Dal Vangelo Secondo Giuda

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«Shasa!» tuonò d’improvviso una voce autoritaria. «Accidenti, ti ho detto almeno mille volte che non devi venire qua da sola. Sei troppo testarda, se continui a trasgredire le regole prima o poi dovrò cacciarti dal gruppo! Non possiamo rischiare di farci scoprire soltanto perché tu devi assecondare la tua assurda mania, possibile che tu non arrivi a capirlo?»

Il fumo le era andato di traverso e le usciva dal naso mentre tossiva, i grandi occhi color nocciola si erano fatti scintillanti a causa delle lacrime represse.

«Ma come fai a saperlo? Per caso mi hai spiata?» replicò lei sorpresa.

«Che cos’hai hai tra le dita?» le chiese Freddy senza rispondere alla sua domanda.

«Lascia perdere,» rispose lei con la voce strozzata, «dove sono gli altri piuttosto? Ogni volta arrivano sempre più tardi, forse non hanno compreso appieno l’importanza del nostro compito.»

«Sono solo» rispose l’imponente figura dai capelli mossi continuando a scrutarla severamente da dietro il massiccio tavolo di legno, sul quale erano poggiati un computer e vari dispositivi ad alta tecnologia. «E poi, dove diavolo sei stata in tutti questi giorni? Ti ho cercata in tutti i posti convenzionali per avvisarti di non venire qua, sai bene che dobbiamo fare in modo di essere sempre reperibili.»

«Ma perché, che è successo?» domandò lei abbandonando per un attimo abbandonò i suoi modi spavaldi. Quando assumeva quell’espressione, se non fosse stato per le striature rossastre sui capelli lisci e scuri, e per una lieve asimmetria di un dente incisivo che le donava un aspetto dolce, avrebbe dimostrato ben più dei suoi ventidue anni.

«Dobbiamo andarcene subito da qui, presto verrà Andy a portare via tutto il materiale.»

«Va bene, ma vuoi deciderti a dirmi che cosa è accaduto?» chiese di nuovo Shasa.

«Ero finalmente riuscito a penetrare nell’Archivio Storico usando un Cavallo di Troia, ma mentre stavo leggendo alcune informazioni riservate sul “Giorno della Rivelazione” e sulle Antenne, qualcun altro si è connesso a sua volta facendo scoprire la violazione. La protezione è stata immediatamente restaurata, se prima lo sospettavano soltanto adesso sanno con certezza che esistiamo. Ci faranno una caccia spietata per tutta la città, per un po’ dovremo stare molto attenti e non potremo vederci né sentirci. Dovremo portare avanti ognuno i propri compiti senza avere alcun contatto con gli altri, sarebbe troppo pericoloso. E adesso dobbiamo filarcela alla svelta, questo sarà sicuramente uno dei primi posti che verranno a controllare.»

«Accidenti,» fece lei storcendo la bocca delusa, «proprio adesso che avevo trovato qualcosa di interessante.»

Fred la rimproverò con lo sguardo, lei si strinse nelle spalle.

«Sappi bene che questo è un ordine, e stavolta cerca di non fare di testa tua o trascinerai tutti quanti nei guai. Pensa a cosa stiamo rischiando, se scoprissero l’identità anche di uno solo di noi avremmo buttato via anni di lavoro... la Setta verrebbe spazzata via come un misero castello di carte.»

«E il Piano?» chiese Shasa guardandolo perplessa.

«Il Piano lo attueremo, ma non adesso. Ci serve ancora un po’ di tempo, ma non appena saremo pronti troveremo il modo di far saltare le Antenne. Quella è la cosa più importante, poi, se avremo lavorato bene, il resto verrà da sé.»

«Come faremo per incontrarci?»

«Quando verrà il momento, Tony attiverà la solita catena. Per ora non possiamo fare diversamente, dobbiamo aspettare.»

«Ma se non possiamo venire più qui, allora il nostro centro operativo cambierà?»

«Lo scopriremo soltanto più avanti, quando sarà il momento di rivederci.»

Shasa si guardò intorno dispiaciuta, dover abbandonare quella vecchia fabbrica in disuso la rattristò.

«Avanti, ora dobbiamo proprio andarcene. Stare qui diventa più pericoloso ad ogni minuto che passa» la esortò Fred cingendole un braccio intorno alle spalle, per spingerla verso la porta.

«Vedi di portare a termine i tuoi esperimenti sugli esplosivi» aggiunse, «ma fai in modo che mai, per nessuna ragione, qualcuno possa sospettare qualcosa.»

«Aspetta un attimo!» esclamò la ragazza puntando i piedi. Corse all’armadio, prese alcuni pacchetti di sigarette e se li infilò nella maglietta, poi chiuse la porta e si mise la chiave in tasca. Dette un’ultima malinconica occhiata in giro, dopodiché spense la luce e si avviò all’uscita.

Nicole non riusciva a stare ferma, il pancione le impediva di trovare una posizione comoda. Era seduta per metà sulla poltrona regolabile della sala d’aspetto vuota, con le gambe distese in avanti, per tentare di distrarsi continuava a sfogliare nervosamente una rivista senza leggerla. Avrebbe voluto potersi finalmente sfogare, mettere da parte paranoie e sentimenti per lasciarsi andare a un lungo pianto liberatorio, senza più pensare a niente. Ma sapeva che da un momento all’altro sarebbero arrivati loro, e lei non intendeva farsi sorprendere con le guance rigate dalle lacrime. Non voleva conceder loro questa ulteriore soddisfazione, voleva scacciare rimorsi e paure per poter guardare dritto in faccia quegli uomini malvagi, per mostrar loro tutto il suo disprezzo. Aveva dovuto accettare di prestarsi al loro folle progetto per proteggere le persone che amava, ma non era sicura che ciò che stava facendo fosse la cosa giusta. I suoi cari non avrebbero neanche saputo che si era sacrificata per loro, gli avrebbe lasciato in eredità soltanto delle vuote menzogne. Aveva dovuto continuare ad alimentare in loro la speranza che tutto sarebbe andato bene, che sarebbero tornati e essere la famiglia felice e perfetta di sempre, quando in realtà sapeva benissimo che non era vero. E ciò che più di tutto le faceva male era non aver potuto salutarli come avrebbe voluto, sebbene fosse consapevole che non li avrebbe mai più rivisti.

«Lieto di rivederla» esordì il dottor Lorentz affacciandosi alla porta. Le sue labbra, dischiuse in un sorriso compiaciuto, lasciavano scoperti i denti gialli e affilati. E’ davvero viscido come un ratto, pensò lei guardando disgustata i suoi capelli unti, che cominciavano a ingrigirsi sulle tempie.

«Avanti, mi segua!» si affrettò a ordinarle brusco lui, era risentito per il biasimo che aveva letto in quello sguardo. Lei si alzò con fare indolente, lasciò cadere a terra la rivista tanto per fargli un dispetto e lo seguì a testa alta. Entrarono nell’ambulatorio e oltrepassarono la porta nascosta per passare nella stanza segreta, lì Sir Jonathan e il dottor Lorentz avevano approntato la sala parto, convinti che avrebbero potuto agire indisturbati. Sir Jonathan li stava aspettando seduto in un angolo, ansioso ed emozionato, cercò il suo sguardo ma lei lo ignorò. Tirò dritta fin dietro il separé, indossò faticosamente il camice e andò a distendersi nel lettino, cercando con tutte le sue forze di non pensare a niente. Il dottore collegò vari sensori al corpo di Nicole ed effettuò un ultimo controllo.

«Deve pazientare ancora un po’, signora » la informò in tono confidenziale, per renderla partecipe di quell’assurda atrocità. Al termine del check-up le infilò un ago nell’avambraccio e aprì la valvola della flebo, il blando anestetico prese a scivolarle nelle vene goccia dopo goccia. Nicole cominciò a sentirsi intontita, in quel preciso istante capì il significato della parola “odiare”.

«Non ha niente da temere, vedrà che tutto andrà per il meglio» la rassicurò il dottore vedendo che la donna stava per cedere al panico. L’Anziano osservava estasiato quanto stava accadendo, era intento a registrare mentalmente ogni più piccolo particolare con un’avidità maniacale. Per lui si trattava di un momento unico, uno dei tanti che avrebbe contribuito a incidere per sempre il suo nome nel Grande Libro della Storia dell’Umanità.

«Deve sentirsi orgogliosa di essere stata scelta per il Progetto Cielo, non può avere la più pallida idea di quante fossero le candidate. E deve ritenersi fortunata, tra poco potrà incontrare Dio in persona» disse a Nicole. Lei chiuse gli occhi e non rispose, le contrazioni si stavano facendo sempre più frequenti e il dolore non lasciava più spazio neanche ai pensieri, adesso doveva semplicemente fare il proprio dovere nei confronti della Natura. Non le concessero di tenere in braccio suo figlio neanche per un attimo, la caricarono in fretta su di un’ambulanza per trasportarla in ospedale.

Pur non condividendo la scelta di Nicole di andare fino in fondo, Giuda si era costretto ad accettarla e si era inutilmente sforzato di starle il più vicino possibile. I suoi nervi erano ormai completamente logori, anche quella mattina aveva lasciato l’ufficio con una scusa perché là dentro si sentiva soffocare. Anche se col tempo aveva quasi imparato a controllarsi, talvolta era ancora colpito da saltuarie paralisi a causa dell’instabilità emotiva. Ma ogni volta che il chip interpretava l’eccesso di adrenalina nel suo sangue come una minaccia per sé stesso o per gli altri, interveniva spietatamente per metterlo in stand-by. Qualche tempo prima era stato colto da una crisi mentre era alla guida dell’auto, rendendosi conto che aveva rischiato di fare una strage era corso a far installare il Computer Direzionale, una sorta di pilota automatico. Percorrendo i viali lungo la costa, ornata dai prati ben curati e da snelli palmizi lievemente ondeggianti, si rese improvvisamente conto che era arrivata l’estate. Desiderò con tutto sé stesso trovarsi all’interno di uno di quei corpi rilassati,che si godevano il tepore del Sole attraverso il Filtro Deviante. Si tuffavano nell’acqua cristallina e dopo qualche istante riemergevano per nuotare in mezzo a un mosaico di vele colorate, palloni da sub e tavole da surf. Il suo cercapersone vibrò d’improvviso, lui puntò l’auto e accelerò prontamente in direzione dell’ospedale.

 

Giuda era ancora aggrappato all’esile speranza che tutto potesse andare bene, ma era più per amore di Nicole che non perché ci credesse davvero. Stava aspettando il verdetto davanti alla porta del reparto, inspirando profondamente per cercare di controllare i crampi alle gambe, che lo facevano barcollare. La porta si aprì e l’ostetrica gli venne incontro con passo lento, scuotendo la testa e senza guardarlo negli occhi. Lui si rese conto di non aver udito alcun vagito e sentì il mondo crollargli definitivamente addosso.

«Nicole!» disse dopo qualche istante, scuotendosi dallo choc che lo aveva come imbalsamato. «Devo vedere la mia Nicole.»

«Per adesso non è possibile, deve riposare perché è molto provata» gli spiegò l’ostetrica porgendogli il bicchiere d’acqua che aveva preso dal distributore automatico.

«Ora si sieda là e cerchi di restare calmo» gli suggerì prendendolo per un braccio, voleva accompagnarlo verso una fila di poltroncine.

«Non posso stare qui... devo vederla, devo andare a confortarla» insisté lui con le lacrime agli occhi. Si svincolò dall’infermiera e cercò di dirigersi verso l’ingresso del reparto, la donna fece un cenno ai due Signori dell’Ordine di guardia e questi gli sbarrarono il passo. Giuda cercò di passare con la forza e loro finsero di lasciarlo andare, poi lo immobilizzarono da dietro e lui sentì un ago penetrargli nel braccio. Gridò e cercò di divincolarsi ancora per un secondo appena, quando riaprì gli occhi si trovava disteso su una lettiga. Si sentiva ancora intontito dal sedativo e tutte le sue percezioni erano distorte, i Signori dell’Ordine lo accompagnarono da sua moglie sorreggendolo per i gomiti perché non riusciva a stare in piedi. Appena la porta si aprì, gli occhi gonfi e cerchiati di viola di Nicole si illuminarono, tutto sommato si sentiva sollevata perché era tutto quanto finito. Quello che accadde dopo, Giuda lo visse come in un sogno, con i contorni delle cose sfuocati e i suoni che gli echeggiavano nella testa. Si inginocchiò a fianco del letto e prese tra le sue la mano di sua moglie, che pendeva di lato.

«Lasciateci soli» mormorò. L’infermiera e i Signori dell’Ordine uscirono, lui si sporse su di lei sforzandosi di trattenere le lacrime. Le carezzò il viso e le scostò i capelli ancora bagnati dal sudore, che le stavano disordinatamente appiccicati sulla fronte e sul collo. Le vene erano ancora dilatate per lo sforzo e qualche capillare si affacciava ora sulle guance vellutate, a striarle di blu, un macchinario emetteva periodicamente un lugubre “bip”.

«Come ti senti?» le chiese, lei sorrise lievemente per fargli coraggio.

«E’ andata male, ma non potevamo farci niente. Sono felice di averci provato e di essere rimasta nel giusto... anche così, con gli occhi chiusi, il nostro bambino era bellissimo... ma adesso sento freddo, tanto freddo.»

«Non parlare, non devi sforzarti... appena uscirai di qui ti porterò al mare» disse lui sfregando forte la sua mano gelida, poi le tirò su il lenzuolo fino al collo. «Vedessi com’era bello, stamani, così azzurro e calmo. E poi ce ne andremo anche in montagna, davanti al nostro caminetto, a bere l’Abetello. Ci scalderemo a vicenda e staremo stretti stretti. Porteremo con noi anche Jodie, in queste ultime settimane non le siamo stati molto vicini...»

«Non mentire, lo sai che tutto questo non accadrà » lo rimproverò lei.

«Ma cosa stai dicendo?» replicò lui stringendo ancora più forte la sua mano, che si stava facendo sempre più fredda.

«Spero solo che un giorno mi perdonerai per avervi abbandonato. Sai, poco fa ho visto un prato bellissimo, c’era una porta aperta a spiraglio dalla quale usciva una luce intensa. In lontananza c’era lui, e poi ho visto anche i miei genitori e molte altre anime. Erano vestite di tuniche candide, che odorano di profumi così meravigliosi che prima non avevo mai sentito niente di simile.» Il “bip” accelerò e lei ebbe un sussulto, ma continuò a sorridere guardando un punto invisibile.

«Non dire sciocchezze, vedrai che tra un po’ starai meglio» avrebbe voluto dirle Giuda, ma le parole gli morirono in gola. Si girò e fece un cenno all’infermiera, che li guardava attraverso il vetro senza avere il coraggio di entrare, Nicole aprì bocca come se volesse dirgli qualcosa, ma tacque.

«Ti prego, non lasciarmi solo!» la implorò lui.

Lei raccolse le poche forze che ancora le restavano, ormai respirava a fatica.

«Non sei solo, hai Jodie. Promettimi che la proteggerai sempre e che rispetterai la Legge. Promettimi che farai di lei una persona giusta, una persona onesta... io e il bambino veglieremo su di voi da lassù, vi aspetteremo insieme. Promettimelo ripeté.»

«Te lo prometto, te lo prometto, ma tu non lasciarmi. Non lasciarmi, ti prego... infermiera... infermieraaa!»

Di colpo, Giuda si accorse di non avere più voglia di niente. Un dolore sordo lo aveva precipitato in un baratro fatto di ricordi confusi e sensi di colpa, fino ad annientarlo completamente. Jodie aveva smesso di mangiare e di parlare, tutto ciò che faceva era continuare a fissarlo in silenzio, con quella sua espressione perennemente triste, e lui non si sentiva forte abbastanza per riuscire a consolarla. Era pienamente consapevole che il Sistema non gli avrebbe lasciato crescere sua figlia da solo, se non avesse trovato in fretta una nuova compagna avrebbero ibernato lui e affidato Jodie a un’altra famiglia. Quindi, pur sapendo che non sarebbe mai riuscito a dimenticare Nicole, tentò comunque di ricominciare, per impedire che il destino gli portasse via anche sua figlia. Si sarebbe accontentato di trovare una brava donna che lo aiutasse a far sentire mia figlia meno sola, ma ogni volta che ne conosceva una tornava a rendersi conto che nessuna, mai, sarebbe riuscita a colmare il vuoto lasciato da sua moglie. Quindi ogni volta si ripeteva il solito assurdo rituale: Giuda si allontanava con una scusa e tornava a casa, dove trascorreva il resto della notte a guardare vecchie fotografie in compagnia di Jodie, piangendo.

PARTE III

L’ALIENO

A causa della precipitosa discesa attraverso l’atmosfera terrestre, il grande disco metallico dorato si era arroventato fino a diventare di un colore rosso incandescente. L’umanoide si affacciò all’oblò e osservò scioccato l’immensa distesa di terra arida e inospitale, sormontata a malapena da qualche protuberanza di roccia di colore chiaro.

Sono finito nel bel mezzo di un deserto si disse sconfortato, subito dopo tornò alla console di comando e prese a digitare freneticamente su qualcosa di simile a una scacchiera. “Motori di spinta primaria fuori uso causa mancanza di energia. Tempo di carica delle batterie con una sola stella, quantificato in trentaquattro anni terrestri. Temperatura delle strutture in fase di assestamento”, significavano i segni cuneiformi che comparvero sullo schermo giallo. Deluso, l’Alieno si disinteressò al computer e tornò a guardare oltre l’oblò nella speranza che gli venisse un’idea, ma si arrese subito. Sul suo pianeta, l’energia luminosa fornita dalle tre stelle avrebbe ricaricato le batterie in pochissimo tempo. Ma sulla Terra c’era un Sole soltanto, lui non aveva modo di amplificare l’effetto dei suoi raggi sui ricettori della navicella spaziale, non disponeva del materiale né degli strumenti necessari. Si rese conto che il problema era palesemente irrisolvibile e sui si rassegnò all’idea di aspettare passivamente trentaquattro lunghi e noiosi anni terrestri. Ebbe un moto di stizza e tornò a interrogare il computer, per avere i dati dell’Analisi Ambientale.

“Temperatura esterna 40 gradi terrestri. Quantità di luce nettamente insufficiente al fabbisogno energetico. Atmosfera costituita di Azoto, Ossigeno, Carbonio, umidità percentuale tendente a zero. Probabilità di sopravvivenza in questa zona del pianeta inferiore al tre per cento, causata dalla scarsità di acqua e della concentrazione minima di Anidride Carbonica sovrastata dall’alta percentuale di Ossigeno libero. Tempo limite di permanenza nell’ambiente esterno stimato in dieci giorni terrestri. Fasi successive conseguenti a un’esposizione eccessiva all’ambiente esterno: deficit energetico, immobilizzazione, stato prolungato di subcoscienza, perdita totale di coscienza, decesso dovuto a progressivo avvelenamento. Soluzione consigliata: Trasferimento Corporale. Fine rapporto” sentenziò il cervellone, impietoso. L’Alieno si lasciò scivolare con la schiena lungo la parete, lentamente, finché si ritrovò seduto con le braccia giunte intorno alle gambe esili. Ripensò al documentario inerente al Pianeta Terra, uno dei tanti che aveva visto durante la lunga traversata spaziale, e chinò la testa depresso.

Con tutti i mondi abitati che esistono, sono finito proprio sul pianeta popolato dalla più stupida tra le razze in via di evoluzione! Non dispongono di una tecnologia in grado di aiutarmi, per di più sono estremamente superstiziosi e privi di qualsiasi apertura mentale. Se mi vedessero in queste sembianze mi considererebbero un mostro, non esiterebbero a uccidermi all’istante. Non ho modo di cercare un luogo più vivibile, ma se anche lo trovassi non riuscirei a stare nascosto per tutto quel tempo. Non ho altra scelta che effettuare il Trasferimento Corporale. Dovrò trasformarmi in uno di loro e per molti anni sarò vulnerabile, almeno fin quando la coscienza di me non riprenderà il sopravvento. Per riuscire a sopravvivere per tutto quel tempo in un mondo così incivile avrò bisogno di una buona dose di fortuna, ma per allora le batterie saranno cariche e potrò ripartire alla volta di Igos. No, non ho altra scelta... allora tanto vale che lo faccia subito!

L’essere si recò nel piccolo laboratorio e aprì un cassetto refrigerato contenente alcune provette trasparenti, tirò giù una piccola sonda da una nicchia ricavata nel soffitto e allungò il tubo flessibile fluorescente al quale era collegata. La calò nel settore recante la scritta “Razza Umana Esemplare Maschile”, pochi istanti dopo la sonda determinò qual’era il sottogruppo di spermatozoi più adatto ai suoi scopi. L’Alieno pensò per un attimo all’essere dal quale erano stati estratti, l’ultima volta che l’aveva visto giaceva privo di vita nel giardino del suo palazzo, ormai ridotto in macerie annerite dalla furia distruttiva della guerra. Non riuscì a provare pena per lui neanche quando gli tornarono alla mente i suoi occhi tristi, che lo fissavano increduli da dentro la gabbia del suo zoo personale. Per lui, quello era soltanto un essere inferiore che una sera era stato portato via dal suo piccolo e insignificante mondo, senza capire il come né il perché. Il pensiero di doversi trasformare in un simile stupido animale suscitò in lui una profonda rabbia, continuò a fissare il vasetto selezionato dalla sonda senza riuscire a decidersi, quasi tentato di distruggerla. Sospirò ripetutamente finché riuscì a calmarsi, allora andò a deporre con gesti cauti la provetta su di un piano metallico. Toccandola in un punto particolare, stimolò una ghiandola che aveva al centro del petto, per provocare l’apertura dei petali posti a protezione dell’infiorescenza. Usando uno strumento a forma di cucchiaio prelevò un campione del proprio seme e lo sistemò il seme in un contenitore che posò accanto al primo, poi coprì entrambi con due piccole semisfere collegate tra loro attraverso un macchinario. Questo svolse rapidamente il proprio compito, emettendo una luce violacea.

“Procedura correzione cromosomica e potenziamento patrimonio genetico terminata” annunciò il computer dopo qualche istante. L’Alieno annuì e andò a sedere su una poltrona circondata da cavi e circuiti, indossò un casco su cui era impiantata una moltitudine di elettrodi e digitò un codice sulla piccola tastiera che aveva indossato all’avambraccio. Dopo pochi istante cadde in uno stato di trance, una serie infinita di immagini e avvenimenti gli attraversò la mente per un tempo che gli parve non finire mai, provocandogli gioie e sofferenze in successione confusa, poi la folle corsa dei ricordi arrivò al capolinea e lui si sentì svuotato.

“Procedura di trasferimento memoria su clone effettuata con successo”, confermò il computer con voce impersonale dopo un breve ronzio.

Quando si riprese, l’Alieno si sfilò il casco e tornò ancora una volta a guardare fuori, improvvisamente malinconico. Provò lungamente a convincersi che quell’ulteriore supplizio impostogli dal destino avrebbe potuto in qualche modo trasformarsi in un’esperienza positiva, ma non ci riuscì. Si rese conto che continuare a rimuginare sarebbe servito soltanto ad alimentare la confusione che aveva dentro, lo avrebbe portato a disperdere stupidamente energie e a commettere errori irreparabili, con il conseguente rischio di finire la sua esistenza in quella misera landa desolata.

 

Adesso devo soltanto trovare chi mi farà rinascere, considerò imponendosi di tornare alla realtà. Dopo essersi nutrito abbondantemente, recise la maggior parte dei peli piatti e larghi di colore verde di cui il suo corpo era ricco, per ridurre più che poteva la traspirazione. Terminate le operazioni necessarie ad aumentare le sue probabilità di sopravvivenza, fece un resoconto mentale per verificare di non aver tralasciato niente.

L’Anziano era al colmo dell’esaltazione, come sempre si fiondò nell’ufficio di Ann senza curarsi di bussare alla porta, né di rivolgerle il saluto formale.

«A che punto siete con le indagini? Avete identificato la talpa che si è introdotta nell’Archivio Informatico?» le domandò in tono euforico, interrompendo il suo lavoro.

«Non ancora Eccellenza» rispose lei abbassando gli occhi, temeva la sua reazione. Odiava dover subire delle paternali, anche se motivate, ma cercare l’autore dell’intrusione era come cercare un ago in un pagliaio.

«Ci stiamo provando, ma a questo punto dubito seriamente che ci riusciremo perché il responsabile sapeva di certo il fatto suo. Ha usato un terminale pubblico al quale hanno libero accesso molte persone, in modo da non poter essere facilmente rintracciato. Inoltre, a un certo punto il traffico dati si è sdoppiato su due linee separate, come se a violare l’Archivio fossero stati due computer e non uno soltanto.»

«Questo non è affatto confortante,» commentò lui accigliandosi, «spero che lei sia almeno in grado di garantirmi che una cosa del genere non si ripeterà mai più.»

«Di questo potete essere più che certo, Eccellenza. I nostri migliori esperti hanno lavorato duramente per realizzare una nuova barriera contro il rischio di eventuali intromissioni... purtroppo però c’è dell’altro!» aggiunse poi dopo aver deglutito, l’Anziano la guardò preoccupato. «I Servizi di Vigilanza hanno notato i movimenti sospetti di una serie di persone, sembrerebbe che esista una specie di organizzazione che si riunisce in segreto. Non sappiamo ancora quali siano i loro scopi, ma tutto ci lascia supporre che di certo non si incontrano per giocare a Bridge. Li stavano studiando, ma dopo la violazione dell’Archivio Storico sono entrati in stand-by e sono come scomparsi. Questo ci induce a sospettare che i responsabili di quell’atto ignobile siano proprio loro» raccontò. Tralasciò di dirgli del materiale tecnologico che avevano trovato in un covo vuoto, quelle apparecchiature non le avevano fornito alcuna indicazione utile alle indagini e lei non aveva intenzione di subire un’altra ramanzina da parte dell’Anziano. Sir Jonathan si fece pensieroso, quella che Ann gli aveva appena dato era davvero una pessima notizia. Ma per quel giorno aveva deciso non lasciarsi turbare, voleva godersi la gioia per aver appreso che tutte le diverse fasi del suo progetto stavano avanzando nella maniera migliore. Si disse che a disfarsi di un eventuale gruppetto di dissidenti ci avrebbero pensato i Servizi di Vigilanza, lui aveva cose ben più importanti a cui pensare.

«Non mollate la presa, teneteli d’occhio e riferitemi tutto al riguardo» rispose per concedere comunque un po’ di soddisfazione alla ragazza, ma il motivo per cui era andato a trovarla era di ben altra portata. «Tra pochi giorni si terrà la riunione semestrale del Nucleo Ibernazione. C’è una persona che deve essere assolutamente sottoposta al Trattamento affinché non intralci il Progetto Cielo, scelga un nominativo qualsiasi dalla lista che le verrà fornita e lo sostituisca con questo» ordinò porgendole un foglio con su scritto un nome. Lei lo lesse, poi interrogò Sir Jonathan con lo sguardo.

«Si ricordi il giuramento: ”Mai domandare”» l’ammonì lui in risposta. «Faccia il suo dovere come si deve e sarà adeguatamente ricompensata» concluse, poi uscì frettolosamente com’era entrato perché doveva recarsi a dare disposizioni al dottor Lorentz.

Giuda continuava a trascorrere le sue giornate in compagnia di Jodie. Quel giorno erano stati a fare una gita in campagna ma l’avevano vissuta alla stregua di un incubo, come tutte le precedenti. Non avevano fatto nient’altro che camminare per ore guardando nel vuoto, immersi in un silenzio abissale interrotto soltanto dal raro verso di qualche uccello. Durante tutto il viaggio di ritorno lui continuò a chiedersi cosa avrebbe preparato per cena, giunti a casa trovarono due Signori dell’Ordine ad attenderli in giardino.

«Il signor Giuda 1091?» gli domandò uno dei due, leggendo il suo nome da un fascicolo.

«Sono io,» confermò lui in tono apatico, «c’è qualcosa che non va?»

«Niente di grave, siamo stati incaricati di prelevare la bambina» lo informò il soldato senza usare un minimo di tatto, mostrandogli un foglio pieno di timbri.

«… prelevare la bambina?» gli fece eco Giuda, incredulo. Si voltò verso la strada e vide un’anziana coppia uscire da un’automobile posteggiata poco distante dalla sua, lei aveva in mano un grosso pacco colorato e continuava ad ammiccare verso Jodie, sorridendo.

«E’ stata decisa la ricollocazione di sua figlia in una famiglia regolare. Come saprà, soltanto una piccola percentuale delle famiglie incomplete viene lasciata nello stato di fatto» spiegò con professionalità uno dei due Signori dell’Ordine. Jodie scappò immediatamente in strada per sottrarsi a quella specie di sequestro, uno dei militari la inseguì e la riacciuffò un attimo prima che finisse sotto un’auto, poi scortarono entrambi in casa affinché lei potesse prendere le sue cose.

«Non voglio essere portata via!» cominciò d’un tratto a gridare Jodie, scalciando e tirando strattoni al Signore dell’Ordine che cercava di immobilizzarla. «Voglio stare con mio padre... voglio stare con papà!»

Esasperato dal suo pianto, Giuda si scagliò contro i Signori dell’Ordine e lottò con tutte le sue forze, affinché non gli venisse portata via anche lei. Quando riprese conoscenza, scoprì di trovarsi in una camera d’ospedale. Non appena fu certo che era in grado di capirlo, un tizio in camice bianco gli lesse i referti:

«Asociale e depresso, frequenti stati di disordine mentale, cenni di schizofrenia e manie persecutorie... direi che non c’è male! Ma stia tranquillo, la guariremo!»gli disse sorridendo, poi controllò che le cinghie che gli immobilizzavano braccia e gambe fossero ben salde.

Le pareti dell’antico magazzino puzzavano di muffa, alcuni ventilatori appesi al soffitto continuavano a cospargere di polvere le teste delle sei persone riunite attorno al tavolo. Il materiale tecnologico era stato disposto al centro del ripiano tarlato e stonava con il resto dell’arredamento, fatto di vecchi mobili ricoperti di lenzuola e ragnatele.

«Per quanto tempo ancora dovremo continuare a vivere in questo modo, a nasconderci come topi?» sbottò Tony rompendo subito il silenzio. Era alto e magro, abbronzato, i suoi occhi piccoli, tagliati come mezzelune, si accendevano ogni volta che sorrideva o che osservava qualcosa con attenzione. Due fini baffetti neri addolcivano la sporgenza eccessiva del suo naso, lievemente appuntito. Era nervoso nel corpo come nel carattere e meticoloso per natura, ogni volta che c’erano quelle riunioni sbraitava di continuo per ogni nonnulla. Gli altri stavano distrattamente cercando di trovare la posizione più comoda per affrontare l’attesa, che presumibilmente sarebbe stata lunga.

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