Vivere La Vita

Text
Autor:
0
Kritiken
Leseprobe
Als gelesen kennzeichnen
Wie Sie das Buch nach dem Kauf lesen
Schriftart:Kleiner AaGrößer Aa

Per farlo bene, doveva essere organizzata in quattro gruppi.

Ogni gruppo avrebbe avuto il suo comandante e tutti i gruppi, sarebbero stati guidati dal comandante della classe, della nostra piccola unità.

I ragazzi appena venuti, erano i compagni comandanti dei gruppi ed il compagno comandante della loro classe.

La dirigente aveva portato sul vassoio, i figli colorati da consegnare ai futuri compagni comandanti della nostra classe.

Non riuscivo a comprendere perché dovevamo organizzarci ancora di più.

Noi stavamo bene insieme cosi e nessuno aveva mai litigato con nessuno.

Eravamo amici.

Giocavamo insieme e da poco tempo avevamo anche saputo che l'anno prima siamo stati la seconda migliore classe come risultati nello studio, tra le otto classe della prima elementare. Eravamo obbedienti alla nostra maestra che poche volte si è dovuta arrabbiare con noi. Per me andava tutto bene cosi e non mi piaceva quella cosa di formare quattro gruppi.

Non sapevo come si doveva fare, ma per me, quattro gruppi, voleva dire non più un gruppo solo.

Voleva dire divisione.

Come quasi sempre in momenti così, i miei pensieri si fermavano soltanto quando erano interrotti da qualcuno.

La dirigente ha ripreso a parlare, dichiarando aperta la cerimonia delle elezioni.

Ci ha spiegato che dovevamo già cominciare a scegliere il comandante del primo gruppo e che per farlo dovevamo seguire la "procedura" che usavano tutti.

Noi piccoli, dovevamo proporre tre nomi di nostri colleghi, poi, per ognuno si votava alzando la mano. Una sola volta, per il proprio preferito.

Abbiamo ripetuto la stessa cosa e quando i quattro compagni comandanti di gruppo erano scelti, sono andati d'avanti alla classe per ricevere quel filo rosso dalla dirigente.

Tra i quattro scelti, c'ero anch'io.

Ero il compagno comandante del primo gruppo.

Quando la dirigente, mi ha messo il filo rosso alla spallina della mia camicia e poi lo ha attaccato al bottone del taschino sinistro, dentro mi sentivo fiero e molto contento dei miei risultati, ma subito dopo, i miei pensieri si sono fermati, perché ho dovuto dare la mano e salutare, con il saluto dei pionieri, la compagna dirigente.

Quel saluto come da soldato, ma con la mano d'avanti alla fronte, senza toccarla.

Mentre lei faceva la stessa cosa con gli altri miei amici scelti, ho potuto guardare con attenzione quel filo rosso.

Il colore era molto bello, intenso e profondo.

Come il sangue.

Non era un filo, ma un cordone di seta.

Erano intrecciati tre fili più fini e l’ho capito perché al lavoro manovale, avevamo appena imparato a intrecciare con tre fili. Alla fine della parte bassa, dopo l'aggancio al bottone del taschino, due dei tre fili, scendevano per qualche centimetro e finivano con due palline molto dure che sembravano le ghiande che piacevano tanto ai maiali dei nonni. Anche loro rivestite di seta.

Appena finito con il compagno comandante del quarto gruppo, la nostra maestra, ha cominciato a chiamare per nome uno ad uno, tutti gli altri nostri colleghi ed ognuno si metteva dietro al comandante di gruppo scelto dalla nostra maestra. Quando tutti i banchi erano vuoti, la compagna dirigente ci ha detto di fare altre tre proposte, per scegliere il compagno comandante di classe. Dopo che tutti noi, in piedi ed in formazione d'avanti alla lavagna, abbiamo votato le proposte fatte, non riuscivo a credere quello che avevo appena sentito.

Avevano scelto me.

La compagna dirigente, mi ha tolto il cordone rosso appena messo, ed al posto suo, mi ha messo quello giallo.

Poi e stato scelto un nuovo comandante di gruppo al mio posto.

All'improvviso, è diventato tutto bellissimo.

Mi sembrava quasi una ripetizione della premiazione del primo anno di scuola.

Quella bellissima cerimonia, dove tutto il mio lavoro, veniva riconosciuto.

Veniva ripagato.

Avrei avuto voglia di volare per festeggiare bene.

Avrei voluto gridare al mondo, al mio mondo, quanto ero felice.

Avrei voluto ringraziare uno ad uno tutti i miei amici che mi hanno votato ed ancora di più a chi mi ha proposto, ma subito dopo, la compagna dirigente, ha cominciato a parlarmi dei miei doveri come comandante della nostra classe.

Tutto è diventato di nuovo molto serio.

Cosi serio, che non mi ricordavo più quale era la ragazzina che ha proposto il mio nome.

Dopo che la nostra maestra, ha nominato un ragazzino ed una ragazzina, come porta bandiera della nostra classe, abbiamo cantato tutti insieme l'inno dei pionieri che nel fra tempo avevamo imparato, poi, la compagnia dirigente ha dichiarato chiusa la cerimonia e con i suoi allievi, sono andati via.

Non vedevo l'ora, perché ero convinto che subito dopo, saremo andati via anche noi ed avrei potuto far' vedere a tutto il mondo, a tutto il mio mondo, quanto di bello mi era successo in quel giorno.

Far' vedere ai miei genitori il cordone giallo e bello come il sole nei giorni d'estate.

Purtroppo non è successo subito, perché la nostra maestra, dopo che ci ha mandati nei banchi, ha cominciato a parlarci dei nostri doveri, come comandanti, soprattutto quello della classe.

Delle nostre responsabilità nei confronti di tutti.

Prima di tutto, dei nostri colleghi meno bravi nello studio, nei confronti dei nostri colleghi che avevano più problemi e di tutto quello che avremo dovuto fare per la nostra classe, la nostra scuola, la nostra città ed il nostro paese.

Tutti ancora più uniti da quel giorno in poi.

Ci stava parlando del piano economico, lavoro volontario e tante altre cose nuove che in quel momento non sapevo che cos'erano. Non sapevo come avremo dovuto e potuto fare tutto, perché erano cose di qui sentivo parlare per la prima volta nella mia vita.

Non ero molto attento a quello che ci raccontava, perché mi incuriosiva molto di più un'altra cosa.

Quello che ci stava raccontando, di sicuro lo avrei scoperto, conosciuto e capito bene, quando arrivava l'ora di fare tutte quelle cose.

Mi incuriosiva lei ed ero molto attento a questo.

Era per la prima volta che la nostra bella maestra ci parlava di quelle cose ed in quel momento, non lo so perché, era diventata meno bella. La pace e la tranquillità che sentivo sempre con lei, non c'erano più ed ascoltarla, era meno interessante del solito.

Non capivo perché succedeva.

Appena ha finito e dopo averci salutato a noi comandanti, dandoci la mano, ho deciso che a tutto quello avrei pensato in un altro momento, perché volevo che niente e nessuno doveva disturbare quei miei momenti di immensa soddisfazione.

Gioia e felicità.

La strada fino a casa, con gli amici insieme a quali si camminava sempre, è sembrata più corta del solito.

D'avanti al ingresso del condominio, sulle grosse panchine, come spesso capitava nelle giornate belle, soleggiate e luminose come quella, c'era della gente. Sono rimasto molto contento, felice, quando i grandi si sono congratulati con me, per il mio cordone, dicendomi che: < Ero appena diventato motivo di orgoglio, per il nostro condominio. >

Era una cosa molto bella ed importante, che in così poco tempo, da un bambino rumoroso e vivace come tutti gli altri, ero diventato un rappresentante importante del condominio. Mi faceva molto piacere sentirli mentre me lo stavano dicendo, ma non vedevo l'ora di poter parlare anch'io.

Ringraziare tutti loro per quelle belle parole, ma soprattutto, per salutare ed andare via subito.

Volevo arrivare a casa dai miei genitori perché, volevo condividere prima di tutto con loro la mia grande gioia.

Il grande risultato.

Erano loro i primi a qui volevo dare quella grande soddisfazione.

Parlare prima con altre persone, mi sembrava quasi di fare un torto ai miei genitori.

Quando la porta di casa si è aperta e dietro è comparsa mia mamma, prima di dirle qualcosa ed ancora prima di salutare, mi è bastato vedere la sua faccia, per capire quello che succedeva dentro di lei.

Dopo avermi abbracciato, era arrivato il turno di mio padre.

Mentre mi abbracciava dolcemente forte, mi ha detto che mai nella nostra famiglia allargata, a nessuno aveva toccato questo onore.

Ero felicissimo.

Non lo so se erano i momenti più felici della mia vita, ma di sicuro, erano i più importanti.

Era per la prima volta, che i risultati del mio lavoro, dei miei sacrifici, oltre ad essere premiati dandomi soddisfazione personale, venivano riconosciuti da tutti.

Davano tanta gioia ai miei genitori.

Vedevo che erano molto fieri di me e capivo che per la prima volta, avevo portato anch'io, un qualcosa per la nostra famiglia.

Un qualcosa in più, che faceva stare meglio tutti.

Ero molto felice per i miei genitori.

Molto fiero e molto contento di me.

Vedevo che tutto, sembrava quasi più importante del primo premio che avevo preso l'anno prima e non riuscivo a capire perché. Quello che stava succedendo, quello che stavo vivendo, mi ha aiutato a dimenticare in fretta i momenti che non mi sono piaciuti, quelli che non mi hanno fatto stare non bene durante la cerimonia.

Dopo essere rimasto ancora un po' vestito con la divisa da pioniere per farmi vedere bene dal mio papà, come lui mi ha chiesto, mi sono svestito prima di sporcarmi. Invece di metterla nell'armadio come facevo di solito, l’ho messa con tanta cura su una sedia, per farla vedere bene anche al mio fratello appena tornava dalla scuola, poi, come sempre, non vedevo l'ora di cominciare a fare i miei compiti.

 

In quel giorno però, oltre a farli bene, volevo farli più in fretta, per poter scendere prima e raccontare ai miei amici del condominio, quanto di bello mi era successo a scuola.

Stavo quasi finendo i compiti, quando il campanello di casa ha suonato.

Era uno dei miei amici.

Mi chiamava perché, avevano già organizzato una partita di calcio con la squadra di un altro condominio.

Ho avuto il tempo che mi serviva per finire bene il mio lavoro e mi sarebbe bastato anche per raccontare prima della partita a tutti, le mie belle novità.

Appena sceso, non ho fatto in tempo a raccontare niente.

È stata una bellissima sorpresa vedere che i miei amici, tutti insieme avevano già deciso una cosa molto importante.

Da quel giorno in poi, sarei stato il capitano della nostra squadra.

Sapevano già tutto.

Era la giornata delle grandi soddisfazioni, ma anche dei grandi dubbi.

Non sapevo come facevano a sapere già tutto, ma la loro decisione era un bel segno di amicizia ed è stato ancora più bello che appena arrivata l'altra squadra, lo hanno fatto sapere a grande voce e con tanto entusiasmo anche a loro. Subito dopo, sul nostro “Maracana” in terra rossa, è partita la nostra “Finale Mondiale”.

"Una battaglia epica."

Correre è lavorare per la squadra mi piaceva tanto, ma in quel giorno mi sembrava di volare. Diventavo sempre più sudato ed in mezzo al polverone di terra rossa alzato da noi stessi, la mia pelle diventava sempre più appiccicosa e sporca, ma nessuno di noi aveva la più piccola intenzione di mollare niente, correre meno in quel' incontro, o risparmiarsi in quella forte battaglia.

Nessuno voleva fermarsi mai.

Neanche quando qualcuno di noi cadeva sbucciandosi le ginocchia, i gomiti, i palmi delle mani ed il rosso molto vivo del sangue, si mischiava con la polvere scura ed appiccicosa sulla pelle.

Oppure quando qualche donna con le borse della spesa, per fare meno strada tagliava in diagonale il nostro campo, invece di andare sul marciapiede intorno e veniva centrata in pieno con il pallone.

Vincere “la finale del nostro mondo", era l'unica cosa che contava.

Ogni volta.

Era molto più importante che lamentarsi per delle piccole ferite, o ascoltare le imprecazioni di un adulto che comunque aveva torto, perché era lui ad aver appena invaso il nostro territorio.

Alla fine, ero ed eravamo pieni di tante soddisfazioni.

Per la nostra vittoria.

Perché avevo fatto più gol di tutti.

Ma la più grande in assoluto era un'altra.

Quella di portare intero a casa, il nostro pallone, perché, non poche volte finiva sotto le ruote di qualche macchina, nel corso non molto lontano, dietro ad una delle due porte.

Il sole aveva cominciato a scendere e pensavo che per me, quello era stato il giorno più movimentato, bello e felice della mia vita.

Il giorno perfetto.

Non potevo sapere che la ciliegina sulla torta, doveva ancora venire.

Mentre tutti insieme, ci stavamo facendo i nostri conti di come e quanto era andata bene la nostra partita, è arrivato il gruppo dei ragazzi più grandi del nostro condominio. Stavano tornando dalla collina, dove erano andati a giocare tutti insieme.

Come sempre.

Era un posto di qui parlavano tanto e tutti.

La vedevo al di là del corso, dalle nostre finestre, ma non ero mai andato sulla collina.

Ero ancora troppo piccolo.

Alcuni di noi, parlando quasi tutti insieme, hanno cominciato a raccontare anche a loro, mentre erano ancora abbastanza lontani, di come era andata la partita, chi ha fatto i gol e chi è stato il migliore e tutte le altre cose per una cronaca completa.

In quel momento per me, è arrivata la soddisfazione più grande di tutta la giornata.

I grandi si congratulavano con me per tutto ciò che di bello ed importante mi era successo in quel giorno.

Essere riconosciuto subito e rispettato per i miei meriti dal gruppo dei grandi, che erano molto uniti ed avevano la squadra di calcio più forte della zona, per me era la cosa più importante di sempre.

Sentirli dire che sono fieri di essere miei amici, mi stava quasi facendo volare fino al sesto piano dove abitavo.

Non ero più riconosciuto perché fratello del mio fratello più grande e loro amico, ma per quello che ero.

Mi ero fatto strada da solo.

Per i miei meriti.

Il mio lavoro ed i miei sacrifici venivano ripagati.

Era tutto splendido e quella era la mia vera soddisfazione, la più grande di quel giorno.

Forse di sempre.

Mi ha subito aiutato mia mamma a restare per terra, quando all'improvviso l’ho vista non molto lontana e mi diceva che anche quella sera, avrebbe dovuto mettermi nella lavatrice perché, ero sporco come un minatore.

Per me, forse sarebbe stato molto meglio, perché l'acqua calda non arrivava a tutte le ore del giorno.

Tante volte, anche quando le ore erano giuste, quelle decise dal programma di distribuzione, ai piani più alti, non arrivava ed in quei momenti, come in quella sera, mia mamma riscaldava l'acqua sulla cucina in un immenso pentolone che poi diluiva con acqua fredda nella vasca da bagno.

Non era tanta ed il mio corpo non riusciva a stare tutto sotto l'acqua.

Questo non mi piaceva e non mi faceva stare bene, ma di estate era molto meglio che nei giorni molto freddi d'inverno.

Poi, alla fine di quel giorno così importante della mia vita, andava bene tutto.

Le giornate passavano lente e tranquille.

Ero molto contento, perché a scuola, ogni giorno imparavo qualcosa di nuovo. Tutte cose molto interessanti che assorbivo senza neanche respirare. Mi piacevano moltissimo perché, erano conoscenze sempre più complesse ed aumentavano il mio sapere in ogni momento. Poi, a casa, da solo, facendo i compiti in totale pace, tranquillità, serenità e silenzio, riuscivo ad approfondire ancora meglio, al modo mio.

I voti erano sempre molto buoni.

A casa andava tutto molto bene.

Per i miei amici ero sempre più la loro guida, il loro leder.

Vivevo da beato.

Nel giorno in qui la maestra è entrata nella classe con in mano un piccolo bigliettino di carta che poi me lo ha dato, mi ha messo tanta confusione, perché, era per la prima volta che faceva un gesto cosi, nei confronti di un suo allievo.

Mi ha detto abbastanza decisa, di leggere bene tutto e di fare quello che era scritto.

Era un biglietto scritto, firmato e timbrato dalla compagna comandante dei pionieri per la scuola.

Informava i compagni comandanti delle classi appena entrati nelle fila dei pionieri, di essere invitati al primo incontro con tutti i compagni comandanti delle classi di tutta la scuola.

Sotto la sua guida.

Sembrava molto interessante e mi incuriosiva molto.

Era una cosa nuova, poi il fatto di stare insieme a tutti i più grandi della scuola, mi incuriosiva ancora di più. Di sicuro, avrei potuto imparare qualcosa di nuovo.

Non mi piaceva affatto tutto il resto perché l'incontro, si doveva svolgere fuori dagli orari di scuola.

Nel mio tempo libero.

Quando è arrivato il giorno, sono andato davanti ad una porta che fino in quel momento, da quando ero nella scuola, avevo sempre visto chiusa e più di una volta mi ero chiesto: "cosa c'era dietro".

Arrivavano sempre più compagni comandanti di classe ed a parte i miei altri sette coetanei, tutti erano più grandi. Più venivano, più mi sentivo piccolo, senza che nessuno dei grandi faceva qualcosa per farmi sentire in quel modo. Forse mi capitava, perché vedevo tutti con dei comportamenti quasi da grandi.

Molto seri, freddi, quasi rigidi.

Appena arrivata la compagnia comandante, ha aperto quella porta e finalmente siamo entrati.

Era una specie di aula, molto diversa da tutte le altre aule della scuola, ma molto più piccola.

Forse la meta ed era più lunga che larga.

Per terra, sui due lati lunghi, dall'ingresso e fino in fondo, quasi fino alle finestre, c'erano porta bandiere riempiti tutti da bandiere.

Messe in ordine: una tricolore del paese ed una rossa dei pionieri.

Erano moltissime e facevano quasi fermare il cuore appena entrati.

D'avanti alle bandiere, una di fronte al' altra, due fila di sedie su quali ci siamo seduti tutti noi. Mi sedevo per la prima volta nella mia scuola, su una sedia e non in un banco. In fondo alla camera, con le spalle verso la finestra, si era appena seduta dietro ad una scrivania abbastanza grossa, la maestra compagna comandante. Purtroppo, in quella giornata luminosa, con tutta la bella luce che entrava nella camera dalle grosse finestre, non riuscivo neanche a vederla e questo mi infastidiva non poco.

Capivo soltanto che li seduta, c'era una persona.

Non ho fatto in tempo a vedere altro, perché si è alzata in piedi ed ha "dichiarato aperti" i lavori di quella assemblea.

Dopo aver cantato l'inno nazionale del paese, la compagna comandante pioniera per la scuola, quella con il cordone blu, ha preso la parola.

Hanno accolto tutti noi piccoli, che eravamo lì per la prima volta, con un applauso da parte di tutti.

Poi ci ha spiegato che in tutte le foto grandi e piccole sui panelli rossi attaccati fino al soffitto sulle pareti, sopra le due fila di bandiere, in modo disordinato ma bello da vedere, erano tutti compagni pionieri piccoli e grandi, di qui la nostra scuola andava molto fiera. Erano vincitori delle “Olimpiadi dello Studio” al livello cittadino, regionale e nazionale. Vincitori di concorsi interscolastici. I migliori nel portare a buon fine il lavoro di raccoglimento del piano economico. I più intraprendenti nel lavoro volontario ed i migliori nelle gare sportive.

A parte le gare sportive e qualcosa sul lavoro volontario – perché avevo sentito i miei genitori quando siamo andati insieme a lavorare per il nuovo stadio -, tutte le altre, erano per me parole e cose nuove che non avevo mai sentito prima.

Di quello che sentivo, non capivo nulla.

Sapevo di essere tra i più piccoli, ma nella mia classe ero il più bravo nello studio. Quando parlavano le persone grandi, riuscivo a capire cosa si dicevano, ma in quei momenti, all'improvviso, per la prima volta nella mia vita, non capivo niente, neanche una parola, di quello che si stava parlando.

Sembrava che parlavano tutti in un'altra lingua.

Mi chiedevo se non capivo perché ero stato troppo superficiale nello studio e quelle cose mi erano sfuggite, se ero troppo poco preparato, oppure mi stavo scoprendo semplicemente scemo.

< Ma se lo ero per davvero, lo erano anche tutti i miei amici che mi hanno votato, la nostra maestra ed anche la dirigente che hanno permesso quello sbaglio? >

Le cose andavano sempre peggio, perché quando la compagna comandante con il cordone blu, ha finito di parlare e la maestra compagna comandante ha cominciato a fare domande ai compagni più grandi, che avevano il cordone giallo come il mio, loro rispondevano con sicurezza, tanta decisione e dando tante cifre.

Come delle persone molto più grandi della loro età e molto ben preparate.

Con la voce molto forte e decisa.

Molto sicuri di loro.

Finiva uno e cominciava un altro.

Più parlavano, più mi chiedevo: < Cosa avrei risposto se chiedeva a me? >

Doveva essere un giorno bello e molto importante. Lo avevo immaginato come quando i ragazzi grandi del condominio mi hanno riconosciuto loro amico per i miei meriti, ma in quei momenti, la grande curiosità dell'inizio, si è trasformata in domande, le domande in preoccupazioni, le preoccupazioni in insicurezza e l'insicurezza, stava diventando sempre più, paura.

Era per la prima volta nella mia scuola tanto amata, che non stavo più bene.

L'unica cosa che desideravo era di uscire da quella camera, dalla scuola e fuggire con tutte le mie forze subito a casa.

Nella mia cameretta.

Al mio tavolo dove facevo i compiti.

Li dove stavo sempre bene.

Quando gli unici rimasti senza essere interrogati eravamo noi piccoli, la maestra compagna comandante, si è fermata nel fare quelle domande strane ed a noi ci ha soltanto chiesto se avevamo visto: < Quanto erano stati bravi i nostri compagni più grandi nello svolgere il loro compito come compagni comandanti di classe >.

 

Nessuno di noi piccoli ha aperto bocca.

Non aver fatto anche a noi quelle domande strane, mi ha fatto sentire un po' meno la forza di quella paura ed anche se ho capito molto bene la domanda che ci aveva fatto, era per la prima volta da quando andavo a scuola che non volevo rispondere alla domanda di una maestra,

Di questo ero convinto.

Avevo già deciso che quello era il giorno più brutto della mia vita e la causa, era soltanto lei.

La maestra compagna comandante, perciò, non volevo avere nulla a che fare con lei.

Subito dopo, ci ha spiegato che avendo visto come si doveva svolgere un'assemblea, nello stesso modo, avremo dovuto organizzare le assemblee nelle nostre classe, per informare i nostri compagni pionieri su quanto si era detto li.

In quel momento, la paura è diventata terrore, perché non ricordavo più nulla di tutte quelle cose.

Come erano state fatte, di cosa si era parlato e mi chiedevo se sarei stato capace di organizzare l'assemblea della nostra classe.

Subito dopo, ci ha detto che voleva venire nel nostro aiuto e ci ha dato dei fogli scritti, con "l'ordine del giorno".

L’ho messo con tanta cura nella mia borsa dentro un libro, perché sapevo che mi sarebbe servito, ma all'aiuto di quella persona che vedevo per la seconda volta nella mia vita, non ci credevo più.

Quando ha dichiarato chiusa l'assemblea e tutti insieme abbiamo cantato l'inno dei pionieri, è stato l'unico momento che mi è piaciuto di tutto quello incontro.

Nell'attimo dopo, ero già fuori.

Mentre camminavo da solo, pensavo che i miei amici erano già a casa, da più di un'ora.

Ero stato lì, dal mio tempo libero e come risultato, non vedevo niente di buono.

Era per la prima volta che sentivo delle cose che non conoscevo e che insieme alla paura di prima, facevano muovere tutto dentro me, in modo strano.

Un disordine totale.

Nella testa avevo un sacco di domande che venivano tutte insieme. Mancavano però le risposte ed in più, la pace e la tranquillità che tanto amavo, in quei momenti, mi chiedevo se mai le avrei ritrovate.

Appena entrato in casa, prima ancora di togliermi le scarpe e la divisa da pioniere, i miei genitori, senza neanche guardarmi, mi facevano un sacco di domande in modo allegro, scherzoso, vivace ma tranquillo, su come era andata la mia prima assemblea da "grande capo", insieme agli altri grandi capi della scuola.

Sembrava quasi che mi prendevano in giro.

Silenzioso e senza rispondere, sono andato a svestirmi.

Quando vestito da casa sono ritornato in cucina per mangiare, ho visto che all'improvviso hanno smesso di farmi domande sull'assemblea e dopo un attimo di silenzio, mio papà mi ha chiesto se volevo andare con lui sulla collina dove andavano a giocare i ragazzi grandi del condominio.

Aveva voglia di camminare un po' e non li andava di farlo da solo.

Soltanto in quel momento ho cominciato a rivedere che fuori era una bellissima giornata serena ed ancora molto luminosa, anche se autunno. Dentro di me, al' improvviso, sembrava che quel grande disordine che si muoveva in continuazione, cominciava a fermarsi, lasciando il posto alla tranquillità. In quei attimi, ho capito che anche il mio corpo tornava piano, piano ad essere meno rigido, caldo e vivo.

Piano, piano e finalmente dopo un po', cominciavo a vedermi e sentirmi come mi conoscevo.

Sarebbe stato per la prima volta che andavo sulla collina.

Mi è bastato, per far ritornare in me la vita.

Quando ho provato a spiegare a mio papà che prima avrei avuto dei compiti da fare e lui mi ha risposto che aveva fiducia in me ed era sicuro che li avrei fatti tutti e fatti bene al nostro ritorno, l'ultimo pezzo di disordine ancora rimasto dentro me, è stato spazzato via da un'esplosione di entusiasmo, di gioia.

I piedi che prima sentivo pesanti come il piombo, erano diventati leggeri e pronti alla camminata e prima di dire, oppure sentire qualsiasi altra cosa ero nel' ingresso, d'avanti alla porta di casa, con le scarpe già ai piedi.

Pronto per partire.

Prima di uscire, mio papà ha soltanto preso nello sgabuzzino una cosa che sembrava un bastone, spiegandomi che era una piccozza da montagna.

Era per la prima volta che la vedevo.

Mi è subito piaciuta tanto.

Ha poi preso anche un piccolo borsellino da minatore, un po’ più grande di quello che avevo al' asilo, dicendo che era il periodo buono, per la maturazione delle noccioline selvatiche.

Siamo usciti.

All'improvviso, quello era appena diventato uno dei giorni più felici ed importanti della mia vita.

Quando d'avanti al condominio, qualcuno dei miei amici che era già sul nostro “Maracana”, mi ha chiamato a fare due tiri, con tanta fierezza ho risposto che non potevo, perché andavo con il mio papà sula collina dei ragazzi grandi.

Appena attraversato il corso, quasi subito, siamo scesi in una piccola vallata e dopo aver attraversato il letto abbastanza grosso del piccolo fiumiciattolo che passava di lì, abbiamo cominciato la salita. Una salita dolce, tranquilla e mentre la stavamo facendo, mio papà ha cominciato a farmi vedere e spiegare tante cose.

Dove si poteva camminare perché era la collina di tutti e dove non si poteva, perché apparteneva alle persone che abitavano nelle case all'ingresso della città.

Dove si poteva accendere un fuoco per fare alla brace delle buone patate oppure lardo di maiale affumicato, il cibo preferito dei montanari, e dove non si doveva mai accendere un fuoco.

Quale era il legno buono per fare gli archi, come quelli dei ragazzi grandi e quale era il legno buono per fare le frecce.

Dalle piccole fonti di acqua che ogni tanto vedevo uscire da sotto terra, da quale si poteva bere tranquilli e quali era meglio evitare.

Quale pianta, oppure foglie di alberi potevano andare bene per qualche cura naturale e per quale cura.

Era tutto bellissimo.

Stavo vivendo una lezione di "conoscenze della natura", in mezza alla natura e scoprivo in quei momenti quante cose nuove mi stava insegnando mio papà senza nessuna fatica.

Quante cose sapeva.

Ci siamo fermati in un grosso spiazzo.

La città si vedeva già dall'alto ed il rumore era rimasto lontano.

Eravamo su un bel prato ancora molto verde e molto morbido.

Intorno allo spiazzo, non molto lontani, c'erano tantissimi alberi dai più piccoli, a molto grandi. Riempivano tutta la collina e lo spettacolo che davano era splendido. Visto da vicino, era ancora più bello di quanto era quando lo vedevo dalla finestra della nostra cameretta.

Le loro chiome erano fatte di tantissimi colori.

Sembrava che tutti i tipi di verde ed alcuni di giallo erano scesi dal cielo e si sono posati sopra, per dipingerle. Verso l'alto della collina si vedevano tanti con delle chiome di un colore quasi rosso. Mentre il leggero vento passava, le loro foglie si muovevano tutte insieme nello stesso momento e nella stessa direzione in un modo tranquillo, molto delicato.

Era per la prima volta che sentivo il loro fruscio.

Il loro canto armonioso, portatore di pace.

Quando il leggero vento veniva verso di noi, anche se molto tranquillo, oltre aria più fresca, portava anche un bel po’ di foglie gialle piccoli e grandi che scendevano a terra leggere e tranquille come i fiocchi di neve.

Mentre respiravo a bocca chiusa ma a polmoni pieni, per poter assorbire tutti i profumi buoni che sentivo, per riempirmi più che potevo di quel' aria, mio papà mi spiegava che quella specie di sentiero molto, molto largo, quasi una strada, che partiva dal nostro spiazzo e salendo sulla collina, si perdeva in alto dentro la foresta, era il posto che d'inverno, con la neve, diventava la pista di slitta di tutta la nostra zona.

Cominciando a salire anche noi su quella che diventava d'inverno la pista delle slitte, sentivo l'erba corta sotto i piedi cosi morbida, che ogni tanto, mi sembrava quasi, di perdere l'equilibrio.

Era come camminare sopra un morbido e spesso tappetto persiano della migliore qualità.