitemi, Padrone,” disse, poi. “Sono io che ho sbagliato.”



“Ti ho detto di andartene. Stine ti sta aspettando. Stanno tutti bevendo il caffè, di là, e non sanno dove buttare la spazzatura.”



Un sentimento alieno iniziò a farsi sentire. L’ultima volta che i Padroni avevano avuto il sentore -falso- che lui volesse ribellarsi, era stato massacrato per una settimana intera. Dopo, gli fu proibito di sdraiarsi. Nessun medico lo visitò. Mai. Si riprese dopo mesi.



Non era mica paura? Aveva paura? Davvero?



“Vi prego, Signore! Non mandatemi via!” implorò la Bestia.



Cosa gli succedeva? Non aveva mai implorato per davvero!



Amir scosse la testa, sorridendo maligno. Poi, però, sembrò riflettere.



“E va bene, resta. Ma non lamentartene,

dopo

.”



“No, Signore! Mai, Signore! Resterò qui, nel caso Voi vogliate prendere a calci qualcuno! Dopotutto,” continuò, erratico, “Uno Schiavo esiste per soddisfare il Padrone! Prendermi a calci sarà molto più umiliante che farmi buttare via la spazzatura!”



“Oh, tesoro,” lo prese in giro Amir. “Sei così stupido, fai quasi pena!” E rise, per poi aggiungere, “E se non volessi limitarmi a prenderti a calci? Che faresti?”



“Aspetterò qualsiasi cosa Voi vogliate fare, Padron Amir.”



“Ma come fai a non capire? Lo fai apposta, ammettilo!” rise, all’improvviso, Ad. “Cazzo! Sei così bello, che per loro non c'è piacere più grande che umiliare qualcosa che non potranno mai essere.”



La Bestia ammutolì. Si sedette accanto al ragazzo, pronto a ricevere la punizione al posto suo. Ma, quando Amir si lanciò sul letto, Ad scivolò via. Come se non avesse subito le peggiori torture fino a poco prima! In più, rise. In faccia al Padrone! Alon era sempre più ammirato


da quella creatura.



“Ti mutilerò, merdina,” sibilò Amir. “Ti farò piangere sangue, come una Madonna!”



“Ti prego! Non far arrabbiare il Padrone!” gli sussurrò Alon, mettendosi tra il giovane scavezzacollo e l’uomo fuori di sé dalla rabbia.



“Ma Padrone, perché mutilarlo?” domandò, poi, ad Amir. “È così grazioso! Se venisse rovinato, perderebbe tutto il suo fascino!”



Amir non lo ascoltò nemmeno. Si precipitò su Ad, pronto a ghermirlo. Ma il ragazzo, con un’agilità quasi felina, saltò sul davanzale. Come diamine ci riusciva? Neanche un minuto prima, aveva un piede nella fossa! In quel momento, invece, sorrideva saltellando da una parte all’altra. Ed era dannatamente sexy, mentre lo faceva.



“Non mi direte che avete paura che cada di sotto, vero?”



“Smettila!” ruggì Alon, con orrore, a quell’idea.



“Maddai! Tu, un Dio! Spaventato! Non penserai mica che i-”



“Dio?!” esclamò Amir, girandosi verso la Bestia. “Ma bene! Allora,

Dio

, ordina al tuo vassallo di mettersi a quattro zampe e strisciare verso di me!”



E fissò Ad, sfidandolo. Era un colpo basso. Alon doveva obbedire e dare quell’ordine. Anche se avrebbe preferito strisciare lui, a quattro zampe. Ma forse tale affronto avrebbe finalmente convinto il giovane ad andarsene da quel posto. Poteva tornare a essere libero. Alon stava facendo affari con la sua coscienza. Il suo orgoglio non venne nemmeno preso in causa. Quando l’Efebo era coinvolto, la Bestia si trasformava in Bestiolina.



Poi, la genialata. Si avvicinò al ragazzo. Afferratolo per la vita, lo posizionò a suo piacimento. Il bel culetto rivolto verso Amir, lo Schiavo iniziò ad accarezzargli glutei e genitali.



“Prego, Signore, usatelo,” disse Alon.



Orgoglio o meno, i Padroni restavano stupidi e manipolabili. E, infatti, Amir -il respiro eccitato- non se lo fece ripetere due volte.



Ad venne penetrato senza alcuna preparazione. Non che ne avesse bisogno, ma tant’è.



Alon, inginocchiato davanti a lui, baciò pedissequamente qualsiasi lembo di pelle le sue labbra riuscirono a raggiungere. Non si accorse nemmeno che l’adorabile cazzo dell’Efebo giaceva, duro, sulla sua spalla.



Il Padrone, goffo e decisamente troppo sicuro di sé, si aggrappò ai fianchi esili di Ad. Cercava di causargli il più dolore possibile.

Povero illuso.

La reazione del bellissimo giovane fu sbadigliare a ogni spinta dell’uomo e gemere a ogni bacio del suo Dio. Le mani di Alon tra le sue cosce, quelle sì che lo eccitavano. E -infatti- venne, fissando la Bestia negli occhi. Si cullò nella sua beatitudine post-orgasmica, accalorato dalla potenza sconfinata che Alon aveva su di lui, dalla sua capacità di trattenerla. Non voleva -poteva- lasciare andare il suo abbraccio, lo faceva impazzire e sprofondare nella più dolce delle umiliazioni. Ma, una volta ripresosi, la consapevolezza che la verga di un altro uomo fosse dentro di lui -invece che quella massiccia dello Schiavo- decise che Amir era già stato anche troppo fortunato. Quindi, strinse il culo. E lo fece così forte che l’uomo fu costretto a uscire, venendo fuori da quell’antro caldo.



Ad sogghignò. Chi si credeva di essere, quel vecchio?



“L’hai fatto apposta, puttana!” gridò Amir. “E dillo che vuoi provare il vibratore del tuo Dio!”



“Grazie, ma il mio Dio non ha certo bisogno di sostituti gommosi.”



“Merdina ostinata,” sibilò il Padrone, uscendo dalla stanza.



Alon tremò. Sicuramente Amir era andato a prendere il mostruoso dildo.



“Padrone!” lo chiamò, inutilmente. “Lasciate che vi aiuti!”



Amir tornò, armato di vibratore e accompagnato da Stine.



“Ma ovvio! È bello che tu condivida i tuoi giocattoli, Al,” disse. Poi, riferendosi al ragazzo, “Vedrai cosa succederà al tuo culetto stretto e che cosa ci farò, lì dentro!”



“Quella troia non te lo lascerà fare!” esclamò, indignato, Amir.



Stine guardò Ad, incredulo. Il giovane taceva, calmo, mentre accarezzava Alon. La Bestia non sapeva se essere preoccupato o scoppiare a ridere.



“Com'è possibile che non si lasci scopare?” chiese, quindi.



Poi, guardò Alon.



“È il tuo Schiavo, per caso? Gli hai fatto un incantesimo? Bravo! Stai facendo la cosa giusta! Fallo stare al suo posto!”



Ad, sfacciato e minaccioso, sorrise. Stava immaginando -con dovizia di particolari- a quanto si sarebbe divertito a ucciderli entrambi, sul Ponte Principale. Avrebbe dedicato la loro dipartita al suo bellissimo Dio.



“Di’ a questo novellino qual è lo scopo della vita di uno Schiavo,” ordinò Stine alla Bestia.



“Uno Schiavo esiste per i bisogni del Padrone,” iniziò, ubbidiente e annoiato, Alon.



Patetici, possibile non ci arrivassero? Il suo Ad non si sarebbe fatto spaventare da tali stronzatine.



“Mentre mi scopo questa graziosa troietta, tu elencherai tutte le regole del Bravo Schiavo. Non aver paura di usare parole tue,” disse, mentre penetrava Ad.



Volevano giocare? Benissimo. L’avrebbero fatto.



“Il Padrone è il Signore, il Padrone sa cosa è meglio per uno Schiavo,” disse Alon, a pochi centimetri dalla bocca dell’Efebo, la voce rocca e bassa.



La reazione non tardò a farsi sentire. Ad rabbrividì, a sentire quella voce. Iniziò a muoversi a tempo con quelle deboli spinte, gemendo e facendo palpitare l’ano. In pochi minuti, Stine era pronto a venire. Lui, che si faceva vanto di durare

ore,

portato sull’orlo del piacere da un ragazzino! Ragazzino che, a sentire tali regole di dominio e sottomissione declamate da quella voce così maschia, non poté fare altro che arrapparsi sempre più. Immaginava Alon che le metteva in pratica, senza pietà. E non vedeva l’ora di vederlo in azione.



La Bestia, dal canto suo, era lusingato dall’effetto che aveva su un ragazzo così speciale. Lo avrebbe stuzzicato notte e giorno, se avesse potuto. Non voleva deluderlo. Di conseguenza, continuò il suo elenco.



“Uno Schiavo non ha diritti. È il Padrone a decidere tutto. Cosa mangiare, come vestirsi, se vestirsi.” Poi, decise di improvvisare. “Come scopare, come farsi scopare.”

 



A quelle parole, Ad mormorò dolcemente. Il suo sfintere ingoiava il cazzo di Stine, fino in fondo, facendolo scivolare -ogni volta- fino a quel posticino

oh-così

 sensibile.



“Uno Schiavo non ha bisogno di pensare ad altro che a come soddisfare il Padrone.”



Ad gemeva sempre più forte, ma Stine non venne.

Non ancora.



“Il Padrone è l’unico che decide cosa desiderare e volere. Come, quando e

con cosa

 far sborrare uno Schiavo.”



E il ragazzo gridò, mentre veniva -di nuovo- sul petto di Alon. Strinse così forte le natiche che Stine, finalmente, lo seguì a ruota.



“Il Padrone, se mai dovesse scoprire che uno Schiavo gli nasconde una sua fantasia, ha il diritto di punirlo. Come e quanto vuole. È necessario parlare dei propri desideri e scopare il più possibile. Più spesso uno Schiavo si eccita, più il Padrone si diverte.”



Alon stava palesemente inventandosi

le peggio porcate,

immaginando se stesso come Padrone e Ad come Schiavo. Il

suo

Schiavo. E quello che lui gli avrebbe fatto. A guardare la reazione ottenuta, la Bestia decise che le sue regole erano meglio di quelle che gli Schiavi erano tutti obbligati a conoscere. Ma non l’avrebbe certo ammesso davanti ai Padroni.



“La punizione, il premio e il metodo di comunicazione -per uno Schiavo- è solo ed esclusivamente il sesso. Uno Schiavo deve sempre provare piacere, altrimenti non imparerà mai.”



Bugia.



Quest’ultima regola, Alon l’aveva letta in un libro di Albireo. Perché, nella vita vera, i Padroni se ne fregavano altamente del piacere degli Schiavi. Sembrava quasi fossero incapaci di darne, ma solo di riceverne.



Però, tale menzogna ebbe l’effetto voluto. Ad, nonostante il recente orgasmo, era di nuovo duro. E lo stesso valeva per Stine. Il giovane, comunque, era un accanito lettore di romanzi erotici e riconobbe lo stile dell’autore. Dimostrò l’apprezzamento per cotali citazioni colte spingendo indietro i fianchi e intrappolando la nuova erezione -forse più deludente della prima- tra le sue natiche. Ma non aveva importanza cosa fosse seppellito dentro di lui. Era quella voce, solo lei, la sua unica fonte di piacere. E quella voce continuò a parlare.



“Uno Schiavo è un giocattolo. Il Padrone si prende cura di lui, soddisfa tutti i suoi bisogni. Dentro e fuori dal letto. Ma è nel letto che il Padrone dimostra

quanto

uno Schiavo è tenuto in considerazione.”



Ad nemmeno ascoltava più. Stava impazzendo dal piacere. Il tono di quelle parole faceva schizzare il suo sistema nervoso oltre la soglia di sopportazione. Quasi dislocò l’uccello di Stine, mentre veniva per la terza volta. Quella volta, però, Alon raccolse un po’ di quello sperma e se lo portò alle labbra. Era fresco, sapeva di miele e profumava di fiori.



Stine, nel mentre, si ritrovò a provare qualcosa di sconosciuto. Anni di onorata carriera e mai nessuno Schiavo titolato gli aveva dato così tante sensazioni. Ma non voleva perdersene nemmeno una.



Anche Alon era eccitato. Dalle espressioni di pura estasi su quei lineamenti così delicati, dai gemiti deliziosi. E dalle fantasie che snocciolava, una dietro l’altra. Che si stesse facendo prendere un po’ troppo la mano?



“Il Padrone può ridurti il cazzo in polvere, a furia di orgasmi,” disse. Poi, sussurrando, aggiunse, “Se non mi ascolti e obbedisci, ti farò venire così tanto da farti vergognare.”



Ad tremava tutto. Ciò portò, di botto, Stine all’estasi. Alon approfittò della distrazione del Padrone per toccarsi e toccare. Allungò la mano, la stessa con cui aveva assaggiato il suo sperma, e gliela premette sulle labbra. Il respiro caldo avvolse il palmo. Sentiva i sospiri e i gemiti che lo attraversavano. Era uno sciabordìo. Poi, una lingua. E un lungo gemito silenzioso. Il piacere prese tutti e tre.



Finalmente, per la prima in vita sua, Alon aveva provato un vero orgasmo. Fu così bello che quasi pianse. Ma il Padrone non avrebbe permesso tale sconcezza. E se la sarebbe presa con Ad. Meglio evitare.



Ad, all’ennesimo orgasmo, si sciolse come burro. Quelle membra delicate si abbandonarono sul letto, ansimando. Stine uscì da lui, soddisfatto. Gli gettò addosso la coperta insanguinata e gli si sdraiò accanto. Amir, diment

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