Tranquilla Cittadina Di Provincia

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Autunno/inverno 2009/2010

VERONICA…

L’autunno è ormai avanzato, anche se la temperatura è anc ora gradevole. Le giornate si sono accorciate e già alle 20,30 è notte fonda. La ragazza, esile anche se piuttosto alta, dai capelli biondi corti, tagliati a maschietto, avanza lentamente, claudicante, aiutandosi con una stampella. Nella mano libera dalla stampella, un sacchettino di carta contenente la sua frugale cena. Raggiunge la tettoia della fermata dell’autobus, all’inizio di Viale Trieste e si siede a fatica sulla panchina. Si guarda intorno per assicurarsi che non ci sia alcun malintenzionato in circolazione. L’unico passante è il veterinario che continua ad abitare in quel quartiere, forse perché ha casa e studio lì e, al contrario della maggior parte delle famiglie italiane non ha ceduto alla tentazione di trasferirsi dall’altra parte della città. Fortunatamente una presenza rassicurante, che a quell’ora fa fare la passeggiata serale al suo simpatico cagnolino bianco. La ragazza consuma il suo panino in pochi morsi, poi cerca il pacchetto delle sigarette, ma si accorge che quello che ha in tasca è ormai vuoto. Leonardo Albini si materializza dall’oscurità come solo lui sa fare, come fuoriuscisse all’improvviso da un mantello d’invisibilità. I suoi movimenti non riescono a sfuggire solamente ad un’altra persona, la Dottoressa Zanardi, la Commissario del Distretto di Polizia, che immancabilmente è sul marciapiede dell’altro lato della strada, appoggiata con le spalle al muro mentre finge di giocherellare con le chiavi della sua auto. Leonardo si siede nella panchina accanto alla ragazza e le depone sulle ginocchia delle cartine e del tabacco. Lei si fa la sua sigaretta e se l’accende.

«Sei sicura di voler sapere? Credimi, la vendetta non paga.»

«Ma lascia in bocca un buon sapore, come questo tabacco.»

Leonardo scrive un nome e un indirizzo su una cartina, lasciandola in mano alla ragazza.

«È una persona in vista. Sei sicura che la targa fosse quella?»

«Ce l’ho stampata nella mente. Mi ha investito lì, su quelle strisce pedonali, ed è scappato via. Ma prima di sprofondare nel buio ho letto bene quella targa.»

«E perché non l’hai riferito alla polizia?»

«L’ho fatto, eccome, dopo che mi sono risvegliata dal coma. Hanno controllato e mi hanno detto che forse avevo visto o ricordavo male, sulla carrozzeria non c’era alcun segno relativo all’incidente. E certo, nel frattempo il tipo avrebbe avuto tutto il tempo di far ripulire l’auto! E poi ormai della polizia non mi fido più da tempo.»

Solo un leggero accento tradisce l’origine slava della ragazza, di nome Anna. Più di sedici anni fa era giunta dalla Serbia insieme ai suoi genitori, era una bimba di poco più di 4 anni. Suo padre, per sbarcare il lunario, aveva subito indotto la moglie alla prostituzione. La donna era giovane e attraente e il quartiere si prestava bene a quel tipo di “business”. Ma una sera il papà di Anna, ubriaco fradicio, cominciò ad accusare sua moglie di non mettere giù tutti gli introiti per la famiglia ma di tenersi qualcosa per le sue civetterie, per i vestiti, per le scarpe, per le calze. La lite finì con una coltellata. Anna vide il padre scappare, per non fare mai più ritorno, mentre la madre giaceva sul pavimento in preda a un’abbondante emorragia. La bambina sapeva digitare i numeri di emergenza sul cellulare. Riuscì a comporre il 118 e far giungere i soccorsi in tempo. Ma la polizia non rintracciò mai il padre, che probabilmente era riuscito a ritornare al suo paese d’origine. La sua mamma tirò avanti a malapena, facendo lavoretti improvvisati, come donna delle pulizie o badante per gli anziani, senza più vendere il suo corpo, ma guadagnando molto meno. Anna aveva 14 anni quando la sua mamma, stanca della vita, fece l’insano gesto. Scese in strada avanti casa, si versò della benzina addosso e si diede fuoco. Una fine orribile, di cui fortunatamente Anna non fu testimone diretta. Tornando da scuola, vide una specie di fantoccio annerito sul marciapiede, come se qualcuno avesse bruciato una grossa bambola, e fece fatica a capire che quello era il corpo della sua povera mamma. Un capannello di curiosi intorno a quel tizzone ancora fumante, ma nessuno che avesse preso il coraggio di cercare di soccorrerla. E il tutto era avvenuto in pieno giorno.

Anna fu affidata a una casa famiglia, ma se ne scappò subito, andandosene a vivere per strada e iniziando a fare lo stesso lavoro che aveva visto fare alla sua mamma quando lei era piccina, con il risultato di guadagnare quel poco per poter mangiare. Spesso, quando i suoi “clienti” vedevano che era poco più che una bambina, o se la davano a gambe levate per paura di essere accusati di pedofilia, o la ricompensavano al massimo con 20 Euro, tanto era una ragazzina, le bastava poco per vivere, giusto quanto bastava per comprarsi da mangiare.

«Vai da un avvocato, portagli quel nome e ci penserà lui a farti risarcire», le consiglia Leonardo.

La ragazza scuote la testa.

«Non ho soldi da dare a un avvocato. Quel bastardo la deve pagare e farò tutto da sola, stanne certo. Questa gamba non ritornerà mai più come prima. Il femore è rimasto stritolato sotto le ruote di quel SUV enorme. Per quanto i medici si siano dati da fare, la gamba è rimasta diversi centimetri più corta dell’altra, e in più mi continua a fare un male boia. Proprio nel momento in cui ero riuscita a dare una svolta alla mia vita. Avevo superato le selezioni e sarei stata presa come modella. Avevo un lavoro e una carriera avanti a me, e ora nessuno più mi chiamerà per una sfilata di moda o per uno spot pubblicitario, dovrò ritornare a battere il marciapiede per sopravvivere.»

Leonardo, senza ribattere ulteriormente, lascia alla ragazza un’altra cartina e un po’ di tabacco sufficiente a farsi un’altra sigaretta e si allontana. Attraversa la strada e passa vicino a Veronica, la poliziotta che lo sta tenendo d’occhio.

«Non è che non si noti che tu mi stia alle costole. Quando la capirai che sono un tipo pulito? Dovrei portarti a letto per fartelo capire. Staresti bene con me e mi cercheresti per altri motivi.»

«Evita di fare il galletto. Piuttosto, ti ho visto chiaramente passare la “dose” a quella ragazza. Ti sei dato allo spaccio, ora?»

«Te l’ho detto, sono pulito», risponde Leonardo sollevando le braccia. «Puoi perquisirmi se vuoi, se fossi uno spacciatore avrei altre dosi addosso, non è così, commissario

Veronica lo tasta ben bene e riesce a tirargli fuori dalle tasche, oltre il portafoglio, il tabacco, le cartine, l’accendino e un pacchetto di Marlboro.

«Come diavolo fate a farvi le sigarette con questa robaccia? Mah!» La donna sfila una Marlboro dal pacchetto e se la accende, poi restituisce il tutto all’uomo. «Tanto prima o poi ti becco con le mani nel sacco, e ti faccio fare una bella vacanza in un’amena frazione di Ancona che si chiama Montacuto. Al fresco, in una residenza con le sbarre alle finestre e circondata da un’altissima recinzione.»

«Credo che farò prima io a portarti in una camera da letto e far l’amore con te. Sei già cotta a puntino», replica Leonardo, confezionandosi abilmente una sigaretta con il tabacco e accendendola sotto lo sguardo esterrefatto di Veronica. Ognuno dei due se ne va per la sua strada, mentre Anna rimane ancora seduta a lungo sotto la tettoia della fermata del bus. A un certo punto si alza e, passo dopo passo, con la calma che richiede la sua incerta andatura, raggiunge l’indirizzo fornitole da Leonardo. Studia la villetta, studia i suoi occupanti e già, nella sua mente, si delineano le azioni e i tempi della sua vendetta.

Il giorno dopo, Anna è già pronta all’azione. Ha confezionato la Molotov seguendo alla lettera le istruzioni: funzionerà. L’adrenalina che circola nel sangue è a livelli talmente alti da farle dimenticare qualsiasi dolore. Sono le tre di notte e non c’è anima viva in circolazione. Abbandona la stampella vicino alla recinzione della villetta, che riesce abbastanza faticosamente a scavalcare. La scala che ha adocchiato in giardino dovrebbe essere servita per potare gli alberi, ma quello che interessa è che ha l’altezza giusta per arrivare alle finestre del primo piano. Anna l’appoggia sotto quella che ha capito essere la finestra della camera da letto. Il tipo dorme con la moglie e i due hanno un bambino di pochi mesi che riposa nella camera attigua. La sera prima, alle tre e un quarto esatte, si era accesa la luce dell’abat-jour e la donna era andata nella camera del piccolo, che si era svegliato e reclamava il biberon. Anna ha calcolato che quella cosa si potrebbe ripetere ogni notte più o meno alla stessa ora. Sale i pioli della scala, uno ad uno, con un po’ di fatica, ma neanche troppa. La tapparella è abbassata solo a metà. Al momento giusto, una gomitata a sfondare il vetro e lancio della Molotov. Sarà l’inferno.

Quel bastardo morirà allo stesso modo della mia povera mamma. Se lo merita! Se la moglie sarà lesta, porterà in salvo le sue chiappe insieme a quelle del piccolo. Quanto a me, aspetterò buona buona che mi vengano ad arrestare, tanto ormai…

In cima a quella scala, Anna mette in bocca una sigaretta, in una mano l’accendino, nell’altra la bomba incendiaria. Puntualmente la luce si accende e la donna si alza. La fiamma dell’accendino brilla, raggiunge la sigaretta, ma non riesce a raggiungere la miccia dell’ordigno rudimentale.

No, non posso essere io la causa del fatto che quel bambino crescerà come me, senza un padre, e con una madre distrutta dal dolore.

La gamba sta ricominciando a farle male ed è difficile ridiscendere la scala, rimetterla al suo posto, scavalcare la recinzione e recuperare la stampella, ma ci riesce.

La vita per Anna continua a scorrere come sempre, le sue risorse economiche sono sempre più risicate, e ogni sera si ritrova a consumare il suo panino seduta nella solita panchina. Richiama il cagnolino bianco, che devia dalla sua traiettoria per venire a prendersi la sua dose di coccole, trascinandosi dietro anche il suo padrone. Il cane si mette a zampe all’aria, per farsi fare i grattini sulla pancia, cosa che gli piace tanto. Il veterinario sorride ad Anna, lei lo guarda negli occhi, due occhi verdi che infondono fiducia.

 

«In questo biglietto c’è nome e indirizzo di chi mi ha ridotto in questo stato. Fanne quello che vuoi, io non ho né soldi, né credibilità per andare a chiedere risarcimenti.»

In silenzio, l’uomo prende il biglietto, se lo mette in tasca e si allontana. Dopo alcuni giorni, con la posta, la ragazza riceve un assegno di 300.000 Euro a firma del tipo che a suo tempo l’ha investita ed è scappato come un vigliacco. Nella busta un biglietto: Spero siano sufficienti. La prego di non denunciarmi. Uno scandalo mi rovinerebbe per sempre.

Leonardo, come suo solito, compare all’improvviso e si siede nella panchina accanto alla ragazza.

«Sigaretta?» le chiede.

«No, grazie. Ho smesso di fumare. Il sapore del tabacco in bocca non mi piace più.»

«Com’è andata? Hai fatto buon uso della mia informazione?»

«Grazie a te e a un altro angelo, ora ho i soldi per andare in America e sottopormi a un intervento che riporterà la mia gamba alla sua lunghezza giusta. Ho calcolato che tra viaggio, soggiorno e spese per la clinica occorreranno 300.000 Euro tondi tondi. Tutto quello che ho, ma quando tornerò in Italia sarò pronta ad affrontare una nuova vita.»

«Bene, in bocca al lupo, allora!»

Leonardo attraversa la strada e giunge accanto alla poliziotta appostata. A sorpresa, avvicina il suo volto a quello di lei a sfiorarle le labbra. Colta alla sprovvista, Veronica accetta il bacio e comincia a far roteare la lingua per qualche istante intorno a quella di lui. Poi, con uno scatto si irrigidisce e si distacca di quel tanto che le basta a far partire un sonoro schiaffo diretto alla guancia di Leonardo.

«Sei pazzo!» esclama lei. Poi, seguendo il filo dei suoi ragionamenti da poliziotta: «Oggi la puttanella ha rifiutato la dose che le hai offerto? Ma tanto, ricorda, ficcatelo bene in testa: prima o poi ti becco con le mani nel sacco.»

«Faresti bene piuttosto a darti un’occhiata intorno e soffermare lo sguardo sui criminali veri, che non mancano di certo in questa zona. Ma che te lo dico a fare? Tanto è seguendo me che acciuffi criminali. Prima o poi ti chiederò il conto, mia cara!»

Riavvicina la sua bocca a quella di Veronica e, questa volta, e non per sbaglio, lei si abbandona a un lungo bacio. Quando riapre gli occhi, Leonardo si è dileguato nel buio, come solo lui è in grado di fare.

VERONICA…

Buio. Mentre i cittadini onesti si godono il meritato riposo nella tranquillità dei loro appartamenti, in alcune zone della città si vive una vita alternativa, animata da barboni, drogati, ubriaconi, prostitute, viados, extracomunitari più o meno clandestini e personaggi senza fissa occupazione e senza fissa dimora. A Jesi il cuore pulsante di questo tipo di società è la zona compresa tra la stazione ferroviaria e quella delle autocorriere, e gli inghiottitoi di questa feccia umana, capaci di accoglierla senza vomitarla, sono rappresentati dal dehors all’aperto del bar del Piazzale di Porta Valle e dalle panchine che rimangono quasi del tutto al buio sotto gli alberi, dove la luce dei lampioni arriva a fatica o non arriva affatto. Lì non è infrequente vedere una prostituta ubriaca rimanere riversa sulla panchina, con il sedere nudo all’aria, nella stessa posizione in cui è rimasta dopo il rapporto consumato con l’ultimo cliente, che magari l’ha lasciata così senza neanche pagarla.

La mezzanotte è passata da un pezzo e la serranda del bar pizzeria è abbassata per metà da più di mezzora. Veronica, quarantenne Commissario di Polizia, un glorioso passato da campionessa olimpionica di scherma, è appoggiata alla fiancata della sua berlina nera. Il fumo della sigaretta si va a unire al suo fiato condensato e alla nebbia della notte di autunno inoltrato che rende ovattate le sagome di persone e cose. Una prostituta di colore le si avvicina.

«Per 20 Euro ti posso far godere, meglio che un uomo.»

«Vattene!» risponde, mostrando il distintivo. «Sei fortunata che ho altro per le mani questa sera, altrimenti ti farei passare la notte in cella.»

«Dammi una sigaretta, allora.»

Veronica getta la cicca, cerca nelle tasche, accende l’ultima del pacchetto, che accartoccia e getta in terra.

«Come vedi non ne ho più. Vattene!», e sottolinea quest’ultima frase sbuffandole direttamente il fumo in faccia e fissandola con lo sguardo più truce che è in grado di realizzare.

Uno dei pochi lampioni funzionanti si accende e si spegne in maniera intermittente, quasi comandato da uno strano meccanismo a orologeria, probabilmente la sua lampada è arrivata al capolinea ma ne passerà di tempo prima che qualche operaio del comune passi a sostituirla. Approfittando del buio e della nebbia, lo zingaro dai lunghi capelli grigi e il cappello a larghe falde scarica la vescica dietro la sagoma di una corriera parcheggiata, poi ritorna sotto il versò del bar, scola il suo bicchiere e si avvia barcollante verso la sua bicicletta. Tre pedalate e cade rovinosamente a terra, si rialza e si perde nella nebbia. Ogni sera nessuno sa se riuscirà a raggiungere indenne la sua roulotte, giù in fondo alla zona industriale, ma il giorno dopo si ripresenta puntualmente a elemosinare soldi, alcol e sigarette.

Veronica si stringe nel giubbotto di pelle per proteggersi dal freddo e dall’umidità. Ecco, ora la sua attenzione è incentrata sulle due figure che fuoriescono da sotto la serranda del bar. Leonardo, l’ingegner Leonardo Albini, è in compagnia di una stangona dalla pelle ambrata, minigonna, gambe vertiginose e seno talmente gonfio di ormoni e silicone che potrebbe esplodere da un momento all’altro.

La stangona, più che una lei, è ancora un lui. Qualcosa che penzola in mezzo alle gambe ce l’ha di sicuro! pensa Veronica, ma non è interessata più di tanto alla cosa. Chi le interessa è Leonardo, quell’ingegnere edile dalla pretesa di diventare un investigatore privato. E certo, sempre a contatto con la malavita locale, chi meglio di lui potrebbe acciuffare criminali?

Leonardo saluta il viado, che se ne va in direzione di Via Setificio, mentre lui si dirige verso Porta Valle ed entra nel centro storico. Veronica lo segue cercando di mantenere la distanza, ma l’uomo si dilegua nei meandri dei vicoli.

Un uomo dallo spiccato accento dell’est Europa le si avvicina da dietro e fa scattare un coltello a serramanico.

«Poco raccomandabile girare da queste parti per una donna sola!»

Affatto intimorita, la poliziotta esegue una piroetta e, grazie a un colpo di piede ben assestato, disarma il suo potenziale aggressore.

«Anche per un uomo, specialmente se infastidisce le persone sbagliate!»

E per quella notte è fatta, ha perso di vista il suo bersaglio, non ha potuto verificare la sua connivenza e complicità con i criminali della zona sud di Jesi, quella che un tempo era considerata una tranquilla cittadina di provincia. Tanto vale rientrare alla base. Con la certezza che prima o poi Leonardo farà un passo falso. Pura fantasia? O magari è segretamente e inconsapevolmente innamorata di lui, chissà!

I quotidiani locali del giorno successivo, una giornata caratterizzata da un pallido sole che fa capolino dalla coltre di nebbia, riportano l’ennesima notizia di cronaca nera.

Jesi. In zona Porta Valle un Viado è stato aggredito e accoltellato. Prontamente soccorso dall’ingegner Albini, che si trovava a passare di lì per caso, è stato dichiarato guaribile in 10 giorni. Ma la Polizia dov’è?

CATERINA…

In una rigida giornata di metà dicembre mi presentai al Questore di Ancona. Il Dottor Spanò era il mio vecchio capo. Ero tornata alla base, ma ero lì giusto per consegnare la busta contenente la mia richiesta di congedo per maternità.

«Sono felice di riaverla con noi, Dottoressa Ruggeri. Un elemento prezioso come Lei meglio averlo qui in zona in congedo per maternità, che non saperla assegnata a un Distretto di Polizia così lontano. Grazie alla sua nuova qualifica, ho in serbo per Lei un incarico particolare. Qui nelle Marche non abbiamo una Sezione Omicidi. Visto come se l'è cavata nell'indagine su a Triora, e visto il notevole aumento della criminalità anche nelle nostre zone, ho deciso di aprire la Sezione qui in Ancona, con valenza su tutto il territorio regionale, e sarà proprio Lei a dirigerla, coadiuvata dall'Ispettore Santinelli.»

No, non è possibile! dissi tra me e me. Di nuovo tra i piedi. Ma non doveva dirigere il Distaccamento Cinofili al mio posto dopo che me ne ero andata? In così poco tempo è stato capace di mandare all'aria tutto il mio lavoro decennale? I Cinofili sono allo sbando e il Distaccamento è prossimo alla chiusura?

Non avevo neanche il coraggio di chiedere lumi al mio superiore, che comunque, interpretando i miei pensieri reconditi, mi diede delle assicurazioni.

«Non si preoccupi, il suo adorato Distaccamento Cinofilo va alla grande anche senza di Lei, ma l'Ispettore Santinelli non era in grado di dirigerlo. Durante l'estate ben tre cani si sono ammalati di Leishmaniosi e due conduttori hanno chiesto il trasferimento per incompatibilità con l'Ispettore. Così, prima di giungere all'irreparabile, ho sostituito Santinelli con un validissimo collega, l'Ispettore Capo Della Debbia, che si è trasferito qui da Nettuno.»

Tirai un sospiro di sollievo e continuai ad ascoltare quanto aveva ancora da dirmi.

«Ma, tornando a noi, Le dicevo che questa nuova sezione, a valenza regionale, sarà dedicata alle indagini su omicidi e persone scomparse, e credo proprio che Lei sia la persona più adatta a dirigerla. Potrà venire in tutta libertà, senza tralasciare gli impegni di futura neo mamma, a organizzare l'ufficio, e quando mi dirà di essere pronta, partiremo.»

Ero entusiasta, e già le idee sull'organizzazione della nuova squadra frullavano nella mia testa.

«Tutto bene, ma devo proprio prendermi in carico anche l'Ispettore Santinelli?»

«Sembra che Lei sia l'unica che è sempre stata in grado di gestirlo! Direi proprio di sì!»

Annuii, non molto soddisfatta della prospettiva, e cominciai a tendere la mano al mio superiore per congedarmi.

«Un'ultima cosa, Dottoressa. Nei prossimi giorni avremo qui in sede degli specialisti che terranno un corso su Linguaggio del Corpo e Prossemica, e sarà una cosa molto interessante. Se volesse partecipare, pur essendo in congedo, vedrà che si potranno apprendere delle nozioni davvero importanti nella gestione degli interrogatori.»

Accettai l'invito, anche sapendo che Stefano non ne sarebbe stato affatto contento, in quanto il corso trattava di argomenti che mi avevano sempre affascinato: poter capire ciò che uno pensa, se mente o se sta dicendo la verità, dagli atteggiamenti che assume. Erano nozioni che, una volta apprese e unite alle mie nuove capacità percettive, avrebbero fatto di me un infallibile detective.

Così, nonostante il pancione e nonostante le proteste del mio compagno, cominciai a passare la maggior parte del mio tempo in Questura, un po' a seguire il corso di Linguaggio del corpo, un po' a organizzare il mio nuovo ufficio e la mia nuova squadra. L'Ispettore Santinelli mi seguiva in maniera servizievole e arrendevole, e tutto sommato non potevo lamentarmi di lui. Non potevo chiedere di avere a disposizione una Lamborghini come quella che avevamo su a Imperia, ma ottenni di far montare su un'Alfa 159 un computer simile a quello che tanto ci aveva aiutato nell'indagine di Triora. Istruii un po’ Santinelli sul suo utilizzo e lo feci anche iscrivere a un corso avanzato di tecnologia informatica, anche se ero convinta che non si potesse pretendere più di tanto da lui.

Passò il Natale, passò il Capodanno e passò anche il Carnevale. Il tempo passava veloce, tra mille impegni, e il pancione era sempre più ingombrante, la bambina scalciava dentro di esso e la sua presenza si faceva sentire sempre di più. Pertanto all'inizio di Marzo, nonostante le previsioni di Mauro, decisi che era tempo di calmarsi, ritirarsi in buon ordine e aspettare l'evento.

Ma, per non staccarmi del tutto dal lavoro, feci installare in casa un PC con tanto di webcam e potente connessione a banda larga. Imparai in breve ad avviare videochat con i miei amici, in particolare con Clara e Mauro, e lunghe videoconferenze con Santinelli, per controllare come andassero avanti le cose nel mio nuovo ufficio. Avevamo ormai una buona organizzazione. Ci eravamo ricavati la nostra sezione in una piccola ala della Questura, poche stanze, quattro in tutto, ma dotate di tutte le più moderne tecnologie. La stanza degli interrogatori era isolata acusticamente e dotata di videocamere e microfoni che permettevano di seguire da una stanza remota ciò che succedeva lì dentro. Il mio ufficio, per il momento era occupato da Santinelli, al quale avevo imposto di tenere sempre il computer acceso con la webcam attiva in modo di poter controllare il suo operato. La squadra era composta da altri tre colleghi giovani e davvero in gamba. La sovrintendente Roberta Gualandi era la più giovane, molto determinata e appassionata al lavoro che aveva scelto. L'Ispettore Andrea Rosati se la cavava bene sia con i computer per le ricerche on line, sia nel lavoro sul campo. L'Agente Scelto Gaetano Perrotta, di origini calabresi e da poco trasferitosi in Ancona, aveva una spiccatissima intelligenza, era un attentissimo osservatore e aveva fatto tesoro delle nozioni apprese durante il corso di Linguaggio del Corpo e Prossemica. Eravamo pronti ad affrontare qualsiasi indagine e mi ritrovai a seguire il nostro primo caso, riguardante un ragazzo scomparso, dal monitor del mio PC, cosa che, fino a qualche giorno prima, non mi sarei mai immaginata.

 

Una mattina si erano presentati in Questura i genitori di un ragazzo di diciannove anni, di nome Thomas Vindici, preoccupati che il giovane dalla sera prima si era allontanato da casa e non avevano avuto più notizie di lui. Il cellulare era spento, e non si sapeva che fine avesse fatto. Seguii con attenzione quanto diceva loro l'Ispettore Santinelli, sperando di non dover intervenire facendo sentire la mia voce dagli altoparlanti del PC.

«Il ragazzo è maggiorenne e manca da casa solo da ieri sera. Mi sembra un po' presto per fare una denuncia di scomparsa. Avete provato a casa degli amici o nei luoghi che frequenta di solito?» esordì Santinelli.

«Sì, non è a casa di nessuno degli amici che conosciamo. Ha avuto una discussione con la sua fidanzatina ieri sera a casa nostra, anche lei non sa dove può essersene andato e inoltre si è chiusa in se stessa e non vuol neanche dire il motivo del loro litigio. Thomas ha sbattuto la porta uscendo. Samantha, così si chiama la ragazza, ha provato a inseguirlo ma lui ha inforcato lo scooter ed è sparito prima ancora che lei potesse parlargli», disse la madre del ragazzo, mentre il padre rimaneva piuttosto taciturno e lasciava parlare la moglie.

«Beh, una ragazzata, magari se ne andato a bere qualche bicchiere di troppo per dimenticare la litigata e quando avrà smaltito la sbronza troverà la strada di casa.»

«No, Thomas non è il tipo, non beve alcolici, è un bravo ragazzo, e questa è la prima volta che si comporta così», insistette la madre.

«Facciamo così, senza fare denunce di scomparsa, per ora, avviamo qualche discreta indagine. Procuratemi una recente foto di vostro figlio e io la passerò alle Volanti. Rosati, tu cerca di tracciare il cellulare del ragazzo. Tu, invece, Roberta, vai a casa dei signori e dai una sbirciata al PC, soprattutto e-mail, conversazioni salvate di Messenger, insomma tutto quello che ci può essere utile per capire dove si possa essere rintanato questo ragazzo. In più, con delicatezza, cerca di interrogare la ragazza, Samantha, ma non insistere più di tanto, è minorenne.»

Tutto sommato, sembrava che Santinelli se la cavasse e tirai un sospiro di sollievo. In quel frangente non avrei saputo fare di meglio e quello che aveva proposto era sensato.

Qualche ora dopo, i due colleghi fecero di nuovo la loro comparsa in ufficio. Rosati non aveva notizie confortanti, il cellulare di Thomas non era rintracciabile, di sicuro aveva tolto batteria e carta SIM, il che faceva capire che il ragazzo non era uno sprovveduto. Qualche notizia in più arrivava da Roberta.

«Niente di interessante sulla partizione del PC riservata al ragazzo. Ho anche dato un'occhiata al suo profilo Facebook, e anche lì non ho trovato nulla. Quello che invece ho notato, e che ha fatto scattare un campanello d'allarme nella mia testa, è che sulle cartelle utente riservate al Signor Vindici, il padre del ragazzo, ce n'è una il cui contenuto risulta protetto da password. Non è stato difficile per me bypassare la protezione e accedere al contenuto della cartella, dove è memorizzata una serie di immagini, più di millequattrocento, raffiguranti donne che fumano.»

«Foto pornografiche?» intervenni io per via telematica, richiamando l'attenzione dei colleghi in ufficio.

«Non proprio. Sì, qualche immagine di nudo, ma sempre e comunque donne giovani, belle e con la sigaretta in mano o in bocca. Molti primi piani di tali donne, spesso che aspirano o esalano fumo, o che sono avvolte da una nuvola azzurrina o biancastra.»

«È un feticista. Con tutta probabilità i rapporti con la moglie sono molto sporadici o assenti e lui trova la soddisfazione sessuale davanti a queste immagini. Ma fin qui, niente di male, direi, se non il ritratto di una famiglia un po' disgregata.»

«E ha ragione, dottoressa. Ho cercato di indagare con discrezione sui rapporti tra Giorgio Vindici e la moglie Elisabetta. In pratica sono separati in casa, dormono in stanze separate e non hanno rapporti tra loro da molto tempo. Cinque o sei anni fa, la donna è stata molto male e ha subito un importante intervento chirurgico, un trapianto di fegato. I due già da tempo non andavano molto d'accordo, e la donna prese l'occasione al volo per dire che, siccome stava facendo una terapia immunosoppressiva, indispensabile per non rigettare l'organo trapiantato, doveva stare isolata per non rischiare di prendersi neanche un raffreddore. Da quel tempo si è trasferita in un'altra stanza e non ha dormito più con il marito. Quest'ultimo non se l'è mai sentita di lasciarla e, per rispetto, per paura o per timidezza di carattere, non si è neanche mai fatto un'amante. E quindi il suo sfogo naturale lo avrà trovato davanti alle immagini che ha salvato sul PC.»

«Una personalità un po' complessa. Quand'è così c'è anche poco dialogo in famiglia. Ma tutto questo ci è di poco aiuto per ritrovare Thomas.»

«D'accordo. Se non che ho scoperto che la ragazza, Samantha, oltre a essere ribelle, anticonformista e trasgressiva, è una bella fumatrice per l'età che ha. Come le metterebbe in relazione lei queste cose con il vizietto del papà di Thomas?»

«Credi che il Signor Giorgio non abbia resistito e abbia importunato la ragazza?»

«Credo. E credo che magari il figlio lo abbia colto in flagrante. E per questo se n'è andato sbattendo la porta.»

«Prima di giungere a conclusioni affrettate, vorrei rendermi conto di persona dei profili di Giorgio e di Samantha. Possiamo convocare il signor Vindici. Voglio che sia interrogato da Perrotta e voglio seguire l'interrogatorio. Per quanto riguarda la ragazza, andrai tu, Roberta, a fare quattro chiacchiere con lei a casa sua. Portati il palmare e attiva la videochiamata in modo che possa fare un'analisi del suo carattere e sentire quello che ha da dire.»

Dopo circa tre quarti d'ora, il signor Vindici fu introdotto nella sala degli interrogatori. Perrotta lo lasciò da solo per un bel pezzo in modo da poter studiare i suoi atteggiamenti attraverso la videocamera alla luce di quanto avevamo appreso al corso di Linguaggio del Corpo. Io potevo vedere su metà dello schermo del mio PC la saletta degli interrogatori e sull'altra metà il mio ufficio, al momento occupato da Santinelli. Il signor Giorgio era in apprensione, molto nervoso, strizzava gli occhi, sollevava le palpebre, giocherellava con qualsiasi cosa gli capitasse sotto mano, a partire dal suo orologio, per continuare con qualsiasi oggetto trovasse nella stanza. Ma quello che colpiva di più era che i suoi piedi erano sempre rivolti verso la porta d'uscita o l'unica finestra della stanza, insomma verso una via di fuga, come ci avevano insegnato al corso. Non vedeva l'ora di andarsene di lì. Perrotta lo tenne abilmente sulle spine per circa venti minuti, poi entrò nella stanza.