Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone…

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Wayne sogghignò. “Certo perché no? Andiamo.”

I due lasciarono lo Studio e uscirono dall’androne. L’edificio che ospitava la Dramatic Dreams non era ne’ nuovo ne’ particolarmente antico. I quadrati di linoleum bianco e marrone del pavimento avevano perduto splendore ma non erano ancora talmente malconci da dover essere cambiati. I muri bianchi e nudi erano graffiati e rigati ma erano danni a cui ci si abituava presto e poi non si notavano più. I pannelli di plastica chiara sul soffitto mostravano delle crepe e i tubi fluorescenti che arrivavano all’ascensore per due terzi della lunghezza lampeggiavano un pochino. Ormai, dopo un mese, erano dettagli che arrivavano a malapena alla mente di Wayne. Era semplicemente un luogo di lavoro; anche meglio di altri dove era stato.

Ciò che veramente lo toccava era il silenzio. La maggior parte delle società ospitate nell’edificio seguiva orari normali e ormai tutti gli impiegati erano tornati a casa. La Dramatic Dreams, al sesto piano, era l’eccezione. Non c’era modo di registrare i Sogni per poi trasmetterli in un secondo momento; dovevano essere realizzati dal vivo. E ad eccezione degli sceneggiatori, che potevano lavorare quando desideravano, chi si guadagnava da vivere con Onirica si trovava incastrato in un ritmo di vita sottosopra. I Sognatori che non riuscivano ad abituarsi a un ritmo di lavoro notturno e ai palazzi vuoti dovevano trovarsi immediatamente un altro impiego.

Eppure Wayne odiava quel silenzio opprimente. Era una cortina tra lui e il resto dell’umanità. Forniva Sogni per far trascorrere ore e ore di sonno a moltitudini di persone in città, eppure man mano che il tempo passava aveva sempre meno contatti con loro.

I passi dei due uomini echeggiarono lungo il corridoio e DeLong gli disse: “Posso darti un consiglio non richiesto?”

“Mmm? Su cosa?”

“Su Janet. Sta uscendo da un brutto periodo. Non starle addosso. Siete entrambi giovani, hai un sacco di tempo per far crescere la cosa.” Arrivarono all’ascensore e DeLong spinse il pulsante di chiamata per scendere.

Wayne arrossì. “Non mi ero reso conto di essere così trasparente.”

La cabina arrivò in fretta e i due entrarono. “Forse non se ne accorgerebbe un cieco” disse DeLong “ma io devo prendere nota di tutto ciò che succede qui. Non posso lasciare uno dei miei Sognatori – tra parentesi uno dei più promettenti – a vagare con la testa irrimediabilmente tra le nuvole per una collega. Fa male al morale e ti distoglie la mente dal lavoro. Per non parlare del fatto che se ti dà alla testa io finisco per perdere l’uno o l’altro, il che è una cosa che non voglio. Siete entrambi troppo bravi.”

“Io non lo chiamerei restare con la testa fra le nuvole” obiettò Wayne.

“Beh chiamalo come vuoi, l’effetto è lo stesso. Quando mio figlio aveva 15 anni e cercava di strappare il suo primo appuntamento aveva più savoir-faire di te. Non sei un ragazzino adolescente che deve collezionare punti. Qual è il problema?”

Wayne scosse le spalle. “Non so. E’ una Sognatrice più brava di me; forse temo che lei pensi di essere sopra la mia portata. O forse ho paura che mi guardi dall’alto in basso per quel che ho fatto prima di venire qui.”

DeLong gli dette una tirata d’orecchie. “Figlio mio, Janet è una professionista. Lei sa cosa bisogna fare per sopravvivere, agli inizi. Non penso proprio che ce l’abbia con te per quella roba porno.”

“Sicuramente è un qualcosa che me la tiene a distanza.”

“Sì,” ammise DeLong, “ma non ha nulla a che fare con te.”

L’ascensore li depositò al piano terra e si incamminarono nel corridoio scuro arrivando alle macchinette del cibo. La “mensa” consisteva fondamentalmente in una serie di distributori automatici in una grande sala, illuminata, a quell’ora, soltanto da una fila di faretti. Dal pavimento spuntavano come funghi spettrali dei tavoli in plastica con gli sgabelli attaccati come anelli fatati. I passi dei due risuonarono ancor più a vuoto mentre si avvicinavano alle macchinette per vedere cosa c’era a disposizione.

“E allora il problema qual’è?” domandò Wayne.

Per un attimo DeLong finse di non aver udito e ispezionò con aria critica il distributore. “Accidenti! Gli addetti alle macchinette dovrebbero capire che se vogliono guadagnarci un po’, la notte ci devono lasciare qualcosa di decente da scegliere. E invece guarda qui, tutta roba avanzata di quelli del turno di giorno – e tutta roba vecchia!”

Alla fine il coordinatore dei programmi si decise per un patetico panino prosciutto e formaggio e una tazza di caffè nero, ma Wayne aveva più appetito, anche se il cibo a disposizione era tutt’altro che invitante. Finì per scegliere un barattolo di zuppa al pomodoro calda, un’insalata avvizzita, un Chinotto e un piatto con un dessert spugnoso dentro, come companatico per il proprio panino prosciutto e formaggio. Tenendo in allegro equilibrio il carico su un vassoio, giunse al tavolo dove DeLong si era già accomodato.

DeLong prese il panino e lo guardò a lungo prima di osare avvicinarlo alla bocca. “Lo sai, vero” disse noncurante “che Janet ha avuto una storia con Vince Rondel?”

Wayne si fermò con il cucchiaio a metà percorso dalla bocca. “Io, beh, sì, l’avevo sentito dire.”

DeLong scosse la testa. “Questo non è un sentito dire. Non solo era risaputo alla Stazione ma tutta la storia mi è anche arrivata all’orecchio di prima mano durante una lacrimosa cena con Janet. La relazione è durata un anno e mezzo circa e si è interrotta proprio prima della faccenda di Spiegelman. Forse se non avessi avuto tanto da fare a cercare di rimettere in piedi Janet, avrei fatto più attenzione a quel che faceva Elliott – anche se non penso che sarei riuscito a fermarlo…”

“Ma perché mi dici queste cose?” domandò Wayne. “Non stai tradendo la sua fiducia?”

“Probabilmente sì,” acconsentì DeLong, affatto preoccupato. “Ma penso di potermi fidare di te, che non userai nulla contro di lei: e penso che è veramente necessario che tu sappia.”

“Perché?”

“Perché ti farà capire ciò che può succedere quando due Sognatori della stessa Stazione si lasciano sfuggire le emozioni di mano. Quando è arrivata, qualche anno fa, Janet era una giovane donna molto impegnata – perché non esistono Sognatori equilibrati? Aveva un sacco di potenziale. Vince lavorava con lei e l’ha fatta diventare un grosso talento; professionalmente per lei è stato grandioso ma non sono certo di quel che ha fatto per lei come persona.”

“Alla fine, un mese fa viene da me in lacrime dicendo che non ce la fa più e che deve star lontana da Vince. Devo ammettere che avevo delle motivazioni egoistiche; è una Sognatrice stramaledettamente brava e non voglio perderla. Poi è venuta fuori questa cosa di Spiegelman e non ci potevamo permettere che Janet se ne andasse. E allora l’ho persuasa e lusingata e convinta a rimanere qui, anche se questo vuol dire che deve ancora vedere Vince praticamente tutti i giorni. Per lei non è facile; penso che buona parte di lei ancora lo ami.”

“E allora cosa ha interrotto la relazione?” domandò Wayne.

DeLong riuscì a dare un morso al panino e si appoggiò alla sedia masticando pensosamente. “La madre di Vince” disse alla fine. “La signora Rondel è la causa di molte cose infelici, una delle quali Vince stesso…. Ma questo non c’entra per nulla e probabilmente non avrei neanche dovuto sollevare la questione. Questa roba fa veramente vomitare, non trovi? Me ne accorgo ogni volta che vengo a mangiare qui. A quest’ora dovrei averlo capito…”

Poggiò il panino nrl piatto di plastica e guardò Wayne dritto negli occhi. “Ma dopo aver già aiutato Janet una volta a restare sana di mente dopo una relazione sfortunata, capisci che non intendo farlo di nuovo. Se qualcosa andasse storto o uno di voi se ne andasse… come ho detto siete entrambi troppo bravi. Non penso che vorrei perdere ne’ l’uno ne’ l’altro. Dovresti sentirti lusingato.”

“Sì, ma…”

“Io non sono uno di quei capi che non vuole che gli impiegati socializzino dopo l’ufficio. Non dico che non puoi vederti con Janet, o fare amicizia, o sposartela e farci diciassette figli. Dico soltanto: non andare di fretta. Fallo succedere. Ci sono ancora dei pezzi che non ha incollato al posto giusto. E anche se hai le migliori intenzioni del mondo, se la rivolti sottosopra potrebbe non riprendersi più. Siete due persone molto interessanti, e al momento giusto potreste davvero finire insieme…”

“Eccoci di nuovo” disse Wayne. “Prima mi dici di essere paziente con la carriera, adesso devo essere paziente con Janet…”

“Inizia a suonare come un disco rotto, vero?” sorrise DeLong. “Però è tutto vero. Pensa che ci sono persone che hanno scalato le montagne più alte dell’Himalaya, correndo grandi rischi personali e con grande fatica, per consultare il Grande Saggio e ricevere esattamente lo stesso consiglio che ti ho dato io ora. Ti sei guadagnato la saggezza degli Antichi, gratuitamente... abbi almeno un po’ di riconoscenza!”

CAPITOLO 4

Vince Rondel entrò in mensa proprio mentre Wayne tentava di decidere come rispondere ai commenti semiseri di DeLong. Rondel era di statura media, massiccio: pareva un ex giocatore di football liceale ancora non abbastanza grande per passare al professionismo e quindi lasciato a marcire. La maggior parte dei Sognatori vestiva in modo casual – Wayne era in jeans, maglietta a maniche corte e scarpe da ginnastica – ma Rondel indossava sempre completi. Wayne aveva notato che il suo guardaroba ne comprendeva due; entrambi di stoffa da poco prezzo, ma sempre accuratamente stirati. Il taglio della giacca esaltava il corpo massiccio e la testa di Rondel, ma pareva sempre una mezza taglia troppo piccola. Manteneva il viso rasato di fresco; aveva i capelli biondi pettinati con cura, appena più radi verso la fronte, ma non era ancora stempiato. Le unghie erano sempre ben curate e le mani sempre pulite.

 

Rondel scrutò DeLong e disse “Ah eccoti Bill. Mi serve una cortesia.”

Wayne vide le dita di DeLong stringersi sulla tazza di caffè Styrofoam; ma oltre a ciò il suo atteggiamento restò immutato. “Che c’è, Vince?”

“E’ mia madre. Ha chiamato… c’è qualcosa che non va. Devo tornare da lei.”

“E’ la terza volta questa settimana, Vince” disse calmo DeLong.

“E’ anziana, sta male. Che ci posso fare? Non vuole che prenda una badante, non vuole ricoverarsi in un ospizio dove potrebbero prendersi cura di lei come si deve. Non puoi darmi uno strappo fino a casa?”

“Lo sai che abito da tutt’altra parte! Perché non ti chiami un taxi?”

Rondel ignorò il suggerimento e per la prima volta guardò verso Wayne. “Corrigan, tu hai la macchina vero? Dove abiti?”

“Van Nuys,” disse Wayne con riluttanza.

Rondel sorrise. “Ecco qua. Io sto a North Hollywood, proprio di strada. Mi puoi dare uno strappo, vero?”

“Beh…”

“Bene. Prendo le mie cose e torno.” Rondel corse fuori dalla sala in direzione dell’ascensore.

“Devi imparare a dire di no un po’ più velocemente” lo consigliò DeLong.

Wayne guardò l’altro, stupito. “Vuoi dire che non ha la macchina? E come va in giro?”

“Con l’autobus di solito—quando non scrocca un passaggio da qualcuno.”

“Ma guadagna più di me, penso.”

“Quasi il doppio” ammise DeLong.

“E che ci fa con tutti i soldi?”

“Quello che non va per il mutuo, le bollette o i viveri, finisce nelle parcelle dei dottori della madre. E il resto alla chiesa. La Mamma insiste su questo punto.”

Wayne scosse la testa, incredulo. Avrebbe potuto vivere agiatamente col doppio dello stipendio – e poi c’era Vince Rondel, la star della Stazione, ridotto a mendicare passaggi appena poteva. “Ti spiace se me ne vado?” domandò. “Comunque ero libero per stanotte e mi hai detto che fino a domani la mia sceneggiatura non è pronta…”

“Certo, vai” sospirò DeLong. “Dobbiamo far felice la nostra star.”

Rondel tornò un paio di minuti dopo con la valigetta, ma dovette aspettare ancora perché Wayne doveva tornare nel proprio ufficietto a riprendere la giacca. Wayne si trovò a muoversi con deliberata lentezza e se ne domandò il perché. Forse perché Rondel aveva avuto una storia con la ragazza che voleva lui? L’idea gli pareva infantile e lui si forzò a accelerare il passo.

Finalmente furono pronti. Wayne accompagnò Rondel fuori, al parcheggio, verso la sua ammaccata vettura con quattro anni di vita alle spalle. “Non è molto” si scusò “ma mi porta dove voglio.”

“L’aspetto è buono” disse Rondel. “Odio impormi in questo modo, ma a quest’ora di notte non ci sono molti autobus in giro e il taxi costa.”

“Come hai detto tu, mi è proprio di strada” disse Wayne scuotendo le spalle. Accese il motore e uscirono nella notte.

Inizialmente viaggiarono in silenzio. Anche se Wayne lavorava alla Dramatic Dreams da un mese circa, lui e Rondel si conoscevano a malapena. Rondel aveva cercato una volta di intavolare con minimo entusiasmo un discorso religioso, ma Wayne lo aveva evitato. Sapeva soltanto ciò che gli aveva raccontato DeLong. Rondel era la star della stazione; non era soltanto un Padrone dei Sogni superiore al resto dello staff; era anche un talento a tutto tondo, si scriveva le sceneggiature e le rappresentava pure. Wayne aveva potuto saggiare alcuni dei lavori di Rondel prima di arrivare alla stazione e doveva ammettere che erano notevoli.

“Ti spiace se ti faccio una domanda personale?” tentò dopo un paio di minuti.

“Dipende, di che si tratta?”

“Beh mi sono chiesto…. perché perdi tempo qui in una stazioncina locale. Potresti andare nelle reti grandi a fare le cose serie.”

Rondel guardò fuori dal finestrino. “Sì, ho avuto delle offerte. Buone offerte. Ma mi dovrei trasferire verso Est e al momento non posso.”

“Perché no?”

“Mia madre non reggerebbe il clima. Ha la salute fragile.”

“Che cos’ha?”

“Apparentemente, di tutto. Ha invalidità per l’artrite, un rene non le funziona, il cuore è malandato, l’apparato digerente, i polmoni…. Qualsiasi parte nomini c’è qualcosa che non va.”

“Mi spiace.”

Rondel scosse le spalle. “Volontà Divina—non ci si può far nulla. Tutto ciò che posso fare è farla stare più comoda possibile.”

Sull’auto discese nuovamente il silenzio mentre proseguivano per la strada vuota. Wayne distolse diverse volte gli occhi dalla guida per guardare l’uomo che gli sedeva accanto. Da vedere c’era soltanto un profilo in penombra, ma Wayne, con la sua immaginazione da Sognatore, aggiunse dettagli da come ricordava Rondel alla luce. Cercò di immaginare Janet tra le braccia di quell’uomo, Janet che gli baciava le labbra, Janet nuda e gemente di passione sotto il corpo di Rondel…

I pneumatici stridettero sui dossi catarifrangenti mentre la vettura si immetteva gradualmente nella corsia d’emergenza. Wayne, sovrappensiero, si risvegliò e sterzò bruscamente verso la parte opposta raddrizzando lo sterzo. Tieni la mente alla guida ammonì severamente se stesso.

Accanto a lui anche Rondel reagì. “Ehi non ti addormentare su di me, se muoio in un incidente a mia madre non gliene verrà alcun bene.”

“Scusa” disse Wayne. “Mi ero perduto nei pensieri. Sai come succede.”

“Certo è il nostro lavoro. E che farai la prossima volta?”

“Bill dice che sarà un Western. Prendo la sceneggiatura domani.”

“Ehi, i Western vanno sempre forte. La classica sfida del bene contro il male. Non so più quanti Western ho fatto da quando ho cominciato. E’ un buon terreno di prova per affinare il talento.”

E perché il mio talento dovrebbe essere affinato? Pensò aspro Wayne, ma disse a voce alta: “Sì è quel che dice anche Bill. Ma non è così semplice. Mi piacerebbe un’azione un po’ più difficile.”

“E’ semplice perché così hai deciso di farla. Hai una copia di La Via del West di Ronson?”

“No. Che roba è?”

“E’ il materiale migliore che ho trovato sul periodo. Costa ottantacinque dollari ma ne vale la pena. Migliaia di figure e anche vecchie foto dell’epoca. E’ la cosa migliore per visualizzare i vestiti, gli edifici, tutta l’ambientazione del vecchio West. Te lo leggi un paio di volte e il tuo Western sarà così reale che quando gli spettatori si sveglieranno parleranno con l’accento.” Fece una pausa. “Ce l’ho a casa. Puoi venire su e te lo presto.”

“Non vorrei invadere…”

“Nessun disturbo. Ci vuole solo un secondo.”

Wayne non voleva farselo piacere, quell’uomo. Rondel era la superstar, lo standard con cui Wayne si era sempre misurato trovandosi in difetto. Rondel aveva fatto l’amore con la donna che Wayne desiderava, le aveva sconvolto talmente la testa che Bill gli aveva suggerito prudenza per un’eventuale relazione che al momento Wayne potesse avere in mente con lei. Rondel poteva creare un Sogno Superiore, qualcosa che Wayne non sarebbe mai riuscito a fare perbene. Rondel possedeva tutto ciò che Wayne desiderava e Wayne aveva veramente bisogno di odiarlo. Quell’uomo invece era pateticamente amichevole e Wayne non poteva far altro che accettare quelle aperture, a modo suo. “Oh. D’accordo Vince. Grazie.”

Ancora silenzio. Rondel si schiarì la voce un paio di volte come per parlare, poi ripensandoci. Alla fine trovò abbastanza coraggio da entrare nel vivo dell’azione. “Dato che mi hai fatto una domanda personale, ti spiace se ti rendo il favore?”

“Suppongo di no.” Wayne cercava di reagire il meno possibile. La vicinanza forzata a Rondel lo metteva sempre più a disagio.

“Ma tu…. Voglio dire ho sentito dire che tu…. prima di arrivare alla Dramatic Dreams…. lavoravi nel porno. E’ vero?”

Le mani di Wayne strinsero forte il volante. “Sì. Perché?” L’ultima cosa di cui aveva bisogno al momento era una predica di moralità e Rondel era conosciuto per le sue aperte convinzioni religiose. “L’ho fatto perché era l’unico lavoro che ho trovato come principiante. Come hai detto tu è un grande terreno di prova per affinare il talento.”

“Oh, beh…. sono sicuro di sì. Non è che ti sto criticando. Tutti dobbiamo cominciare da dove si può, di questo mi rendo conto. Almeno Dio ha ritenuto giusto sollevarti dal letame. Solo che… volevo solo sapere…. com’è.”

“Eh?” Wayne guardò sorpreso Rondel che fissava rigidamente davanti a sé, asciugandosi nervosamente le mani sui pantaloni. “Che intendi dire?”

“Beh, tutto quel sesso. Deve essere stato eccitante.”

Eccolo lì, aperto a tutto. Piccolo signor Perfettino, l’uomo che donava fette cospicue di stipendio alla chiesa, un ipocrita da cesso. Wayne fu quasi accecato da un flash improvviso, la visione interiore dell’anima di Rondel: in qualche modo conoscere la debolezza dell’altro accese in lui un caldo bagliore. Stette ben attento a non far trasparire l’emozione però, mentre rispondeva: “No. Veramente era piuttosto noioso.”

L’annuncio sortì l’effetto desiderato: Rondel lo guardò stupito. “Noioso? Davvero, non capisco come…”

“Ma sì, se ci pensi un attimo. Parlando in soldoni, l’atto sessuale fisico è solo un’azione ripetitiva. Certo quando lo fai ti perdi nelle sensazioni del corpo, ma ricreare i sospiri, i suoni e gli odori diventa molto clinico. La maggior parte della grande letteratura erotica mondiale è fatta di preliminari e il sesso vero e proprio ha un ruolo molto limitato. E poi possiamo soltanto eccitare: non ci permettono mai di consumare nulla.”

“E perché no?”

“Per lo stesso motivo per cui non ci è permesso ferire o uccidere nessuno, suppongo. Anche nei Sogni normali nessuno completa mai l’atto. Ci si può avvicinare molte volte ma succede sempre qualcosa che ti impedisce di terminare l’azione.”

Scosse la testa. “Forse è il metodo che ha il corpo per eliminare la tensione – la Commissione Comunicazioni però ci ha imposto regole piuttosto severe. Assolutamente senza consumare, così hanno detto. Se solo cercassimo di fare una cosa del genere ci starebbero talmente addosso che la storia di Spiegelman al paragone diventerebbe un tè con le amiche.”

“E allora che cosa si fa?”

“Perlopiù roba di routine. Uno a uno, fantasie di harem, orge. Io mi sono tenuto fuori dalla roba più eccitante, i trip sadomaso, la disciplina, scat e così via. Una volta ho provato un Sogno con un gay, un uomo, ma è stato orribile; non mi ci trovavo, il capo mi ha detto di limitarmi alle cose normali. Una volta ho fatto delle scene lesbiche ma è stata una cosa diversa. Le fantasie lesbiche sono esclusivamente per gli uomini, quel che posso dire è che la maggior parte dei gay non sono interessati. E’ curioso però che…”

Rondel lo interruppe. “Usciamo qui per Laurel Canyon.”

Nei minuti successivi Rondel si impegnò a dare indicazioni a Wayne guidandolo per le strade che portavano a casa sua e la conversazione languì. Quando l’automobile giunse di fronte alla destinazione era troppo tardi per riprendere il dialogo sulla precedente occupazione di Wayne; cosa di cui fu contento.

“Entra che ti prendo il libro” lo invitò Rondel.

“Me lo puoi dare pure domani alla riunione.”

“Ci vuole solo un minuto. Accomodati.”

Riluttante, Wayne scese dalla macchina e seguì Rondel fino a casa.

L’abitazione era straordinariamente insignificante; un modesto edificio di un piano, rannicchiato timidamente lontano dalla via. Il giardinetto all’entrata era circondato da una siepe continua di media altezza, contorta e ripiegata perché usata da molti anni dai bambini del quartiere. In molti punti il prato arrivava alle caviglie, in altri era quasi nudo. Forse Rondel aveva altri pregi, ma sicuramente non eccelleva nel giardinaggio.

Sul portoncino d’ingresso era accesa una fioca lampadina nuda. Anche nella luce tenue Wayne riuscì a notare, salendo le scalette del portico, che la vernice si staccava dalle trascurate pareti in legno, e che il frontale della finestra davanti era consumato e rappezzato in diversi punti. Squallido, pensò schifato. Quest’uomo è una delle star della nostra professione e vive in queste condizioni. Perché?

Se era rimasto sbigottito dall’esterno della casa, l’interno lo strabiliò letteralmente. Mentre Rondel apriva la porta il naso di Wayne fu assalito dall’odore acre di lettiera per gatti non cambiata da settimane. Il pavimento era letteralmente cosparso di giornali e riviste; le librerie che riempivano le pareti erano costipate non solo di libri ma anche di piatti sporchi, bicchieri e altri oggetti assortiti poggiati lì in un momento frettoloso e mai spostati; i mobili erano vecchi e la tappezzeria in broccato era consunta e aperta a mostrare l’imbottitura in numerosi punti.

 

“Scusa il disordine” disse Rondel semi-consapevole, mentre camminava con cautela sulla sporcizia del pavimento. “Non ho molto tempo per fare le pulizie, e mia madre non ci riesce, quindi tutto si accumula…”

Wayne non fece commenti e seguì Rondel all’interno. Il suo disagio si faceva sempre più acuto ad ogni istante; avrebbe voluto non accettare l’invito dell’altro. Come aveva detto DeLong, doveva imparare a dire “no” un po’ più in fretta.

“Vince, sei tu?” chiamò una voce acuta dall’interno. “Grazie al Cielo ce l’hai fatta, mi sembrava che non dovessi mai arrivare.”

“Sì Mamma un attimo e sono da te.”

“C’è qualcuno con te? Sento che parli con qualcuno.”

“Sì Mamma. E’ Wayne Corrigan, un collega. Ti ho parlato di lui. Mi ha dato un passaggio fino a casa.” Si volse verso Wayne. “Scusami un istante, vado a vedere come sta. Torno subito.” Si diresse verso il fondo del corridoio e svanì lasciando Wayne da solo.

Qualcosa gli si strusciò su una gamba e lui uscì quasi di sé: in una casa come quella quale creatura poteva mai girare liberamente? Ma era solo un gatto, a pelo corto, grigio e bianco, con l’aria smunta e disordinata. Aveva qualcosa in bocca ma scappò via prima che Wayne potesse vedere cosa fosse. Guardandosi attorno, Wayne scoprì di essere diventato oggetto degli sguardi di diverse altre paia di occhi felini, celati in angoli bui della stanza disordinata.

Nella stanza accanto, Rondel e sua madre parlottavano tra loro, discutendo su quale potesse essere una parola più appropriata: Wayne non distingueva molto delle parole – la signora Rondel diceva qualcosa su “sconosciuti in casa” ma erano evidenti gli alti e bassi della conversazione. Era sempre a disagio nel trovarsi testimone di una qualche disputa familiare e la tentazione fu quella di voltarsi ed andarsene - ma non sarebbe stato cortese scappar via dopo aver accettato l’invito di Rondel di entrare. Doveva aspettare almeno il ritorno di Rondel per potersi accomiatare.

Più restava nella stanza, più lo squallore sembrava peggiorare. Wayne riuscì a notare palline di tessuto arrotolate tra le cartacce sul pavimento e gli sembrò di vedere un grosso scarafaggio scappare in un angolo e svanire sotto lo zoccolo della parete. I piatti, che gli ricordavano la porcellana di Limoges che la madre tanto amava, erano stati impilati a caso sulla libreria e contenevano ancora avanzi di cibo, alcuni dei quali iniziavano a formare la muffa. Accanto ad un piatto c’era una piccola opera di Steuben, una balena di cristallo con la coda arcuata in aria – ma la coda era incrinata e una pinna si era spezzata. Alla finestra c’erano tendine in merletto che però mostravano i segni di anni di unghiate di gatto. C’era una fila di piante morte e avvizzite sul davanzale, talmente rinseccolite che era impossibile capire che tipo di piante fossero state. Accanto alla porta che conduceva in cucina c’era una busta marrone da droghiere piena di immondizia, in cui Wayne riuscì a vedere lo scintillìo di vassoi di plastica usati, di quelli utilizzati per i pasti surgelati. Dalla cucina arrivavano vaghe zaffate di un odore a metà tra una fogna e una bara aperta.

Se debbo stare qui ancora per molto, pensò Wayne, mi sentirò male. Ma come si fa a vivere in questo modo?

Rondel sbirciò nella stanza. “Corrigan, ce l’hai un minuto? Vorrei presentarti mia madre.”

“Beh veramente dovrei proprio andare…”

“Ci vuole un minuto e comunque ti devo andare a cercare il libro. Vieni.”

Chiedendosi perché si lasciava intrappolare in impicci del genere, Wayne camminò gaiamente nel disordine cercando di evitare di calpestare un gatto o altro oggetto spiacevole tra i detriti del pavimento del soggiorno. Nel corridoio non c’erano cartacce ma questo rendeva visibili al passaggio i punti del pavimento in parquet in cui erano state spente sigarette. I mozziconi, gettati in un angolo, formavano una piccola piramide di filtri.

C’era una porta appena socchiusa che conduceva fuori dal corridoio. La stanza su cui si affacciava era di una semplicità cruda: pavimento in legno vuoto; un letto in ferro battuto a due piazze rifatto con cura; un ricamo religioso sul muro, che proclamava: “Il Signore è il mio Pastore”. La stanza era un’oasi di pulizia in quel letamaio di casa. Wayne immaginò che fosse la camera di Rondel, in linea con la nettezza personale della persona. Ma la camera era vuota e Wayne proseguì.

Riuscì a riconoscere la stanza della madre di Rondel ancor prima di entrare: glielo annunciò con notevole forza il tanfo che emanava. L’aria era pesante per l’odore di scadente profumo Devon alla violetta, misto al fetore di fumo di sigaretta stantìo e di urina. Uno solo degli odori sarebbe già stato nauseante ma in qualche modo la combinazione di tutto triplicava l’effetto spiacevole. Wayne dovette fermarsi prima di entrare per ricacciar giù il pasto veloce che aveva mangiato alla Stazione. Non intendeva vomitare lì, di fronte a Rondel; anche se vista l’ambientazione generale, dubitava che lo avrebbe notato.

La stanza da letto della signora Rondel non lo deluse. La toletta in noce rivestita di marmo presentava chiazze di caffè e aloni di sigaretta; i fianchi del mobile erano stati ampiamente utilizzati dai gatti per affilarsi le unghie. In un angolo c’era un paravento stile Coromandel; una volta forse era stato di valore cospicuo, ma ormai la maggior parte della lavorazione a intarsio era sparita. C’erano dei vestiti, nessuno dei quali troppo pulito, gettati alla rinfusa sulle sedie e sul pavimento. Alle pareti fotografie di una donna assai attraente – ma qualsiasi somiglianza tra lei e la signora Rondel attuale rappresentava a dir poco un’illazione.

Al centro della stanza, contro la parete più lontana, c’era il letto della signora Rondel. Era un letto matrimoniale grande; ai quattro lati si ergevano delle colonne intarsiate, in legno, che sostenevano quanto rimaneva di un baldacchino; da cui pendevano brandelli di merletto, come malinconici souvenir di glorie passate. Persino il copriletto di broccato orientale parlava di giorni migliori da tempo tramontati; scolorito, lacero, coperto di grosse, brutte macchie. Attorno al letto mozziconi di sigarette non calpestati.

La signora Rondel era mezzo seduta, poggiata su un cumulo di cuscini. Era una donna grassa con un viso rubicondo e occhi scuri e porcini. Aveva la pelle puntecchiata di macchie da fegato e i capelli bianchi raccolti in bigodini; il viso era coperto di trucco spesso, quasi da clown. Aveva alla gola una forma grigia, scura, che inizialmente Wayne pensò essere un altro gatto; poi si rese conto che si trattava di un marabù sporco, pendant di un vestito da sera che una volta forse era stato di un qualche colore – ma non voleva neppure tentare di immaginare quale.

“Questa è mia madre” disse Rondel, imperturbabile.

La signora Rondel emise dalla gola un suono disgustoso e tossì del catarro in un fazzoletto che poi gettò a caso in un angolo. Guardò Wayne con sguardo analitico e disse: “Corrigan, sì? Irlandese?”

“Sono americano. Da quattro generazioni.”

“Cattolico?”

“Non molto.” Wayne era irritato per quel maleducato controinterrogatorio.

La signora Rondel guardò il figlio. “Gli hai già mostrato la Via del Signore?”

Rondel era evidentemente imbarazzato. “Mamma, lo conosco appena.”

“Non ha importanza. Tutti gli uomini sono fratelli per il Signore.” Si rivolse a Wayne. “Vuoi essere salvato?”

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