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Rinaldo ardito

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CANTO III

I
 
Sforzassi155 alcuno allo inimico porre
Cum forza il freno più che cum ingegno:
Così il vecchio Priamo e il forte Ettorre
Cercavano smorzare il greco sdegno;
Ma in altro modo si sforzò Nestorre
E Ulisse ruinare il troian regno,
Pensando esser, l'un156 saggio, e l'altro veglio,
Vincer cum senno che cum forza meglio.
 
II
 
Così visto ho a' miei giorni157 overo inteso,
Per non dar testimonio il tempo antico,
Esser Francesco re di Francia preso
Per senno più che a forza dal nemico;
E pria doe158 volte innanzi esser difeso
Francesco Sforza da chi gli era amico
Contra esercito159 tanto e tanta boria,
Che forza non potea darli160 vittoria.
 
III
 
Cum la prudenzia i suoi nemici amorza
Alfonso Estense, mio signore invitto,161
Che avendo men che 'l suo nemico162 forza,
Hallo più volte già cum senno afflitto;
In stato è ancora, e non fia mai ch'il torza163
Da quello per timor, per fatto o ditto;
E in casi che niun mai l'aria pensato,
Nel suo seggio signor sempre è restato.
 
IV
 
Io lassarò de Julio i gran litigi
Contra di lui per seguitare il Gallo,
Zanniolo,164 Ravenna, e li vestigi
Lassati alla Bastia per l'altrui fallo;
Lassarò discacciato re Luigi
De Italia fuor, che anche bene Idio sciallo
Quanto el stato de Alfonso allor pendea,165
Scacciato essendo chi lo difendea.
 
V
 
Ma dirò quando per crudel fortuna
Pregion restò Francesco re di Francia,
Che oltra che allor non fu persona alcuna
Che non bagnasse per dolor la guancia,
Io credo che pensasse anco ciascuna
Alfonso più che mai stare in bilancia,
Per essersi sì a lui fedel mostrato
Allor, quanto alcun mai tempo passato.
 
VI
 
Ma cum prudenzia e suo nativo senno,
Oltra ogni fede e pensamento accorto,
Placato ha quelli che pregione il fenno,
Et ha il naviglio suo condutto in porto;
Così far tutti i gran principi denno,
Che vincer fa talor prudenzia il166 torto;
Così cristiani per salvarsi il167 regno
Vincer cercon per forza e per ingegno.
 
VII
 
Io vi lassai che Namo era già mosso
Contra la schiera di Tricardo altiero,
E che Ranaldo taglia insino all'osso
Quanti ne assalta più che giammai fiero;
Gridando tutti ammazza, adosso adosso,
Estrema occision di pagan fero:
Alardo, Ricciardetto e la sorella,
Contra pagani ciaschedun168 martella.
 
VIII
 
Dall'altro canto pur Doranio sorse
All'improviso contra i sarracini,
E lor tal tema nelle vene porse,
Che stimano che 'l ciel tutto rovini;
Fuge ciascun, ciascuno in frotta corse169
Per schifar li nimici a se170 vicini;
Ciascun si pone in tal disordinanza,
Che solo nel fugire hanno speranza.
 
IX
 
Marsilio, Panteraccio e li altri capi,
E Balugante, in fuga universale
Tutti son persi, e restano cum capi
Senza consiglio, e zucche senza sale;
Visti tutti fugir, Ranaldo i capi
Sol ferir cerca, e di lor sol gli incale;
Ai capi, ai capi, grida; e alla sua voce,
De' suoi ciascun mostrossi più feroce.
 
Manca la continuazione
X
 
Non puote pur Fondran tacer, che al fine
Fu forza all'ira rallentare il freno,
E dir: Donque li miei di mie rovine
Son causa? ah Macon falso e di error pieno!
Veggio ch'in te non stanno le divine
Grazie, e quel ben171 che mai non vien a meno;
Piena è tua fede di fantasme e sogni,
Io voglio seguir Cristo a' miei bisogni.
 
XI
 
Allor lo suase il conte umanamente
Che battizar si voglia172 al sacro fonte;
Che invero Orlando fu molto eloquente,
Et agli amici di benigna fronte;
Geloso della Fede, e assai prudente,
E per umilità volse esser conte,
Casto, fedele, paziente e pio,
E fu sempre vivendo in grazia a Dio.
 
XII
 
Milon superbo, Fondrano e Grugnato,
I compagni Arideo e Rosadoro,
I figli di Arimonte dispietato,
Già crudo Urcasto e il fedele Antiforo,
Per il parlar del conte onesto173 e grato
Alla cristiana fe conversi foro;
Cum gran gaudio del conte e di Dio, stimo,
Si battizaro, e fu Fondrano il primo.
 
XIII
 
Galliciana, e tutta la cittade
Fu battizata allor per man d'Orlando,
Egli si affaticò per caritade
Di battizarli, e averli174 al suo comando;
Poi mosso dall'amore e da pietade
Dispose per Fondrano oprare il brando,
E in stato porlo, e però fe' gridare
Che ogni soldato debba in punto stare.
 
XIV
 
E dopo alquanti giorni partir fece
La gente175 di Milone a questa impresa;
Lassar Galliciana ormai gli lece,
Poi che non teme più d'alcuno offesa.
Ma a Feraguto ormai tornar mi dece,
Che già tutta d'amore ha l'alma accesa,
E dalla ciambra ove era uscendo fuori,
Entrò ne un campo pien di vaghi fiori.
 
XV
 
Tutta fiorisce di erbe la pianura
Di colorite rose e zigli piena,
Avea di mirti intorno una verdura
Che vie più ch'altro quella facea amena;
Cinto era intorno di merlate mura,
E da ogni merlo pende una catena;
Ardenti fuochi vi erano in più bande,
Qual piccol, qual mezzano e qual più grande.
 
XVI
 
Volava in quella176 un pargoletto arciero
Quale avea dardi di piombo e di oro;
Quel fuga, questo fa l'amor sincero,
Come diversi da natura foro;
Vola177 il fanciullo per quel piano178 altiero,
E sagitta col stral spesso uno alloro:
Par che ferir quell'arbor179 gli sia grato,
Faretrato, fanciul, nudo, orbo, e alato.
 
XVII
 
Eravi in mezzo un vago carro aurato,
Fatto non di opra umana, anzi divina,
Sol di rubini e di diamanti ornato,
E sopra vi sedeva una regina,
Di dolce aspetto e da ciascuno amato,
Adorna tutta di porpora fina;
Un pomo di or nella man destra avea,
Da un Troian l'ebbe, è questa Vener Dea.
 
XVIII
 
Era di lieta ma di vista altiera,
Cum maniere legiadre e graziose,
Altra stagion non vuol che primavera
Lieta di odori e di fiorite rose;
Odia vechiezza, e sol nella sua schiera
Giovani sono, e lor dame amorose,
Lascivetti animali e verdi piante,
E in somma alcun non vuol che non sia amante.
 
XIX
 
Quattro destrier vie più che sangue rossi,
Qual non si trovan mai nel correr stanchi,
Guidano il carr180 da un dotto auriga mossi;
Senza alcun freno, e senza sproni ai fianchi
Altri li han visti, e fan lor gambe181 e dossi
E code e colli182 più che neve bianchi;
Ma a Feraù, ch'anch'esso fu in quel luoco,
Parveno rossi più ch'ardente fuoco.
 
XX
 
Sol li regge alla voce il saggio auriga,
E tienli e scioglie come cani al lasso;
Nè sempre scorre a un modo il bel quadriga;183
Ma talor corre e talor va di passo;
Nè sempre è il suo camin per una184 riga,
Ma or poggia in alto et or dechina al basso,185
Talor sfrenato va,186 talor modesto,
Or longe corre, et or187 si afferma presto.
 
XXI
 
Per ciascuno una fiata il carro corre,
E mostra, anzi predice a ognun li amori
Quali esser denno, e quanto ognun trascorre,
E quai son fidi e quai falsi amatori;
E chi del suo servir de' frutto corre,
E chi ritrarne sol stenti e dolori,
Chi gran voglia d'amare, e chi non molta
Mostra a ciascuno il carro una sol volta.
 
XXII
 
Pur allor Feraguto188 il vide in mezzo
Cum genti innanzi che facean gran feste;
Et altri vide ch'il seguian da sezzo
Cum occhi lacrimosi e faccie meste;
E questi sono che non trovan mezzo
A far lor voglie ad altri manifeste;
Sperano in vano, e tranno i pregi189 al vento,
Vivono in servitù, moiono in stento.
 
XXIII
 
Ma la turba che innanzi al carro giva,
Che coglie del suo amor qualche mercede,
In ordini diversi si partiva,
E il maritale amor primo si vede;
Questo fra li altri florido gioiva
Di legitimo nodo e pura fede;
Vener li sguarda cum alegra faccia,
E i discordi fra lor a dietro scaccia.
 
XXIV
 
Dopo seguiano i giovinetti amanti,
Che 'l nodo marital disiano insieme,
Che cum bei190 soni e dilettevol canti
Chiamano191192 il frutto del lor sparso seme;
In vaghe foggie e 'n amorosi manti,
E nel farsi estimare hanno ogni speme,
Cum brette torte193 e chioma tanto ornata,194
Che bastarebbe a Spagna innamorata.
 
XXV
 
Poi l'Amor giunto a qualche vituperio
Cum ordine li suoi avea schierati,
Secondo che distinguon l'adulterio
In semplice e composto, i dotti frati;
Chi è saggio noterà tutto il misterio,
Senza ch'a pieno vui da me l'odiati;
Li ordini solo io vi dirò, e l'amore,
Qual li altri seguirà, serà il peggiore.
 
XXVI
 
Prima vedeassi195 il quasi adulterino
Secreto amor di vedovette belle,
Che allo adulterio si può dir vicino,
Perchè ancora al marito obligo han quelle;196
Escusabile amor, che 'l lor destino
Lassolle ahimè! pur presto vedovelle,
Misto cum onestà, suave amore,
Che dal bisogno vien più che dal cuore.
 
XXVII
 
Poi seguian quelli che de' dui solo uno
Amanti avean197 col nodo maritale,
Che è semplice adulterio; e se ciascuno
Di essi ha quel nodo è poi composto male;
Composito adulterio a presso alcuno
Si chiama, errore a li animi mortale;
Questi seguian dapoi, tinti d'amore,
Che più grato il piacer fa che l'onore.
 
XXVIII
 
Seguivano dapoi li innamorati
Chierichi, preti et altri sacerdoti,
Vescovi, papi, cardinali e frati
Cum colli torti et abiti devoti;
Che dapoi che han li articul predicati,
E della Fede esposti i sensi ignoti,
Aman le suor cum tristo desiderio,
E ciascuno ha la sua nel monasterio.198
 
XXIX
 
Segue dapoi uno amor falso e reo,
Che accader suol, come tra figlio e madre,
Come Fedra per cui stracciar si feo
Ippolito sue membra alme e legiadre;
Come Canace amò già Macareo
Carnal fratello, o come Mirra il padre;
Sfrenato amore, e senza alcuna legge,
Che sol cum morte e strazio si corregge.
 
XXX
 
Poi si vedeano a schiera199 i pediconi,
Che sotto al mento altrui tenean la mano,
E nelle lonze cercano i bocconi,
E per stretto senter trovano200 il grano;
E innanzi loro i patici gargioni
Stavano in atto disonesto e strano,
E di essere ciascun quel ch'appunto era,
E questi e quei mostravano alla ciera.
 
XXXI
 
Seguian dapoi quelli appetiti ingordi,
Privi d'umana e natural modestia,
Di vista ciechi, e di audienzia sordi,
Che amano boi o d'altra sorte bestia;
Privi de ogni ragion, sfrenati e lordi
Da indur sin nello inferno ira e molestia:
Pasifae la guida era fra loro,
Che senza freno si soppose a un toro.
 
XXXII
 
Veder si vi poteano anco altri amori,
Come già di se stesso ebbe Narciso;
Di donna in donna, e di masturbatori,
Ma son più che da dir da gioco e riso:
Ma pur vi n'era uno altro fra' maggiori,
Che chiuder fa le porte in paradiso,
Come è tra circumcisi e noi cristiani,
O siano ebrei o ver macomettani.
 
XXXIII
 
Queste cum altre cose ch'io non narro,
Che longo fora a ben narrarvi il tutto,
Vide dinanzi a quello aurato carro
De Vener bella Ferraù condutto;
Nè già scrivendo favoleggio o garro,
Turpino il scrisse, ed egli a ciò m'ha indutto:
E scrive ancor, che Feraguto allora
Restò come de ingegno e sensi fuora.
 
XXXIV
 
Umil divenne il cavalier feroce,
Qual pecorella o mansueto agnello,
Tutto a Venere offerse il cuore atroce,
Nè d'altro che d'amar desidra quello;
Or può domarlo una feminea voce,
Un legiadro sembiante, un viso bello,
Quel che non puote201 mai asta202 nè brando:
Ma qui vi lasso, e a voi me aricomando.
 

CANTO IV

I
 
Chi spenger può la Fada a Amor nemica,
Ai piacer suoi e al suo gioioso regno,
Fassi la madre sua Venere amica,
E modo trova ad ogni suo disegno;
Ma sol la pazienzia e la fatica
Pon far l'amante di tal grazia degno:
Queste son l'armi vere e scuto203 e spada,
Che estinguer ponno la nemica Fada.
 
II
 
Io vi lassai il franco Feraguto
Cum gran fatica e summa pazienza
Innanzi al carr di Citerea venuto,
A cui prostrato fece riverenza;
Vener dapoi che allor l'ebbe veduto
Cum tanta umilitade a sua presenza,
Accarecciollo assai, e come Dea
Previde quel che per lei fatto avea.
 
III
 
E volta a lui cum suave guardatura,
Felice nell'amor, disse, serrai,
Poi che la strada mia fatta hai sicura,
Lieta e propizia a te sempre mi arai;
Nelle trame de Amor lieta ventura
Sempre, baron, vivendo troverai;
Che un ver servo d'Amor giamai non cade,
Cum fatica, pazienzia e umilitade.
 
IV
 
E allor la Diva graziosamente
Basar gli fece il bello aurato pomo,
Quello ch'in man tenea, se ancor vi è a mente,
Che far puote in amor felice l'uomo;
Gran virtude da quello204 e grazia sente
Chi in servitù d'Amore al giogo è domo,
E baccia il pomo che già diede in mano
Elena bella a Paride troiano.
 
V
 
La turba che dintorno a Vener stava
Ebbe di quel barone invidie estreme,
Vedendo quanto lui accarecciava
La lor regina, che molti altri preme;
Nè poco altri amatori antiqui agrava
Ch'esca tal frutto di sì novo seme,
Che un sì novello amante a Vener gionto
Tenuto sia da lei in tanto conto.
 
VI
 
Ella ch'intende il cuore, essendo Dea,
Come uom che sopra li altri ogni altro vede,
Lor secreti penser tutti intendea,
Che l'alto e divin lume il nostro eccede,
Cum celeste parlar così dicea:
Dassi secondo il merto ogni mercede;
A voi ciechi non par, ma a me, che a lui
Mi dimostri benigna or più che altrui.
 
VII
 
Taccio la causa: e a render205 non son stretta,
Io che son Dea, ragione a vui mortali;
Come esso al fine vuol sue grazie assetta206
Ciascuno Idio,207 e non come voi frali;
Anci flagello e gran tormento espetta
Chi ai Dei ascrive le iniustizie e i mali;
Costui me e voi ha preservato solo,208
Nè gli può amor spiacer sendo Spagnuolo.209
 
VIII
 
Ebbe compiuto appena il parlamento
L'alta regina, che li ardenti cuori,
E ogni servo d'Amor restò contento,
Mostrandollo210 cum rose et altri fiori;
Mostravano al baron loro odio spento
Cum canti, cum fioretti e cum odori;
Ciascun l'onora, reverisce e loda,
E par che del suo ben gioisca e goda.
 
IX
 
Poi che fu da ciascun tanto onorato
Da ogni schiera d'amanti in suo ben mossa,
Da Vener fu il baron licenziato,
Che ad ogni suo piacer partir si possa;
E il partire al baron fu molto grato,
Desideroso di mostrar sua possa
Fra li erranti baroni, e a tempo e luoco
Goder felice in amoroso gioco.
 
X
 
Accompagnato fu per via secreta
Dalla nudata ninfa a lui compagna,
E pose quella a accompagnarlo meta,
Poi che condutto l'ebbe alla campagna,
Ch'ora è spaciosa e di verdura lieta,
Nè della Fada più si duole e lagna;
Più il palazzo non vi è, ma il fiume, il quale
Per fattagion non fu, ma naturale.
 
XI
 
La ninfa allor da lui prese licenza
Cum riverente cura e bel sembiante;
Così il baron da lei fece partenza,
Sperando a tempo esser felice amante;
E come cavalier di gran coscienza,
Ringraziò Macon di grazie tante,
E fece voto d'ogni menda netto
Andar dove sepulto è Macometto.
 
XII
 
E prima che d'Amor mai cerchi frutto,
Nè di Venere assalti impresa alcuna,
Rivolse al suo Macon l'animo tutto,
Poi che difeso l'ha da tal fortuna;
Che quando in l'acqua al fondo fu condutto
Pensò non veder mai più sole o luna;
E stimossi, cadendo, al tutto morto,
Or ne ringraziò Dio poi che gli è sorto.
 
XIII
 
Così verso la Persia il cavaliero
Va armato a piedi, e non si mostra lasso;
Che, se vi è in mente, già quel suo destrero
Dentro al palagio si converse in sasso:
Di replicarlo più non fa mestiero;
Ma vada Ferraù, che quivi io il lasso:
Di andare adagio assai tempo gli avanza;
Sonan le trombe, e son chiamato in Franza.
 
XIV
 
Già son vicini l'uno e l'altro campo,
Come, Signor, vi dissi in l'altro canto;
Di assalirse ciascun menava vampo,
E già incresce a ciascuno il tardar tanto;
E come il ciel della tempesta il lampo
Manda per segno, così Ugiero il guanto
Mandò in segno di guerra allo inimico;
Ma quel lo accetta, e non lo estima un fico.
 
XV
 
La schier della avanguarda era innante,
Già per tutto di trombe il suon si odea;
Da un lato Ugier, da l'altro Balugante,
Al combatter cum pregii ognun movea.
Or viene Artiro e Salomone aitante
L'un contra l'altro, come si solea
Combattere in quel tempo a schiera a schiera,
E sempre il capo il primo a ferire era.
 
XVI
 
Percosse Artiro il franco Salomone
Al scudo, e del destrer lo stese in groppa;
Ma alla visera il cristian barone
L'inimico pagan cum l'asta intoppa,
E la schena piegar lo fe allo arcione,
Tal che fu di cader più volte in forse;211
Ma l'uno e l'altro immantinente sorse,
E a ferirse col brando a furia corse.
 
XVII
 
Tra costor cominziossi allor gran ciuffa,
E mescolossi l'una e l'altra schiera,
Crebbe in instante la mortal baruffa,
Che l'una e l'altra gente è ardita e fiera;
E questo quello, e quel questo ribuffa,
Alcun non è che non combatta e fera;
Come prima d'un fuoco talora esce
Un vampo, e un tratto poi subito cresce.
 
XVIII
 
Artiro e Salomon fan mortal guerra,
E quello a questo il forte elmo martella;
Al primo colpo il gran cimier gli atterra,
E quasi il tolse a quel colpo di sella,
Ma un gagliardo non va sì presto a terra;
Ira e vergogna il paladin flagella,
E sopra all'elmo l'inimico tocca,
Che gli fece tremare i denti in bocca.
 
XIX
 
Ma tanto fu delli altri la gran calca,
Che sopra a' dui baron cum furia abonda,
Che l'un da l'altro presto se defalca,212
Come due navi sparte il vento e l'onda.
O quanta gente allora si scavalca!
Ogni cosa213 di sangue intorno gronda;
A chi è tagliato, et a chi suda il pelo,
E il gran ribombo suona insino al cielo.
 
XX
 
Va Salomon correndo fra' pagani,
Come lupo fra il gregge, o in paglia fuoco;
Artiro atterra214 e occide li cristiani,
E chiunque accoglie o more o campa puoco;
Una gran pezza stettero alle mani,
Che l'uno a l'altro non concesse il luoco:
Ma pel vigor di quei di Salomone
Si riculoro alfin quei di Macone.
 
XXI
 
Sforzassi Artir difender la bandiera,
Vedendo di cristiani il valor grande,
Ma in rotta fuge ormai tutta sua schiera,
Chi qua chi là per non morir si spande;
Minaccia Artir, biastema e si dispera,
Ma attender non puote egli a tante bande;
E Balugante che tal cosa vide,
Di soverchia ira e di vergogna stride.
 
XXII
 
E subito comanda al franco Odrido
Che la schiera seconda a guerra mova:
Mossessi quello, e credo alciasse215 il grido
Insino al cielo allor la gente nova;
Ma Ugier, di Carlo capitanio fido,
Visto che l'ebbe, ai suoi gente rinova;
Mossessi Astolfo, e contra Odrido corse,
Ma alcun di loro ai colpi non si torse.
 
XXIII
 
Trasse Pomella216 il valoroso Anglese,217
Poi che ebbe fracassata allor la lanza,
E sopra a un amirante la distese,
Che allo Inferno mandollo a tor la stanza,
Gridando: state gente alle difese,
Ch'io sono il fior di cavalier di Franza,
Che per parol non resta far de fatti:
E già tre morti n'avea 'n terra tratti.
 
XXIV
 
Partenio occise, Validoro, e Iverso:
Al primo fesse il capo insino al petto,
E il secondo tagliò tutto a traverso,
Sì come al terzo spiccò il capo netto;
L'un Medo, Arabe l'altro, e l'altro Perso;
Vecchi i dui primi, e il terzo giovinetto:
Nè resta Astolfo, ma ferisce forte,
E chi scavalca, e chi conduce a morte.
 
Manca la continuazione
XXV
 
Maravigliosse assai Orlando allora
Di tal nazion di gente e sua natura;
Ma qui de lui vi lasserò per ora,
Che anco di Carlo mi bisogna cura.
Stava l'imperator festivo ancora
Della vittoria avuta, e sol procura218
Adunar genti per la santa impresa,219
Nè fatica risparmia, o guarda a spesa.
 
XXVI
 
Fra li altri un giorno fece un gran convito
Cum onorevol pompa alla regale,
E di tutti i Signor fu fatto invito,
Senza altra differenzia, universale;
Ove fu ognun trattato e riverito
Secondo il grado suo maggiore o eguale,
E tanto da re Carlo accarecciato,
Che ognun se ne partì ben contentato.
 
XXVII
 
Dopo il convito, il sacro imperatore
Mostrò Cesarea liberalitade,
E in varii modi dimostrò l'amore
Che ai suoi portava; a chi cum dignitade,
A chi cum roba,220 a chi cum altro onore;
A chi dona castella, a chi cittade,
E a varii mostra variamente il cuore,221
Cum tal misura e tal providemento,
Che ognun di lui quel dì restò contento.
 
XXVIII
 
Mentre era questo222 nella regia sala,
Si vide un messagiero in fretta entrare,223
Quale era appena al sommo della scala,
Che Carlo il vide, e a lui il fece andare;
Subito quel li espose, come cala
Gualtier dal monte, e affretta il caminare,
Perchè inteso ha che Carlo è in gran periglio,
E di affrettarsi ha preso per consiglio.
 
XXIX
 
Cum lui è Desiderio di Pavia,
Che al Sepulcro seguirte si dispone,
Cum altri gran Signori in compagnia,
E seco viene ancor papa Leone224
Cum cardinali e magna chierichia,
Per annullar la lege di Macone;
Tutti, Signore, vengono a aiutarti,
E mi han mandato avanti ad avisarti.
 
XXX
 
Così disse il messaggio, e dapoi tacque,
Per non passare del suo uffizio il segno;
A Carlo molto la novella piacque,
Per sua onoranza, e sicurtà del regno;
Bench'i pagani ormai sian messi all'acque,225
Pur temea ancor non li movesse a sdegno
A rifar testa e ritornare adrieto,
E cum più gente, sta col cuor più quieto.
 
XXXI
 
Idio ringrazia, e per molto catolico
Loda Leone allor summo pontifice,
Che a lui conduca favore apostolico,
Che così spera fare opre mirifice;
E il culto di Macon, quale è diabolico,
Male ordinato e di pegiore artifice,
Estinguere ivi almen dove si vede
Sepulto il Fundator di nostra fede.
 
XXXII
 
E subito rivolto ai baron tutti,
Comanda lor che in ponto ognun si metta,
E l'altro giorno a corte sian ridutti
Per andar contra226 il pastor santo in fretta;
Non pur li gran signor, ma donne e putti
Ciascun di andarli si provede e affretta;
E par che Idio dal cielo, e i benedetti
Angeli insieme ognuno in terra espetti.
 
XXXIII
 
E così far si deve, e potea farse
In quella età che avea fedel pastori;
Ma se or son l'alme di conscienzia scarse,
Causa ne sono i papi e loro errori,
Che a' nostri tempi attendono a ingrassarse
Tra le spurcicie e i vani adulatori,
Cum spesse simonie, cum tali imprese227
Che a vender son forzati insin le chiese.228
 
XXXIV
 
Così in ponto si mosse il gran re Carlo,
E contra al papa andò cum la sua corte,
Per farli reverenzia229 e accarecciarlo,
Come a pastor convien di simil sorte;
Andò lontan sei milgia230 ad espettarlo,
E farli compagnia dentro alle porte
Di Parigi, che espetta a grande onore231
Veder de' cristian l'alto pastore.
 
XXXV
 
Andonli incontra fuora di Parigi
Col vescovo Turpino e preti e frati
Cum le lor croci, neri, bianchi e bigi,
Cum ricce232 veste ben tutti adobati;
E d'ogni sorte233 ch'ai divin servigi
Se usano paramenti riccamati,
Belle pianede e adorni piviali,
Cum rellique, cum calici e messali.234
 
XXXVI
 
Intanto ecco trombette e tamburini
Mandare insino al cielo orribil suono;
Carlo l'odiva, e tutti i paladini,
E quanti gionti dove è Carlo, sono;
E odendo par che ognor più s'avicini
Dove era Carlo il spaventevol tuono,
Quando a lui gionse uno altro messagiero,
Qual disse che vicino era Gualtiero;
 
XXXVII
 
Qual conduceva genti italiane
In aiuto di Carlo e del suo regno,
Genti fedeli, e tutte cristiane,
Che hanno Macone e chi l'adora a sdegno;
E che dipoi seguivan le romane
Genti, dove era Leon papa degno:
Possibil non fu allora che restasse
Carlo, sì allegro fu, che non gridasse.
 
XXXVIII
 
Cum gravità però Carlo gridava:
Viva la buona gente italiana;
Italia, dopo lui, ciascun235 chiamava,
Viva l'Italia e la gente romana;
L'Italiani ogni baron lodava,
Che ora è stimata gente ignava e strana;
Barbari soli son che or prove fanno,
Nè Italiani ormai più credito hanno.
 
XXXIX
 
Già tutto il mondo dominar Romani,
E chi fusse Lucullo236 e il gran Pompeo
Li Asiatici il sanno e li Affricani,
Mitridate, Tigrane e Ptolomeo;
Cesare in Franza et altri popul strani,237
E in tutta Europa gran prodezze feo;
E Sertorio e Camillo et altri molti,
Che qui per brevità non ho raccolti.
 
XL
 
Or persa è tutta la memoria antiqua,
Nè quasi è più chi lor vittorie creda;
Colpa di sorte di signori iniqua
Che a barbari l'Italia han data in preda,
Per lor discordie, e per seguir l'obliqua
Strada, in voler che l'uno a l'altro ceda,
Usurpar quel d'altrui senza ragione,
Di rovinar l'Italia oggi è cagione.
 
XLI
 
Lodò l'Italia assai Carlo, che stato238
Vi era più volte a difensar la Chiesa,
E l'italo valore avea provato,
Ch'era di gran contrasto e gran difesa;
E se ben Desiderio239 avea domato
Cum altri assai, fu per lor dura impresa
Contra la Chiesa: e per comesso errore
Spesso ai gagliardi Idio tolle il valore.
 
XLII
 
Or se ne vien Gualtier da Monlione,
Qual fu galgiardo e nobil paladino,
Sollecito, e al suo re fedel barone,
E molto il loda nel suo dir Turpino;
Visto re Carlo, dismontoe d'arcione
Per onorar il figlio di Pipino;
Carlo abbracciollo, e gran feste gli fece,
Come fare alli suoi a un signor dece.
 
XLIII
 
E così fece a tutti li signori
Ch'erano cum Gualtier cum lieto viso;
Io non potrei narrare i grandi onori
Ch'a lor fur fatti, e le gran feste e il riso;
Intanto ecco il pastor delli pastori,
Ch'apre a suo modo e serra il paradiso:
Carlo, che cum le chiavi il gran stendardo
Vide, a smontare a piedi non fu tardo.
 
XLIV
 
E al pontifice andando inginocchiosse,
Et umile bassogli240 il sacro piede;
Il papa ad abbracciarlo allor si mosse,241
E la benedizion dapoi gli diede;
E sorgendolo242 il papa alfin levosse,
E a ciò che li comanda assente e cede;243
E per entrar cum quel dentro a Parigi,
Sopra il destrer montò senza letigi.244
 
XLV
 
Così verso Parigi ognun se invia,
E il primo fu Gualtier da Monlione,
Che avea re Desiderio in compagnia
E tutta la lombarda nazione;
Poi delle guardie l'ordine seguia:
Dalla man destra è quella di Leone,
Dalla sinestra sta quella di245 Carlo,
Ch'il suo246 segue ciascuna, e vol guardarlo.
 
XLVI
 
Da un canto stan le guardie, e non intorno,
E fan come due corna in quel confino;
Da destra stava247 di belle armi adorno
Al papa un stormo di Roman vicino;
Poi si vedeva dal sinistro corno
A lato a Carlo ogni suo paladino,
Allora alla sua guardia deputato,
Ciascuno adorno e di belle armi armato.
 
XLVII
 
Poi seguiva Leon cum viso lieto
Armato in sella in abito viandante,248
E Carlo apar cum lui, ma pur più indrieto
Tanto ch'il papa si può dir più avante;
Così fu allor quello ordine discreto249
Cum misterio e ragion molto importante;
Chè minore è del papa, ma maggiore
D'ogni altro al mondo, è poi l'imperatore.
 
XLVIII
 
Armato stava in abito pomposo
Re Carlo allora250 riccamente adorno,
E sembrò in vista degno e glorioso
Re de' Romani e imperator quel giorno;
Parlando insieme e ognun di lor gioioso
Del danno de' pagani e di lor scorno,
Della vittoria da re Carlo avuta,251
Chè sempre Cristo chi in lui spera aiuta.
 
XLIX
 
Dopo seguiano insieme i cardinali
Adorni d'armi per la fe di Cristo;
Non come a questa età, per252 strazi e mali
De innocenti signori, e ingordo acquisto,
Per scacciar di lor terre i naturali
Signori, a fin d'uno appetito tristo,
Seguian il papa; e dopo un capitano,
Quale era vice senator romano.
 
L
 
Era di Orlando253 quel loco tenente,
Che era in quel tempo roman senatore,
E lassava in sua vece, essendo assente,
Un patrizio roman di gran valore,
Il qual guidava tutta la sua gente,
Giovene ardito e di animoso cuore,
Di quella proprio illustre nazione,254
Che era il suo nome escelso Scipione.255
 
LI
 
Vinte milia e seicento avea costui
Sotto il stendardo della Santa Chiesa,
Che tutti andavan volontier cum lui
Per scuto della Fede e sua difesa,
E non per usurpar stato de altrui,
Ma contra l'infedeli è loro impresa:
De tutta l'altra gente deretani,
Sì come un retroguardo, eran Romani.
 
LII
 
Così van tutti: e sol Leone e Carlo256
Fra lor si grida, si desidra e noma.
Questo l'ordine fu, nè da me parlo,
Ma in scriverlo Turpin prese la soma;
La colpa è sua, se ben non seppe farlo:
Non saprei dir se a questi tempi in Roma
Li esperti mastri delle cerimonie
Tali ordinanze stimariano idonie.257
 
LIII
 
Gionsero in fine alle sbadate258 porte
Di Parigi, città magna e regale,
Ove è cum preti e frati d'ogni sorte
In abito Turpino episcopale;
Tutti cantando psalmi et inni forte
Tanto, che sino al ciel la voce sale,
Inanzi a tutti si vedean259 cantare,
Come in procession si suole andare.
 
LIV
 
Dentro a Parigi si sentian campane
Cum segno di allegrezza al ciel sonare,260
Tante trombe e tambur che lingue umane261
Non bastarian, volendolo esplicare;
Arpe, liuti et altre cose strane
Se odivano cum grazia armonizzare,
Musiche cum canzoni262 e bei mottetti
Cum arie belle, e contrapunti elletti.
 
LV
 
Grande allegrezza fan fanciulle e donne,
E al beato pastor debiti onori;
Adorne eran le dame in belle gonne
Cum diversi ornamenti e bei colori;
E quante lo vedean serve e madonne,
Spargevano in suo onor diversi fiori
Cum odorifere erbe e naturali
Sopra il capo a Leone e i cardinali.
 
LVI
 
Entrati in la città, subito andaro
Alla prima lor chiesa catedrale,
E Dio, come si suol, prima onoraro
Carlo, il pastore et ogni cardinale;
Nè si volse mostrar di grazia avaro,
Se ben veste non ha pontificale,
A quel populo263 allor papa Leone,
Che a tutti diede la benedizione.
 
LVII
 
Doranio fatto poco anzi cristiano,
Di tal cospetto non si può saziare,
Nè vorrebbe esser come già pagano
Per quanto tien la terra e cinge il mare;
Il viver di cristian gli pare umano,
Natural, justo, come dessi usare;
Cum cerimonie che hanno in se ragione,
Qual non si trova in quelle di Macone.
 
LVIII
 
Poi che fu reso a Dio debito onore,
L'entrata fero nel real palagio
Carlo e Leone, e ogni altro gran signore
Fu consignato ove può stare ad agio;
Alloggiò parte drento e parte fuore,
E non fu chi patisse alcun disagio.
Ma posino a lor modo, che piacere
Hanno essi di posare, io di tacere.
 
154per sforzasi.
155quel.
156Il fatto cui qui si allude, come gli altri avvenimenti accennati nelle St. III. IV. V. e VI. son toccati nell'Orlando Furioso Canto III. St. LIII. LIV. LV. Canto XIV. St. II. e seg. C. XXXIII. St. XL. e seg. e ne parlano il Guicciardini nella Storia d'Italia lib. VIII e IX, e il Giovio nella vita d'Alfonso d'Este.
157tre.
158E posto in seggio cum.
159Che sol prudenzia gli donò.
160L'inclito Alfonso Estense signor mio.
161contra a chi di lui ha maggior.
162per rimuova.
163Ravenna, Zanniolo.
164Quanto di Alfonso fu la sorte rea.
165Che 'l vincer a ogni via non fa mai.
166salvar lor.
167cum furor.
168E Balugante allor tosto soccorse.
169lor.
170il favor.
171il capo si lavasse.
172ardente.
173li ebbe.
174L'esercito.
175Stavali in mezzo.
176Va.
177quelle stanze.
178Quell'arbor sagittar par.
179troncamento licenzioso, come fu avvertito.
180colli.
181gambe.
182quadriga, nel genere mascolino, manca d'esempio.
183dritta.
184Ma in alto va talora e talor basso.
185Va sfrenato talor.
186Tardi talor, talor.
187Feraguto allora.
188tranno i pregi, cioè, gittano i preghi.
189Cum dolci.
190Sperano.
191implorano, invocano.
192con berrette su una parte, cioè alla smargiassa.
193pettinata.
194per vedeasi.
195Perchè fur, benchè non sian, nupte quelle.
196tien.
197Quello che dicesi qui con poca reverenza del costume degli Ecclesiastici, non vuolsi prendere a rigore, ma qual vivacità poetica, sebbene alquanto abusivamente satirica, alla quale però essi pure non mancavano forse di dare appiglio, se si consideri la corruzione grandissima di quei tempi. Inoltre la libertà colla quale, per mancanza di clausura, i preti ed i frati conversavano colle monache, dava campo ai maligni ed ai belli spiriti di interpretar sinistramente la loro innocente familiarità; S. Chiesa però pose riparo a queste cause di scandalo, santamente provvedendo alla esemplare riforma claustrale.
198ciera.
199cercano.
200puote per potè.
201lanza.
202lanza.
203dal pomo.
204non vi rendo.
205Come Idio vole sue mercede assetta.
206Come Dio vole – Come esso alfine.
207difeso ha con sua mano.
208essendo Ispano.
209per mostrandolo.
210verso con rima sbagliata.
211cioè, si distacca, si divide.
212Di sangue.
213occide.
214andasse.
215nome della spada d'Astolfo.
216Anglese per Inglese.
217a gran ventura.
218cioè, la conquista di Gerusalemme e del S. Sepolcro.
219Chi cum offizii.
220verso di soverchio alla stanza.
221Mentre che questo.
222Facea re Carlo, gionse un messaggiero.
223Leone III.
224cioè ridotti a mal punto.
225cioè incontro.
226gran rapine.
227Se è riprovevole la libertà che qui usa il Poeta riprendendo alcuni abusi, che pur sfortunatamente s'introdussero nella Corte Romana in tempi lacrimevoli per S. Chiesa, si prega il Lettore a non volere esser con esso più rigoroso di quel che questa pietosa Madre si mostrò verso Dante, il Petrarca ed altri gravi scrittori ortodossi; perchè ad onta di tante zizzanie seminate nella mistica vigna, portae Inferi non praevalebunt adversus eam, e la pietra angolare su cui Gesù Cristo fondava la Chiesa in aeternum non commovebitur.
228onore.
229per miglia.
230Della adorna cittade di Parigi.
231cioè ricche.
232Di tutte sorte.
233Rellique sante e in man ricci messali.
234E dopo lui ognun forte chiamava – Italia, Italia.
235V. Plutarco nelle vite degli illustri capitani qui nominati, ove son descritte diffusamente le loro imprese, ad ingrandimento della potenza Romana.
236Cesar la Franza, e Mario li Alemani.
237spesso.
238Della guerra di Carlo Magno contro Desiderio e suoi collegati parla il Poeta nel I e II dei cinque Canti aggiunti al Furioso. Qui dice che il re longobardo fu vinto non per valore de' nemici, ma per gastigo divino, tenendo egli le parti contra la Chiesa.
239cioè, baciògli.
240Nè prima il sacro imperator levosse.
241cioè, sollevandolo da terra, facendolo sorgere. Modo nuovo di usar questo verbo attivamente.
242In piede, e a ciò che vole il papa cede.
243Montò il destrero senza altri letigi; cioè senza contesa di complimenti.
244quella di re.
245cioè, il suo capo.
246Stavano de' Romani.
247cioè da viandante.
248cioè scelto, eletto.
249Carlo quel giorno.
250avuta da re Carlo.
251forse qui s'allude all'impresa contro Urbino.
252In tutti i romanzi e poemi di cavalleria, Orlando è chiamato senator romano.
253E fu di chiara e nobil nazione.
254Come di nome, detto Scipione Nato di quell'illustre nazione.
255nè tra lor si noma.
256cioè convenienti in precedenza ed etichetta.
257cioè mal custodite.
258andavano.
259Tutte sonare in guisa di allegrezza.
260Tamburi e trombe et altre cose strane.
261mottetti.
262Papa Leone.

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