Sangue Scremato & Versi Violenti

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Erasmus aveva una matita pronta su un blocco note come se avesse avuto bisogno di prendere appunti. «Era strano l’argomento? La lingua?»

«Ha colpito in faccia Carr, l’agente Loveless, con delle parole».

«Delle… parole?» Erasmus mise giù la matita e si tirò il lobo dell’orecchio destro. «Non sono sicuro di capire».

«Ho avuto un incontro paranormale questo pomeriggio». Carrington si spostò di nuovo in avanti, le mani unite tra le ginocchia. A volte il contatto visivo prolungato aiutava i normali umani a credere a quello che diceva, anche se doveva ammettere che funzionava meglio con quelli di scarsa intelligenza. «C’era un libro su un tavolo che si muoveva per conto suo. Si è dondolato un po’ sulla copertina e quando ho tentato di parlargli mi ha lanciato contro delle parole offensive. Effettive lettere fisiche che mi hanno colpito alla testa».

Lo strattonamento d’orecchio peggiorò ed Erasmus aprì la bocca parecchie volte prima di sbottare con: «Un libro l’ha presa a pugni?»

Carrington si lasciò ricadere la testa tra le mani.

«A volte se lo dimentica». La voce di Amanda tremava e non era per le lacrime. «Non tutti hanno a che fare con la merda che vediamo noi. Alcune delle cose paranormali in cui ci imbattiamo sono cose normali. Come vampiri e lupi mannari».

Erasmus fece un verso che avrebbe potuto fungere anche da cigolio di una sedia. «D’accordo. Immagino che per la vostra unità quelli siano normali… più o meno».

«Già. Ma a volte ci imbattiamo in cose che dovrebbero essere immuoventi… Carr? Qual è la parola?»

«Inanimate».

«Quello. Ma quelle cose si muovono di loro volontà. Abbiamo un giubbotto spaccone che è una specie di consulente per la stazione. Pensa di essere divertente, ma il suo cuore è al posto giusto. Anche se… Sai cosa intendo. Quindi questo libro si muoveva per conto suo. Carr ha pensato che forse poteva parlarci, invece lui gli ha sputato contro brutte parole dure. Gli ha perfino lasciato il segno».

«Portando il concetto di parole che feriscono un po’ troppo oltre». Erasmus gli mise una mano sulla spalla e la lasciò lì fino a quando Carrington alzò lo sguardo. «Sta bene?»

Arrestato da caldi occhi scuri, lui annuì. Occhi adorabili. Se solo fosse più grosso. Un po’ meno scheletrico. «Sì, bene. Mi hanno tirato addosso di peggio. Il motivo per cui siamo venuti qui è chiedere se tu o i tuoi colleghi abbiate mai sentito parlare di un libro simile».

«Non ho mai sentito niente del genere». Erasmus riprese la matita. «Cosa le ha detto? O, ah, tirato addosso? Se è qualcosa che non le dispiace dirmi».

Carrington si sforzò di ricordare tutte le parole volanti, ma lo shock del momento le aveva allontanate quasi tutte. «Temo di non poterle citare testualmente. Di sicuro c’era qualcosa sulla pelle d’anguilla. E una lingua secca di bue».

Erasmus sbuffò dal naso e si strozzò, alzando una mano mentre tossiva per riprendere il controllo. «Mi dispiace. Non è davvero divertente».

«Già. Sono piuttosto sicura che lo sia», disse Amanda, anche se non aveva fatto neppure un sorriso.

«Un attimo. Sembra Shakespeariano». Erasmus scrisse rapidamente sul telefono. «Sì. Lo è. Enrico IV, Parte 1».

«Con Falstaff?» Carrington prese il telefono che gli veniva porto, ed eccola là, l’esatta citazione che gli era saltata addosso, nel contesto della sua scena della commedia. «Sì. Hal e Falstaff che si scambiano insulti. Ecco cosa mi ha lanciato contro il libro».

Un sorriso luminoso aveva acceso il volto di Erasmus al riconoscimento del personaggio da parte di Carrington, al punto che si sarebbe pensato che avesse detto qualcosa di enormemente intelligente e originale. Lui capiva, ovviamente. Fare una citazione letteraria ed essere capiti da qualcuno? Valeva un sorriso.

«Potrebbe aiutare a rintracciare il libro, se sapessimo qual è il suo contenuto». Erasmus scribacchiò sul suo blocco, lettere del tutto aliene per quanto riuscì a dire Carrington. Avrebbe potuto esserci un’H da qualche parte là in mezzo. «Può descrivere l’aspetto del libro? Dimensioni? Copertina?»

Carrington ripescò tutto quello che riusciva a ricordare accompagnato da un furioso scribacchiare illeggibile.

Alla fine, Erasmus alzò di nuovo lo sguardo. «Di sicuro è qualcosa da cui cominciare. Non mi è familiare questo libro e non posso fare promesse. Ma lo farò vedere a tutti e lo cercheremo per voi».

Carrington si alzò e tese la mano, ricevendo una calda, solida stretta. «Grazie, signor… Erasmus. Apprezziamo il tuo aiuto».

«Nessun problema. Grazie a voi, agenti».

Amanda stava decisamente sforzandosi di non sorridere. «Per cosa?»

«Per essere venuti da noi. Ai Libri Rari. Questo è davvero eccitante».

Carrington gli passò un biglietto da visita con la promessa di tenersi in contatto. «Chiama se il reparto dovesse scoprire qualcosa, qualunque cosa, per favore».

Mentre uscivano dalla biblioteca, Amanda tenne lo sguardo davanti a sé e mormorò: «Sembrava gentile».

«Manda. Non cominciare».

«Cosa? È vero. E il mio gaydar è andato fuori scala».

«Non ho dubbi, e sono sicuro che sia un uomo adorabile. Solo che non è il mio tipo, da nessun punto di vista».

Lei gli ficcò un dito nella spalla mentre uscivano nella pioggerellina. «Potresti provare qualcosa di diverso, invece del tuo solito stupido tipo».

«Deve esserci un po’ di elettricità, di chimica! E poi senti chi parla. Ahi!» La seconda ditata era stata molto più forte.

«Non sono io quella che viene scaricata ogni settimana. Almeno mi prendo delle pause nel frattempo».

«La mia ultima volta è stata settimane fa. Vieni?»

«Nah. La mia auto è laggiù». Amanda agitò una mano verso l’area di parcheggio al di là del suo palazzo. «Ti vengo a prendere domani mattina».

Giusto. Turno di giorno domani. Per ragioni di sicurezza, a lui non era permesso guidare durante i turni di giorno. Carrington augurò la buonanotte con un gesto della mano e salì nel suo appartamento per bersi un cocktail, che nel suo caso era un bicchiere di globuli rossi lavati con un ombrellino ficcato dentro.

Ah, la vita folle e maligna di un vampiro.

Capitolo Due

«Loveless! Nel mio ufficio! Ora!»

Carrington non era neanche arrivato a poggiare il suo frigo portatile sulla scrivania. Lo porse ad Amanda e zigzagò tra le scrivanie nella passeggiata della vergogna verso l’ufficio della tenente. Per fortuna erano arrivati presto, e Kash era l’unico altro agente presente per il momento.

Se ne stava appoggiato con la schiena alla sua scrivania in tutta la sua gloria calma e concentrata. «Buona fortuna. La tenente non ha ancora preso il caffè».

«Grazie mille. Dov’è Kyle?» Era ormai così insolito vedere Kash senza il suo compagno che il cuore di Carrington perse un colpo per la preoccupazione.

«Ha detto che visto che eravamo in anticipo sarebbe andato a prendere il caffè. Da cui il non averlo ancora preso».

Carrington si toccò il cappello mentre gli passava oltre. «È stato un piacere. Mandate la squadra delle pulizie a grattare via i resti».

Non che temesse davvero per la sua vita. La loro tenente era l’antisacerdotessa di un’antica divinità e comprendeva la magia nera, ma lui non si era mai sentito a rischio con lei. Il suo lavoro, però, era un'altra storia. Non era che cercasse di infastidire la tenente Dunfee. Semplicemente aveva un talento per farlo. Quando arrivò al suo ufficio, lei stava camminando avanti e indietro, che non era mai un buon segno, con Edgar il corvo fluorescente appollaiato su una spalla.

«Palle imbracate! Palle imbracate!» gracchiò Edgar mentre agitava le ali rosa e blu.

«Fuori, Edgar. Ora», scattò la tenente Dunfee.

In un frullio di penne troppo accese e starnazzi seccati, il corvo volò fuori dall’ufficio, sfiorando la testa di Carrington nel farlo. Lui chiuse la porta, si mise sul riposo da parata e attese che il cazziatone iniziasse.

«Quattro ore per fare rapporto su un incontro, Loveless. Giustificati».

«Nessuna scusa, signora».

«Che non è una giustificazione».

Si stava sforzando di trovare una possibile spiegazione che non iniziasse con non volevo irritare mia madre quando la tenente Dunfee sbatté un palmo sulla scrivania. Lui si fece piccolo e perse il filo dei propri pensieri.

«Quattro ore, viziato vampiro snob. Quattro ore in un luogo in cui si trovavano ufficiali di spicco. Dove si trovava il sindaco, per amor di tutti gli dei!»

«Sì, signora. Le mie scuse. Era la casa dei miei genitori. Abbiamo pensato…» Deglutì a forza. No, non avrebbe tirato Amanda sotto l’autobus con sé. «Io ho pensato che la zona fosse libera. L’entità si era spostata».

«So che casa era, Loveless».

Carrington fissò il pavimento mentre annuiva. «Mi dispiace, signora. Mia madre… avrebbe fatto difficoltà. Ostruzionismo. Se fosse stato prima. È stata orribile?»

Le dita che tamburellavano sulla scrivania, la tenente Dunfee fece un lento, pesante sospiro e infine agitò una mano in segno di negazione. «No. Ho mandato Monroe e Soren, che sono stati educati e affascinanti, ne sono certa. Non hanno fatto alcuna lamentela. Ma tu fai rapporto e io prendo le decisioni. È così che funziona. Qualunque informazione incidentale tu abbia riguardo la difficoltà di accesso a un sito verrà presa nella dovuta considerazione. Capisci?»

«Sì, signora». Quella sembrava la fine della ramanzina. Anche se si costrinse a restare dritto, dentro di sé si afflosciò per il sollievo. Avrebbe potuto andare molto peggio.

 

«In libertà. Procedi». Il gesto della mano stavolta fu più stanco che irritato. Carrington si voltò per andarsene solo per essere bloccato da un «E, Loveless?»

«Signora?»

«Buon compleanno passato».

«Grazie».

Ecco. Lei non lo odiava. No. A essere onesti, l’aveva sempre saputo, e il loro rapporto spinoso era solo quello. Spinoso. Molto meglio dell’aperta ostilità dei “veri” vampiri all’Unità Paranormale Statale, prima che diventasse il primo agente assegnato al 77°. Le unità statali di tutto il paese erano state sovraccariche di casi e ad alcune città con grandi concentrazioni di incidenti paranormali erano stati concessi fondi per distretti paranormali, battezzati da qualche borioso pezzo grosso federale in base all’abusato adagio del “settimo figlio di un settimo figlio”. 77°.

Alcuni stati si erano fatti avanti reclutando aggressivamente per riempire i nuovi dipartimenti. La Pennsylvania, assieme ad alcuni altri, aveva usato le nuove unità per scaricare i paranormali “aberranti” secondo la logica che alle città più grandi potevano sempre far comodo più agenti anche se i loro talenti paranormali si dimostravano inutili.

Un’eccellente spinta al morale, quella.

Gli arrivi del mattino resero lo spazio meno simile a un cavernoso magazzino vuoto, cosa che era, e più a una stanza degli agenti, altra cosa che era. Kyle era tornato con il caffè per tutti. Amanda stava ascoltando Greg Santos raccontare una qualche storia, una stravagante a giudicare dalle braccia agitate di lui e dalle risate di lei. Larry il fantasma stava portando la caraffa del caffè al lavandino per iniziare a fare la sua bevanda imbevibile.

Nell’angolo opposto, Giubbotto di Pelle era seduto accasciato su una vecchia sedia da scrivania. Vikash era accosciato accanto a lui, parlava in tono urgente e gli porgeva un blocchetto e una penna. Con quello che parve uno sforzo erculeo, GP prese il blocchetto e vi scribacchiò sopra qualcosa prima di restituirlo a Kash. Fecero avanti e indietro alcune volte fino a quando Kash batté un dito su qualunque cosa GP avesse disegnato, chiaramente facendo una domanda. GP fece spallucce, si afflosciò di più su sé stesso e sollevò entrambe le maniche a coprirsi il volto inesistente. Si scosse a un ritmo di singhiozzo. Carrington era quasi certo che non stesse ridendo.

Alla fine Kash si alzò, diede una pacca sulla spalla a GP e si allontanò col blocchetto.

Carrington si risparmiò la classica domanda sta bene. La risposta era fin troppo ovvia. «Che è successo?»

«Per quanto sono riuscito a mettere assieme…» Kash si massaggiò la mascella con aria confusa. «GP ha avuto una… beh, una sbandata».

«Una sbandata? E per cosa, un trench prêt-à-porter?»

Kash gli rivolse un’occhiata dall’alto del suo naso lungo e dritto. Blanda per molti, molto seccata per Kash. «Non prenderlo in giro, Carr. È molto agitato». Girò il blocchetto in modo da fargli vedere lo schizzo di quello che sembrava un caban. «Penso sia come lui. Un caban verde».

«Interessante. Abbigliamento animato proprio come lui?» Carrington prese il blocchetto e indicò il disegno del vagone di un treno. «E questo allora cos’è?»

«Lei lo ha lasciato. È chiaro che lui pensasse ci fosse qualcosa tra loro, ma lei è salita su un treno e se ne è andata».

Carrington gettò un’occhiata furtiva all’angolo in cui GP era ancora seduto in un mucchietto sconfitto e gli si formò un duro groppo in gola. Non mi metterò a piangere per la storia fallita di un giubbotto di pelle. Ma la tensione rimase. «È…» Terribile. Trovare qualcuno come te quando pensi di essere un solitario fenomeno da baraccone. E poi essere lasciato. «Povero GP».

«Uhm. Sì». Vikash sfilò gentilmente il blocchetto dalle mani di Carrington. «Lo farò sapere a tutti, almeno».

«Per tenere gli occhi aperti per lei? Suppongo non possa far male».

Kyle si avvicinò, facendo attenzione a tenere Kash tra sé e Carrington. «Per chi? Abbiamo una persona scomparsa?»

«Sì. Un caban verde animato».

«Carr». Kyle alzò gli occhi al cielo. «È troppo presto per fare battute».

Invece di rispondere, Carrington si limitò a indicare GP, che era quasi scivolato giù dalla sedia nella sua tristezza.

«Oh. Davvero? GP aveva… un’amica giacca?»

«Aveva è la parola chiave». Carrington diede una pacca sulla spalla a Kash. «Magari riunisci tutti così non dovrai spiegarlo altre otto volte. Oh, e grazie per esservi occupati dei miei genitori ieri sera».

Kash scosse la testa. «Nessun problema. Davvero una bella casa».

«Tua madre ci ha seguiti dappertutto così da non dover contare l’argenteria, ma non è stato troppo brutto», aggiunse Kyle.

«Adorabile», rispose Carrington nel tono più asciutto che gli riuscì di ottenere.

Per fortuna, l’assegnazione dei compiti mattutina lo salvò da ulteriori discussioni su sua madre e il di lei classismo. La tenente Dunfee distribuì i soliti avvertimenti per le pattuglie e i possibili avvistamenti di isopodi del tempo, tutta routine. Carrington scivolò in basso sulla sua sedia. Non era davvero necessario prestare troppa attenzione. Finché…

«Zacchini, Loveless, nel mio ufficio».

Carrington si raddrizzò di scatto. Il cazziatone non era finito? «Signora?»

«Non strozzarti con la cravatta». La tenente Dunfee batté un dito sui suoi appunti e si allontanò dal podio. «Nuove informazioni».

Amanda si sporse verso di lui mentre si alzavano per lasciare la sala briefing. «Ti ha già fatto il culo, vero?»

«Sono così felice di avere una compagna tanto comprensiva. Sì. E a dovere. Questo sembra qualcosa di diverso».

Quando arrivarono nel suo ufficio, la tenente Dunfee stava battendo un biglietto contro la scrivania con aria accigliata. Aveva una varietà spettacolare di modi di accigliarsi. Grazie ai suoi anni di esperienza, Carrington interpretò quel particolare cipiglio come preoccupata con contorno di leggermente inquieta.

«Libreria a questo indirizzo», porse il biglietto ad Amanda, «chiedete del proprietario. Le informazioni preliminari mi portano a credere che sia un altro».

«Un altro… attacco di un libro?» azzardò Carrington.

Il cipiglio si tramutò in un’occhiataccia. «Non saltiamo alle conclusioni. Non sono ancora convinta che tu non ti fossi preso un colpo di sole. Parlate solo con quell’uomo».

Quel briciolo di dubbio gli si contorse nello stomaco. «Sì, signora. Sicura che non dovremmo portare rinforzi?»

«Fuori. Fuori dalla mia vista. Ne ho avuto più che a sufficienza di vampiri saccenti stamattina».

Occhiali da sole ben piazzati, cappello calzato a dovere sulla testa, Carrington seguì fuori Amanda per andare all’auto nel sole ormai fiammeggiante. Cercò di leggere l’indirizzo mentre camminavano, ma il biglietto era troppo brillante e riuscì solo a inciampare scendendo dal marciapiede. Una rapida occhiata gli mostrò che Amanda era già all’auto di pattuglia, perciò non lo aveva visto inciampare. L’ultima cosa di cui aveva bisogno quella mattina erano commenti sarcastici sul fatto che i vampiri avrebbero dovuto essere aggraziati.

Nell’auto, col parasole abbassato, riuscì finalmente a leggere l’indirizzo di Sansom Street. «Una di quelle librerie sulla Rittenhouse Square».

«È quella che ti piace con i vecchi libri ammuffiti?»

«Bauman è un negozio di libri rari e antichi. Hanno cose meravigliose». Carrington tirò su col naso, offeso. «E no, deve essere un posto nuovo. Non riconosco il nome. La Booktique».

«Oh, splendido. Lezioso. Già lo odio».

Era un altro glorioso giorno di giugno, ovviamente. C’era stato un tempo in cui gli era piaciuto giugno. L’aveva atteso con ansia. Gli ultimi giorni di scuola, il campo di lacrosse, tempo infinito per i libri e l’ozio: era questo che quel mese aveva significato. A meno di essere un vampiro adulto. Ora, preferiva l’uggiosa umidità di febbraio con il suo debole sole anemico.

Almeno era abbastanza fortunato da lavorare con persone che tolleravano ciò che era, anche se molti di loro avevano problemi a comprenderlo. Caso esemplare la sua proposta di creare una squadra di lacrosse notturna. Tutti avevano creduto che stesse scherzando.

Amanda imboccò la Sansom alla diciottesima, con Manhattan Bagel all’angolo. Sarebbero passati davanti a un Federal Donuts e un Dunkin’ Donuts prima di arrivare a destinazione. Era un crudele, crudele scherzo della chimica del suo cervello a renderlo estremamente conscio di ogni regno dei carboidrati in città ora che non poteva assumerne del tutto.

«A sinistra».

Amanda grugnì, a indicare che l’aveva visto e stava cercando un parcheggio. La Booktique aveva un’insegna sul davanti che promuoveva le offerte e Carrington provò un’ondata di delusione per il fatto che fosse un coffee shop e una libreria. Non che la combinazione avesse qualcosa di sbagliato. Comodo, suppose, per i normali umani. Per lui era solo deprimente e un tantino nauseante, il suo naso ipersensibile assalito da paste e caffè mentre tentava di guardare i libri.

«Non siamo qui per i libri», mormorò.

«Niente affatto. Ma non starà male se vorrai tornare dopo il turno».

Lo sguardo di Carrington si spostò dalle lettere dorate sull’insegna rossa ai tavolini e alle sedie sistemati alla sinistra della porta, al poster dell’ultimo bestseller spazzatura in vetrina. «Fammi valutare l’interno prima. Fin qui, non è il mio genere di libreria preferito».

Quando misero piede all’interno, i clienti alzarono lo sguardo da libri e portatili per guardarli avanzare, ma ben presto tornarono ai loro mondi insulari quando gli agenti in uniforme passarono oltre. Circolare. Non c’è niente da vedere.

Solo che qualcosa c’era. Oh se c’era. Un uomo si stava avvicinando dal retro della libreria, un Adone, un dio, e la gola di Carrington fu improvvisamente troppo secca perfino per un patetico squittio.

«Oh, cavolo. Sul serio?» Amanda lo guardò di traverso con forza sufficiente a far ribaltare un camion.

«Cosa?»

«Hai quella faccia. Quella con cui stai quasi sbavando come se avessi visto la miglior bistecca del mondo. Se ancora ti piacesse la bistecca».

«Non è vero. È solo un uomo di bell’aspetto».

Per fortuna, a Carrington furono risparmiate ulteriori analisi delle sue ossessioni dall’arrivo dell’uomo in questione.

«Grazie di essere venuti, agenti». Tese una mano perfettamente curata. «Heath Armstrong. Sono il proprietario».

Anche la sua stretta era perfetta, non floscia come uno straccio per i piatti né aggressiva come un toro in calore. Carrington si ritrovò a precipitare negli occhi dal blu più luminoso in cui fosse mai caduto, sapendo di avere la bocca spalancata e di star facendo la figura dell’idiota. Pur conscio di questo, non riusciva a rialzarsi dalla picchiata sociale.

«È lei ad aver chiamato, signore?» Ora era Amanda a stringere la mano del proprietario del negozio.

Carrington non si era neppure accorto che si fosse mosso. Si erano presentati? Credeva di sì. C’era un ricordo di una vibrazione nel suo petto, e se avesse blaterato qualcosa di incoerente di certo tutti sarebbero stati a fissarlo adesso. Ma non riusciva a ricordare di aver pronunciato le parole.

«L’ho fatto io, sì». Quegli occhi blu saettarono in giro per il negozio e un perfetto sopracciglio dorato si alzò. «Possiamo andare nel mio ufficio? Preferirei non spaventare i clienti».

Seguirono Armstrong… seguirono le sue spalle larghe e la vita sottile, i pantaloni di flanella grigia che gli cadevano a pennello abbracciando i glutei sodi… oltre gli scaffali fino a una porta dietro la sezione dei libri di cucina, inspiegabilmente fianco a fianco con uno scaffale di manga poco rifornito.

La porta si aprì su un ufficio angusto, con due scrivanie diagonali traboccanti di documenti, cataloghi e buste da lettera. Due consunte sedie da ufficio e una sedia di metallo pieghevole completavano il set.

«Mi spiace per il disordine. L’apertura del negozio ha esaurito tutte le mie risorse. Non mi ha dato ancora molto tempo per sistemare l’ufficio».

Carrington sentì le parole attraverso il filtro di Jupiter di Gustav Holst che gli suonava nella testa. Doveva rimettere sotto controllo la sua materia grigia errante subito, prima di blaterare qualcosa di bizzarro e socialmente inadeguato. «Ha assistito?» Blaterò, sì, ma almeno sull’argomento giusto. «All’, ah, evento».

 

«Il libro infernale posseduto?» Perfetti denti bianchi lampeggiarono quando Armstrong abbaiò una risata a disagio. «No. Ha attaccato una mia dipendente in magazzino».

Con quello che sperò essere un professionale cenno del capo, Carrington estrasse il suo Blackberry Passport dalla tasca della giacca e aprì il fascicolo di un nuovo caso, i pollici che volavano sopra la minuscola tastiera in un modo che non gli riusciva con una virtuale. Qualcosa nella sensazione tattile dei tasti lo aiutava a tenere più leggero il suo tocco. Dopo il cambiamento, aveva distrutto gli schermi di parecchi telefoni prima di comprendere il problema. Amanda chiamava il suo telefono il Lamborghini, visto che era costoso, ma non lo rompeva. Valeva davvero il suo prezzo.

«Qual è il nome della dipendente, signor Armstrong?»

«Heath».

Carrington alzò lo sguardo con un sopracciglio inarcato. «Anche il nome della vittima era Heath?»

Quei luminosi occhi blu lo fissarono confusi, poi luccicarono quando Armstrong rise di nuovo, stavolta di una risatina calda e corposa che accarezzò la schiena di Carrington. «No, chiamatemi Heath, per favore. La mia dipendente, quella che è stata aggredita dal libro, è Myra Dennis. L’ho mandata a casa, poverina».

Accanto a lui, Amanda inspirò lentamente dal naso. «Era l’unica testimone, e l’ha mandata a casa?»

«Era davvero scossa». Anche quando Heath Armstrong era accigliato, i suoi lineamenti erano perfetti, dalle sopracciglia bionde arcuate alla piccola fossetta del mento. «Posso fare di meglio che darvi una testimone oculare, però. Ho tutto sui filmati della sicurezza».

«Perfetto». Carrington distolse a forza lo sguardo e cercò di aggiungere Myra Dennis ai suoi appunti. In qualche modo, venne fuori come gli occhi più blu. Cancellò esasperato e riscrisse.

«Ci serviranno comunque le informazioni di contatto della signorina Dennis». Grazie a Dio Amanda riusciva a pensare chiaramente per entrambi.

«Certo. Di qualunque cosa abbiate bisogno, agenti, fatemelo sapere».

Quell’occhiata extra nella sua direzione aveva un significato? C’era stato un accenno di insinuazione? Oh, sì, sta andando bene. Tutti i vampiri sono così sagaci. È uno dei nostri superpoteri. Carrington riuscì a riprendere il controllo abbastanza da chiedere: «Prima che vediamo il filmato, hai motivo di credere che il libro sia ancora nel negozio?»

Un affascinante rossore colorò le guance di Armstrong… di Heath. «Non posso esserne certo, ovviamente. Ho chiuso a chiave il magazzino. Ma nei filmati della telecamera… beh, vedrete».

Carrington socchiuse gli occhi per la luce quando lo schermo prese vita. Per quando i suoi occhi sensibili si furono adattati abbastanza da vedere più che macchie sfocate, Heath aveva fatto partire il filmato. Un po’ sgranato, come accadeva spesso con le registrazioni di sicurezza, ma non male. Era chiaro che il negozio aveva delle apparecchiature di alto livello. Il filmato mostrava una donna di mezza età che caricava scatole di libri su un carrello a mano.

«Perché c’è una telecamera nel suo magazzino, signor Armstrong?»

Heath parve scosso dalla domanda di Amanda. «Per proteggere i dipendenti, agente».

«Spiare i dipendenti li protegge?» La voce di Amanda si era addolcita e aveva perso ogni espressione, un segno sicuro del fatto che non fosse contenta.

«Sto molto attento con le assunzioni, ma qualche disonesto potrebbe sfuggire anche alle mie precauzioni. Se ho prove chiare di un dipendente che ruba, quelli onesti non saranno mai sospettati».

Un movimento nell’angolo in alto a destra del filmato colse l’attenzione di Carrington. Tempismo perfetto prima che la conversazione degenerasse. Indicò lo scaffale sopra la testa della donna. «Lì. Hai visto?»

«Visto cosa, Carr?» Amanda si sporse in avanti sopra la sua spalla.

«Aspetta… ecco!»

«Sì. C’è un libro animato, è vero».

Tutti e tre si sporsero verso lo schermo affascinati e inorriditi. Carrington combatté contro la distrazione della spalla di Heath a contatto con la sua, del suo calore che si irradiava come un sole meno ostile. Sullo schermo, un libro dondolava lungo lo scaffale sulle estremità della propria copertina. La donna, allertata dal movimento, alzò di scatto la testa e barcollò indietro di un passo alla vista di un libro semovente. Rimase immobile e il libro le sputò addosso delle parole, lettere fisiche che le colpirono la testa e le spalle.

Se ci fosse stato l’audio, Carrington era certo che l’avrebbero sentita urlare mentre cadeva in ginocchio, entrambe le braccia gettate in alto per proteggersi dalle parole violente.

«Di nuovo, per favore», insistette Carrington. Le parole erano volate troppo veloci perché riuscisse a leggerle. Erano le stesse che avevano aggredito lui o no?

Una mente… Digitò le parole man mano che le distingueva una a una, inclinando la testa quando le lettere sullo schermo si torcevano. Piume… Chiese una terza riproduzione, e un’altra ancora finché non le ebbe tutte.

Una mente di piume, e un cuore di piombo.

Era l’intero insulto scagliato contro Myra, con tanto di punteggiatura. Decisamente diverso dalle parole che gli erano state tirate in testa. Quando le lettere la colpivano, si disintegravano in una fine cenere nera, come se l’impatto le rendesse prive di sostanza. Alla fine, Carrington permise al nastro di andare fino alla conclusione dell’incontro. Il libro saltellava ancora da bordo a bordo, spinto da qualunque strana passione guidasse la sua furia letteraria. Poi iniziò ad aprirsi e chiudersi velocemente, agitando la copertina anteriore e posteriore. Sorprendentemente, si alzò tremante di un paio di centimetri dallo scaffale e… scomparve.

Carrington fissò il fermo immagine della registrazione in pausa, battendo i pollici sul bordo del suo Blackberry. Stesso libro? Libro diverso? Se era lo stesso, conteneva solo insulti? E quando lanciava un insulto, perdeva quelle parole?

«Carr?»

Batté le palpebre rimettendo a fuoco il mondo e trovò Amanda che lo fissava con un esasperato quasi sorriso e Heath con qualcosa che avrebbe potuto essere preoccupazione. «Scusate. Di che colore era il libro?»

«Non lo so. Io non l’ho visto». Heath gli rivolse un radioso, anche se dispiaciuto, sorriso.

«Va bene così. Potremmo avere le informazioni di contatto della signorina Dennis? Poi vorremmo esaminare il magazzino, se non le spiace».

Heath eseguì recuperando il numero di telefono e l’indirizzo della vittima dai suoi file. L’appartamento di Myra Dennis era vicino. Avrebbero potuto passarci dopo. Con un piccolo gesto aggraziato della mano, Heath li fece uscire dall’ufficio e li condusse a un’altra porta su cui era scritto Riservato al personale.

Era stranamente deludente. Si era sempre immaginato i magazzini delle librerie come luoghi meravigliosamente disorganizzati traboccanti di libri su scaffali e tavoli. Un dipendente esperto avrebbe imparato quel caos a memoria e avrebbe saputo in un istante dove poter trovare ogni singolo libro.

Quel magazzino era sterile in modo deprimente. Scatole anonime erano ordinatamente impilate. I pochi scaffali contenevano materiale da imballaggio a eccezione di un triste scaffale che sembrava essere dedicato ai libri danneggiati, sparsi in piccole pile come i morti nel dipinto di un campo di battaglia.

«Niente?» Amanda era spalla a spalla con lui a esaminare la stanza.

Carrington si immobilizzò, trattenendo il respiro e cercando anche il più piccolo fremito paranormale. «Niente».

Lo scaffale su cui il libro aveva eseguito la sua danza rabbiosa era proprio davanti a lui. Si rannicchiò e trovò i resti dei minuscoli mucchietti di particelle nere, smossi dato che ovviamente dei dipendenti erano passati da lì.

«Manda, mi servirebbe un pezzo di carta, per favore».

Per quando ebbe indossato i guanti e recuperato un sacchetto per le prove dalla tasca, Amanda stava reggendo una busta da lettera. Facendo attenzione a non smuovere niente che non fosse polvere di lettere feroci, Carrington raccolse quanto più poté della cenere nera nel sacchetto.

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