Sotto La Luna Del Satiro

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Capitolo quattro

Lily pensò di aver avuto abbastanza sogni bizzarri da bastarle per anni. Uomini-capra nudi…come si chiamavano nella mitologia? Minotauri? No, quelli avevano il torso umano e la testa da toro. I suoi ricordi sulle creature leggendarie erano decisamente confusi. Buon Dio, la stanza sta girando? Un attimo… stanza?

Lily si mise a sedere di scatto sul letto – un letto veramente morbido e soffice, dal gradevole profumo di foresta e legno di sandalo – e quasi si procurò un colpo di frusta nel tentativo di studiare l’ambiente circostante. In teoria, non ci sarebbero dovuti essere edifici in quel tratto di terra, se non un paio di torri di controllo della guardia forestale, a chilometri e chilometri di distanza le une dalle altre. Senza una copia della mappa, per Lily sarebbe stato impossibile localizzarne una. O le bussole avevano condotto lei e Donovan decisamente fuori strada o quel subdolo incubo mitologico aveva nascosto la sua piccola e accogliente baita di lusso nel bel mezzo del nulla. Chissà a quali indicibili azioni diaboliche si dedicasse? Oddio, chissà quali indicibili azioni diaboliche avrebbe compiuto su di lei! Beh, avrebbe tentato, in ogni caso. Si sbagliava di grosso, se pensava che sarebbe rimasta lì distesa a subire in silenzio.

Mentre controllava di avere ancora tutti i vestiti addosso, Lily si rese conto che la benda sulla sua mano era sparita, la ferita pulita e in via di guarigione. Le aveva disinfettato il taglio? Se non altro, non sembrava averla molestata mentre era priva di sensi. Non che ne fosse totalmente convinta. Gli uomini-capra nudi sembravano tipi da dare una sbirciatina nelle camicette e una palpatina, mentre depositavano le donne nei loro letti.

A essere sinceri, si era sistemato bene. La testata del letto era in rovere chiaro e si abbinava agli altri mobili presenti nella stanza, solo di qualche sfumatura più chiari dei muri. Tutt’intorno, dell’edera e altre piante accompagnavano i toni neutri del legno con macchie di verde. Non c’era molto altro in quanto ad arredamento, a parte alcune urne greche. Una ritraeva un uomo-capra che inseguiva un gruppo di donne nude. Lily immaginò che la figura fosse bionda; l’urna presentava solo del nero e un colore ramato e l’uomo-capra era l’unica figura senza capelli corvini. Che fosse lui? Nah…

«Oh, bene, sei sveglia. Temevo di averti uccisa. Hai dormito tutta la notte e gran parte del giorno.»

Era rimasta fuori gioco per un giorno intero? Poteva averle fatto innumerevoli cose ignobili durante tutto quel tempo!

Il Demone Caprino stava in piedi sulla porta e Lily non lo aveva nemmeno sentito arrivare. E pensare che Zoccoletto non dovrebbe essere tanto silenzioso… eppure… aveva piedi normali, come quelli di qualsiasi essere umano. Era a piedi nudi, il che sottolineava l’assenza degli zoccoli, e indossava dei jeans e una t-shirt. Sembrava in tutto e per tutto il genere di uomo che Lily avrebbe sognato di seguire in una baita nel bel mezzo del nulla per fare l’amore. Enfasi su sognato. Nella realtà, era dannatamente inquietante. Sarebbe stata una fantasia divertente, in teoria, ma quando una cosa simile accadeva davvero, si trasformava in qualcosa di terrificante e per niente sexy.

Il suo sguardo percorse da capo a piedi l’uomo dai capelli biondi. Okay, forse leggermente sexy, ma comunque inquietante. Si era trattato davvero di un costume molto convincente? Le corna da ariete non gli incorniciavano più il volto; non c’era nulla di straordinario in lui, a parte il fatto che fosse troppo attraente per il proprio bene. Forse era impazzita sul serio. Le visioni di uomini-capra eccitati potevano benissimo essere una conseguenza dello stress per la brutta rottura con Donovan e dell’ansia per essersi persa. Forse si sarebbe dovuta rallegrare di aver sbattuto la testa così forte, raddrizzando la propria percezione delle cose.

«Mi stai fissando di nuovo i piedi.» Dal tono sembrava divertito e il suo sorriso lo confermò.

«Sto perdendo la testa, temo.»

«No, per niente. Posso nasconderlo, sai. Le persone danno di matto quando vedono che hai delle parti animali, anche se le parti che contano sono umane.» Ammiccò.

Alle sue parole, lo sguardo di Lily si spostò sulle sue parti basse. Aveva dato una bella occhiata prima e non poteva dimenticare quanto fosse, ehm, dotato.

«Se vuoi fissarmi proprio , posso togliermi i vestiti. Non mi piace molto indossarli, in ogni caso.»

«No no», disse Lily, più velocemente di quanto avrebbe voluto. «Scusa, ma dove mi trovo? Non voglio guai. Devo tornare dal mio ragazzo.» Okay, era il suo ex e l’aveva mollata, ma il Signor Si-Crede-Una-Mezza-Capra avrebbe dovuto accettare la bugia, perché Lily voleva tornare alla civilizzazione e recuperare la propria salute mentale.

L’uomo aggrottò le sopracciglia. «La scusa del “sono fidanzata” non ha mai funzionato a lungo con me in passato. Tanto per dire.»

«Beh, mi dispiace che tu sia un tale maiale, allora. Dovrebbe importarti se qualcuno è impegnato oppure no. Non hai alcun diritto di provarci con una donna fidanzata.» Il giorno precedente aveva fatto un commento a proposito di Donovan che faceva un pisolino mentre lei seguiva la canzone. Non sembrava averlo detto per vantarsene, l’aveva presentata come una fredda e dura verità e niente più. Lily non sapeva esattamente come avesse fatto a cogliere così tante informazioni dal suo tono, eppure ci era riuscita.

L’uomo si appoggiò allo stipite della porta e incrociò le braccia. I lunghi capelli gli cadevano sulle spalle e lo facevano apparire selvaggio, ma comunque stupendo. Non in maniera delicata, ma come un guerriero vigoroso dei tempi passati. Ricordando come lo avesse paragonato a un vichingo, Lily trattenne a stento un gemito. Aveva un debole per gli uomini nordici. Eppure, questo tizio non veniva di certo dal nord, nonostante i capelli biondi e gli occhi azzurri. Il suo accento suonava europeo, ma non scandinavo. Lily lanciò un’occhiata alle urne, poi di nuovo all’uomo. Aveva ragione a ritenere che fosse greco? Gli uomini-capra era una cosa greca, pensò. Aprì la bocca per fargli domande sul suo retaggio, ma proprio in quel momento l’uomo rispose al suo commento precedente.

«Forse non ne ho il diritto, ma vedila così: offro alle donne un po’ di divertimento e loro possono accettare o meno. Molte accettano. Suppongo che alcune donne idealizzino una situazione del genere. Un misterioso sconosciuto nei boschi, capace di soddisfarle come i loro uomini non sono in grado di fare, a quanto pare. È una fantasia divenuta realtà e priva di conseguenze.» Eppure, parlando, aveva distolto lo sguardo dal suo, portandola a credere che non provasse piacere nel farlo.

Che strana conclusione da trarre.

Ovvio che gli piacesse. Era saltato addosso a quella bionda.

Lily avrebbe voluto perdere le staffe come aveva fatto prima, ma riuscì a mantenere la calma – a malapena. Era cosciente di dover temere per la propria incolumità e la confusione si era mescolata alla preoccupazione per Donovan, ma sentiva come un senso di… appartenenza? Sì, aveva sbattuto molto forte la testa. Quell’uomo era un donnaiolo, forse persino un pericoloso predatore abituato a molestare le campeggiatrici. Tuttavia, aveva visto con i suoi stessi occhi l’altra donna desiderare ardentemente l’uomo-capra. Lily si agitò ripensando a quella scena.

«Un po’ presuntuoso da parte tua», lo punzecchiò Lily. «Cosa ti rende così speciale?»

«Penso tu lo sappia.»

«Fammi capire. È perché sei un centauro?» Forse era quello il mito giusto.

L’uomo gettò la testa all’indietro e rise. «È perché ce l’ho grosso come un cavallo, amore? Lo prenderò come un complimento.» Accorgendosi che Lily lo fissava con aria assente, elaborò: «I centauri hanno la parte superiore del corpo simile a quella di un uomo e la parte inferiore come un cavallo. I loro attributi sono uguali a quelli di uno stallone e non compatibili con le donne umane. Fortunatamente per loro, esistono centauri donna. La mia, ehm, specie, per mancanza di termini migliori, non è altrettanto fortunata.»

«Ci sono sul serio delle persone per metà cavallo in giro per il mondo?»

«Tendono a rimanere nascosti. Non possono viaggiare molto con il loro enorme sedere che li tradisce.» Indicò con un gesto lo spazio vuoto alle sue spalle, come se stesse picchiettando sulla groppa di un cavallo invisibile.

Lily non riuscì a formulare una risposta. Cavolo, non era più in grado di avere dei pensieri coerenti. Stavano discutendo di creature mitologiche come se facessero parte del mondo reale. Era giunto per Lily il tempo di accettare la propria dipartita dalla realtà e trovare una soluzione per raggiungerla di nuovo.

Alto, Biondo e Possibilmente Greco avanzò fino alla cassettiera e sollevò l’urna che Lily non riusciva a smettere di fissare. La girò per mostrarle il disegno intero. Come molte urne greche, raccontava una storia attraverso le raffigurazioni. Le immagini mostravano un uomo-capra che inseguiva delle donne, che le catturava e poi, ehilà, un’orgia.

«Stai cercando di dirmi che quell’uomo-capra sei tu?» chiese seccamente Lily.

«Uomo-capra, eh?» Rise. «Il termine politicamente corretto è “satiro”, ma sì, questa era un’urna che celebrava – o metteva in guardia, dipende dai punti di vista – le mie avventure sessuali nell’Antica Grecia. Potrebbe trattarsi anche di Calix, però. Dipende a chi chiedi. Le corna sono arrotondate e noi due siamo gli unici biondi con queste corna. Tuttavia, non c’è mai stata nessuna orgia di satiri. Con il nostro aspetto era già una sfida trovare una singola amante. Il racconto su quest’urna è decisamente ingigantito.»

 

Un satiro. Per favore.

«Uh, huh. Certo. E come mai “satiro” suona straordinariamente simile a “Satana”?»

«Satana in realtà è un nome ebreo. Non c’è nessun nesso tra le due parole, anche se le rappresentazioni sono simili. Nelle sue raffigurazioni classiche, a Satana vengono conferite caratteristiche che i Greci e i Romani attribuivano alle loro versioni artistiche dei satiri: barbetta, zampe caprine, corna… Gli umani credevano che fossimo controllo e corrompessimo le loro donne. Diffidavano così tanto dei satiri da prendere ispirazione da noi per rappresentare il male assoluto incarnato da Satana. Come hai potuto vedere, non sono rosso e non ho una coda appuntita o un forcone. E di sicuro non puzzo di zolfo. Il mio nome è Ariston, comunque. Nel caso tu non voglia continuare a chiamarmi Uomo Capra

Voleva che lo chiamasse per nome? Perché i suoi occhi dovevano essere di una così bella sfumatura di zaffiro? La distraevano. Maledizione, lui la distraeva. Lily non poteva trasudare disprezzo e mostrarsi disinteressata ad aiutarlo, qualunque cosa avesse bisogno da lei, se continuava a entusiasmarsi per la sua bellezza.

«Non ricordo nessun Ariston dai miti che ho letto a scuola. Vorresti farmi credere che quello sull’urna sia tu? Non dimostri più di settecento anni.» L’immortalità era impossibile. E, ovviamente, i satiri non esistevano. Gli scienziati li avrebbero scoperti! Già. Proprio come hanno trovato tracce di Bigfoot e di quella specie di diavolo volante che vive in New Jersey. Che mucchio di stronzate. Il tipo non ha neanche più le corna.

«Grazie.» Il suo tono era privo di divertimento. «Molte leggende sono andate perse prima di essere trascritte e i racconti popolari servono a insegnare delle lezioni. Pan e Sileno sono i due satiri che potresti incontrare in un libro di testo; tuttavia, le loro storie sono state trascritte in maniera errata, come molte altre. A volte, Oreste viene citato come satiro, anche se il figlio di Agamennone che portava lo stesso nome è molto più conosciuto.»

Sembrava serio.

«Di sicuro avrai conosciuto personalmente Agamennone», replicò seccamente Lily.

«Pan lo ha incontrato una volta o due.»

«Okay, è assurdo. Capisco che tu sia davvero preso da questa storia dei satiri, ma non pensi di esagerare? Non solo credi di essere uno di loro, ma uno vissuto ai tempi degli Antichi Greci, per giunta. Mi lasceresti andare, ora? Non dirò a nessuno che c’è un uomo mentalmente instabile che vive qui fuori da solo.»

Ariston ripose l’urna al suo posto, si voltò e si avvicinò al letto dov’era seduta Lily, la quale arretrò senza accorgersene, fino a quando la sua schiena non incontrò il muro. L’uomo piazzò una mano contro la testata e l’altra sul letto, imprigionandola. «Non avrei voluto farlo.»

Fare cosa? Prendermi con la forza? «Beh, non farlo, allora.»

«C’è un solo modo per dimostrarti che sono davvero chi dico di essere. Che i satiri sono reali.»

Lily spalancò gli occhi. Si disse di non aver notato un fremito correrle lungo la spina dorsale. Svegliati, Lily! Disgustata da se stessa, perché simultaneamente terrorizzata ed eccitata, non poté fare altro che prepararsi per ciò che l’uomo stava per fare. Era estremamente sbagliato. Tutta la situazione era sbagliata, sbagliata, sbagliata! «Non c’è bisogno di fare nulla di estremo. Sei un satiro. Ho capito.»

«Penso che tu abbia paura di ammettere che è vero.» Si allontanò di qualche passo e si sfilò la maglietta. Quella traditrice della sua bocca si seccò. Il pazzo era muscoloso. Il cervello e il corpo di Lily avrebbero dovuto migliorare seriamente la cooperazione, perché al suo corpo stava piacendo eccome ciò che vedeva, nonostante il pericolo.

«C-cosa stai facendo?»

Ariston si slacciò i pantaloni e li lasciò cadere. Non portava le mutande ed era già semi-eretto. Lily non avrebbe dovuto trovarlo affascinante. Non quando era inorridita dalla sua mancanza di limiti. Sì, decisamente inorridita.

«Seriamente, che cosa stai facendo?» ripeté, rintanandosi nell’angolo del letto, tra la testata e il muro. Il suo corpo aveva finalmente iniziato a dare ascolto agli avvertimenti che il cervello stava gridando da un po’, quando Ariston si chinò, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni quella specie di flauto dall’aria antica e lo lanciò fuori dalla stanza. Lily non lo vide atterrare, distratta com’era dall’uomo nudo che le stava di fronte. Passarono alcuni secondi, ma poi accadde. Un leggera increspatura percorse il suo corpo, come il calore che fa tremolare l’aria sull’asfalto d’estate, ma veloce come era arrivata svanì. Ariston, decisamente umano fino a un attimo primo, era diventato di nuovo un satiro, con corna spiraleggianti e zoccoli caprini. Si allungò verso di lei, gli occhi che scintillavano con l’intenzione di fare al suo corpo ogni indecenza possibile.

Proprio quando la sua schiena stava per inarcarsi, mentre i suoi fianchi spingevano verso di lui, come mossi da una magnetica attrazione, che la terrorizzava più di quanto non facesse Ariston, Lily urlò.


Ariston sospirò, afferrando il braccio della donna mentre tentava eroicamente di scavalcarlo. All’inizio aveva creduto che gli si sarebbe gettata tra le braccia, lo aveva sperato, ma sfortunatamente la ninfa aveva scelto di combattere o fuggire. Se Ariston fosse stato mortale, la ginocchiata allo stomaco che gli aveva rifilato lo avrebbe messo fuori gioco. Ma non lo era, ed era stato colpito in posti decisamente più sensibili. Grazie alla sua guarigione potenziata non aveva sentito che una lieve puntura.

Quando Ariston rafforzò la presa, la forza di volontà che aveva sostenuto la donna durante il suo tentativo di fuga sembrò trasformarsi in un grave fardello. Il suo corpo cadde a terra, il suo braccio quasi senza vita ancora nella presa del satiro. Tremando, cominciò ad andare in iperventilazione e poco dopo iniziarono i singhiozzi. Ariston le lasciò andare il braccio e si allontanò con cautela, mentre la donna si raggomitolava su se stessa.

Cos’era accaduto alla ninfa coraggiosa del giorno prima? Io sono accaduto. Questo cambiamento è colpa mia. Si sfregò una mano contro il petto, totalmente impreparato a gestire una donna in lacrime. Persino sua madre aveva pianto solo di rado di fronte a lui.

«Oh, andiamo. Non è contagioso» esclamò Ariston, con più veemenza del previsto, mentre si concentrava sul rivestirsi. Si stava comportando da stronzo, spaventandola e facendole pressione, senza contare il fatto che si era tolto i suoi fottuti pantaloni per dimostrare di avere ragione. E l’aveva fatta piangere. Quelle lacrime erano colpa sua.

Anche se, ripensandoci, era ferita e sola quando lo aveva trovato. E aveva parlato più volte di un fidanzato. L’ultima volta che lo aveva fatto, Ariston aveva percepito un’esitazione nella sua voce. Mentre la donna era priva di sensi, il satiro era tornato indietro per recuperare i propri vestiti e lo zaino di lei, abbandonato insieme alla tenda, con attaccato un sacco a pelo arrotolato.

Non c’era alcuna traccia di un uomo accampato nelle vicinanze. Come mai Moretta si era incamminata da sola, portando con sé le sue cose? La reazione che stava avendo poteva essere dovuta alle sue azioni, combinate con un trauma precedente. Ariston sarebbe arrivato fino in fondo alla questione, ma prima doveva dimostrarle di non essere una minaccia.

«Dovevi vedere le mie gambe cambiare. Se avessi indossato i pantaloni, avresti creduto che si trattasse di un trucchetto. Avevi bisogno di vedere», insistette. Questo non spiegava perché avesse rimosso anche la maglietta, ma non poteva tornare indietro e ricominciare la sua dimostrazione da capo.

«Ti credo. Per favore, lasciami andare.» La speranza nella sua voce lo fece sentire ancora peggio per trattenerla. Voleva assicurarle che se ne sarebbe potuta andare in qualsiasi momento, senza voltarsi indietro, ma la Luna del Satiro imminente gli ricordò di non avere scelta. Avrebbe stretto i denti e tentato di evitare che ogni lacrima versata durante la settimana successiva lo colpisse al cuore, mentre lavorava per conquistarla.

«Perché non ci leviamo dal pavimento e ci sediamo sul letto per fare due chiacchiere?» Ariston si protese verso Moretta e lei, dopo una breve esitazione, gli permise di aiutarla ad alzarsi. La donna tirò su con il naso, ma sembrava essersi calmata. La teoria che le fosse successo qualcosa di orribile prima del loro incontro poteva essere vera. Ariston la spinse delicatamente sul letto, dove atterrò con un piccolo rimbalzo. Il movimento attirò di nuovo, involontariamente, la sua attenzione sul suo seno. Il satiro le diede le spalle e fece dei rapidi respiri.

Aveva trascorso quasi un mese senza sesso, cosa che non accadeva da anni. Sarebbe stato difficile averla intorno e non poterla toccare, ma poteva farcela. Doveva. Ariston credeva che il peggio fosse passato, ma evidentemente aveva avuto vita facile fino a quel momento. «Ora che ho la tua attenzione, e spero tu abbia superato la fase di negazione, possiamo riesaminare i fatti essenziali.»

«Perché non facciamo che mi lasci andare? Non dirò a nessuno che sei qui.»

«Mi hai già fatto questa proposta, diverse volte, e la risposta è sempre no. Adesso mi dirai qual è il tuo nome o inizierò a inventare nomignoli finché non lo farai. Non posso continuare a chiamarti “Moretta” nella mia testa.»

«Non ti dirò proprio niente.» La ninfa incrociò le braccia e voltò la testa. «Non sono obbligata a cooperare e tu sei un vero prepotente. Beh, c’era da aspettarselo, no?»

Ariston sbatté le palpebre. «Cosa vorresti dire?»

«Oh, niente. Immagino che il detto “testardo come una capra” si stato creato apposta per te.» Il suo atteggiamento di sfida era tornato. Aveva lo sguardo puntato fuori dalla finestra ai piedi del letto, per non incontrare quello di Ariston.

Disse quella che si rifiuta di dirmi il suo nome. La sua pazienza aveva un limite e stava per raggiungerlo.

«Questo è davvero da maleducati. Io, dopo averti guardata, non ho detto “Oh, hai un labbro inferiore carnoso, dunque devi essere bravissima nel sesso orale”, no? Non mi conosci e io non conosco te. Non presumere di sapere più cose su di me di quante tu non ne sappia realmente.»

Le sue guance si tinsero di rosso e la sua mano corse verso il labbro per sfiorarlo delicatamente con le dite. Ariston quasi gemette, ma fu salvato dal rendersi ridicolo quando la donna, recuperato il proprio spirito, replicò: «Avvicinare una donna da svestito, invece, è la quintessenza della buona educazione?» Inarcò un sopracciglio scuro.

«Hai ragione, ma se continui con queste battute sulle capre sarò costretto a tirare fuori qualche detto apposta per te, così maschilista da farti venire voglia di perforarti i timpani. Sono in giro da parecchio tempo, ciò significa che posso essere davvero creativo.» Si sarebbe potuto fermare lì, avrebbe dovuto, ma aggiunse: «Non sono una mezza capra, dannazione».

Perché lo tormentava a quel modo? Tutto ciò che diceva o faceva sembrava farlo sprofondare sempre di più nel buco in cui si era ficcato. Riusciva solo a farla piangere o farla spaventare. Come avrebbe potuto trovare un terreno comune?

La donna lo guardò da capo a piedi, inarcando un sopracciglio di fronte al cambiamento nel suo atteggiamento. Il rigonfiamento nei suoi pantaloni sembrava averla in qualche modo convinta che avrebbe tenuto fede alla minaccia di rivolgerle commenti veramente offensivi. Non importava che si fosse dimostrato piuttosto cordiale in passato; come aveva detto, non lo conosceva. Non poteva sapere che non sarebbe mai stato volutamente volgare.

Ti sei tolto i pantaloni di fronte a lei. Idiota. Non si può essere molto più volgari di così.

«E va bene.» La ninfa alzò gli occhi al cielo. Si asciugò le lacrime dalle guance e riassunse il suo atteggiamento di sfida, come se il crollo di pochi secondi prima non fosse mai accaduto. Ariston non osò rinfacciarglielo.

«Come sei permaloso, non c’è bisogno di agitarsi tanto. Prima che inizi a chiamarmi in qualche modo offensivo, il mio nome è Lily.» Aggrottò la fronte. «Che razza di nome è Ariston, comunque? Starebbe bene sull’etichetta di una bomboletta spray.»

Ariston sbuffò. Non voleva essere insultata, eh? «Se sei irritabile e hai bisogno di alleviare lo stress, possiamo continuare questa conversazione più tardi. Per allora il tuo atteggiamento sarà di certo migliore.» Il satiro guardò con piacere la sua espressione arrogante trasformarsi in silenzioso e indignato disappunto. Lily gli rivolse uno sguardo minaccioso e Ariston ringraziò che non avesse nulla a portata di mano da usare come arma. In ogni caso, era Ariston quello irritabile, lo sapevano entrambi. Tuttavia, le sue parole ottennero l’effetto desiderato, mettendo fine ai commenti sarcastici su satiri, capre e sul suo nome.

 

Se avesse davvero voluto comportarsi da stronzo, avrebbe rimarcato che coincidenza fosse per una ninfa delle acque chiamarsi come un fiore acquatico. A trattenerlo era solo il fatto che dubitava sapesse dell’esistenza delle ninfe in generale, figurarsi cosa c’entrassero con lei. In quel momento, fu tentato di spiattellare tutto e andarsene sbattendo i piedi per la frustrazione. Se non si fosse già reso abbastanza ridicolo, forse lo avrebbe fatto. Visto quanto gli ci era voluto per dimostrarle di essere davvero un satiro, convincerla di essere una ninfa non sarebbe stato affatto piacevole.

Ariston prese tempo, andando a recuperare il flauto di Pan in salotto. Dopodiché, trascinò una sedia di legno dal tavolo fino alla camera da letto. Si sedette a cavalcioni, rivolto verso Lily, e incrociò le braccia sullo schienale.

«Non devi avere paura di me. Non credo nelle omissioni di verità, quindi sarò diretto. Per quanto possa essere difficile da accettare, non potrei fare sesso con te nemmeno se volessi.» Mentre aspettava che Lily metabolizzasse le sue parole, Ariston suonò una breve melodia con il flauto per assumere di nuovo sembianze umane, chiedendosi nel frattempo se ci fosse stato un modo migliore per formulare quanto detto senza sembrare tanto bizzarro. O come se avessi dei problemi di ansia da prestazione.

«Ehm… Perché mai dovrei avere dei problemi ad accettarlo? Abbastanza presuntuoso, no?» Aspetta… cosa?

«Puoi ripetere?»

«Hai detto che non potresti fare sesso con me neanche volendo. Prima di tutto, imbecille, grazie per aver fatto suonare il venire a letto con me come un compito ingrato. In secondo luogo, hai iniziato la frase insinuando che non sarei stata in grado di sopportarlo.»

Ariston chiuse gli occhi e si mise a contare alla rovescia partendo da dieci. «Non era ciò che intendevo. Volevo solo farti sapere che non avrei fatto sesso con te. Non è che non voglia farlo. Perché lo voglio.» Si mosse sulla sedia. «Disperatamente.»

Lily si mise a girare i pollici con le mani giunte. «E perché non dovrei essere in grado di sopportarlo? Sono una ragazza. Ho a che fare continuamente con gli sguardi lascivi di certi maniaci.»

Sono diventato un maniaco dallo sguardo lascivo ora. Grande. «C’è una cosa che ti devo dire e si tratta di una questione delicata. Per questo è fondamentale che tu sappia che non sono una persona orribile.»

«Non sono sicura di seguirti…»

Punzecchiando con l’unghia del pollice una scheggia sul dorso della sedia, Ariston continuò: «Per essere più precisi, posso fare di te tutto ciò che mi va, ma non possiamo avere un rapporto vero e proprio». Gettando un’occhiata nella sua direzione, vide la fronte di Lily corrugarsi, mentre si mordicchiava il labbro inferiore. Il satiro avvertì una stretta al basso ventre e distolse lo sguardo. Maledetto labbro!

«Il mio piano iniziale prevedeva che ti raccontassi ogni giorno solo lo stretto indispensabile, ma non sarebbe giusto nei tuoi confronti. Non posso fare sesso con te ora, ma ciò non significa che non accadrà in futuro. E francamente, i bugiardi mi fanno incazzare, perciò mi rifiuto di diventarne io stesso uno.»

Lily sospirò. «Basta aggirare la questione. Sputa il rospo. Non ne posso più di non sapere cosa mi accadrà. Voglio farla finita, così da potermi leccare le ferite e andare avanti con la mia vita.» Si sfregò la faccia con una mano. «Cristo, sempre che uscirò da tutto questo viva. Qualunque cosa questo sia. Sesso. Sesso. Sesso. Ogni volta che usi la parola, sono più vicina a lanciarmi dalla finestra.»

Ariston decise di cambiare argomento, almeno per il momento. «Cosa ti è successo prima di seguire la mia canzone?»

Lily si strinse le ginocchia al petto e vi appoggiò sopra la testa. Lo stava bloccando fuori, chiudendosi in se stessa in cerca di conforto. Forse, se l’avesse aiutata a superare ciò che le era capitato prima di imbattersi in lui, sarebbe stata più incline a concedergli una possibilità. Sempre che fosse riuscito a tenere i pantaloni allacciati.

«Davvero? Vuoi continuare a girarci intorno?» sospirò Lily. «Cosa te ne importa? Farai comunque ciò che vuoi.»

«Voglio saperlo.»

«Non voglio parlarne.»

«Non posso aiutarti se non me lo dici.»

Lily si alzò dal letto e gli fu addosso in un lampo. «Aiutarmi? Tu vuoi aiutarmi? Mi stai prendendo per il culo? Che senso ha?!» Gettò le braccia al cielo e poi le riabbassò, passandosi le mani nella treccia spettinata. «È troppo tardi. Quel che è fatto è fatto. Dici di non potermi scopare, ma che lo farai. Che razza di rassicurazione è questa? “Non ti preoccupare, non mi approfitterò di te… per ora.” Ugh. Non hai intenzione di lasciarmi andare, eppure vuoi aiutarmi. Non capisco.» Lily si tirò i capelli, mentre con occhi spalancati osservava impotente ciò che la circondava, evitando di posare lo sguardo su di lui. «Perché ti comporti come se fossi mio amico quando non lo sei? Non voglio conoscerti. Voglio andare a casa.»

La sua voce si ruppe su “casa” e Ariston pensò che sarebbe scoppiata nuovamente a piangere. Non lo fece. Si lasciò cadere di nuovo sul letto e lo guardò.

La conversazione non stava andando nella direzione sperata. Quando gli era capitato di immaginare l’incontro con una ninfa, aveva sempre pensato che si sarebbe dispiaciuta di dover aspettare fino all’eclissi, ma che avrebbe voluto passare del tempo con lui, dopo aver imparato a conoscerlo. Non la sua ninfa. La ninfa di Ariston era un ostaggio e avrebbe voluto cavargli gli occhi. Avrebbe dovuto tenerla d’occhio per evitare che scappasse e lo denunciasse alle autorità. Avrebbe potuto gestire le autorità, ma rivelarsi agli umani in una cella sarebbe stato alquanto inopportuno.

«Senti, so che mi credi un mostro, ma mi importa davvero. Se qualcuno là fuori ti ha fatto soffrire, voglio sistemare le cose. Sei una mia responsabilità adesso. Mi è stato detto molto tempo fa che ti avrei trovata e che avrei dovuto tenerti al sicuro.»

«Non suona affatto da stalker. Non sono una tua responsabilità e non puoi sistemare nulla.»

«Ma tu sei una mia responsabilità!» Ariston non sapeva perché avesse urlato. Più Lily si disperava e lo implorava, più si sentiva come il mostro che sosteneva di non essere. Se solo fosse riuscito a pensare a un modo delicato per rivelarle la sua vera natura, un modo per attutire il colpo, forse una settimana sarebbe stata sufficiente a farglielo accettare, ma d’altronde… una settimana non era affatto un lungo periodo di tempo.

La osservò e Lily rispose al suo sguardo mostrandogli il dito medio. La rabbia di Ariston esplose. «Non tentarmi, ragazza. C’è un solo modo per rompere la mia maledizione e non vorrei rovinare tutto facendomi istigare da te.»

«Non urlarmi addosso!»

«Tu mi stai urlando addosso!»

Si guardarono in cagnesco, fino a quando entrambi distolsero lo sguardo. Davvero maturo. Comprendeva la reazione di Lily, più o meno, ma non riusciva a capire perché lui si fosse arrabbiato tanto. Si mosse sulla sedia e i jeans gli sembrarono dolorosamente stretti. La sua irritazione lo aveva distratto dal bisogno di lei. In quel momento, Ariston capì che non avrebbe mai spezzato la maledizione, se avesse continuato a urlarle dietro per tutta la settimana. Ma Lily non voleva cooperare! Il che non faceva che aumentare la sua frustrazione, perché sapeva di non potergliene fare una colpa.

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