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Ravuth aveva quarantadue anni quando morì Padre Eggleton, e la cosa lo devastò. L’anziano prete era la sua unica famiglia, il suo mentore, e il suo amico. La sua famiglia cambogiana e le sue radici erano ora un ricordo distante. I due avevano vissuto come padre e figlio per più di un quarto di secolo, e quando il prete venne a mancare, l’uomo si sentì nuovamente perso, come un’anima disperata, senza famiglia né amici.

Seppellirono Padre Donal Eggleton nel piccolo cimitero accanto alla chiesa. Il giorno del funerale il sostituto di Donal porse a Ravuth una busta marrone al cui interno si trovavano il crocifisso d’oro del prete e una catenina, un assegno da parte degli avvocati della chiesa, pari alla tenuta di Padre Donal Eggleton, oltre a un avviso di liberare la stanza alla canonica. Ravuth indossò il crocifisso del prete al collo prima di leggere la lettera contenuta nella busta.

“Cosa significa?” Domandò Ravuth con espressione accigliata.

Il nuovo parroco gli sorrise e disse “Mi dispiace Ravuth, ma devi abbandonare la canonica. La mia famiglia arriverà domani, quindi non ci sarà spazio per te”.

Il giorno seguente Ravuth fece i bagagli e si trasferì in una stanza di un bed-and-breakfast a Grantham. La piccola stanza era servita da un bagno in comune, nonostante fosse presente un lavandino in camera, ma era sprovvista dell’angolo cottura. Ravuth possedeva pochi vestiti, il suo crocifisso, la sua vecchia Bibbia e la sua scatola di foglie di banano, la quale era invecchiata con il tempo; per quanto malandata, la confezione emanava comunque un aroma gradevole. L’uomo non possedeva altro a dimostrazione dei propri 42 anni di vita. La sua pelle era più chiara di quanto lo fosse prima a causa dei duri inverni inglesi, ma era rimasto attivo facendo spesso lunghe passeggiate.

Ravuth trascorse i primi giorni a guardare la TV nella stanza del B&B. Durante il periodo in canonica non aveva mai visto la televisione, poiché Padre Donal non ne aveva mai avuta una; sosteneva che gli sottraesse l’abilità di apprendere dai libri e dalle conversazioni. Ravuth aveva letto molto e aveva appreso tante nozioni, a eccezione di come vivere in questo pazzo mondo. Un giorno, mentre faceva colazione, incontrò un altro residente di lunga data, un giovane uomo indiano disoccupato. Chiacchierarono per diverse ore, e l’uomo menzionò internet, le e-mail e i computer, accompagnando Ravuth all’internet café nelle vicinanze per mostrargli come si usava la tecnologia.

Una volta appreso del meraviglioso worldwide web, Ravuth trascorse la maggior parte del proprio tempo all’internet café, con lo sguardo incollato allo schermo. Ricercò eventi accaduti in Cambogia, ritrovando un nuovo scopo nella vita.

Con il mondo a portata di mano, si fissò l’obiettivo di cercare la propria famiglia perduta.

Ravuth, era seduto sul letto quando aprì la scatola di banano da cui estrasse le Polaroid prima di accarezzarle. Rimosse gli arcaici volantini che aveva trovato al café di Koh Kong tanti anni prima, e li studiò. Poi estrasse i baccelli. Gli tornarono alla mente le avventure con Oun, che lo fecero sorridere quando ripensò alla propria famiglia. Annusò la pianta marrone raggrinzita.

‘Ha ancora un buon profumo, come un deodorante per ambienti al miele e vaniglia’ pensò quando guardò il nodoso baccello raggrinzito. ‘Anche se è vecchio e sembra una cacca di cane, almeno la mia scatola ha una buona essenza’ ridacchiò.

Si alzò in piedi, si guardò allo specchio sul lavandino e sorrise.

“Vecchio e sciatto, proprio come me” disse, ridacchiando fra sé e sé quando si sfregò le occhiaie scure. Ripose il baccello nella scatola insieme alla Bibbia, chiuse il coperchio e la sistemò su una mensola.

Prese una cartellina dal comodino, e vi inserì i volantini insieme alle stampe delle istruzioni, indicazioni stradali e le informazioni che aveva trovato su internet. Sperava che lo avrebbero aiutato nella sua ricerca, e avrebbe portato con sé i documenti durante il volo per Phnom Penh del giorno seguente.

***

La mente di Ravuth era tormentata dai pensieri. ‘Riuscirò a trovare il villaggio? La mia famiglia sarà ancora viva? Forse Oun ha messo su famiglia. Si ricorderanno di me?’ Poi gli si agitò lo stomaco, e gli si stapparono i timpani quando l’aereo atterrò.

2002. La Cambogia non era familiare a Ravuth Eggleton. Atterrò all’aeroporto internazionale di Pochentong a Phnom Penh, e ricevette diverse occhiatacce quando i funzionari della dogana osservarono il suo passaporto del Regno Unito, quindi prese un taxi diretto in città. Sorrise all’aria calda e al familiare profumo della Cambogia, che gli fecero tornare alla mente bei ricordi nel guardare fuori dal finestrino del taxi. Oltrepassarono degli edifici moderni e piccoli fast-food, colmi di Khmer sorridenti che mangiavano e chiacchieravano tra loro.

Fece il check-in a un hotel sul lungofiume consigliatogli dal tassista. Nel periodo in cui Ravuth aveva vissuto in Cambogia, a eccezione della breve e snervante visita a Koh Kong, non aveva mai abbandonato il proprio villaggio, quindi non sapeva nulla del paese che chiamava casa. Era trascorso molto tempo da quando aveva parlato Khmer, quindi fece fatica a comprendere e comunicare nella propria lingua madre; aveva incontrato delle difficoltà già quando gli aveva parlato il tassista.

Arrivò a metà pomeriggio, intenzionato a visitare i registri e gli archivi del Consiglio dei Ministri a Confederation de la Russie. Prima voleva però avere un assaggio di casa. Uscì dall’hotel e si recò al primo ristorante cambogiano aperto, ordinando piatti tipici.

“Ahh” Ravuth gemette dal piacere quando sgranocchiò delle fresche verdure cambogiane. Sorrise ‘Batte assolutamente il ramen in scatola’ pensò, dopo aver vissuto di ramen in scatola e cibi disidratati che cucinava con il bollitore al B&B. Trascorse il resto della giornata contattando diversi dipartimenti e fissando appuntamenti per il giorno seguente.

Ravuth uscì quella sera, facendo una passeggiata sul lungo fiume. Il fiume Basaac, ampio e calmo, brillò alla luce della luna, e Ravuth guardò le piccole barche che si spostavano avanti e indietro sul filo dell’acqua. Aveva portato con sé delle sterline inglesi e, sotto consiglio del cassiere della banca, aveva scambiato anche un po’ di dollari americani invece dei Reil cambogiani. ‘Userò la carta di credito quando avrò finito i contanti’ pensò. Sperava che sul suo conto corrente bancario inglese avesse abbastanza soldi da coprire ogni eventuale costo.

I turisti e gli abitanti del posto si aggiravano sul marciapiede, mentre rumorosi tuk-tuk e moto-taxi andavano avanti e indietro in cerca di clienti. Il frastuono della città durante le ore serali mise a disagio Ravuth.

Vide diversi ristoranti gestiti da Khmer e da stranieri, e osservò bagarini e mendicanti approcciare i turisti, i quali cercavano d’ignorare le loro seccature. Ravuth sedette al tavolo di un ristorante, ordinando un pasto e una birra; una volta terminate fece ritorno alla stanza d’hotel e setacciò le informazioni che aveva raccolto per l’incontro del giorno successivo. Si rese conto che il primo ostacolo che avrebbe dovuto superare sarebbe stato scoprire il cognome della propria famiglia. Viveva in un piccolo villaggio, quindi i dettagli della famiglia erano raccolti al Sangkat (consiglio municipale), dove erano stati pubblicati i registri a nome di ogni famiglia. Era stato suo padre a occuparsi di tutti i dettagli, dato che nessun membro della sua famiglia non sapeva né leggere né scrivere. Ravuth era all’oscuro del proprio cognome o della propria vera data di nascita. Si rese conto che ciò avrebbe costituito un ostacolo in quanto avrebbe trascorso il giorno successivo a smistare invano documenti in diversi uffici.

Le ricerche che Ravuth condusse nei giorni successivi si rivelarono infruttuose. Trascorreva le proprie sere a passeggiare per il lungofiume, e poi qualche ora all’internet café prima di fare ritorno all’hotel. La sua settimana a Phnom Penh lo demoralizzò in quanto non scoprì nulla. Ravuth parlava raramente con qualcuno, dato che gli Khmer sembravano restii e freddi nei suoi confronti, vedendolo come un forestiero che era scappato dagli Khmer Rossi. Anche gli stranieri lo ignoravano, dando per scontato che fosse un bagarino che voleva vendere i tour dei Campi di Sterminio o dei massaggi a lieto fine. Si sentiva alienato e perso, e teneva la cosa per sé, concentrandosi sulla propria ricerca apparentemente irrealizzabile. Consultò i registri del museo del genocidio a Tuol Sleng. Sorprendentemente, gli Khmer Rossi che avevano controllato le province centrali avevano tenuto i registri in modo meticoloso; includendo anche le foto degli sfortunati individui che avevano raggiunto quel luogo infernale. Ravuth esaminò ogni fotografia, al corrente della fine che avevano fatto le persone i cui volti emaciati lo guardavano dalle immagini. Si sentì sollevato quando non trovò la propria famiglia tra le vittime di quell’incubo. Ravuth aveva studiato diversi articoli riguardanti le atrocità commesse da Pol Pot e dalla sua banda di assassini indottrinati. L’uomo si trovava in Cambogia, e i fatti si fecero molto più chiari per lui. Si rese conto che i suoi genitori erano probabilmente morti, ma sperava che almeno Oun fosse sopravvissuto. Solo nella sua stanza d’hotel cercò d’immaginare che effetto avesse sortito quel terribile periodo su Oun, e si ricordò dell’espressione felice e sorridente sul volto inzaccherato del fratello quando giocavano e si avventuravano nella giungla.

Ravuth era tormentato dalle immagini terrificanti che aveva visionato nei giorni precedenti, e faceva fatica a dormire, trascorrendo lunghe notti insonni all’hotel di Phnom Penh. Nella sua mente si susseguivano ricordi felici della sua adolescenza e pensieri spaventosi causati dalla possibile scomparsa della propria famiglia.

 

Un’amministratrice che notò il pellegrinaggio quotidiano di Ravuth ai suoi uffici gli porse un bigliettino e gli fornì informazioni circa gli uffici provinciali dove forse si era recata temporaneamente la sua famiglia.

“Forse loro possono aiutarti” disse “Tutti i residenti di quell’area devono essere stati al comune per essere censite. Probabilmente sanno dove è stata mandata la tua famiglia da lì”.

Ravuth si fece piccolo quando guardò l’indirizzo.

“Vorrebbe prenotare un appuntamento?” Domandò la donna.

Per quanto agitato dal pensiero di far ritorno a Koh Kong, il mattino seguente Ravuth prese un taxi fino alla città sul confine per presenziare all’appuntamento che prese con l’amministratore capo. Il tragitto nella vecchia Toyota Corolla durò quasi otto ore; l’aria condizionata non funzionava, e le quattro fermate nei pressi dei pontili per attraversare il fiume lo misero a disagio. La chiacchierata con il tassista lo aiutò però a riprendere dimestichezza con il linguaggio Khmer.

Incontrò Ny Ngem, il consigliere del Dang Paeng Sangkat, l’ufficio comunale che gestiva la provincia di Koh Kong durante il periodo degli Khmer Rossi.

Ravuth e Rom, l’assistente di lingua inglese di Ny, controllarono i registri. Il problema era che molti villaggi erano innominati, così come tante dimore, quindi gli unici registri tenuti dagli Khmer Rossi erano composti dal numero di componenti di un gruppo, il campo di destinazione e i loro cognomi. A differenza dei registri di Phnom Penh, tenuti meticolosamente, quelli erano abbozzati. Dopo qualche giorno di ricerche, Ravuth si rese conto che non era così che avrebbe fatto progressi, ed era stufo di dover offrire quotidianamente il caffè al consigliere. Si sentiva però di non avere altra scelta se non quella di pagare, poiché la prima cosa che aveva notato al proprio arrivo era che i cambogiani non facevano niente gratuitamente, specialmente nei confronti degli stranieri - ovvero ciò che era considerato Ravuth.

Ravuth non apprese niente durante il tempo trascorso con Rom, ma le ricerche si rivelarono comunque utili, dato che parlavano Khmer, con Rom che correggeva i loro errori. Il suo Khmer migliorò quindi dopo qualche giorno.

Lungo il confine tra la Tailandia e la Cambogia erano stati edificati diversi lussuosi casinò, quindi le persone utilizzavano Koh Kong da passaggio. I diversi affittacamere sparsi per la città sudicia e assonnata erano principalmente gestiti da Khmer. Ravuth alloggiò in un affittacamere accanto a un mercato del centro città. A Koh Kong non si sentiva né a proprio agio né al sicuro, e la sua stanza era umida e puzzava di muffa. Non volle avventurarsi e uscire dopo aver svolto le proprie ricerche al comune, quindi rimase all’affittacamere. Aveva mangiato in un ristorante tutte le sere, e il proprietario l’aveva fissato con disprezzo quando gli aveva servito del cibo cambogiano freddo.

Ravuth aveva utilizzato il medesimo moto-taxi tutti i giorni per percorrere la breve distanza tra gli uffici. Il conducente era un giovane cambogiano allegro di nome Tik che aveva notato all’affittacamere in diverse occasioni. Ravuth assunse Tik affinché lo accompagnasse agli uffici e lo riportasse all’alloggio nel tardo pomeriggio. Ravuth era a Koh Kong da quattro giorni, e consapevole che stesse sprecando del tempo, decise di ritornare a Phnom Penh il giorno seguente.

“Ci vediamo domani mattina” disse Tik quando accompagnò Ravuth all’affittacamere.

“Grazie Tik, e domani vorrei che mi portassi all’autobus” disse Ravuth.

Tik si accigliò, sembrava deluso. “Se ne sta andando?” Domandò.

Ravuth annuì e disse “Sì, non ho trovato ciò che cercavo”.

Tik non si era mai chiesto il perché della presenza di Ravuth, ma notando la delusione sui tratti dell’anziano cambogiano, gli chiese “Che cosa sta cercando?”

Ravuth sorrise e disse “La mia famiglia. Ci hanno separati anni fa, e credo che siano stati portati qui in passato”.

Tik sorrise e disse “So di persone che hanno vissuto qui molto a lungo. Chiederò in giro. Ha delle foto?”

Ravuth aveva fotocopiato le sue vecchie fotografie, quindi porse a Tik due A4 di esse. Nonostante la qualità delle foto in bianco e nero fosse bassa, l’uomo indicò i soggetti ritratti con l’indice.

“Lei è mia madre, Rotha, lui è Tu, mio padre, e lui è mio fratello minore, Oun”.

“È cambiato molto, Ravuth” disse Tik, il quale ridacchiò guardando il volto sudicio e sorridente del bambino ritratto in foto. Tik ripiegò le copie e le sistemò in tasca. “Cercherò di scoprire qualcosa prima che se ne vada” aggiunse ridacchiando prima di avviarsi in moto.

Un vecchio ventilatore scricchiolò quando roteò lentamente, agitando l’aria calda e umida nella piccola stanza malandata dell’affittacamere. Il locale poco illuminato gli rendeva difficile leggere. Trascorse diverse ore a rivedere altra letteratura, scartandone la maggior parte quando la ritenne spazzatura. Poi qualcuno bussò alla porta. Era Tik con un altro Khmer che sembrava della stessa età di Ravuth.

“Ravuth, lui è mio padre, Sok” disse Tik quando presentò lo Khmer a Ravuth.

Si sedettero sul letto mentre Ravuth riferì la propria storia a Sok. Ravuth notò che Tik non assomigliava minimamente al padre. Sok era basso e cicciottello, dai lineamenti spigolosi, e indossava grandi quantità di gioielli dorati attorno al collo oltre ad anelli dorati e color rubino. Parlava in tono duro e intimidatorio.

Sok estrasse le copie piegate delle foto dalla tasca, le spiegò e disse “Mi ricordo questa famiglia...e il villaggio da cui provengono”. Guardò i fogli e indicò l’immagine di Rotha dicendo “Si, conosco questa donna e suo marito e il figlio, io e tuo fratello siamo quasi coetanei”.

Ravuth perse un battito quando Sok proseguì “Conosco il loro villaggio...ti ci porterò domani. Oh, ma dovrò noleggiare il Range Rover del mio amico. Vorrà 500 dollari” disse Sok.

Ravuth sapeva che ciò andava ben oltre le probabilità, ma non gli importava, quindi disse “Grazie, ma prima dovrò andare in banca, non ho abbastanza soldi”.

“Nessun problema” disse Sok rivolgendogli un ghigno.

In quel momento un brivido gli percorse la schiena. Guardò negli occhi minacciosi dell’uomo, uno sguardo che gli riportava alla mente l’ultima volta in cui aveva visto il male negli occhi di un cambogiano, ma quell’uomo aveva forse trovato la sua famiglia, quindi ignorò il proprio istinto.

“Okay” disse Sok “Festeggiamo”.

“Si, si, e grazie ancora” disse Ravuth con un sorriso raggiante in viso.

Percorsero una breve distanza fino a quando raggiunsero un bar karaoke poco illuminato. Ravuth notò quanto i presenti portassero rispetto a Sok, e quanto molte ‘ragazze taxi’ (prostitute) si sedessero accanto a lui quando ordinò loro dei cocktail. Una bella ragazza attirò l’attenzione di Ravuth. Era una giovane Khmer di nome Anni. Ravuth si sentiva a disagio nel bar, ed era anche inesperto in fatto di donne, essendo ancora vergine. Anni e Ravuth chiacchierarono sovrastando il suono della musica; la ragazza si era resa conto di quanto l’uomo fosse agitato. Anni continuava a ricevere occhiate da Sok e dalla *mamasan, segnale che le fece capire di procedere con l’incarico e sedurre Ravuth.

La mamasan li raggiunse, sussurrò qualcosa ad Anni e poi domandò a Ravuth “Ti piace Anni?”

“Sì” rispose lui timidamente.

“Vorrebbe portarti in un posto più tranquillo” disse la mamasan con fare distaccato.

Ravuth, innocente e incerto su ciò che intendesse la mamasan, diede un’alzata di spalle e rispose “Sì, okay”.

Anni accompagnò Ravuth in un complesso di cinque appartamenti sudici uscendo del retro del bar, e i due entrarono in una piccola stanza lercia dotata di un letto e un buco nel pavimento che fungeva da water utilizzato dalle ragazze e dai clienti per i loro bisogni. Notò diverse file di vestiti, e Ravuth si rese conto che in quella stanza lurida risiedevano molte ragazze. Nel locale aleggiava un odore strano, non familiare a Ravuth, il quale non aveva mai fatto sesso.

Si accomodarono su uno sporco materasso sottile. Anni gli sorrise e disse “Faccio una doccia a Ravuth” disse togliendosi la maglietta, i jeans e il reggiseno. Ravuth distolse lo sguardo quando la ragazza si avvolse in una salvietta consunta prima di rimuoversi le mutandine.

Ravuth provò apprensione, ma quando vide Anni nuda riversarsi addosso diverse ciotole di acqua sporca prima d’insaponarsi, si sentì eccitarsi. Anni si avvolse quindi in una salvietta trasandata, guardò Ravuth, gli sorrise e fece cadere l’asciugamano.

Anni era talmente magra che le si vedevano le costole; il suo seno era piccolo e sodo ed era depilata. Lo prese per mano e lo aiutò ad alzarsi in piedi. Ravuth era agitato e nervoso, ma presto provò imbarazzo quando Anni gli tolse gli slip. L’uomo coprì quindi la propria erezione con le mani.

Anni sorrise, s’inginocchiò e si appropriò di un preservativo della pila sul tavolo. La ragazza spostò le mani di Ravuth e gli fece indossare il preservativo; dovette però sostituirlo qualche secondo più tardi.

“Mi dispiace” disse Ravuth quando Anni gli sorrise nel massaggiargli il vecchio salsicciotto, infondendogli ritrovato vigore.

Una volta in cui il vecchio salsicciotto fu nuovamente sull’attenti, Anni lo guidò verso il letto, facendolo coricare. Anni si mise a cavalcioni su di lui, spingendosi su e giù sul suo soldatino.

Trenta secondi più tardi Anni si fece un’altra doccia, mentre Ravuth restò coricato sul letto con un sorriso in volto. Anni fu sollevata dal fatto che fosse finito tutto così velocemente. La ragazza aveva ancora una lunga notte davanti, e Ravuth era stato già il suo quarto cliente.

Ravuth ritornò con Anni nel bar, accomodandosi insieme a Sok, Tik e diverse altre ragazze. Bevettero e chiacchierarono per un po’. Quando Sok notò che Ravuth era stanco, disse “Okay Ravuth, paga il conto così ti riportiamo all’affittacamere”.

“Grazie tante” disse Ravuth “Voglio riposare per bene. Domani sarà un gran giorno”.

“Som khet loy, il conto, prego” disse Ravuth, prima di chiedere ad Anni “Posso vederti domani sera?”

Anni annuì e sorrise. “Se vorrai vedermi mi troverai qui” disse.

La mamasan porse a Ravuth una piccola busta al cui interno si trovava il conto. Il totale era 300 dollari.

Ravuth pagò l’esorbitante conto. Sapeva che si trattava molto di più di quanto sarebbe dovuto essere, ma non gli importava.

Tik e Sok scortarono Ravuth all’affittacamere, quindi l’uomo entrò in camera e si coricò sul letto. Si sentiva euforico. “È stato uno dei giorni migliori della mia vita” disse pensando ad Anni.

Sok e Tik ritornarono al bar karaoke, la mamasan porse a Sok 200 dollari, deliziata dall’aver guadagnato 100 dollari per sé. Sok prese da parte Anni per una scopata veloce.

Poi Sok salì sul proprio Range Rover ed estrasse le fotocopie dalla tasca. Rise quando le strappò e le lanciò fuori dal finestrino prima di guidare verso casa.

Ravuth non riposò affatto quella notte, era elettrizzato dal pensiero di ritrovare la propria famiglia dopo tutti quegli anni. Incapace di rilassarsi, si sedette su una delle panchine all’esterno dell’affittacamere, guardando l’alba mentre allontanava le zanzare e controllava l’orologio. Non vedeva l’ora che il tempo trascorresse in fretta, fino a quando Sok sarebbe andato a prenderlo.

Era una giornata calda e umida. Sok andò a prendere Ravuth alle 8 del mattino e lo accompagnò in banca. Aveva un ghigno in volto mentre lo guardava ritirare al bancomat. Lui, Ravuth e Tik guidarono fino ai sobborghi della città, diretti verso i Monti Cardamomi. L’aria condizionata del Range Rover portò sollievo a Ravuth, il quale non si era ancora abituato al clima del suo vecchio paese.

Sok spiegò che quando cacciarono gli Khmer Rossi e liberarono la Cambogia, la maggior parte dei superstiti fece ritorno ai loro vecchi paesini, alle loro vecchie città e villaggi. Gli Khmer Rossi intrattennero però altri scontri sporadici all’interno e all’esterno dell’area. Quando Pol Pot morì nel 1999, si erano reintegrati nella società. Sok rassicurò nuovamente Ravuth dicendogli di sapere dove si trovasse sia il villaggio che la famiglia dell’uomo.

“Scommetto che sei emozionato” disse Sok guardando un sorridente Ravuth. “Non manca molto, ci siamo quasi”.

 

Sok svoltò in una strada bianca, una perpendicolare a quella principale. Ravuth osservò il terreno, ma si preoccupò quando vide i Monti Cardamomi in lontananza.

Proseguirono per trenta minuti lungo una strada polverosa e melmosa, che li portò a un piccolo villaggio. Ravuth non riconobbe affatto il posto. L’ambiente circostante non gli era affatto familiare, e non si trovavano nei pressi della giungla.

Sok raggiunse il centro del villaggio, e quando Ravuth scese dall’auto osservò la tenda comune. Gli abitanti uscirono per salutarlo, ridendo, sorridendo e accogliendolo a casa.

Un uomo di mezz’età con indosso una camicia e un paio di pantaloni raggiunse Ravuth e lo salutò con un *wai.

Sok gli presentò l’uomo come Boran, il Capo villaggio.

“Benvenuto a casa, Ravuth” disse Boran con un sorriso in volto.

Ravuth si guardò attorno nel villaggio, osservando la piccola folla che si era radunata, ma non riconobbe nessuno.

“Il tuo villaggio ha un problema” disse Sok. “Servono soldi per un nuovo generatore e per dei materiali da costruzione”.

“Dove sono i miei genitori?” Chiese Ravuth, era perturbato e infastidito.

Boran gli sorrise e gli disse “Vieni a mangiare, abbiamo preparato diverse pietanze”.

“Ma non è il mio villaggio” ribatté Ravuth, corrucciandosi quando Boran lo guidò all’interno della tenda comune dove erano stati disposti su una stuoia diversi piatti di riso e verdure.

Durante il pasto Ravuth si piegò verso Sok e ripeté “So che questo non è il mio villaggio”.

Sok finse una reazione scioccata quando disse “Mi dispiace Ravuth, ero certo di aver visto qui la tua famiglia per l’ultima volta, quindi forse l’ho confuso con un altro villaggio. Finisci di mangiare così andremo a cercare là. Devi pagare il Capo e gli abitanti, anche una piccola somma li renderà felici, ad esempio $600”.

Ravuth aveva ritirato diverse migliaia di dollari alla banca per aiutare la sua famiglia quando l’avrebbe ritrovata. Aveva già dato $500 a Sok, cifra che l’uomo aveva richiesto a titolo di noleggio del ‘veicolo del suo amico’; quindi si ritrovò a porgere $600 agli anziani del villaggio, pagando altri due capi di villaggi sbagliati, dove era stato portato con l’inganno.

Ritornarono all’affittacamere all’imbrunire dopo aver girato a vuoto per i sobborghi di Koh Kong per tutto il giorno. Scoraggiato e arrabbiato, Ravuth si rese conto che Sok non conosceva nessuno della sua famiglia e non sapeva dove si trovava il suo villaggio. La sua escursione vana gli costò $2,300.

Nel cenare all’affittacamere, Sok raggiunse Ravuth e gli disse “Mi dispiace per oggi. Ero certo che uno di quelli che abbiamo visitato fosse il tuo villaggio. Lascia stare. Ci possiamo riprovare domani. Sono sicuro che lo troveremo. Penso di sapere dove si trova...guarda”.

L’uomo spiegò una fotocopia in bianco e nero di una mappa su cui era stata circolata un’area. Ravuth smise di mangiare per esaminare il foglio, mentre Sok gli disse “Hai detto che si trovava nella giungla ai piedi della montagna”. Poi indicò tre cerchi disegnati a mano prima di aggiungere “Deve essere uno di questi villaggi. Scusami, devo aver svoltato troppo presto dalla via maestra”.

Ravuth guardò con attenzione il foglio, ma non decifrò nulla sulla fotocopia in bianco e nero e i cerchi a matita. Si accigliò e continuò a mangiare. Sok si sedette e gli sorrise “Vuoi andare a trovare Anni?” Chiese.

Ravuth era contrariato, ma non vedeva l’ora di vedere Anni, quindi seguì Sok al karaoke.

“Dov’è Tik?” Domandò Ravuth.

“Stasera lavora” disse Sok prima di bere il suo Johnnie Walker.

Tik aveva fatto ritorno ai tre villaggi che avevano visitato nel pomeriggio per raccogliere i soldi che Sok aveva estorto a Ravuth.

***

Qualche minuto dopo l’arrivo dei due, Anni uscì dalla stanza sul retro. Aveva appena finito con un cliente che aveva impiegato molto tempo, e sembrava felice di vedere il Signor Ravuth due-colpi al bar. La mamasan incoraggiò Ravuth a possederla in quel momento, perché poi più tardi sarebbe stata occupata.

Nella stanza sporca, dopo aver soddisfatto Ravuth, quest’ultimo le domandò “Da quanto tempo lavori qui, Anni?”

Anni sembrò colta alla sprovvista, dato che i clienti non ponevano mai domande. La ragazza aveva il solo compito di dar loro sollievo, e una volta finito era tutto lì. Nessuno aveva mai dimostrato interesse nei confronti di Anni in quanto persona. Guardò Ravuth con un sorriso in volto. Sok le aveva detto che Ravuth era un ricco straniero, ma si rese conto che era anche un uomo gentile.

Erano trascorsi quattro anni da quando la mamasan si era recata alla periferia di Koh Kong. Aveva offerto $200 alle famiglie con figlie, dicendo loro di utilizzare i soldi per migliorare il loro stile di vita.

Aveva detto loro che avrebbero potuto ripagarle in ogni momento, ma avrebbero dovuto versare gli interessi. Nel frattempo lei avrebbe impiegato le figlie, le quali avrebbero ricevuto un salario di $40 al mese. Il vitto, i vestiti e l’alloggio sarebbero stati defalcati dal loro salario, oltre agli interessi del prestito. Quei semplici abitanti del villaggio di campagna vedevano $200 come un dono del cielo. Avrebbero potuto acquistare dei macchinari per implementare la lavorazione della terra, dei nuovi generatori, e avrebbero potuto scavare dei pozzi più profondi tramite delle attrezzature avanzate, in modo da poter rimediare al periodo di siccità che faceva asciugare il loro pozzo poco profondo.

Anni gli disse “Eravamo tutte felici e non vedevamo l’ora d’iniziare a lavorare” si corrucciò. “La mamasan ci disse che si trattava di un semplice impiego di ‘servizio clienti’. Nessuno capiva che cosa implicasse quel ruolo, quindi le famiglie accettarono l’accordo e i soldi. Ciò che non ci disse era che il prezzo per vivere nelle stanze sul retro era $20 al mese, e gli interessi sul prestito ammontavano a $20 al mese; quindi saremo bloccate qui a quando le famiglie non avranno raccolto i $200 per ripagare la mamasan. Il nostro lavoro è quello d’intrattenere gli Khmer locali tutte le sere. Solitamente sono conducenti di moto-taxi e tuk-tuk turistici che durante il giorno accumulano soldi trasportando chi attraversa il confine. Vogliono ubriacarsi, intrattenersi con le ragazze e trovare un breve sollievo. A volte ci viene a trovare la mafia locale, persone come S…” Anni si blocco, sperando che Ravuth non avesse compreso il nome che stava per pronunciare. “Ma loro non pagano. La mamasan è un tiranno che ci obbliga a svolgere tutti gli atti sessuali che i clienti desiderano”.

Ravuth vide le lacrime formarsi negli occhi di Anni. La ragazza sembrava imbarazzata quando aggiunse “Ci pagano $1 a cliente”. Si guardò attorno nella stanza lercia, spostando l’attenzione sui propri vestiti consunti prima di commentare “Il che non è molto”. Anni poi si asciugò le lacrime e gli sorrise.

Ravuth si sentiva male per la piacevole giovane donna, la quale l’aveva gratificato in due occasioni. Poteva solamente immaginare che vita miserabile conducesse.

Ravuth sorrise, estrasse $50 dal portafoglio e li porse ad Anni prima di dirle “Scusami, sono a corto di contanti. Domani mattina andrò in banca, perché devo ancora pagare il conto qui al bar”.

Anni era attonita, ma piacevolmente scioccata, quindi disse “Non ti ho raccontato della mia famiglia per spillarti dei soldi. Credo che ti abbiamo già truffato abbastanza...Sei un uomo gentile, Ravuth. Grazie, nasconderò questi soldi e li darò alla mia famiglia”.

Anni e Ravuth ritornarono al karaoke bar. Il mattino seguente l’uomo era un po’ più felice, dato che Sok l’aveva convinto che avrebbe trovato la sua famiglia. Ritirò altri soldi e pagò altri $500 per il ‘veicolo del suo amico’.

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